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L'incantatrice
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L'incantatrice
E-book321 pagine4 ore

L'incantatrice

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Info su questo ebook

“Nel passato ci sono le ceneri, nel presente il fuoco che ci dà l'ardore di scrivere il futuro”.

Amalia è solo una bambina, quando la morte della nonna Ofelia sconvolge la sua vita e segna per sempre il suo destino. La ritroviamo oggi, ormai trentaduenne, insegnante in una scuola d'arte, alle prese con una strisciante insoddisfazione di fondo e un tragico incidente, accaduto nel liceo dove insegna.
Il presente incalza e le domande sul suo oscuro passato si moltiplicano: cos'è successo davvero a Ofelia? Perché sua madre è sparita? Chi è veramente Dorotea? E perché nessuno vuole parlare?
Amalia accetta la sfida che la vita le sta lanciando e decide di intraprendere una ricerca sulla sua storia familiare. Tra vecchi bauli, strani amori, certezze che si sgretolano e un viaggio imprevisto, risalirà il misterioso ramo materno della famiglia e farà luce sulle sue origini, ma soprattutto scoprirà chi è veramente: non la persona banale che credeva, ma una creatura speciale.
La storia di Amalia è forse la storia di tutti noi.
È l'archetipo del viaggio per scoprire chi siamo, da dove veniamo e qual è il nostro posto nel mondo.
 
LinguaItaliano
Data di uscita19 lug 2020
ISBN9788835866138
L'incantatrice

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    Anteprima del libro

    L'incantatrice - Samantha Fumagalli

    Ringraziamenti

    1

    Ventotto anni prima, autunno

    Appoggiò l'ultimo cubo colorato in cima alla piramide. L'opera era conclusa.

    Gli occhi le si illuminarono di gioia, ma dopo alcuni istanti, inclinò la testolina di lato, osservando con maggiore attenzione. Mancava qualcosa. Pescò un altro cubo dal cumulo al suo fianco e lo tenne con la mano pochi centimetri al di sopra dell'apice. La fronte corrugata e un leggero broncio rivelavano lo sforzo di concentrazione.

    Quando le piccole dita mollarono la presa, il cubo galleggiava nel vuoto.

    Applaudì contenta, il viso di nuovo disteso e sorridente. Prese un altro cubo e iniziò a replicare la prima piramide. Questa volta capovolta e sospesa nell'aria.

    Dalla finestra, la luce fredda del tardo mattino autunnale accarezzava la piccola Amalia, seduta sul tappeto verde acqua. Troppo assorta in quel che stava facendo, non si accorse della porta che si apriva e di sua madre che rimaneva a guardarla immobile sulla soglia.

    La donna avvertì uno spasmo allo stomaco e abbassò istintivamente le palpebre, nella vana speranza di cancellare la scena che si stava svolgendo sotto ai suoi occhi. Prima o poi sarebbe successo, lo sapeva, ma non se lo aspettava così presto. La notizia appena ricevuta, rendeva il momento ancora meno adatto per affrontare la questione. Con un sospiro silenzioso si impose di mascherare le proprie emozioni.

    «Stai giocando, tesoro?» chiese con forzata leggerezza.

    «Mamma!» esclamò la piccola. «Ti piace? È una piramide che si specchia nel cielo».

    «È bellissima, tesoro» rispose Eliana, le labbra atteggiate a un sorriso tirato. «Adesso, però, mettiamo in ordine. Devo dirti una cosa importante».

    La bimba divenne improvvisamente cupa. Una nube nera sembrava calata di colpo su di lei.

    Con voce allarmata, chiese: «È successo qualcosa alla nonna?».

    Spiazzata dalla domanda, la madre confermò «Sì, si tratta della nonna, ma prima voglio che sistemiamo i tuoi giochi».

    Il piccolo viso paffuto si era fatto accigliato: «Cos'è successo?».

    «Mettiamo in ordine, ho detto».

    Risoluta, Amalia la fissò. I cubi sospesi in aria iniziarono a tremolare e a urtarsi tra loro, producendo un ticchettio sinistro. Con inquietudine crescente, Eliana guardò prima la piramide fluttuante, poi la figlia. E alla fine si arrese: «La nonna è stata molto male. E ora...» ma fu più forte di lei, e non riuscì a finire la frase.

    «Dimmelo!» gridò la bambina, ostinata.

    «La nonna non è più tra noi. È volata in cielo».

    Gli occhi di Amalia si riempirono di lacrime e il viso si imporporò violentemente. Di colpo i cubi schizzarono in tutte le direzioni, come se all'interno della piramide si fosse generata un'esplosione. Il fracasso fu terribile. La scena raggelante.

    2

    Oggi, primavera

    Una pioggia leggera si sovrapponeva al pallido sole di inizio primavera. Con il naso all'insù, Amalia guardava l'arcobaleno che si stava disegnando nel cielo. Un ponte evanescente che prendeva forma davanti ai suoi occhi e si protendeva verso est. Dove sorge il sole. Dove tutto comincia.

    Era incantata e sentiva l'invito a percorrere quel ponte. Un richiamo simile al canto delle sirene, che le diceva di seguirlo per tornare alle origini. Per svelare il mistero del suo oscuro passato. E intanto la pioggia cadeva, arricciandole i lu nghi capelli scuri screziati di sfumature ambrate, e le scivolava sul viso, le bagnava il cappotto, le sgocciolava sulle mani. Chiuse gli occhi, per isolare il ticchettio delle gocce sulle foglie degli alberi e tra le note di quella sinfonia, le parve di udire l'eco di antiche domande da troppo tempo taciute.

    La voce di Danilo la raggiunse come un soffio: «Buongiorno, prof! Ci vediamo domani». Il ragazzino le passò accanto, solo come sempre, a differenza dei compagni, che correvano in gruppo verso la libertà. L'orario di lezione era finito.

    Riaprì gli occhi e si guardò attorno, sorpresa di essersi estraniata totalmente dallo schiamazzo, che da alcuni minuti riempiva il cortile dell'istituto.

    Un ombrello le offrì riparo dalla pioggia e una mano le si posò lieve sulla spalla: «Vuoi un passaggio alla macchina?».

    Lei annuì, affiancandosi silenziosa all'uomo.

    «Stai bene?» chiese Francesco. «Sembri su un altro pianeta».

    A dispetto di quell'aria stralunata, rimarcata da una massa nera di capelli perennemente in disordine e da un vestire in bilico tra il trascurato e l'eccentrico, il nuovo insegnante di disegno aveva l'eccezionale capacità di cogliere le sfumature dell'animo umano e penetrare la realtà circostante. I colleghi pensavano che fosse per il desiderio di integrarsi, dopo il recente trasferimento, ma l'acume di Francesco era innato e lo guidava spontaneamente verso il lato nascosto delle cose. Forse era anche per questo che la sua pittura viveva di simboli ed era concepita per dare concretezza al momento speciale in cui sensi e anima si fondono.

    L'interesse per Amalia, poi, lo spingeva a una premura ancora maggiore nei suoi confronti.

    «È tutto okay?» ripeté, non ricevendo riposta.

    «Sì, scusa, mi ero persa dietro un pensiero bizzarro» rispose lei, e per un attimo i suoi grandi occhi verdi riverberarono di una luce nuova.

    «Pranziamo insieme? Magari me ne parli, del tuo pensiero bizzarro...».

    «Ma sì! Non ho impegni nel pomeriggio e Giorgio è fuori per un corso aziendale. Dove andiamo?».

    «Che ne dici del Piccolo Bistrot sul fiume?».

    «Adoro quel posto».

    Francesco puntò il telecomando in direzione di una Space Star, che si intuiva oro metallizzato sotto la patina di polvere. L'inconfondibile cicalino accompagnò lo scatto delle serrature e, una volta a bordo, azionò la ventola dell'aria calda per far asciugare almeno un po' la collega.

    Il percorso era breve. La scuola non distava molto da dove il fiume, dopo aver abbracciato la parte nord della città, si inseriva nell'architettura urbana, dando luogo alla caratteristica passeggiata, piena di locali e negozi affacciati sull'acqua, che guardavano alla sponda opposta, residenziale e verde. Amalia amava il fiume e le sue rive, specialmente nel periodo natalizio, quando erano vestite a festa, e durante gli eventi artistici e musicali delle serate estive.

    Parcheggiarono in una via laterale e si incamminarono verso il bistrot. La pioggia era cessata, ma nuvole multicolori continuavano a rincorrersi nel cielo, incalzate dal vento.

    Amalia guardò in su: «Sembra un forziere che si sta aprendo» mormorò.

    Francesco osservò il cumulo bianco, che si stagliava sullo sfondo grigio azzurro, e notò che la parte superiore, con un lento movimento, mimava il dischiudersi del coperchio di un baule.

    «Che sia un messaggio?» suggerì, maliziosamente. «L'invito a confidarmi i tuoi pensieri segreti...».

    Lei scosse il capo, desolata: «È poco più di una sensazione, come se una parte della mia vita fosse giunta al termine. Ma è difficile da spiegare».

    «Prova».

    «A volte bisogna saper aspettare».

    Francesco alzò le mani in segno di resa: «Okay, non insisto».

    «In realtà, lo sto dicendo a me stessa. Non sono molto paziente di solito, ma adesso devo imparare a esserlo, se non voglio impazzire. Da un paio di mesi non mi riconosco più».

    «Cioè?» la imbeccò lui.

    «Hai presente quando non sai più chi sei? Quando le certezze crollano e ti assalgono valanghe di domande assurde? No, certo che non lo sai. Perché dovresti saperlo? Non stai mica andando fuori di testa, tu...» parlava veloce, senza quasi respirare, e intanto sul viso di Francesco affiorò un vago sogghigno, mascherato dallo sforzo di rimanere serio.

    «E non prendermi in giro, sai» lo rimproverò lei, dandogli una pacca sul braccio.

    «Non era mia intenzione...» rispose lui. Ed era vero. Ma lo stuzzicava vedere come il malessere interiore premesse per uscire allo scoperto a dispetto della volontà di darsi tempo per capire. Da osservatore aveva imparato a comprendere le persone e, ascoltandola, intuiva la ragione che le aveva fatto dire di non riconoscersi più. C'era una crisi in corso. E le crisi sono sempre promotrici di cambiamenti. Ma f inché non si intravede una nuova direzione, il caos è una condizione naturale. Non sapeva la natura di quella crisi, ma ne riconosceva le dinamiche, perché le aveva vissute in prima persona. Un moto di empatia lo spinse a prenderla per le spalle e stringerla a sé.

    «Ti sembrerà strano, ma so di cosa stai parlando».

    Amalia si irrigidì, confusa e imbarazzata, poi tentò di sdrammatizzare: «Beato te!».

    Entrarono nel bistrot e si accomodarono a un tavolino d'angolo, adiacente alla vetrata . La piega della conversazione aveva creato un vago disagio. Avevano smesso di parlare. Lui per non risultare invadente, lei perché cercava un modo per ritornare a un registro meno confidenziale. Pur conoscendosi da poco, si era creata tra loro una buona intesa, avevano idee simili sull'insegnamento e spesso, negli scambi di idee, oltrepassavano l'ambito professionale. Si era aperto un varco nel confine che delimita le relazioni tra colleghi e stava nascendo un'amicizia. Ma quel giorno Amalia sentiva che, se si fosse spinta più in là, avrebbe imboccato una strada senza ritorno.

    L'imbarazzo fu tamponato dall'arrivo di Michela, che prese nota delle ordinazioni e si allontanò rapidamente per dar retta ai numerosi clienti che reclamavano la sua presenza.

    Dopo alcuni istanti, Amalia ruppe il silenzio: «C'è un problema di cui vorrei parlarti» disse.

    Francesco si sporse in avanti e appoggiò i gomiti sulla tavola. Si era fatto più attento, sperando che l'amica avesse deciso di sbottonarsi: «Spara» la esortò.

    «Hai presente Danilo, quel ragazzino minuto e un po' timido della prima D?».

    Lui annuì: «A disegnare è un asso. Non dirmi che ha problemi in italiano?».

    «No, nello studio se la cava. Il fatto è che mi mette in crisi. Si presenta timido e fatica a socializzare, ma, conoscendolo meglio, mi sono fatta l'idea che il suo essere un sognatore lo abbia portato a sviluppare una natura introversa».

    «Concordo. Ma perché questo dovrebbe metterti in crisi?».

    «Per due ragioni. La prima è che temo sia vittima di bullismo. Claudio e James, i due gradassi della classe, non perdono occasione per provocarlo. Dal momento che lui non si integra, si credono in diritto di prenderlo in giro e trattarlo con arroganza. Ovviamente sono intervenuta, ma ho il sospetto che questi episodi non si limitino alle ore di lezione e non so come farli cessare».

    «E lui?»

    «Niente. Non reagisce».

    Si interruppero, vedendo sopraggiungere Michela con i calici di vino, la parmigiana di melanzane per lui e il gateau di patate per lei. Un assaggio ai manicaretti, poi Francesco riannodò il discorso al punto dove l'avevano interrotto: «E l'altro motivo di cruccio?» chiese.

    «Nessun consiglio per il primo?» domandò lei di rimando, con una smorfia speranzosa.

    «Quello che stai facendo mi sembra ragionevole, non puoi mica seguire i ragazzi fuori dalla scuola».

    Amalia tamburellò con le dita sul tavolo: «Sento che non basta».

    «Parla con Danilo. Fagli capire che deve essere più audace. Diciamo, battagliero quel tanto che basta per farsi rispettare».

    Amalia approvò, annuendo più volte.

    «Bene, siamo pronti per il secondo capitolo?».

    «Qui è più complicato. Non riguarda direttamente Danilo, quanto il mio rapporto con l'insegnamento in generale».

    «Oh-oh... la storia si fa tesa» la interruppe lui. «Mi sa che ci vuole un altro calice di vino». Cercò con lo sguardo la cameriera, tra il flusso di clienti che si recava a pagare, e le fecce un cenno d'intesa, indicando i due bicchieri vuoti. Senza il sottofondo ciarliero dell'ora di punta, Francesco si augurava che Amalia si sarebbe aperta più liberamente, ma non ebbero neanche il tempo di riprendere il discorso, perché Michela si materializzò al loro fianco seduta stante.

    Depose i calici e, timidamente, aggiunse: «Prof, se non ti disturbo, avrei un aiuto da chiederti».

    Il sorriso di Francesco fu un esplicito lasciapassare, e la ragazza continuò: «Sai già che nel tempo libero dipingo e sto pensando di partecipare alla mostra che organizzano il primo maggio sul lungofiume».

    «Mi sembra un'ottima idea» approvò lui.

    «Be' sì... però... Insomma, vorrei sapere da te, se c'è qualcosa tra i miei scarabocchi che valga la pena esporre. Ho le foto sul telefonino. Se non siete di fretta... magari, dopo, ve le faccio vedere».

    «Con piacere».

    Michela emise un gridolino di gioia: «Grazie! Finisco di sparecchiare e torno da voi».

    Francesco sorseggiò il vino e guardò Amalia: «Non fare quell'aria da smemorata! Sto aspettando che tu mi dica qual è il secondo problema».

    Amalia sospirò: «Vedi? Tu sei un incentivo per le persone, uno stimolo a sognare e a lanciarsi in nuove esperienze. E le persone lo sentono, che sei così. E si rivolgono a te, come Michela. Questa non è una banale coincidenza, è una sincronicità impressionante».

    «Non ti seguo».

    «Stavo per parlarti della mia crisi come docente, del fatto che non mi reputo capace di incoraggiare i ragazzi ad andare oltre, e Michela cosa fa? Ti chiede di confezionarle un paio d'ali per volare. È un segno del destino: come insegnante non valgo niente».

    «Se non fossi stato con te tutto il tempo, direi che hai bevuto troppo. Riavvolgiamo il nastro, per favore. Alla casualità non credo neanche io, ma dissento dall'interpretazione: per me, sei un'ottima insegnante, una delle migliori che ho conosciuto».

    «Non sono in cerca di complimenti. Ho bisogno della spietata verità».

    «Tranquilla, il debole che ho per te non influenza minimamente la mia capacità di giudizio» scherzò Francesco. Ma era vero, aveva un debole per quella donna dagli occhi smeraldo, che cambiavano colore con il tempo e l'umore. Gli piaceva il suo essere solare e misteriosa al tempo stesso, gli piacevano le sue contraddizioni. E la stimava. Per questo non approvava quella feroce autocritica.

    «Credo che ti convenga ridimensionare un po' le prospettive» disse poi.

    Amalia fece una smorfia poco convinta.

    «Quando ci siamo incontrati la prima volta, ho avuto l'impressione che tu fossi una donna fuori dal comune. Poi, conoscendoti meglio, ho scoperto in te un'empatia straordinaria e un grande amore per la conoscenza. Quella vera, intendo, non quella nozionistica. Non sei stata tu a dirmi che preferisci insegnare ai ragazzi a ragionare, piuttosto che sentirli ripetere le lezioni a memoria? Be', questa è una dote preziosa nel nostro lavoro».

    Amalia rimase in silenzio qualche istante, quasi sentisse la necessità di far decantare quelle parole nella sua coscienza.

    «Non avevo guardato le cose da questa angolazione» ammise poi, stropicciandosi le mani. «Forse non sono proprio pessima, ma sta di fatto, che mi sento inadeguata al mio ruolo. Sarò pure convinta che il nostro compito sia aiutare gli studenti a conoscersi e avere la forza di perseguire i propri ideali, ma non credo di riuscire a farlo». Abbassò lo sguardo e bevve un sorso di vino, poi, scuotendo la testa, riprese: «Questo dubbio mi tormenta in sordina da parecchio e Danilo è stato soltanto un detonatore inconsapevole. Con quel suo modo di comportarsi stravagante, portato a fantasticare e a scrivere racconti di fantascienza al posto che svolgere i temi assegnati, avrebbe bisogno di incoraggiamento. Mentre io, vedendo le sue difficoltà a socializzare, sto pensando di spingerlo a inserirsi. No, non ci siamo. Questo mi fa capire che non ho il coraggio di sostenere l'originalità. E la cosa mi spaventa, Francesco. Tra quello che sento e quello che faccio c'è qualcosa di inconciliabile».

    «Ehi, frena!» la interruppe lui. «Tu non educhi i ragazzi al conformismo. Mi sa che la scuola non c'entra niente, questa crisi riguarda te. La parte di te che reprimi».

    Amalia sbuffò, tradendo insofferenza: «Cosa c'entra questo?»

    «Ne abbiamo già parlato» le rammentò lui.

    «Appunto».

    «Ma non mi hai risposto. Perché hai scelto l'insegnamento e scartato categoricamente l'idea di fare la scrittrice?».

    «Sì, che ti ho risposto».

    «Be', non mi hai convinto».

    «Scrivere non dà garanzie e io non ho nessuna intenzione di ritrovarmi un giorno, squattrinata e infelice, a dover improvvisare corsi di scrittura creativa per mettere insieme la cena».

    «Una possibilità alquanto remota, almeno nel tuo caso, considerate le proposte che hai ricevuto dai colossi dell'editoria».

    «Lo vuoi capire che per me non è un lavoro? È una valvola di sfogo priva di qualsiasi velleità. Punto».

    «Non ti indisporre, Amalia. Mi hai chiesto un parere e sto analizzando la situazione insieme a te» disse Francesco, allungando la mano sul tavolo a stringere quella di lei, in un gesto d'affetto.

    Amalia ricambiò, addolcendosi un poco: «Lo so» riconobbe. «E dovrei essertene grata, se non fosse che questo argomento mi mette sempre di malumore».

    «Ci sarà ben un motivo! Se non nutrissi il minimo rimpianto riguardo alle tue scelte, forse non ti sentiresti in difetto nei confronti dei ragazzi».

    Amalia si fece più possibilista: «Può darsi che tu non abbia tutti i torti, ma non ne sono ancora convinta».

    «Pensaci. Chi ti impediva di fare l'insegnante e, nel frattempo, pubblicare un libro? In fondo, anch'io tengo il piede in due scarpe. Combino la scuola con la produzione artistica. Ciò che non mi spiego è la tua volontà di autocensura. Non è coerente con te».

    «Serve talento per vivere di scrittura».

    «E tu ce l'hai!».

    «Naah... Persino mio padre non ci credeva! E si sa che, agli occhi dei genitori, i figli sono tutti geni. Eppure lui mi ha ripetuto fino alla nausea che non ero niente più di un'imbrattacarte. Voleva risparmiarmi una delusione».

    Francesco avvampò di indignazione. Come aveva potuto quell'uomo raggirare così crudelmente sua figlia? E perché?

    Per quanto Amalia fosse riluttante a far leggere le sue cose, lui era riuscito a farsi dare un romanzo e un paio di racconti, e poteva dire a ragion veduta che l'amica era quanto di più lontano ci fosse da un'imbrattacarte. Non solo le sue storie erano avvincenti, ma aveva anche uno stile che lui aveva definito ipnotico. Ma non aveva senso ribadirlo adesso. Non gli avrebbe dato retta.

    «Fesserie!» esclamò furente. «Non so cosa spingesse tuo padre a scoraggiarti, ma di sicuro non era per evitarti una delusione. Se non vuoi credere a me, mettiti alla prova per l'ennesima volta e partecipa al Premio Kosmos. È uno dei più prestigiosi del panorama letterario italiano, ma credo che tu lo sappia. In palio c'è la pubblicazione a livello internazionale. Non hai nulla da perdere».

    Amalia lo stava ad ascoltare, provando una terribile agitazione interiore. Era soltanto una ragazzina quando aveva inviato il suo primo racconto a un concorso e aveva vinto. Ne erano seguiti altri e si era sempre classificata ai primi posti. Partecipava per ottenere le conferme che in famiglia le venivano negate. Ma era come andare sulle montagne russe. Vinceva. Per qualche ora si sentiva a cavalcioni di una stella. Poi tornava la voce martellante di suo padre: non sarai mai all'altezza, non è roba per te, occupati di cose serie. E precipitava di nuovo. Cos'altro poteva fare? Ma cadere da una stella fa più male che cadere dal seggiolone. E ogni volta lo schianto era un po' peggio. Un po' più doloroso. E finiva un po' più in basso. L'ultima volta, rialzandosi, si era ripromessa di scrivere soltanto per se stessa. E così aveva fatto.

    Ricordare le procurò un'indicibile fitta al petto, al pari di una diga che, sotto la pressione di acque tumultuose, si crepa ed esplode. Serrò la gola, per evitare che la piena del fiume salisse agli occhi, poi deglutì. No, non avrebbe pianto. E ricacciò indietro le piccole gocce che le avevano inumidito le ciglia.

    Michela si stava avvicinando in punta di piedi, frenata dal timore di importunarli. Scorgendola, Amalia ritrasse la mano dalla presa di Francesco, per far cenno alla ragazza di venire a sedersi con loro.

    «Interrompo qualcosa di importante?» domandò Michela.

    «Figurati!» si costrinse a sorridere. «Le solite chiacchiere tra colleghi. Dai, mostraci le tue opere».

    Il volto di Francesco si adombrò. Considerava quel discorso tutt'altro che una banale chiacchierata tra colleghi e avrebbe preferito andare fino in fondo. Sapeva che non sarebbe stato facile, più tardi, convincere Amalia a riprendere da dove avevano lasciato. Camuffò la propria contrarietà e si dispose a offrire aiuto alla novella artista.

    Visionarono una trentina di fotografie e selezionarono insieme i lavori più significativi del periodo astratto di Michela. Opere in cui era riuscita a tradurre con efficacia i propri sentimenti, attraverso forme, colori e linee. Francesco aveva orientato la scelta sulla base di una coerenza stilistica e di soggetto, così da dare un tema conduttore alla mostra.

    «Non so come ringraziarti, Prof! Senza di te, avrei messo insieme un'accozzaglia priva di senso. Non avrei mai creduto di poter trovare un filo logico nei miei scarabocchi...».

    L'insegnante ammiccò e i suoi occhi grigio-azzurri si tinsero di una sfumatura ironica: «Bene, mi sei debitrice di un favore».

    «Qualunque cosa, Prof. Chiedi pure».

    Francesco sogghignò, creando un attimo di suspense, poi avanzò la sua richiesta: «Come regalo voglio che, a partire da oggi, tu smetta di chiamare i tuoi quadri i miei scarabocchi».

    Michela scoppiò in una risata e abbracciò il suo mentore con slancio.

    Amalia osservava la scena con sguardo ammirato.

    3

    In auto, lungo la strada del rientro, Amalia lottava ancora contro l'irritante senso di insoddisfazione che tornava a investirla a ondate. Un attimo sembrava tutto tranquillo, l'istante dopo le piombava addosso qualcosa di non facile da decifrare. A volerci provare, avrebbe detto essere un misto di stanchezza e inconcludenza, ma non erano i termini adatti. Era piuttosto un'impressione di ambiguità, come se nella sua vita si nascondesse un'altra vita. Un'esistenza parallela di cui ignorava tutto, ma che si affacciava repentina come un'ombra, e poi spariva.

    Era in momenti come quello che avvertiva con maggior asprezza la mancanza di una madre. La sua se n'era andata quando lei aveva soltanto quattro anni, per ritirarsi in un monastero in Galizia. O almeno, così le avevano detto. Da allora non

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