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Lettere da un Paese chiuso: Storie dall'Italia del coronavirus
Lettere da un Paese chiuso: Storie dall'Italia del coronavirus
Lettere da un Paese chiuso: Storie dall'Italia del coronavirus
E-book448 pagine6 ore

Lettere da un Paese chiuso: Storie dall'Italia del coronavirus

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Info su questo ebook

In un'Italia chiusa, ferita, impaurita... nelle lunghe settimane della quarantena da coronavirus, Toni Capuozzo scrive appunti, idee, pensieri, ricordi che presto diventano vere e proprie lettere. Nasce così, giorno dopo giorno, un insolito "diario di bordo" fatto di pagine sulla cronaca, sulla politica, sull'isolamento forzato, su uomini e donne alle prese con la vita e con la morte... ma è una stesura di getto e così, nelle lettere, Capuozzo torna anche sulla sua vita, in un lungo viaggio tra il presente e il passato. La sua capacità di osservazione e la sua sensibilità restituiscono un'istantanea dell'Italia alle prese con il coronavirus tanto originale quanto autentica e profonda. Una narrazione malinconica e divertente al tempo stesso, dolce e amara, giovane e antica. Le Lettere da un Paese chiuso sono, innanzitutto, il racconto di un'umanità di cui facciamo tutti parte, in cui ognuno di noi si ritrova, carattere dopo carattere, ritratto dopo ritratto.

Edizione arricchita da illustrazioni e da contenuti multimediali fruibili attraverso QR Code: con smartphone o tablet, il diario diventa audiolibro e le pagine sono lette da Toni Capuozzo con la sua inconfondibile voce.
LinguaItaliano
Data di uscita12 ago 2020
ISBN9788894274790
Lettere da un Paese chiuso: Storie dall'Italia del coronavirus

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    Anteprima del libro

    Lettere da un Paese chiuso - Toni Capuozzo

    © 2020 – Signs Publishing

    Titolo: Lettere da un Paese chiuso

    Sottotitolo: Storie dall'Italia del coronavirus

    Autore: Toni Capuozzo

    Illustrazioni: Armando Miron Polacco

    Editing testi: Pierluigi Capuozzo e Silvia Boscarello

    Impaginazione: Luca Bertolli

    ISBN: 9788894274783

    Confesso: non ho voluto leggere le bozze di questo libro. Per non avere la tentazione di correggere, oltre agli inevitabili errori di battitura, anche il testo. Non è possibile migliorarlo, e non perché abbia qualcosa di speciale, ma perché è un documento, e i documenti non si alterano, se non si è falsari. L’ho scritto di getto, giorno dopo giorno, o meglio, notte dopo notte, per i 71 giorni di quello che abbiamo chiamato "lockdown e avrei preferito chiamare confino". Ho iniziato per caso, un giorno, sulla mia pagina Facebook, e il giorno dopo ho chiamato il secondo post Lettera da una città chiusa e poi è diventato qualcos’altro, un impegno quotidiano da un Paese chiuso per intero. Ma non un diario personale, anche se c’è molto di personale. Piuttosto un dialogo, iniziato per fare compagnia a me stesso e finito per essere una compagnia per molti altri. Era ogni giorno sorprendente non solo il numero dei lettori, ma di più e piuttosto il numero di risposte, così tante che non riuscivo a leggerle tutte, e ovviamente ancora meno a rispondere a tutte. E poi c’erano le lettere in privato, ognuna con una sua storia. Non lo so bene, ma adesso ho la sensazione di aver fatto da assistente sociale a tante persone, e che tante persone abbiano fatto assistenza sociale, o volontariato, nei miei confronti. Ecco perché, in qualche modo, si tratta del documento di un tempo, della narrazione in diretta di qualcosa di impensabile fino al giorno prima.

    Confesso: lo scorso 31 dicembre, l’ultimo giorno del 2019, sono andato a letto presto. Ero a Udine, a casa di mio fratello, ed entrambi non amiamo la festa dell’ultimo dell’anno. Però ho pensato molte volte al conto alla rovescia, agli auguri, alle promesse di felicità e agli oroscopi per il 2020. Alla sventatezza innocente con cui abbiamo fatto programmi o non ne abbiamo fatto alcuno. E tutto mi sarei aspettato, dopo una vita in cui ho visto da vicino molte più tragedie che la media delle persone, tranne che il mio Paese e il mondo attraversassero un’esperienza del genere: non ero preparato, ero disarmato. Però, da subito, l’ andrà tutto bene mi è sembrato qualcosa che andasse bene per i bambini – guai a non essere sicuri ed ottimisti davanti a loro – ma fosse di una serenità amabile e disarmante, destinata a lasciarci soli, davanti al buio dei camion con le bare, al buio delle sirene delle ambulanze, al buio delle solitudini vissute insieme.

    Confesso: ho avuto paura di rileggere adesso quello che ho scritto, e di provare qualcosa che assomiglia alla nostalgia. Mi è già successo, tanti anni fa, dopo il terremoto che devastò il Friuli nel 1976. Fu un’estate terribile, quella dopo il 6 maggio nelle tendopoli. E però fu peggio quello che arrivò dopo: il secondo terremoto di settembre, l’esodo dei bambini e degli anziani nelle malinconiche località marine, la fine del sogno di poter evitare i prefabbricati, e passare dalle tende alle case. Così, a bassa voce, e vergognandoci di dirlo per via di tutte quelle croci che recavano incisa la stessa data del 6 maggio, ci trovammo ad avere nostalgia di quell’estate terribile, vissuta tutti insieme, con la solidarietà di chi sopravvive, con l’idea che tutto sarebbe stato possibile. Fu un tempo dell’innocenza, prima del lungo inverno della ricostruzione. Riuscita, ma più dura, più solitaria, meno eroica di quell’estate tragica e gloriosa. E adesso so di provare la stessa cosa, adesso che attraverso altre Fasi, adesso che il futuro è presente, e le incertezze sono un pane quotidiano, e le polemiche della normalità un brusio. Adesso che non devi sopravvivere, ma provare a vivere, e sai che non sarà come prima. Ma siamo stati anche questo lungo silenzio, questo parlarci da lontano, senza mascherine. Lettere? Forse erano solo cartoline postali, che i più giovani ignorano cosa fossero: rinunciavi al colore della cartolina illustrata, e in cambio avevi un po’ di spazio per scrivere qualcosa più che i saluti, a patto di sapere che non erano, quelle frasi, in una busta chiusa, ma leggibili da chiunque. Ma non volevo cambiare il titolo, dopo aver lasciato sopravvivere tale e quale il testo.

    P.S. I giovani, pur non sapendo che cosa sia stata una cartolina postale, sanno benissimo cosa sia un QR code, il codice che, inquadrato da uno smartphone, consente di aggiungere qualcosa alla lettura, di arrivare ad altri contenuti. Tra queste pagine, sono a vostra disposizione una mia lettura ad alta voce delle Lettere e una scelta, forzatamente ridotta, delle lettere ricevute.

    Leggi i dialoghi tra Toni e i suoi lettori

    Guarda le foto e i video citati da Toni nelle lettere

    L’INIZIO

    21 febbraio 2020

    È una classe politica modesta, che si tratti di Europa o di Libia, di tasse o di istruzione, di ricerca o di reddito di cittadinanza. Ma sul coronavirus hanno fatto di peggio, pensando che la correttezza politica (la visita alle scuole multietniche, i ristoranti cinesi da riempire) fosse la cosa più importante, che il nemico fosse il razzismo. Sordi agli appelli di Burioni, tante Alici nel paese delle meraviglie, convinti che la loro solo esibita bontà salverà il mondo. Come se ne fottono di chi dorme all'aperto o raccoglie pomodori da schiavo, una volta esaurita l'accoglienza, così se ne sono fregati delle reali possibilità di contagio. Il razzismo è un male da tenere a bada, l'allarmismo è un pericolo, certo. Le malattie, anche.

    Ascolta questa lettera dalla voce di Toni

    CONTAGIO. IL TERZO PAESE AL MONDO

    24 febbraio 2020

    Ripeto: a me della lotta politica interessa nulla. Mi interessa un giornalismo che non sia guardia del corpo del potere. Ieri sera in televisione hanno sostenuto che il record negativo dei contagi in Italia – terzo Paese al mondo – sia dovuto al fatto che noi i controlli li facciamo, gli altri no (lasciamo perdere che in Lombardia manchino tamponi, ora). Dunque siamo i migliori, in Europa? Non lo so, magari hanno ragione. Però mai un dubbio, mai un po' di umiltà, sempre tutto va ben, madama la marchesa, e in nome della politica.

    Allora vi voglio solo far vedere due istantanee: il sindaco di Milano, Sala, a Chinatown due settimane fa, nei ristoranti cinesi per combattere la psicosi del virus; e un documento, degli stessi giorni, del ministro della salute britannico che assume su di sé il potere di emanare disposizioni stringenti, ad esempio quella di porre in isolamento persone che i medici giudicassero a rischio. Poi ci lamentiamo della psicosi, fortuna che gli inglesi se ne sono andati dall’Europa. Sorrido amaramente.

    Dal documento delle autorità inglesi:

    Health protection regulations On 10 February, the Secretary of State for Health and Social Care, Matt Hancock, announced strengthened legal powers to protect public health.

    The Health Protection (coronavirus) Regulations 2020 have been put in place to reduce the risk of further human–to–human transmission in this country by keeping individuals in isolation where public health professionals believe there is a reasonable risk an individual may have the virus.

    Traduzione dall’inglese:

    Normative sulla protezione della salute

    Il 10 febbraio, il Segretario di Stato per la salute e l'assistenza sociale, Matt Hancock, ha annunciato il rafforzamento dei poteri legali per proteggere la salute pubblica.

    I regolamenti 2020 sulla protezione della salute (coronavirus) sono stati messi in atto per ridurre il rischio di ulteriori trasmissioni da uomo a uomo in questo Paese, tenendo le persone in isolamento quando i professionisti della salute pubblica credano che esista un rischio ragionevole che un individuo possa avere contratto il virus.

    Ascolta questa lettera dalla voce di Toni

    IL FANTASMA DEL RAZZISMO

    25 febbraio 2020

    Adesso ci sono pure i cantanti che salvano un anziano cinese aggredito da due giovinastri razzisti. Non mi ero accorto di questo pogrom in corso, né al bar cinese sotto casa, né in via Paolo Sarpi, né altrove. Mi ero accorto solo della distrazione di massa esercitata per settimane, quando avrebbero dovuto predisporre piani di emergenza (chiudere le scuole – ma dove e quali? – come rifornire le farmacie di mascherine e i mercati di amuchina, come predisporre le terapie intensive, cosa fare dei trasporti pubblici, ecc.) e invece ci facevano la lezione sui ristoranti cinesi vuoti e sul pericolo razzista. I cinesi, per conto loro, si sono messi in autoquarantena, spesso hanno chiuso negozi e ristoranti: si sono immolati in un gesto di autorazzismo? E adesso? Adesso che se fossi un palermitano o un calabrese guarderei con un minimo di diffidenza un pullman di gitanti lombardi, che faranno le anime belle? La notte della cassoeula, la serata dei canederli? Tutto questo è tragicomico, anche per chi considera il razzismo una brutta cosa, e un pericolo da tenere a bada dentro ognuno di noi. Il fatto è che si sta affacciando un altro razzismo: quello sui vecchi. Su noi vecchi, e specie quelli che per acciacchi hanno difese immunitarie più deboli. Dicono: Eh, era già malridotto. Ma hai visto quanti anni aveva…. Già, l’infarto, l’insufficienza renale. Sì, di qualcosa bisogna pur morire, anche in un mondo che si è disabituato alla morte, ma questa l’è il dì di Mort, alegher in un Paese dove i bambini sono rari e dove noi vecchi siamo una schiera, anche questo è tragicomico. Cosa faranno le anime belle? Una cena dei nonni? Una serata con le dentiere? Non ammorbateci con la correttezza politica, con le vostre ossessioni pro o contro Salvini. Sapete cosa sono i vecchi? Cosa siamo? Gente che ne ha viste tante, che spesso è sopravvissuta ad amici e parenti, è sopravvissuta alla fine di abitudini e parole, e nonostante questo, o forse proprio per questo, non svuota i supermercati. Anche perché, in un mondo in cui ci sono giovani che avrebbero picchiato l’anziano cinese, ci sono anche quelli che in bus non si alzano per farti posto, e sei bottiglie d’acqua son pesanti da portare. Certo, sono fragili. Certo, sono un peso non produttivo e consumano pensioni. Certo sono all’antica, faticano a cavarsela con i telefonini, non sanno cosa sia una app o una start up. Certo, fanno pena quando calcolano se ce la faranno a vedere il diploma dei nipoti, e a volte ripetono le stesse cose, e a volte sono un peso. Posso parlarne solo perché adesso sono del club, ma anche quando ero giovane e vedevo che dai posti di guerra andavano forte i servizi commoventi sui bambini, ho sempre pensato, e detto, che a commuovermi erano i vecchi, il cui mondo crollava, senza possibilità di ricominciare, e i bambini grazie a Dio sono più forti. Quando ho parlato di terrorismo, dove tutti quanti ricordiamo i volti e, qualche volta, i nomi di un giovane giornalista ucciso a Strasburgo o di una ragazza uccisa a Parigi, ed è giusto che sia così, ho provato a ricordare la malinconia dei pensionati uccisi al Bardo di Tunisi, in una visita fuori stagione, a basso prezzo e con un po’ di tepore mediterraneo che fa bene alle artriti. Naturalmente essere cinese e anziano nello stesso tempo, o lodigiano e vecchio, allora è proprio un destino, uno se la cerca. Passerà e avremo il diritto a una morte normale, che si accorgono in pochi, al bar delle carte o alla bocciofila... e almeno non si fa statistica, è nella natura delle cose.

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    NOI, I CINESI D’EUROPA

    26 febbraio 2020

    Stamane: mille persone in quarantena nell'hotel a quattro stelle di Adeje, dove si trovava con la moglie il medico italiano risultato positivo al test del coronavirus a Tenerife. Le autorità catalane hanno confermato il primo caso a Barcellona: si tratta di una donna italiana di 36 anni residente in Spagna. La donna, appena rientrata da un viaggio in Italia tra Bergamo e Milano, si era presentata in ospedale con alcuni sintomi. Due nuovi casi in Francia: uno in arrivo dalla Lombardia. In isolamento anche un albergo di Innsbruck dove lavora una donna italiana arrivata da Bergamo. Ragazzi a casa e due scuole chiuse per una settimana per una disinfezione profonda in Gran Bretagna dopo una gita nel Nord Italia.

    Cioè: quando fanno i controlli si accaniscono contro gli italiani? Razzismo? Però il premier Conte assicura (Italia più sicura di altri Paesi) e mister Sarri garantisce i sindaci della zona di Lione (Se anche in Francia aveste fatto 3.000 tamponi avreste i nostri stessi casi). Stiamo facendo una figura tragicomica in tutto il mondo, e pur di salvare il governo e schivare Salvini (missione nobile, ma non è affar mio), in tanti difendono l’indifendibile. È il circo Italia, dove ci hanno trasformato nei cinesi d’Europa. Se Pechino non brilla per trasparenza, Roma anche. Ma in modo più allegro, più confuso, più arruffone: i dirigenti cinesi con mascherina sono arcigni e autoritari, il nostro premier sembra il domatore delle pulci e se la prende con Regioni e ospedali, il ministro della Sanità un dottor Iosperiamochemelacavo, il titolare della Farnesina sa pronunciare Vairus. Un solo punto: se davvero gli altri non hanno i nostri stessi casi è perché, poveri inglesi, francesi e tedeschi, sono meno capaci di noi? O sono più furbi: hanno evitato di fare i controlli e lasciano morire gli anziani in modo, per così dire, inavvertito e normale? Se è così allora siamo proprio dei tafazzi: gli unici ad aver trasformato qualcosa che è poco più di un’influenza – secondo il governatore della Lombardia e una dottoressa del Sacco – in una tragedia, ad aver ucciso il turismo, sabotato l’economia, ad aver trasformato il popolo in un accaparratore collettivo di pasta e disinfettanti. Speriamo che i sindaci di Buenos Aires e Bucarest vadano a mangiare in una pizzeria italiana, e che la Libia e la Tunisia non ci chiudano i loro porti (a Tunisi, intanto, sospesi i voli dal Nord Italia).

    Ascolta questa lettera dalla voce di Toni

    I BACI AL TEMPO DEL VIRUS

    27 febbraio 2020

    Oggi ho girato nel mio quartiere milanese, e qualcosa è cambiato. In un parco ho visto due giovani che si baciavano, con le mascherine penzoloni. Contrordine: niente panico. Ci sono dei guariti, anche se non diminuiscono i contagi, e persino di minori. Ma la buona notizia è che in Cina il virus avrebbe rallentato. E l’Italia? Dicono gli esperti che il coronavirus è il colpo di grazia per chi ha già problemi. E noi italiani ne abbiamo molti (noi come cittadini, noi come giornalisti, noi come governati). Metti il presidente del Consiglio che definisce inammissibili le limitazioni ai viaggi all’estero (in 13 Paesi non possiamo entrare, in altri quarantena). E perché inammissibili? Perché siamo il modello della prevenzione, della gestione dell’emergenza? Forse perché gli sfugge che legittimamente molte regioni italiane hanno posto limitazioni a chi viene dalle zone a rischio, e nessuno guarda di buon occhio i milanesi che si spostano nelle seconde case in Liguria e Toscana. Trascura di protestare, l’indifendibile Conte, contro l’obbligo di quarantena per gli eurodeputati italiani: ma non ci avevano raccontato che l’Europa era una madre premurosa? E il ministro della Sanità, che si è visto con il suo omologo tedesco, gli ha chiesto se qualcuno tra gli ottantamila casi di influenza in Germania è sospetto o meno? E chiedere se, per caso, si sono permessi il lusso di non chiudere bottega, mentre noi ci sparavamo sui piedi, con il premier in maglioncino nella Protezione Civile, il tutto chiuso, e il governatore di Lombardia con mascherina, e le disdette del turismo e tutto il resto. Ah, non glielo ha chiesto, gli ha spiegato come funziona il modello italiano di record dei contagi. Forse la farà Carole Rackete, questa domanda al suo Governo, meno irrispettosa e meno coraggiosa di quelle che hanno fatto a lei i media italiani. In fondo non si tratta di speronare i blindati delle Sturmtruppen. Solo un domanda sulla transparenz, come si dice in tedesco.

    Ascolta questa lettera dalla voce di Toni

    IL CONTAGIO DEGLI ALTRI

    28 febbraio 2020

    Non siamo soli. Anche la Repubblica di San Marino è messa male: un contagiato. È vero: ha 88 anni ed è ricoverato a Rimini. Non so quale sia il governo di San Marino, quali siano i media, come stiano a mascherine e come vadano a percentuali, ma adesso tocca a loro. E noi?

    Non so perché, ma mi sento sollevato. Non ho mai provato paura, solo preoccupazione per i miei cari e per il mio Paese, ma mi sento come se fosse finito o stesse finendo un incubo. Con chi dovrei prendermela, se davvero è stato più psico che dramma? Forse con il destino cinico e baro? Mi restano, come un retrogusto amaro dopo una sbornia, alcune convinzioni e alcune domande:

    1. La sottovalutazione quando invece di prepararsi ci spiegavano che il problema è il razzismo.

    2. Siamo sorpresi quando arriva il contagio. E credevamo, vantandocene, di essere stati i più furbi di tutti, bloccando i voli dalla Cina e finendo per non sapere chi e come tornava dalla Cina, italiano o cinese che fosse. E controllando con i termometri, quando poi scopriamo il paziente zero può essere asintomatico, a 36 gradi.

    3. Allarme generale, l’Italia chiude per tutto (lutto no, muoiono solo poveri vecchi… che pena).

    4. Contrordine compagni, era poco più di un’influenza. Milano riparte (e in effetti ci siamo già stancati di giocare a casetta e all’emergenza).

    5. Il ritorno alla normalità è anche ritorno alla politica: Salvini che chiede governo di unità nazionale, Renzi anche, ma dopo, Conte che risponde: sono io il governo di unità nazionale.

    Ma, ammesso e non concesso, che tali punti siano veri, restano alcune domande per ogni punto, risalendo all’indietro:

    4. Ma se il pandemonio di stampa e tivù è il responsabile della psicosi dei giorni scorsi e abbiamo fatto male a credergli… perché dovremmo credergli adesso che fanno retromarcia? Pentimento o velina?

    3. Calma, ragazzi. Ma ci dovete ancora spiegare perché chiudono chiese e scuole e non uffici, e i bar dopo le 18. È un virus mattutino, pomeridiano, serale, notturno, non lavorativo, feriale?

    2. Va bene, siamo i più contagiati al mondo solo perché facciamo più controlli. Ma com’è che quando i controlli li fanno, dalla Nigeria all’Olanda, i primi contagiati sono italiani? Va bene, è solo sfortuna, o il virus è razzista. O gli altri non dicono il vero, sovranisti tedeschi e francesi, avvolti dalla bandiera blu europea….

    1. E perché quando mezzo mondo chiude gli aeroporti all’Italia generosa che tiene aperti i porti, Conte parla solo di misure inammissibili? Stavolta il razzismo dei ristoranti cinesi vuoti non funziona? La manifestazione nella Martinica francese con il tricolore e il teschio è, diciamo, solo una presa di distanza, due metri più o meno. Capito: siamo sempre noi, navigatori, poeti, razzisti, colpevoli di tutto, amanti dei sensi di colpa.

    P.S. So che l'immagine che accompagna queste parole può risultare irrispettosa. Ma ho imparato in guerra che l'ironia e l'autoironia aiutano.

    Ascolta questa lettera dalla voce di Toni

    IL SABATO DEL VILLAGGIO

    29 febbraio 2020

    È quasi una polaroid della schizofrenia: il tweet Italy: a safe country, cui subito la Farnesina ha messo un mi piace, dove si spiega che tutti i servizi per i turisti sono operativi e la famosa qualità della vita italiana rimane di alto livello. E gli USA che invitano i loro cittadini a evitare i viaggi non necessari in Italia (anche se il capolavoro delle restrizioni ai viaggi degli italiani è quello della Cina: pragmatico, ma sa di Dracula presidente dei donatori di sangue).

    Ieri mattina sono uscito di casa e davanti ai giardinetti campeggiava un grande cartello con il logo del Comune di Milano: il maltrattamento dei migranti oggi sarà il nostro disonore domani. Scritto in inglese, con la decorazione delle stelle europee su campo blu unite da un filo spinato: siamo tornati alla normalità. Solo che poi, all’Ufficio postale, vedo persone in attesa sul marciapiede, e penso a esagerate precauzioni. Entro e la sala è vuota, le impiegate con mascherina, e un cartello avverte: Prendete il numero e aspettate fuori. Un signore anziano e corpulento in uscita incrocia una signora corpulenta in entrata, e borbotta qualcosa che non afferro sulla mascherina di quest’ultima. E lei La porto per proteggere mia madre malata. Fatti i cazzi tuoi!. Mi ricorda una scritta all’ingresso di Sarajevo: Qui nessuno è normale. Anche se i politici salgono da Roma per farsi l’aperitivo, anche se i giornali e i tiggì, imputati di essere gli agitprop della psicosi, adesso spargono melassa.

    I fatti dicono poche cose: 51 ricoveri in un giorno a Lodi – e 17 tra loro in terapia intensiva – e contagio che continua. L’Unione europea chiarisce che la situazione in Italia non è spiegabile con lo scrupoloso tamponamento cui altri si sarebbero sottratti (Burioni commenta: La dura verità) e, del resto, adesso i tamponi anche da noi si fanno solo sui sintomatici (come commenta qualcuno su questa pagina: I dati non sono dati. Sono presi, Angela Maria Ricci sul fatto che trovi quello che cerchi).

    Le parole dicono quel che vogliono: Michela Murgia, lo Chef Rubio della letteratura, si sarebbe lamentata della fine dell’emergenza che consentiva una certa distanza tra gli esseri umani (un po’ come nel lunedì del traffico uno rimpiange la domenica a piedi), essendo l’amore per le masse cosa diversa da quello per l’affollamento. Luca Zaia, governatore del Veneto, si lascia sfuggire qualche considerazione improvvida, in tempi di correttezza anche gastronomica, sulle abitudini alimentari dei cinesi (per loro è l’anno del Topo) che verosimilmente si vendicheranno rifuggendo dagli scontrini milionari dei caffè di piazza San Marco. Sfugge a Zaia che ognuno mangia come parla, e il federalismo deve comprendere un certo relativismo gastronomico, anche se il video cinese – cit. Dagospia – è rivoltante: io scandalizzai amici americani dicendo che mangiavo coniglio e da piccolo odiavo la carne di cavallo che mia madre preparava perché faceva sangue. Ho turbato amici peruviani perché stavo bevendo un uovo crudo. Lasciamo perdere i vicentini, ma gli uccelletti alla bergamasca devono piacere a tutto il mondo?

    Gli esperti dicono poco, e non sempre in accordo tra loro. Io sto a quello che dice il Centre for Global Disease Analysis dell’Imperial College di Londra: il contagio ha vinto. Quello che possiamo fare è contenerlo, salvare la capacità delle strutture sanitarie nel gestirlo.

    I politici si parlano addosso, e quando passano ai fatti votano una legge sulle intercettazioni telefoniche che neanche i cinesi. Giustizialismo alla cacio e pepe, tipo quello che ha visto anni di processi contro Bertolaso, finiti in nulla e adesso lo vedete cos’è la Protezione Civile. A proposito di media m’è venuto in mente quello che scrivevano e dicevano dopo il terremoto in Abruzzo, quando al governo c’era Berlusconi e l’ordine di scuderia era fuoco sul quartier generale. Provate a immaginare, a ruoli invertiti, che cosa sarebbe successo sui giornali e nelle televisioni, davanti al modo in cui è stato gestito il coronavirus, se a Palazzo Chigi ci fosse stato Conte, con Salvini e Di Maio a fargli da padrini. Morale a targhe alterne, del resto prevedibile quando Conte è diventato da un giorno all’altro un fine politico e i Cinquestelle sono diventati tutti laureati honoris causa: il potere del potere…

    Ma se avete tempo andatevi a cercare un lavoro di esperti del 2018, a Ginevra, in cui si parlava di un "Disease X, che anticipa molte delle caratteristiche del coronavirus. O semplicemente guardate la serie Pandemic, di Netflix, messa in rete in tempi innocenti. Più o meno il messaggio che è: il virus è come il terrorismo. Sappiamo da dove viene, sappiamo chi lo fa. Ma non sappiamo come e dove colpirà. Ma, come dice Simo Roveri, altro lettore di questa pagina: Questo non è un paese per ipocondriaci". Consiglio Cormac McCarthy come lettura per ingannare l’attesa. O distrarsi con altri fatterelli: situazione a Idlib, Erdogan e le migrazioni, una riforma sulle intercettazioni alla Davigo, le api che non dormono. E la Libia? Sparita, o diradata come i tamponi.

    Ascolta questa lettera dalla voce di Toni

    LA MESSA È FINITA (OMELIA LUNGA IN UNA DOMENICA SENZA CALCIO, SOLO MUSICA E LETTURE, E QUALCHE RICORDO)

    1 marzo 2020

    Lo so, orecchia Moretti ma sembra un titolo da Lina Wertmuller. Il fatto è che le notizie sono poche: il numero dei ricoverati in terapia intensiva, il volo cancellato da New York, la prima vittima a Seattle, la datazione del virus…

    Francamente, non riesco a immaginare cosa si dirà alla messa grande, stamattina. Una volta mi trovai in una situazione surreale, in una chiesa piemontese, accorso al funerale di un amico morto in un vicino ricovero. Il prete, due assistenti sociali, un altro amico, una decina di ricoverati. Il prete mi chiede di fare io, che lo conoscevo, il discorso d’addio. L’amico era Bruno Brancher e salii sull’altare cercando di immaginarmelo seduto nel primo banco, e non chiuso in quella cassa lì davanti, e mi dicevo: breve, non retorico, ruvido. Parlo e mi accorgo che uno solo tra i compagni di sventura del mio amico mi segue con lo sguardo, gli altri si guardavano le scarpe, o le mani, o l’uno con l’altro.

    E quello che mi guardava, mi guardava con l’aria di dire: ma che cazzo sta dicendo questo? Sul giornale, in cronaca milanese, per un errore del redattore, apparve che avevo tenuto non un povero, imbarazzato discorso ma un’omelia.

    Se dovessi ripetermi, non saprei cosa dire neppure oggi, se non borbottare qualcosa sulla fine del carnevale, sulla quaresima da attraversare e sulla Pasqua per tutti. I preti oggi dicono di tutto, ma non so se avrei il coraggio di dire dal pulpito che il carnevale italiano è finito l’altro ieri, nel salotto di Maria De Filippi, quando le sardine ci hanno detto, come racconta La Repubblica: Superiamo la paura, la bellezza è a portata di mano, orecchiando a modo loro il principe Myskin ne L’idiota di Dostoevskij. Naturalmente è un carnevale di cui faccio parte anch’io, con queste mie notarelle, ma la mascherina che aiuta è il non prendersi troppo sul serio (il vaccino è il silenzio).

    E poi cosa direi? Mah, finito il carnevale c’è il giorno delle Ceneri, che ricorda a noi tutti che eravamo polvere e polvere ritorneremo (su quello che siamo prima di essere concepiti non posso non citare mio figlio che, da bambino, davanti a una foto di una vacanza senza di lui e molto prima di lui, disse: Ah, quando io ero un’idea) che sta lì a toglierci un po’ della nostra immortalità, del nostro essere sempre giovani, del nostro arrancare tra aggiustamenti chirurgici, tinture e parrucchini. Per mostrarci che non siamo – intelligenti, forti, distruttivi o costruttivi, ok – non siamo onnipotenti, che arriva un nemico invisibile e perfino la scienza, ultimo Dio, dice: fateci studiare, non sappiamo ancora. Per ricordarci che tutto (i voli, il villaggio globale, tutto, anche la finanza che si rifugia nel passato più solido – l’oro), tutto può diventare una torre di Babele, se non un più moderno Titanic. Per resettarci la memoria e dirci che sì, non esistono le razze ed esiste solo il DNA, e il razzismo è una bestia stupida, ma esistono le culture: i cinesi, anche quando vivono a Milano, chiudono i loro negozi come un sol uomo, arrivederci saloni di massaggio, arrivederci unghie, arrivederci sartorie. Sono disciplinati, merito dell’armonia sociale ispirata dal confucianesimo o dall’autoritarismo di settant’anni di comunismo, non lo so. Noi siamo individualisti e bravi nell’unica cosa che non serve in un’emergenza: l’improvvisazione.

    E cosa direi sui giorni della Passione? Direi che dobbiamo, a volte, confrontarci con la morte. A me è toccato nel mio lavoro, in guerra. Ho visto morire, e anche uccidere (l’altro giorno, a una visita oculistica per il diabete, il medico, prima di rincuorarmi con un va tutto bene, mi ha detto che seguiva e apprezzava il mio lavoro: non ho potuto fare a meno di pensare che forse nel fundus oculi sono rimaste impresse per sempre alcune immagini che credevo inquietassero solo i sogni). Ho paura delle malattie, ma ne avevo anche in guerra, molta paura. Però quello che mi terrorizzava – il coraggio è controllarti, fare in modo che non diventi panico – era la morte lenta, l’agonia lunga, oppure il sequestro, il buio, l’odio, l’umiliazione, i video al tuo governo, o la ferita che ti lascia menomazione fisica: tutte cose che in definitiva appartengono alla vita. La morte, pensavo, è un momento, e non lo sai (credo che anche ai morti del coronavirus, miei coetanei – sì lo so, non si muore di coronavirus, come non si muore di AIDS, si muore con il coronavirus – non gliene freghi nulla di queste sottigliezze nostre, e neanche delle statistiche: ognuno è se stesso, e ognuno è unico, a maggior ragione nel tempo dei figli unici), è andata. Ma chi non ha frequentato la morte, per fortuna sua e dei suoi cari, la vede come qualcosa distante, che ha perso ogni presenza nella vita, non la frequenta e non la riempie di significato. In guerra ci sono pochi suicidi, e i disturbi dell’alimentazione in genere si chiamano fame. Una volta ho visto da vicino la Danza Macabra della chiesetta di San Vigilio, in Trentino, nella quale gli scheletri danzano tra noi. Tardo Medioevo, mi pare, a ricordarci, ancora una volta, che eravamo polvere e polvere ritorneremo. C’è, più vicino a noi, anche un’opera – la trovate su YouTube – di Camille Saint-Saens (un musicista francese che era stato un bambino prodigio e morì ad Algeri nel 1921, a 81 anni, e guarda un po’ di polmonite), ma diciamo che non tira su il morale. Tocca scomodare di nuovo Delio Tessa (morto nel 1939, a 53 anni, per setticemia provocata da ascesso dentario, non era un individuo già compromesso, per dirla con i nostri consolatori di professione ) e il suo potente L'è il dì di Mort, alegher! che dal giorno dei crisantemi ci porta a Caporetto, e chiama a goderci la vita, quando c’è, che la morte le fa ombra (nonostante, per dirla non con il principe Myskin ma con il principe De Curtis, abbia il merito di fare da livella). Ma se vogliamo

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