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Il guardiano del fondo
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E-book197 pagine2 ore

Il guardiano del fondo

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Info su questo ebook

otto il cielo di una nuova Luna Sanguigna Lussy è diventata il nuovo Guardiano del Fondo, ma i festeggiamenti sono presto interrotti, una magia sconosciuta semina morte e devastazione. Lo stregone Inn Arh ha ucciso Barbatos, il Depositario delle Chiavi, e gli ha sottratto una chiave per spostarsi nel tempo. La Strega Addormentata affida a Nihls, Astaroth e Lussy il compito di recuperarla e trovare la breccia per liberarli dalla loro prigionia prima che il loro mondo venga cancellato. Nihls, il nuovo Custode dei Pozzi, viene sbalzato nel passato dove incontra la Volpe Cantastorie, colui il cui compito è preservare le cronache di quei luoghi e lì dovrà affrontare Inn Arh e un misterioso ragazzo intenzionato a ucciderlo. Lussy intanto, a cui è dedicato questo nuovo capitolo, comprende che la sua esistenza è votata a proteggere i suoi amici e le persone che ama. La Saga dei Pozzi maledetti continua e il mondo dei Pozzi, che sembrava chiuso su se stesso, si apre come una porta, lasciando vedere al di fuori nuovi scenari, così profondamente legati alle Terre Maledette dalla magia della Strega Addormentata. Il senso di responsabilità, ma anche il sacrificio e il timore di non essere mai all'altezza, sono alla base di questo secondo capitolo che ci avvicina, passo dopo passo, al destino scritto per i nostri protagonisti.
LinguaItaliano
Data di uscita28 apr 2021
ISBN9791220335744
Il guardiano del fondo

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    Anteprima del libro

    Il guardiano del fondo - Roberta Bianchessi

    meglio.

    Lussy

    Quando si è passata la vita a odiare qualcuno è difficile cancellare i momenti di solitudine e il dolore che si è provato dall’essere rifiutati da questa persona. A dire il vero, è inconcepibile anche il solo pensiero.

    Dopo essere riemersa dal pozzo, Lussy si era faticosamente seduta a pochi passi dal varco, con gli occhi annebbiati dalle lacrime che, prepotenti, premevano per uscire fuori. Un brandello di orgoglio personale le impediva di lasciare che anche solo una lacrima travalicasse le sue palpebre. Non poteva accettare quello che aveva visto. No, non poteva!

    Sua madre era sempre stata la persona a cui aveva voluto più bene ma da cui si era sempre sentita respinta, una figlia indesiderata e odiata.

    Forse si era immaginata tutto, forse stava dormendo e quello era stato solo un sogno.

    Non poteva essere la verità.

    Il tempo scorreva così lentamente da lasciarle troppo spazio per rimuginare su tutto quello che aveva appreso nel passato, a fianco della strega dal viso prosciugato. Prosciugato come avrebbe voluto che fosse il suo passato, sarebbe bastato dimenticare…

    Attorcigliò le dita tra loro fissando quanto fossero diventate grandi le sue mani, chissà quanto dolore avrebbero potuto infliggere se le avesse usate per combattere. Le strinse fissando le nocche spesse e coriacee tirarsi, i muscoli si tendevano così facilmente, il suo corpo era un’arma da guerra. Lei era un Guardiano del Fondo, il compito che le era stato affidato era di proteggere il Custode dei Pozzi, Nihls.

    Per un istante i suoi pensieri divennero così fumosi da credere di stare per svenire.

    Si diede una rapida occhiata attorno, chissà in quale epoca era finita. Non rammentava nemmeno l’attimo esatto in cui era entrata nel pozzo e la magia l’aveva imbrigliata portandola fino a lì.

    Che cosa doveva fare adesso? Cercare Nihls? Astaroth? E lo stregone? Che fine aveva fatto colui che aveva distrutto il loro presente?

    Si sollevò sulle gambe, era una sensazione strana quella, non ancora abituata al suo stato attuale.

    Sua madre era ancora viva? E i suoi fratelli?

    Al loro pensiero si sentiva confusa, quasi non li avesse nemmeno mai conosciuti veramente fino a quell’istante. Forse era proprio così.

    E poi, quella sensazione spiacevole che aveva provato all’improvviso, quando la sua gente era stata massacrata dallo straniero e la testa le si era riempita delle loro grida disperate. La sfera sembrava essersi arroventata, aveva avvertito anche un peso sul petto che premeva come tentasse di entrare dentro di lei, ma forse era stordita da quella cacofonia e si era confusa.

    Sospirò cercando di abbandonare quella sensazione spiacevole che le toglieva il fiato e che le annebbiava anche la mente.

    - Resta dove ti trovi!

    Lussy volse lo sguardo e si ritrovò davanti lo sguardo duro di un Guardiano. L’unico occhio che possedeva era così tenebroso che avrebbe potuto perdersi in quell’oscurità. L’altra cavità oculare era stata cucita con un filo rosso e spesso a chiuderne il vuoto.

    Metà del suo viso era devastato dalle ferite, la carne slabbrata era stata ripulita e cauterizzata, e, alcuni brandelli di quello stesso filo, emergevano in quell’accozzaglia scomposta che era parte del suo volto.

    Nonostante l’arma che tendeva contro di lei fosse sicuramente pesantissima, i muscoli delle sue braccia non rivelavano alcun tentennamento.

    Lussy lo squadrò in silenzio, quasi a voler imprimersi nella mente ogni particolarità di lui. Non soltanto il viso sembrava esser stato devastato, gli mancava anche qualche dito delle mani, tuttavia la presa sul legno dell’ascia era comunque ben salda.

    - Come sei penetrata nel perimetro? – domandò facendole cenno di scostarsi e indicandole la strada da percorrere.

    Lussy mosse appena un passo, senza distogliere lo sguardo dal suo. Stava valutando quanto fosse realmente pericoloso nonostante quella sua espressione priva di calore.

    - Potresti farti male, – sussurrò sollevando lo sguardo e stringendo le dita.

    - Pensi che riusciresti a colpirmi solo perché ho solo un occhio? – grugnì e arricciò il naso e le labbra. – Ti vedo chiaramente e so utilizzare quest’ascia abbastanza bene da spaccarti il cranio al primo colpo.

    Un sorriso divertito comparve sulle labbra di Lussy.

    Era giovane e avventato, ma nel tono della sua voce riconosceva una sicurezza che gli derivava dalla consapevolezza del suo valore.

    - Vuoi giocare a chi è più forte? – domandò abbassando le mani e lasciandole sfiorare il corpo. – Chi può dire chi di noi due sia più esperto con quell’arma?

    Spalancò l’occhio, incerto.

    Senza scostare l’arma da lei, lasciò vagare lo sguardo, domandandosi se fosse armata. La cappa le copriva quasi interamente il corpo celando la sua figura, e forse anche le sue armi.

    Per un secondo di troppo si chiese quanto potesse essere pericolosa, Lussy scattò contro di lui brandendo un lungo coltello che gli arrivò alla gola costringendolo a deporre l’ascia che scivolò pesantemente ai suoi piedi.

    - Se avessi voluto ucciderti saresti già morto, ragazzino! – gli sibilò fissandolo nell’unico occhio sano che aveva.

    In quell’attimo le si palesò davanti agli occhi una scena straziante, la cui disperazione urlava nella sua testa.

    Si era attardato a raggiungere i festeggiamenti troppo preso dalla partita con i suoi amichetti. Quell’evento, che si sarebbe ripetuto tra qualche anno, non era paragonabile alle risate assicurate e al movimento con cui scaricava la stanchezza e la tensione di quei giorni. Gli amici erano importanti, come anche il gioco della palla.

    Il nuovo capo clan stava per essere acclamato, si trattava di una femmina, brutta persino, da quanto aveva sentito. Si era domandato, e non solo lui, perché proprio lei avrebbe dovuto guidare la loro razza per gli anni a venire. Avrebbero dovuto vietare alle femmine di assumere posizioni di comando, sapevano solo piagnucolare quando non si faceva come volevano loro e poi erano così fragili, si lamentavano sempre.

    A Gherrison le femmine non piacevano, lui poi non aveva nemmeno una mamma, viveva con suo fratello maggiore e suo padre, anche se quest’ultimo era sempre via per qualche commissione. Suo padre era un messo, un corriere speciale, come gli ripeteva ogni volta che veniva chiamato per qualche servizio improvviso. Gherrison, invece, pensava che fosse solo uno dei tanti galoppini del Consiglio, sempre pronti a spedirlo in qualche luogo lontano per il tempo necessario a decidere dove inviarlo la volta successiva, quasi si divertissero a vederlo correre senza risparmiarsi dalla mattina alla sera. L’unico pregio del padre era la sua innata resistenza alla marcia, qualità che gli era appunto valsa il titolo di messo.

    In lontananza udiva le risate e il cicaleccio della comunità tutta riunita accanto al perimetro dei pozzi, dove i Guardiani del Fondo vigilavano con la loro ascia sguainata che sembrava così pesante.

    I fuochi illuminavano una porzione del villaggio mentre la luna si sollevava in cielo mutando rapidamente di colore.

    I primi frammenti di musica e canzoni si sollevarono come un nembo di nebbia al levarsi del sole, inizialmente appena un accenno, poi un’esplosione di suoni che riempirono l’aria, colorata dai toni accesi dei fuochi.

    Gherrison abbandonò l’oscurità della foresta per piombare nel caleidoscopio del villaggio, avvolto dagli odori delle cibarie e degli incensi. Ai suoi occhi di ragazzino quei festeggiamenti erano esagerati, ma erano una buona scusa per assaggiare qualche manicaretto e restare alzati fino a tardi. Durante quelle notti accadeva sempre qualcosa di interessante: qualche baruffa tra amici troppo alticci, dei furtarelli e persino qualche sparizione. Amava ascoltare gli anziani che infarcivano i loro ricordi con aneddoti inventati, talmente inverosimili da risultare smaccatamente falsi. Ma per un buon sidro, quei vecchi, avrebbero potuto inventarsi una vita intera.

    - Finalmente! Dove ti eri cacciato?

    Si voltò, incrociando l’espressione risentita del fratello.

    - C’è un sacco di lavoro da fare, potrai bighellonare un altro giorno, – lo rimproverò adagiando una damigiana intrecciata con della paglia ai suoi piedi. – Vai a riempirla e vedi di affrettarti, stanno bevendo come se non ci fosse un domani!

    Galya era un cantiniere, uno dei migliori. Quella notte per lui sarebbe stata una delle più impegnative, ma anche delle più redditizie considerata la quantità di sidro che sarebbe passato di bicchiere in bicchiere.

    - I bambini dovrebbero divertirsi e non lavorare, – rimbrottò sollevando la damigiana vuota.

    - Potrai divertirti più tardi, quando saranno tanto sbronzi da non reggersi in piedi e lamentarsi che il loro bicchiere è vuoto, – replicò il fratello pulendosi le mani nel grembiule macchiato che gli circondava il corpo. – Sbrigati, non fermarti a chiacchierare come tuo solito.

    Trattenne una pernacchia e corse via con la piccola damigiana premuta contro il petto. Lui, come suo padre, era un camminatore infaticabile ma anche un velocista. Era un ramarro, uno di quelli più snelli e agili. Aveva preso da sua madre, piccola e minuta. Le somiglianze finivano lì, lui non piagnucolava mai ed era abituato alla fatica, persino a prestarsi per quelle fastidiose incombenze.

    L’otre era pieno per metà quando si issò sopra lo sgabello e sbirciò sul fondo. Immerse piano la damigiana, osservando rapito i gorgoglii che l’acqua faceva mentre riempiva l’involucro vuoto. Aveva levato la paglia, che suo fratello avvolgeva attorno al vetro come un vestito, adagiandola ai piedi del bacile mentre il liquido riempiva ogni interstizio. Gherrison la sollevò di getto, la depose a terra e l’asciugò con lo straccio per poi reinfilare la paglia e serrarla con un nastro intrecciato.

    Quando ricomparve tra la folla, si dovette aprire un varco a spintoni cercando di scansare ubriachi e gente allegra. Lui era troppo piccolo per farsi largo in mezzo a quella fiumana, sgusciò come un’anguilla cercando di affrettarsi, Galya diventava nervoso quando i bicchieri rimanevano vuoti a lungo e lui si sarebbe preso certamente una strigliata se continuava ad attardarsi.

    Per un attimo le voci avevano riempito le sue orecchie, poi c’era stato un lampo bianco e la notte sembrava essersi annullata, avvolta in quella calda luminescenza.

    E tutt’attorno, l’odore di carne bruciata aveva saturato l’aria, mentre il silenzio aveva spazzato via tutte quelle voci allegre e i festeggiamenti.

    Niente era vero, tutto era avvolto in un ovattato silenzio, quasi a voler cancellare quel che era stato.

    Poi il silenzio era stato rotto dalle grida di dolore e di disperazione, dal rumore delle ossa spezzate e dai lamenti appena sussurrati.

    Il buio sembrava sovrastare ogni cosa, nonostante quella luna beffarda che si stava tingendo di rosso.

    Quando le immagini, sfocate, si erano fissate sull’iride, il dolore del suo corpo martoriato aveva lacerato l’ultimo brandello di coscienza. Il liquido caldo che gli scorreva nelle vene aveva intriso il suo corpo, insieme agli altri liquidi corporali. Si sentiva disgustoso, spezzato nel corpo e nella mente. Quando si rese conto che solo uno dei due occhi osservava la devastazione attorno a sé, gli sfuggì un gemito sordo di dolore, mentre i pensieri ingarbugliati nella sua testa si scontravano con la consapevolezza che alcune parti di sé fossero mancanti.

    Quando la mano destra si fermò davanti all’unico occhio aperto, si rese conto che gli mancavano un paio di falangi e la pelle era slabbrata e sanguinolenta. Urlò, quasi senza nemmeno capirne la necessità, più una reazione tardiva che altro.

    Attorno a sé diversi corpi erano riversi l’uno sopra l’altro, in parte carbonizzati, in parte smembrati.

    La fiasca di vino si era fusa con la sabbia argentata, così simile a un tesoro nascosto riportato alla luce.

    Si ritrovò col muso affondato nella sabbia, mentre la mente iniziava a snebbiarsi e il pensiero del fratello lo riportò alla realtà.

    Si rizzò in piedi, annaspando per scavalcare quei cadaveri inceneriti, incespicando per evitare quegli arti disarticolati.

    - Galyaaaa!!!

    Superato il momento di smarrimento i sopravvissuti iniziarono a fuggire, Gherrison cozzò contro i fuggiaschi continuando a correre. L’occhio chiuso gli pulsava dolorosamente, urtò qualcuno, si scusò e continuò a correre.

    Quando raggiunse casa fu un cumulo di macerie quello che si trovò di fronte, volute di fumo nero si sollevavano ancora e un forte odore di carne bruciata appestava l’aria.

    Urlò il nome del fratello gettandosi verso i detriti e cercando di liberare il passaggio. Qualcuno invocava aiuto. Le dita affondavano dolorosamente nella poltiglia, il sangue aveva iniziato a colare mischiandosi ai calcinacci. Aprì un piccolo varco facendo ruzzolare la terra compatta e allargando il passaggio. L’aria era calda, irrespirabile. Gherrison si issò dentro l’apertura per scivolare in quel pertugio dove solo un ragazzino avrebbe potuto introdursi. Cozzò contro un corpo, troppo grande per essere quello del fratello. C’era un miscuglio di odori forti: sangue, sidro e urina.

    Incespicò, urtò cocci e panche rovesciate, strisciò recuperando uno spazio dove avanzare, qualcuno gli sfiorò il corpo ma lo ignorò, sicuro che il fratello dovesse essere più lontano. Lo chiamò, ma il rimbombo della sua voce lo confuse. Si mosse ancora aderendo alla parete, poi superò il bancone e si chinò tastando con le mani, l’oscurità inghiottiva tutto.

    Un lamento, poi udì il suo nome.

    Sfiorò il grembiule, lo afferrò con entrambe le mani e lo trascinò fuori da quel cono d’ombra. Lui si lamentò gorgogliando.

    - Sono qua! Sono qua, Galya!

    Si chinò verso di lui per metterne a fuoco il viso. Aveva gli occhi spalancati, per un attimo temette fosse morto, ma le labbra si mossero appena, avvertì il calore del suo respiro anche se debole. Gherrison lo scosse, per strapparlo da quello stato catatonico.

    -

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