Ritorno al Covenant
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Per tre anni Alexandria è vissuta in mezzo ai mortali, fingendo di essere come loro e cercando di dimenticare tutto quello che aveva imparato quando viveva nel Covenant, prima che sua madre decidesse di andarsene perché quel luogo popolato di semidei e Mezzosangue non era più sicuro.
Il destino però trova sempre il modo di compiersi, e quando un attacco delle terrificanti e letali creature che le hanno sempre insegnato a combattere le strappa ciò che ha di più caro, Alex ha un'unica scelta: tornare al solo luogo a cui sente di appartenere. Ma la strada verso il Covenant è piena di pericoli e ogni passo verso la salvezza potrebbe essere l'ultimo. Perché ora i daimon le danno la caccia...
Jennifer L. Armentrout
Autrice al vertice delle classifiche del New York Times e di USA Today, oltre a scrivere romance si è cimentata con successo nei generi Young e New Adult, fantascienza e fantasy. Attualmente vive a Martinsburg, West Virginia. Con HarperCollins ha pubblicato le serie Covenant, Titan, Dark Elements, The Harbinger, Blood and Ash e Flesh and Fire.
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Anteprima del libro
Ritorno al Covenant - Jennifer L. Armentrout
Prima
1
Puzzava di naftalina e di morte.
Ero al cospetto di un vecchissimo Ministro donna, una degli Hematoi, che sembrava essersi appena trascinata fuori dalla tomba dopo averci passato un paio di secoli. Aveva la pelle rugosa e sottilissima, come una pergamena antica, e sembrava che ogni suo respiro potesse essere l'ultimo. Non avevo mai visto nessuno di così vecchio, ma del resto avevo solo sette anni e anche il fattorino della pizzeria mi sembrava preistorico.
Alle mie spalle sentii il mormorio di disapprovazione della folla; avevo dimenticato che i semplici Mezzosangue come me non dovevano guardare i Ministri negli occhi. Gli Hematoi avevano un ego enorme, essendo i figli di sangue puro dei semidei.
Lanciai un'occhiata a mia madre, in piedi di fianco a me, sul palco rialzato. Anche lei apparteneva agli Hematoi, ma non era affatto come gli altri. Mi guardò con gli occhioni verdi, come per implorarmi di collaborare, di non fare la bambina disobbediente e incorreggibile come mio solito.
Non sapevo perché fosse così spaventata; ero io a trovarmi di fronte alla Guardiana della Cripta. E se fossi sopravvissuta a quella assurda tradizione senza passare il resto della mia vita a svuotare il vaso da notte di quella vecchia megera, sarebbe stato un miracolo degno degli dei, i quali, in teoria, ci sorvegliavano tutti di continuo.
«Alexandria Andros?» disse il Ministro, con una voce che suonò come carta vetrata sul legno grezzo. Schioccò la lingua. «È decisamente troppo piccola. Ha le braccia sottili come i germogli degli ulivi.» Si piegò per studiarmi da vicino; quasi mi aspettavo che mi cadesse addosso. «E ha gli occhi del colore della terra, di certo non si notano. Dentro di lei scorre a malapena una goccia di sangue degli Hematoi. È più mortale di tutti quelli che abbiamo visto oggi.»
Gli occhi del Ministro erano del colore del cielo subito prima di un temporale: un misto di viola e blu che indicava la sua eredità genetica. Tutti gli Hematoi avevano gli occhi di colori incredibili. Lo stesso valeva anche per la maggior parte dei Mezzosangue, ma io, per qualche motivo, alla nascita mi ero persa il momento in cui assegnavano quegli occhi dalle tonalità fighissime.
Le affermazioni sul mio conto continuarono per quella che mi parve un'eternità, mentre io riuscivo soltanto a sognare un gelato e magari un sonnellino. Altri Ministri vennero a controllarmi, girandomi attorno e bisbigliandosi pareri all'orecchio. Continuavo a lanciare occhiate a mia madre; lei mi sorrideva per rassicurarmi e farmi capire che era tutto normale e che stavo andando bene... anzi, benissimo.
Almeno finché la vecchia non cominciò a pizzicarmi ogni centimetro di pelle scoperta, e anche punti avvolti dai vestiti. Non mi era mai piaciuto essere toccata senza motivo. Se io non toccavo gli altri, allora loro non dovevano toccare me. A quanto pareva, alla nonnina non l'aveva detto nessuno.
Mi pizzicò la pancia con le dita ossute, attraverso il vestito. «Non ha un filo di carne addosso. Come possiamo aspettarci che combatta e ci difenda? Non merita di essere addestrata al Covenant e di prestare servizio al fianco dei figli degli dei.»
Non avevo mai visto una divinità, ma la mamma mi aveva detto che erano sempre in mezzo a noi e ci controllavano costantemente. Non avevo neanche mai visto un pegaso o una chimera, del resto, ma lei mi aveva giurato che esistevano. Eppure, anche a sette anni, facevo fatica a credere a quelle storie; la mia fede infantile era stata minata dalla necessità di accettare che gli dei tenessero ancora a quel mondo che avevano popolato in modo così diligente, come solo loro sapevano fare.
«Non è altro che una piccola, patetica Mezzosangue» continuò la cariatide. «Io dico di mandarla dai Maestri. Mi servirebbe giusto una ragazzina che mi pulisse i gabinetti.»
Poi mi torse la pelle in modo crudele.
E io le tirai un calcio in uno stinco.
Mia madre fece una faccia che non avrei mai più dimenticato, a metà tra il terrore e il panico vero e proprio; era pronta a correre in mezzo ai Ministri per portarmi via. Si sentirono alcune esclamazioni indignate, ma anche qualche risatina acuta.
«Ha il fuoco dentro» disse uno dei Ministri maschi. Un altro si fece avanti: «Sarà una buona Guardia, forse persino una Sentinella».
Ancora oggi non ho idea di come fossi riuscita a dimostrare il mio valore dando un calcio a una gamba al Ministro. Eppure ce l'avevo fatta. Non che significasse più nulla, ora che avevo diciassette anni e da tre non mi avvicinavo al mondo degli Hematoi. Ma neanche nel mondo normale avevo smesso di fare stupidaggini.
Anzi, mi veniva naturale fare sciocchezze senza motivo. La consideravo una delle mie doti.
«Lo stai facendo di nuovo, Alex» si lamentò Matt, stringendomi più forte la mano.
Strizzai lentamente gli occhi, rimettendo a fuoco il suo viso. «Che cosa?»
«Hai di nuovo quell'espressione.» Mi strinse al petto e mi avvolse un braccio attorno alla vita. «Come se stessi pensando a qualcosa di profondissimo, ai massimi sistemi dell'universo. Come se la tua mente fosse a migliaia di chilometri di distanza, da qualche parte fra le nuvole, su un altro pianeta o chissà dove.»
Matt Richardson voleva entrare a far parte di Greenpeace e salvare le balene. Era il classico bel ragazzo della porta accanto, il tipo che aveva deciso di smettere di mangiare carne rossa. Vabbè. In quel momento rappresentava il mio tentativo di integrarmi fra i mortali e mi aveva convinta a uscire di nascosto per andare a un falò sulla spiaggia con gente che conoscevo appena.
Avevo pessimi gusti in fatto di ragazzi.
Prima c'era stato un intellettuale taciturno che scriveva poesie sul retro dei libri di scuola, si tingeva i capelli di nero corvino e se li pettinava in modo che gli coprissero gli occhi color nocciola. Aveva scritto una canzone su di me. Io mi ero messa a ridere e quella storia era finita ancora prima di cominciare. L'anno prima ancora mi ero presa quella che probabilmente era stata la mia cotta più imbarazzante in assoluto: il capitano della squadra di football preuniversitaria, biondo ossigenato, con gli occhi azzurro cielo. Per mesi e mesi ci eravamo detti al massimo: «Ciao» e: «Mi presti una matita?», finché finalmente ci eravamo incontrati a una festa. Avevamo cominciato a chiacchierare, poi ci eravamo baciati, anche se sapeva di birra scadente, e lui mi aveva toccato le tette. Io gli avevo tirato un pugno, rompendogli la mascella. Dopo