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Girovagando per il Laos
Girovagando per il Laos
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E-book610 pagine9 ore

Girovagando per il Laos

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Info su questo ebook

Il Laos è un paese che incanta di continuo i suoi visitatori: Erik Lorenz è uno di questi. Egli si spinge nella profondità delle foreste sulle montagne del Laos del Nord e visita i villaggi Akha tradizionali. Nell’antica città reale di Luang Prabang si trova di fronte alle testimonianze di un passato molto lontano, che respirano la storia di un intero paese. Sul possente Mekong assapora il gusto dell’immensità. Esplora il Laos da Nord a Sud ed impara ad apprezzare un territorio povero, ma ricco di uomini che hanno spesso un sorriso sulle labbra. Voglia di scoperta, sete di avventura e una sana dose di umorismo: »Girovagando per il Laos« offre tutto ciò che rende un diario di viaggio divertente e informativo.

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita11 set 2020
ISBN9781071565551
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    Anteprima del libro

    Girovagando per il Laos - Erik Lorenz

    Impressum

    compreso:

    Immagine di copertina e immagine dell‘autore: Falk Wernsdorf

    Illustrazioni: Gabriele Pittelkow

    Indice

    Prologo          6

    Capitolo 1: I giorni a Oudomxai       15

    Capitolo 2: Phongsali ed il selvaggio Nord del Laos    57

    Capitolo 3: Nel fango di Luang Namtha       152

    Capitolo 4: La lunga attesa a Houay Xai      205

    Capitolo 5: Volo ad alta quota a Bokeo     235

    Capitolo 6: Il Mekong e lo svanire della fretta       276

    Capitolo 7: Re e flussi turistici – Luang Prabang     306

    Capitolo 8: Prigionieri a Vang Vieng     351

    Capitolo 9: L’altipiano di Bolaven: cascate e chicchi di caffè   411

    Capitolo 10: 4.000 isole ed una grande quantità di erba   446

    Epilogo         469

    Bibliografia       472

    Prologo

    Malvolentieri inizio la descrizione del mio viaggio con una

    situazione che mi identificherebbe chiaramente come uno sciocco, ma è esattamente come mi sentivo: disorganizzato e piantato in asso dal destino. Mi sono sentito incalzato, sotto pressione, procedevo come schiacciato sul terreno, spostando il peso da una gamba all'altra. La superficie interna delle mie mani era costamente bagnata di sudore. Eppure proprio allora, ho ricevuto la mia prima lezione di tranquillità laotiana.

    Ma raccontoo con ordine.

    Già da alcune ore guardavo fisso verso l’esterno, senza avere la minima idea di come avrei potuto sottrarmi alla mia miseria. Mi ero lasciato trasportare come da un vortice, sperando in un miracolo, mentre ci avvicinavamo inarrestabilmente al confine. Gocce di pioggia battevano contro i finestrini dell'autobus come fossero migliaia di ciottoli. Su entrambi i lati della strada, le nuvole pendevano basse tra gli alberi e fluttuavano in fitte formazioni di vapore sul paesaggio collinare.

    L'aria pulita della foresta mi fluiva nel naso. Il tetto di foglie, che si adagiava sui pendii, era così folto che mi era impedito qualsiasi sguardo all’interno dello stesso. Boscaglie di bambù, piante rampicanti, piante, di cui non conoscevo il nome, e, nel mezzo, singoli alberi giganti carichi di liane, che si estendevano, oltre il mare verde, nella massa di nuvole grigie. La strada si snodava attorno alle colline e attraversava lunghi tunnel. Ogni tanto, spuntavano dalla foresta piantagioni, campi e piccoli giardini con modeste capanne di legno e le colline lasciavano il passo alla vista libera di ampie vallate con prati, oltre che di piantagioni e di piccole porzioni della valle che i contadini attraversavano per mezzo di antichi ponti. Al di sotto, fiumi di colore marrone portavano fango all'oceano, laddove, nella stagione secca, non potevano che esserci incantevoli ruscelli.

    In quello che, apparentemente, sembrava essere un non-luogo, l'autobus si fermò per far salire gli abitanti del villaggio, che portavano i loro prodotti - mais, banane, ananas e altri alimenti - al confine con sacchi e pacchi.

    La strada si allargò fino a diventare una superstrada a quattro corsie. Sulle corsie di sosta procedevano verso di noi moto-ciclisti e cani che non erano interessati alla normale direzione di marcia. Rispetto al fatto che questo era il collegamento principale tra Cina e Laos, c’era poco traffico. Qualche anno prima, anche se parzialmente nascosto, qui c'era molto più traffico di quanto si pensasse. All’epoca, sono entrato in Laos su una delle principali rotte della droga, di quel tempo, verso l‘ Asia.

    La provincia cinese dello Yunnan, dove, tra le altre, ho fatto un'escursione nella Gola del Salto della Tigre e visitato il leggendario Shangri-la, non lontano dal Tibet, si trova al confine con la Birmania e il Laos. Esistono ancora numerose aree di coltivazione dell'oppio in questa regione di confine ed i raccolti trovano la loro strada di smercio in tutta l'Asia passando per Dali e Kunning per poi giungere ad ovest.

    Oltre che da questo percorso, lo Yunnan é attraversato anche dalla storica strade del tè, lungo la quale tè e sali, in particolare, sono stati trasportati in tutto il mondo per oltre un millennio fino agli anni '60, quando il Tibet ottenne una strada internazionale, e dalla via della seta meridionale - una rete di percorsi di carovane che conducono attraverso alcune delle aree più inospitali del mondo, che hanno collegato l'Asia all'Europa per secoli, consentendo uno scambio di quasi ogni tipo di merce: vetro, porcellana, spezie, pietre preziose, pellicce e seta, conquiste scientifiche e tecniche come la stampa tipografica, la produzione della carta e la distillazione, beni culturali come canzoni, storie e teorie filosofiche, costumi o idee, finanche, religioni. Il buddismo raggiunse la Cina e il Giappone attraverso la rotta settentrionale proveniente dall'India, il cristianesimo penetrò fino a Xi'an, l'allora capitale della Cina, l'Islam si diffuse dalla penisola arabica alla Siria e all'Egitto e infine in tutto il Nord Africa.

    Oggi l'importanza economica del percorso è infinitamente trascurabile rispetto al suo fascino romantico. Folle di turisti vogliono seguire le orme di Marco Polo e il governo cinese sta facendo restaurare siti storici, ora importanti attrazioni turistiche e fonte di reddito. Il mio percorso era la strada da Kunming, la capitale dello Yunnan, attraverso Mengla a Boten, il posto di frontiera con il Laos.

    Il sole eruppe dalla coltre di nubi e asciugò appena i vetri - e speravo, anche il bagaglio che era stato ammucchiato sul tetto e legato e che ora, frattanto, gocciolava. I primi segnali stradali con gli eleganti caratteri della scrittura laotiana abugida indicavano che il confine non poteva più essere lontano e mi ricordavano ancora una volta del mio piccolo problema.

    Tutto era iniziato la mattina precedente quando, con crescente disperazione, avevo cercato di rimpinguare le mie riserve di cassa a Mengla, ma tutti gli sportelli automatici erano fuori servizio o non accettavano la mia carta di credito. Inoltre, non riuscivo a farmi comprendere nelle filiali della banca.

    Quando, ad uno sportello, chiesi di qualcuno che fosse in grado di parlare inglese, l'impiegato dall'altra parte dello sportello non mi degnò di uno sguardo; solo una donna delle pulizie indicò, in mio soccorso, lo sportello automatico di fronte alla porta, sul cui display lampeggiava una grande scritta Fuori servizio. Ora ero seduto sull'autobus, quasi senza contanti e - come se ciò non fosse abbastanza- anche a stomaco vuoto, poiché la ricerca di denaro aveva occupato tutto il tempo a mia disposizione prima della partenza e mi chiedevo, impaziente, se avrei ricevuto la risposta al mio quesito fondamentale, ossia, se avrei potuto ottenere denaro alla frontiera.

    Poiché avevo paura di non poter ricevere lì denaro sufficiente per un visto, durante il percorso attraverso le varie località, avevo affannosamente cercato con lo sguardo filiali bancarie. In un'area di sosta, due donne mi avevano offerto mazzette di Kip laotiano. Cambio di denaro! Mi sollecitavano, sorridendo.

    ––––––––

    Mi sarebbe piaciuto fare affari con loro. Avevo ancora una riserva di euro in monete, ma esse scambiavano kip laotiani solo con yuan cinesi o dollari USA. Accanto al parcheggio, ebbi, quindi l’apparizione di una banca, ma, anche in questa, il bancomat era fuori uso. Andò avanti così. Rivolsi, allora, la mia attenzione al mio vicino sulla destra, molto stanco, la cui testa iniziò a muoversi su e giù come fosse un bassotto di quelli di peluche dondolanti, appesi ai finestrini delle auto. Aveva circa venticinque anni con capelli biondi e radi e le braccia grosse come le mie cosce. Le sue manone riposavano sul suo grembo, carezzevolmente posizionate su tre o quattro pacchi di barrette di cioccolato, di cui aveva fatto razzia. Sbuffò piano e la testa gli cadde sul petto come se, improvvisamente, fosse stata tagliata una corda. La posizione della testa sembrava stimolare la sua produzione di saliva, poiché piccole bolle si formavano velocemente agli angoli della bocca quando espirava. Osservavo, affascinato dal vedere le bolle crescere in palloncini che si gonfiavano in risposta al respiro sibilante, per poi, infine, svuotarsi in silenzio.

    Poco prima che una traccia di bava, resa vischiosa dal cioccolato e allungatasi in modo sorprendente, raggiungesse la maglietta, l'autobus passò con un fracasso violento su una buca e il mio vicino si svegliò con un grugnito tronco. Alzò la testa, lanciò due rapidi sguardi a destra e sinistra, si orientò e si appoggiò allo schienale. Masticando senza far rumore e schiarendosi la gola, si passò il dorso della mano sul viso. Notò lo sporco, si voltò verso la finestra e si pulì con la manica, discretamente, pensando di non essere osservato.

    Il nome del giovane era Falk Wernsdorf, come Werner e Dorf, come egli stesso ripeteva spesso. Era un mio ottimo amico tedesco di lunga data, a cui mi piaceva anche rivolgermi con il suo soprannome Trionfo di muscoli, e che era insostituibile per me, perché, quasi ogni giorno, mi aiutava ad aprire bottiglie avvitate saldamente, pacchi di biscotti, confezioni di minestre e tutti gli altri imballaggi di alimenti, cosa nella quale io fallivo miseramente. Avevo studiato con lui nei Paesi Bassi, avevo vissuto con lui in Asia negli ultimi sei mesi e con lui avevo anche intrapreso il viaggio attraverso il Laos. Era edificante vedere quanto lavorasse duramente alla risoluzione dei nostri piccoli problemi.

    Raggiungemmo il confine cinese. Falk si gettò in spalla la sua borsa fotografica, che teneva tra le gambe e che era grande quanto un beauty case. Aveva comprato l'attrezzatura un paio di settimane prima e la proteggeva come una lince. I passeggeri dovettero scendere dall'autobus e attraversare un edificio moderno per il disbrigo delle formalità di espatrio. Falk e io ci dirigemmo verso i primi ufficiali che scorgemmo.

    C'è un bancomat qui? chiese Falk, quasi senza fiato, perché anch’egli aveva poco denaro, esattamente come me, e si sentiva altrettanto a disagio. L'ufficiale, annoiato, indicò nella direzione del banco di accettazione. Sospettavamo che non avesse capito nulla, ma non avevamo altra scelta che seguire il suo gesto e sperare in meglio.

    Fu uno sperare vano. Non c'era né un bancomat, né un ufficio di cambio. Niente. Naturalmente, perché chi mai avrebbe viaggiato verso un valico di confine cinese-laotiano senza soldi cinesi o laotiani? Nel mondo del marketing, l‘espressione stuck in the middle, dunque, „essere bloccato nel mezzo", descrive un marchio che non è in grado di affermarsi chiaramente come leader della qualità o del prezzo. Il risultato è un posizionamento poco chiaro, da qualche parte nel nulla, una posizione che si può considerare come estremamente negativa sul mercato. Esattamente così mi sentivo ora che avevo completato le formalità di uscita: bloccato nel mezzo, perso, arenato nella terra di nessuno, con il visto per la Cina scaduto e il ritorno negato, senza i soldi necessari per entrare nel paese successivo. Quindi cosa avremmo dovuto fare? Ci lasciammo trasportare, confidando nella nostra fortuna.

    L'autobus girò intorno ad una riproduzione quasi completata di That Luang, il simbolo nazionale laotiano dorato, attraverso il quale, probabilmente, la strada avrebbe condotto nel prossimo futuro, e si fermò davanti alla stazione di confine laotiana.

    Non appena fummo scesi dal bus, ci fu subito chiaro che neanche qui c'era un bancomat. L'edificio era molto diverso da quello cinese: nessuna traccia di modernità. Somigliava più ad una capanna diroccata.

    Il percorso da fare non conduceva attraverso l‘edificio, ma attorno a questo, all'esterno. Ci mettemmo in fila e alla fine avemmo accesso allo sportello, attraverso il quale doveva essere regolato l’ingresso al paese. Regalai al funzionario il mio più affascinante sorriso e con fare da sciocco chiesi: Buongiorno, quanto costa un visto per il Laos?

    Ecco qui.

    Il funzionario di frontiera mi sottopose una stampa A4 che elencava i prezzi in tre diverse valute: Kip, Yuan, Dollaro USA.

    Deglutii con difficoltà ed esclamai con sorpresa. Trenta dollari - così costoso, davvero?

    La guardia di frontiera annuì con indifferenza.

    Temo che non abbiamo così tanto denaro contante con noi. C'è forse un bancomat nelle vicinanze?

    Sì.

    Sì? Spalancai gli occhi. All'improvviso c’era nuovamente una speranza nella valle della disperazione.

    Sì.

    E ... dove? Non riuscivo quasi a controllare il tremolio della mia voce.

    L'ufficiale indicò la strada che portava giù verso il Laos.

    Cinquecento metri, non molto lontano.

    Mi sentii sollevato da un peso. Ma, poi, esitai stupito.

    "Cinquecento metri in questa direzione ... l'ATM è in Laos,

    giusto?"

    „Esatto."

    Quindi non possiamo arrivarci senza un visto?

    Ci pensò un attimo e annuì. Esatto.

    Feci un respiro profondo.

    E qui, proprio al confine, non ci sono sportelli bancomat?, Chiesi, inutilmente.

    No.

    E un ufficio di cambio?

    È vicino al bancomat.

    Cercai di mantenere la calma.

    C'è una qualche possibilità che uno di noi due possa andare all'ufficio cambiavalute, a cambiare del denaro?

    Rifletté un momento, alzò le spalle e annuì. Ma solo uno.

    Non me lo feci dire due volte. Lasciai lì Falk e mi affrettai, superando la stazione di confine, verso l'autobus, che stava aspettando in un piccolo parcheggio. A parole e gesti, chiesi indicazioni circa la direzione alla gente che si trovava in piazza e al nostro autista dell‘ autobus, ma nessuno fu in grado aiutarmi. Corsi avanti e indietro, mi fermai ad un incrocio, decisi di girare a sinistra perché avevo visto edifici in quella strada, più in basso.

    Tuttavia, non trovai né un bancomat né un ufficio di cambio e tornai all'autobus senza nulla, con le pive nel sacco. Lì chiesi all'autista di poter prendere il mio zaino dal tetto. L'autista si arrampicò su una piccola scala, posta sul retro dell'autobus, slegò le reti e le corde che fissavano i bagagli e frugò tra dozzine di enormi zaini, valigie e borse fino a quando non trovò il mio zaino.

    „Presto", disse. La maggior parte degli altri passeggeri aveva, nel frattempo, già ripreso posto sul bus.

    Presi la mia scorta di emergenza di banconote in euro e mi diressi verso la stazione di confine, dove Falk e io facemmo di nuovo la fila. Implorammo e supplicammo, e l'ufficiale rifletté e poi scosse la testa compiaciuto fino a quando accettò gli euro. Il suo tasso di cambio non corrispondeva a quello corrente, ma accettammo la maggiorazione senza contraddirlo. La cosa fondamentale era che alla fine ce l'avevamo fatta.

    O no?

    Dopo che egli ebbe accettato il denaro e noi avemmo compilato i moduli necessari, iniziò a controllare i nostri documenti con sorprendente lentezza. Il mio cuore batteva ancora forte per la paura di non poter entrare nel Laos o, in alternativa, ritornare in Cina.

    E, proprio in quel momento, il funzionario ci mostrò cosa si intendesse per tranquillità laotiana. Egli scomparve per diversi minuti, ritornò, si distese sulla sedia e sfogliò i nostri passaporti. Era sorprendentemente interessato ai nostri viaggi precedenti. Conversò con i colleghi e si appoggiò allo schienale, rilassato. Diedi nervosamente uno sguardo all'angolo dell'edificio, per assicurarmi che l'autobus stesse ancora aspettando.

    Un biglietto con degli appunti cadde dal mio passaporto sul tavolo. L'ufficiale guardò dove era atterrato al rallentatore, guardò ...riguardò - e lo afferrò. Lo guardò avanti e dietro, lo girò avanti e indietro. Non riuscivo a comprendere se la tranquillità fosse nella sua natura o se volesse che percepissimo il suo potere. Doveva pur accorgersi che avevamo fretta.

    Alla fine egli ci ridiede i passaporti con i sospirati visti.

    Ci affrettammo a raggiungere il bus, scusandoci una mezza dozzina di volte con l’autista, che rideva sguaiatamente. Dopo cinque chilometri raggiungemmo la dogana. C'era un bancomat, ma - e non ero più sorpreso – era fuori servizio. Infine, riuscimmo a cambiare le nostre rimanenti scarne disponibilità di yuan in Kip presso un piccolo sportello bancario e ad acquistare un modesto spuntino.

    Inizialmente il paesaggio non cambiò quasi per niente. Si procedeva tra le colline, sui cui pendii pittoreschi si annidavano fattorie circondate dal verde. Il verde, tuttavia, era più rovinato, rispetto a quello precedente. Dense zone di foresta formavano qui isole tra pendii coltivati, cespugli e pascoli e mari di tronchi d'albero tagliati e prati bruciati. Si alzava del fumo: odorava di legno bruciato. Un gruppo di uomini con machete completava il disboscamento su un altro pendio.

    Superammo villaggi fatti di capanne di pali, le cui pareti erano fatte di rafia, legno o - più raramente - di mattoni. I tetti erano fatti di paglia o di lamiere ondulate. Dei maiali si rotolavano in una polvere rossa, un pollo attraversò, all’improvviso, la strada davanti all'autobus e sfuggì per un soffio alla morte. Intanto, si era fatto mezzogiorno e la gente del luogo stava riposando, dormendo su terrazze di legno o su rozzi telai da letto che erano stati disposti all'ombra, davanti alle capanne, per catturare la brezza tiepida. La strada, che diveniva più accidentata, si snodava più in alto sulle montagne e offriva viste ancora più fantastiche sul paesaggio collinare cangiante.

    Lentamente riuscii a rilassarmi. Con coraggio e sofferenza avevo superato il confine - routine per la maggior parte dei viaggiatori. Ora ero finalmente in Laos e l‘avventura vera e propria avrebbe potuto avere inizio.

    1.  Capitolo

    I giorni a Oudomxai

    Benvenuti in un paese in cui tigri e leopardi vagano per le fore-ste, dove il Mekong plasma i paesaggi e gli stili di vita più di ogni altra influenza esterna, nel territorio delle montagne densamente coperte di boschi e delle vaste valli fluviali, dell‘oppio e di antichi templi buddisti, della natura incontaminata e della progressiva deforestazione, un paese senza accesso al mare e traffico ferroviario. Benvenuti in un paese povero, ricco, però, di persone che spesso indossano sorrisi. Benvenuti in un paese la cui popolazione è raddoppiata negli ultimi trenta anni e che, tuttavia, con i suoi sette milioni di abitanti, è ancora il paese più scarsamente popolato del sud-est asiatico.

    Benvenuti nella Repubblica Popolare del Laos. Oppure, nell’attraente versione originale: benvenuti nel sathaalanalat pasaatipatai pasaason lao.

    Il Laos non ha un Grand Canyon, né un'opera iconica a forma di conchiglia né Angkor Wat, né la più grande foresta pluviale del mondo, né il deserto più arido. Ma irradia un fascino immenso che è difficile da comprendere. È un paese diversificato, il prodotto di innumerevoli singoli componenti, una miscela incoerente di popoli diversi con lingue, costumi, credenze e correnti di pensiero differenti, che io non mi sento in grado di riassumere in una descrizione concisa - anche se il governo cerca di fare proprio questo, con la sua ripartizione dei gruppi di popolazione in Lao Soung, Lao Theung e Lao Loum. Alla base di questa suddivisione é soprattutto, l'altitudine della collocazione degli insediamenti umani, ma ciò non rende giustizia a questa complessa realtà.

    Mi sia concesso di chiarire qui e ora: amo il Laos, lo ammiro, l'ho risucchiato avidamente con ogni mio respiro durante il mio viaggio - questo viaggio è iniziato nel momento in cui l'autobus finalmente si è fermato in una città, di cui abbiamo appreso il nome da un cartello: Oudomxai, la destinazione del nostro viaggio - spesso scritta Udomxai. Non esiste una trascrizione univoca in caratteri latini per il laotiano, così che, per la maggior parte dei nomi e dei concetti riferiti ai luoghi, sono in uso molteplici forme di scrittura.

    Uno o due passeggeri scesero dal bus. Mi ero appena svegliato lentamente da un dormiveglia e, guardando a destra, notai che non avevamo ancora raggiunto la stazione degli autobus, ma che eravamo parcheggiati accanto a una locanda, l'edificio più bello offerto alla vista. Senza alcuna esitazione, ci precipitammo fuori dall'autobus - sei ore schiacciati tra sacchi di riso e cascate di frutta ci erano sembrati sufficienti -, ci facemmo porgere gli zaini dal tetto e ci dirigemmo verso la locanda, un vecchio edificio coloniale a tre piani dal colore discreto giallo-bianco, la cui eleganza, purtroppo, finiva, tuttavia, proprio al suo ingresso. Informammo la ragazza dietro il banco della reception che avremmo preso una camera con due letti. Non parlava inglese, ma seppe farsi intendere in modo alternativo. Su un pezzo di carta disegnò una stanza con due letti. Falk si sporse sul bancone, guardò lo schizzo e annuì soddisfatto. La ragazza completò, quindi, il lavoro aggiungendo una porta e un comodino, poi barrò lo schizzo e disegnò una nuova stanza con un letto matrimoniale. Falk battè il dito sulla prima immagine e disse: Vogliamo questa. Ma lei scosse la testa.

    Falk mi rivolse uno sguardo interrogativo. Sospirando io accettai l’inevitabile – una notte a letto con il mio amico trionfo di muscoli. Cosa avrebbe significato ciò, io non lo sapevo ancora: una dura lotta per la conquista del lenzuolo, la temperatura del suo corpo, che mi produceva gocce di sudore sul viso, come stessi dormendo accanto ad un forno, concerti prodotti dal suo russare direttamente nel mio orecchio ed una superficie, sempre più ridotta, sulla quale riposare, mentre Falk sorridendo contento si sarebbe allargato sempre più, fino a che il mio posto sul materasso si fosse ridotto ad uno spazio che mi consentiva solo di stare fermo, disteso su di un fianco.

    ––––––––

    Dopo il mio cenno di assenso, molto esitante, gettai uno sguardo veloce al manuale, guida di viaggio e non dedussi nulla di buono riguardo all’alloggio, il cui più imporatnte (ed unico) apprezzamento riguardava le eccellenti lenzuola bianche. Salimmo per due rampe di scale con vecchi ed eleganti corrimano di legno e piastrelle di colore marrone rossiccio, disposte in modo piuttosto storto, attraversammo un corridoio, superando pareti fatte di pannelli di compensato sottile, dietro le quali c’erano stanze, nelle quali i televisori erano accesi a tutto volume. La nostra camera era picola e senza finestra, solo il duro letto ci entrava. Le lenzuola, in effetti, erano bianche – ad esclusione di piccoli punti neri: escrementi di topo. Una manciata di chiodi teneva ancora in piedi una piccola cassettiera, l’unico pezzo di mobilio. Se ci avessi posato sopra il mio beauty case, avrebbe cominciato certo ad oscillare in modo preoccupante. Anche la carta da parati faceva del suo meglio per staccarsi dal muro e scomparire dalla stanza. Nondimeno, il bagno incoraggiava le persone a non passarvi troppo tempo la mattina. Conoscevamo già dal soggiorno in Cina la toilette in piedi con i gradini a destra e sinistra, sulla quale ci si doveva accovacciare in profondità.

    Nel caso in cui qualcuno si sia mai chiesto perché i cinesi trovino così comodo accovacciarsi, mentre attendono qualcosa, mentre, al contrario, la maggior parte degli europei soffre di crampi ai polpacci, dopo pochi secondi trascorsi in questa posizione, non vorrei privarlo della risposta: sono i servizi igienici, presenti in molti paesi asiatici, ma anche in alcune parti della Francia, che consentono alle persone di fare questa acrobazia e mantenersi agili fino alla vecchiaia.

    l nostro gabinetto non disponeva di uno sciacquone, ma, al suo posto, accanto, c'era un secchio con un mestolo, ed ancora, accanto a questo, un secchio per la carta igienica usata, che avrebbe sovraccaricato la tubazione di piccolo calibro a causa del debole scarico. Non era evidente che avrebbe avuto più senso usare tubi di grandi dimensioni, quando si era proceduto con l’installazione di un nuovo sistema di condotte, in modo che questi non si ostruissero con una palla di carta con risultati orribili?

    Le persone, in gran parte dell'Asia, non la vedono in questo modo. Non trovo una spiegazione logica per questo, ma ciò non significa che non ci sia.

    Cos’altro?

    Nel portalampade in bagno non vi era alcuna lampadina. Ci fosse stata una lampadina difettosa - avrei potuto conviverci. Almeno visivamente, questa avrebbe dato l'impressione di una vecchia lampada, così come la immaginavo - con il rivestimento in plastica e la forma a pera. Quello che mi faceva arrabbiare, era stata la consapevolezza che, nella notte dei tempi una persona con una certa ambizione – e, almeno una minima quantità di cervello – avesse fissato questa lampada al soffitto, e che poi gli si fosse avvicendato qualcun altro, che avesse tolto la vecchia lampada difettosa e che, in aggiunta, avesse pensato: Oh, mio Dio, perché dovrei sprecarmi, nell’avvitare una lampadina nuova nel supporto? Giusto per lasciare che i miei ospiti la sera abbiano un po' di luce e non debbano spostarsi a quattro zampe durante la notte per procedere in modo sicuro e non battere contro nessun ostacolo o cadere nel buco di porcellana, presente nel pavimento?

    Falk notò l’espressione del mio viso e disse con un sorriso: Benvenuti in Laos.

    Ho dovuto ridere perché aveva ragione: eravamo in Laos, eravamo esattamente laddove volevamo essere, proprio in questo paese, proprio in questa città e in questa stanza, con tutto ciò che questo comportava. Non c'era motivo di lamentarsi. Avevamo dinanzi a noi un periodo futuro grandioso. Dovevo solo sbarazzarmi del mio essere sprezzante, derivante dalla mia stanchezza, allargare le braccia e immergermi nel Laos.

    Gettammo gli zaini sul letto e andammo sul balcone, che era in fondo al corridoio, per poter avere una visione d'insieme della città, guardando attraverso un groviglio di cavi, che si trovava all'altezza dei nostri occhi. Davanti a noi si dispiegava la strada principale, dove si svolgeva la gran parte della vita pubblica, che si sviluppava lungo una curva molto ampia. Oudomxai, la capitale della provincia omonima, é uno dei più importanti nodi stradali e centri di commercio nel Nord del Laos ed ha la reputazione di un punto di passaggio sgradevole, che la maggior parte dei turisti attraversa, solo perché deve. Circa 30.000 persone vivono e lavorano nella città e nelle immediate vicinanze.

    Lasciammo il nostro alloggio e svoltammo a sinistra, sulla strada. Erano le tre del pomeriggio e non avevamo ancora mangiato altro se non il piccolo spuntino al confine. Nel ristorante Sinpeth ci sedemmo sulla terrazza che dava sulla strada principale, per placare la nostra fame. Io ordinai pasta fritta con pollo, verdure e uova, una coca cola e un caffè, che era tanto dolce quanto lo zucchero puro. Mezza lattina di latte condensato galleggiava pigramente in un terzo del liquido sottostante. Piccoli gatti, alcuni dei quali avevano perso la coda, girovagavano tra le nostre gambe. Dietro di noi, nel ristorante aperto sulla strada, c'erano letti, un divano, un televisore. La famiglia viveva e lavorava qui. Dal soffitto pendevano alveari, poco decorativi e rinsecchiti.

    Mentre al tavolo accanto al nostro prendevano posto due monaci, dagli abiti color zafferano, e ordinavano una minestra, osservammo quanto avveniva in strada. Alcuni bambini sfrecciavano su scooter guidando con una mano – con l’altra reggevano ombrelli parasole - un meccanico, che sembrava specializzato in cinghie trapezoidali di tutte le dimensioni e forme, consigliava i suoi clienti, una donna spingeva davanti a sè un piccolo carretto contenente panini imbottiti, che vendeva. A prescindere dalle brutte case in stile cinese, l’aspetto della città mi ricordava proprio Goulburn, la prima città del territorio interno dell‘ Australia, nella quale avevo trascorso molti mesi durante viaggi precedenti. L'ampia strada, le facciate dei negozi e le insegne pubblicitarie, gli edifici bassi con le loro verande e le ringhiere esterne, che a Goulburn erano lasciti degli inglesi, qui erano di origine francese, i numerosi pickup Toyota, estremamente popolari anche tra gli agricoltori australiani.

    Non riesco a capacitarmi, Falk mi strappò dai miei pensieri, "ma mi sento come se fossi in Sud America. L'ampia strada, le persone che, dopo settimane in Cina, con la loro pelle abbronzata, a volte, sembrano in parte meno asiatiche dei messicani, le colline, che circondano la città, che si innalzano come le pianta-

    gioni di caffè sugli altopiani della Costa Rica. «

    È fu così che ognuno di noi rinvenne qualcosa di già conosciuto nel nostro primo luogo di soggiorno in Laos. Ciò potrebbe significare che queste somiglianze esistessero davvero, ma era più probabile che non fossimo ancora concretamente arrivati in Laos e stessimo cercando un orientamento.

    Satolli, continuammo a girovagare per la città. Un segnale stradale - Museo - suscitò la nostra curiosità. Svoltammo al bivio successivo e passammo oltre un campo sportivo, con un campo di calcio ed uno di pallavolo, con annesso un centro sportivo per i giovani. Attraverso le porte aperte potevamo scorgere alcuni giovani giocare a ping-pong e biliardo, altri che lanciavano palle da bocce argentate davanti all'edificio. Alcuni ragazzi giocavano a kataw sul campo da pallavolo, un gioco in cui una palla di rattan intrecciato deve essere mantenuta in aria con piedi, testa e gomiti e,quindi, lanciata oltre la rete. I bambini ridevano di noi e salutavano con la mano. Scorgemmo soprattutto molti bambini: non c’era da sorprendersi, perché il Laos è un paese giovane. Nel 2008, l'età media era di soli diciannove anni, dieci anni in meno rispetto allo stesso valore in ambito mondiale.

    Scherzammo con i bambini e ci divertimmo, ma non trovammo traccia del museo. Falk considerò: Forse la freccia sul segno non si riferiva all‘incrocio successivo, ma al precedente.

    La strada, che si diramava di fronte al cartello, e che ora stavamo percorrendo, passava davanti ad una teoria di abitazioni dalle fattezze di capanne in stile fattoria e monotone bidonville, che si assomigliavano come se fossero state costruite con lo stesso stampo. Molte di loro erano in costruzione, altre non erano mai state terminate e ora erano erette al bordo della strada come scheletri grigi. Ovunque, in città, c'erano pubblicità di Beerlao, la birra nazionale dei laotiani. Il marchio con la testa di tigre dorata era onnipresente, in misura tale da far sembrare vecchia la Coca Cola: manifesti pubblicitari nelle strade, targhe in metallo e insegne luminose davanti a negozi e alloggi, tovaglie di tela cerata, frigoriferi e posacenere nei ristoranti. I pannelli pubblicitari pendevano persino da edifici privati, comprese piccole capanne.

    I membri di una famiglia, che erano seduti davanti a una casa e ai quali avevamo chiesto del museo, non parlavano inglese e ci sorrisero, invece di darci una risposta. Fin d’ora, potevo constatare che i laotiani erano più aperti dei cinesi, che sarebbero stati piuttosto turbati in questa situazione. Provammo a chiedere ancora qualche altra volta finché non fummo indirizzati al museo, un fastoso edificio bianco in stile coloniale che sorgeva sulla collina di Phou Sebey e che avevamo ammirato da lontano senza sapere cosa ospitasse. Avevamo supposto, che si trattasse della residenza del Governatore o di qualche altro alto funzionario. Mentre ci avvicinavamo al museo dalla parte posteriore, notammo che tutte le porte e le imposte delle finestre erano chiuse. Cercammo di bussare con delicatezza alla porta d‘ingresso e di sbirciare attraverso le fessure, ma non riuscimmo a vedere nulla.

    Scuotemmo delicatamente le imposte e cercammo di sbirciare attraverso le fessure, ma non riuscimmo a vedere nulla. Un uomo, che abitava lì vicino, ci spiegò, a segni e gesti, che non avremmo dovuto tornare il giorno successivo. Era evidente che il museo era chiuso da molto tempo, forse a causa della stagione delle piogge, povera di turisti. Quindi, non ci restava altro che godere della vista sulla città con le sue ville, le palme ed i negozi per gli appassionati del fai da te.

    Era ovvio che Oudomxai è una città abbastanza ricca per gli standard laotiani. Da qui, negli anni '70, la Cina sostenne il Pathet Lao, il movimento comunista che si mise alla testa della resistenza al potere coloniale francese e costruì strade nella regione di Mengla e altri luoghi in Cina. In cambio, ai cinesi fu concesso il diritto di disboscamento senza restrizioni. Oggi la città è ancora cinese, principalmente per motivi economici. È un importante incrocio tra Cina, Tailandia e Vietnam, ma anche un crocevia delle strade che portano in tutte e cinque le province del nord-ovest del Laos. Le esportazioni verso tutto il sud-est asiatico e la Cina pssano per questa città o vengono caricate qui.

    Nella città una grande percentuale della popolazione é ancora cinese. Soprattutto, i numerosi immigrati del vicino Yunnan portano denaro oltre confine e contribuiscono così alla prosperità della regione. Altri cinesi investono dalla Cina nella città e nella provincia, non sempre, però, a beneficio della popolazione locale. Un esempio negativo é dato da imprenditori cinesi che vendono piantine di alberi della gomma ai contadini laotiani in modo che possano coltivarli sulla loro terra. Viene poi stabilito per contratto che l'investitore acquisterà gli alberi della gomma anni dopo a un prezzo stabilito. Dopo questo periodo, l'importo concordato a causa dell'inflazione vale molto meno di quando è stato firmato il contratto: l'investitore acquista i suoi alberi ad un prezzo irrisorio. A molti agricoltori laotiani manca l‘istruzione per poter comprendere tali concetti. Spesso il governo laotiano esercita persino una pressione su di essi, perché facciano affari che rendano benevoli i vicini cinesi, che sono i maggiori investitori del paese - con innumerevoli miniere, piantagioni di caucciù e progetti nell‘edilizia. In altri casi, i cinesi hanno acquistato terreni laotiani e pagato solo qualche decina di migliaia di euro per interi campi. In realtà, agli stranieri non è permesso possedere del terreno in Laos, ma viene fatta un'eccezione per il vicino amico comunista. Gli agricoltori laotiani, che non hanno mai visto così tanti soldi in una volta, accettano tali offerte troppo spesso e vendono sottocosto. Invece di fare investimenti a lungo termine con quanto ricavato, spesso acquistano un'auto, in particolare i pickup che producono elevati costi di gestione e non valgono più nulla dopo dieci anni, mentre il valore del terreno venduto piano piano aumenta. Il numero di uomini d’affari e imprenditori cinesi immigrati, insieme alla loro relativa ricchezza e influenza politica, ha portato, oggi molti laotiani a respingere ulteriori immigranti cinesi.

    Girammo intorno ad una metà del museo, scendemmo, quindi, giù dall'altra parte della collina per una lunga scala di cemento e tornammo sulla strada principale. Di fronte c'era un'altra collina di uguale dimensione, chiamata Phou That, sulla quale avevamo individuato il tetto d'oro di uno stupa, un edificio buddista che serve principalmente come monumento religioso e reliquiario.

    Dall’altro lato della strada ci arrampicammo su una scala, circondata dal cinguettio di uccelli, senza che io potessi vederne nemmeno uno. In loro vece, eravamo accompagnati da farfalle e libellule.

    In cima, ci aspettava un piccolo monastero. Tuniche color giallo zafferano erano appese alle corde del bucato, mosse da un vento gentile. Un enorme tamburo cerimoniale era posto insieme ad una ampia collezione di statue di Buddha sotto una tettoia. Improvvisamente sentii abbaiare un cane. Mi girai e incrociai gli occhi di un cane enorme che correva verso di me a grandi balzi e con le fauci spalancate. Mi prese un colpo. Mi affrettai a cercare qualcosa da poter usare in mia difesa, e quando il cane mi raggiunse, ero sul punto di afferrare una delle figure di Buddha più piccole e lanciargliela contro. Ma l'animale fece un giro intorno a me, scodinzolando, e scomparve di nuovo. Mi tremavano ancora le gambe quando Falk, che non aveva notato il cane ed era già andato più avanti, gridò: "Vieni! Da qualche parte qui si fa musica! «

    Su un sentiero che era appena sotto la cima della collina, ci avvicinammo alla musica, che pensavamo fosse il canto dei monaci. Ci muovemmo lentamente e, per quanto possibile, silenziosamente, perché non volevamo disturbare i monaci. La musica divenne più forte. Ci avvicinammo di soppiatto, ma non riuscivamo ancora a vedere nulla. Poi risuonò la voce distorta di un presentatore e subito dopo una melodia che suonava come l'introduzione di una canzone popolare tedesca. Ci guardammo intorno con stupore. In un albero scoprimmo un altoparlante che aveva l’aspetto di un megafono ed era legato saldamente ad un ramo a forcella. Tanti saluti ai canti dei monaci! Si trattava di una trasmissione radiofonica che echeggiava sulla città dalla collina.

    Lasciandoci alle spalle il rumore, corremmo su verso una grande statua dorata del Buddha, il Risvegliato, in piedi su un basamento verniciato di bianco, la mano destra sollevata con il palmo della mano volto in avanti. Quattro giovani in magliette sportive e cappellini da baseball si erano seduti su alcuni gradini, ai piedi della statua. Erano appoggiati ad una delle nagafigure con le squame, a tre teste, che circondavano la statua su quattro lati e parlavano tra di loro. I naga sono esseri serpenti che apparvero originariamente nella mitologia indiana e raggiunsero il sud-est asiatico con la diffusione dell'induismo solo più tardi nel VI secolo. Quando il Buddha ebbe meditato per oltre quattro settimane, il cielo sopra di lui si oscurò per sette giorni, secondo la mitologia buddista. Si scatenò una grande tempesta e la pioggia continuò a cadere incessantemente. Il re Naga Mucalinda, accorse in aiuto del Buddha ed allargò le sue molte teste su di lui come un ombrello per proteggerlo dalla pioggia e dalle intemperie. Questa funzione di protezione è utilizzata ancora oggi quando i Naga vengono posti come protezioni davanti a scale, porte, soglie e passaggi.

    La statua del Buddha guardava lo stupa sul punto più alto della collina, che poteva essere raggiunta da una breve, ampia scala fiancheggiata da Naga, che questa volta avevano nove teste. Lo stupa, alto appena venti metri, era bianco, con rifiniture dorate sulle balaustre e una punta dorata che brillava nella luce del tramonto. Probabilmente, uno stupa potrebbe essere stato in questo punto già nel XIV secolo, ma dopo che i signori delle colonie francesi ebbero preso il potere, trasformarono la collina in un accampamento di guerra. Lo stupa fu ricostruito solo tra il 1994 e il 1997.

    Un monaco sedeva su una piccola panchina, lì vicino, con un telefono cellulare, impegnato in una conversazione senza fine, che accompagnava con gesti vigorosi. Questa collina mi sembrava già adatta a simboleggiare due diverse facce del Laos: la religiosità della statua del Buddha e dello stupa, disturbata da una musica bislacca; adolescenti moderni che si incontravano per i loro momenti di ozio non nei centri commerciali, ma in un centro spirituale della città; un monaco con un telefono cellulare.

    Religione e vita quotidiana qui non si mostravano in contrapposizione e, tantomeno, come cose totalmente discordanti tra di loro, che dovessero essere messe da parte a fasi alterne, bensì, esse costituivano un tutto unico.

    Falk e io ci sedemmo su una panchina dall'altra parte dello stupa per non disturbare il monaco e per osservare il tramonto del sole, che si avvicinava alle montagne circostanti.

    Un gruppo di sette abitanti della città salì sulla collina. Essi si inchinarono alla statua del Buddha, passarono davanti a noi e ci salutarono con inchini accennati e le mani giunte davanti al petto. Fu stranamente toccante essere coinvolti nelle loro usanze in modo così naturale.

    La luce divenne più fioca. La città sottostante brillava di un lieve bagliore e il vento divenne un po‘ più forte. Falk volle usare la luce favorevole. Si avvicinò ad un cespuglio e scattò foto, notò che stava usando l'obiettivo sbagliato, passò all'obiettivo macro e iniziò a fotografare una libellula.

    Appena il sole ebbe mandato i suoi ultimi raggi nella valle, scomparendo, giunse il monaco che avevo appena visto sulla panchina, mi passò vicino, sulla strada per il suo alloggio e mi salutò. Era un uomo alto e magro e sembrava avesse quarant'anni. Si fermò e chiese da dove venissimo, dove volessimo andare e per quanto tempo saremmo rimasti lì. Dopo aver risposto a tutte le domande, gli feci, a mia volta, delle domande.

    „Sono un monaco di Phou That da tre anni ormai", disse guardandosi intorno, e osservò l’ambiente circostante così attentamente, come se lo vedesse per la prima volta.

    E per quanto tempo starà qui? Chiesi. Ha l’intenzione di rimanere qui per sempre?

    'Non lo so. Non ho nessun progetto. Sono felice qui, e finché ogni giorno mi darà qualcosa che mi permetterà di crescere, rimarrò qui. Cosa potrei chiedere di più? "

    Mentre parlava, continuava a guardare irritato Falk, che, sullo sfondo, quasi strisciava nel cespuglio e continuava a fare scatti fotografici.

    »Da quando vivo qui, mi sento come una pianta che viene nutrita ogni giorno con idee e pensieri che scelgo io stesso. Cresce lentamente e diventa verde, non ha ancora fiori, ma ha alcune piccole gemme, e un giorno spero - mi perdoni, cosa sta facendo lì il suo amico? «

    Egli mi indicò Falk e mi guardò con un’espressione interrogativa. Io risi, scusandomi.

    ––––––––

    Oh, dissi, e lo salutai con la mano. Egli gioca con il suo obiettivo macro, penso. Cosa intendeva dire? Il monaco alzò le sopracciglia e continuò a parlare.

    »Dove ero rimasto? Sì, giusto Spero che un giorno padroneggerò i miei pensieri e dimenticherò completamente ciò che un tempo mi teneva occupato e mi preoccupava. Voglio lasciarmi tutto ciò alle spalle. "

    Dopo aver conversato per altri cinque minuti, Falk tornò, tese la macchina fotografica verso di noi e fece scorrere le foto che aveva scattato: dozzine di primi piani di libellule, nelle quali erano visibili tutti i dettagli: i sensori simili a setole, gli occhi composti, la venatura complessa delle ali, il lungo addome.

    Comunque, dissi, mentre guardavamo quella che sembrava la centesima immagine di una libellula su una foglia, che non differiva affatto dalle precedenti novantanove. Temevo che il monaco si annoiasse e volevo dargli la possibilità di continuare il discorso, senza essere scortese. Riflettei su ciò che potevo dire e tornai a guardare il monaco, aspettando uno sbadiglio o un grattare di circostanza sulla testa, ma egli fissava affascinato il display e diceva: "È fantastico! Penso di voler provare anche questo. «

    Ah, davvero? Chiesi, ma aveva già tirato fuori il cellulare e si era diretto verso il cespuglio. Guardai Falk attonito, che mi lanciò, a sua volta, uno sguardo interrogativo"Cosa?" Come se fosse ovvio che il monaco dovesse condividere la sua passione per le fotografie ravvicinate di insetti.

    Quando la mattina successiva, dalla terrazza di uno snack bar vidi il Museo Oudomxai, che si stagliava elegante sul Phou Sebey, la mia curiosità si risvegliò nuovamente. Certamente, qualcosa di così bello poteva solo custodire qualcosa di straordinario, qualcosa che valeva la pena vedere. Decisi, allora, di fareun altro tentativo. Falk si lamentò che le porzioni laotiane erano troppo piccole, poi un gatto arrivò di corsa, sollevò una zampa e fece pipì sul mio zaino, appoggiato al tavolo. La cameriera si strinse nelle spalle e scomparve. Cercai di asciugare lo zaino, tamponandolo al meglio con dei tovaglioli e dissi: Penso che questo sia un buon momento per andare via.

    Pagammo e procedemmo lungo la strada principale in direzione della stazione degli autobus, io davanti, Falk dopo di me, brontolando, svoltammo sulle scale di cemento e salimmo al museo. Già dalla scalinata potevamo scorgere i due piani superiori: le persiane delle finestre erano chiuse.

    Peccato, disse Falk. Torniamo indietro.

    Non deve significare nulla per noi , dissi. "Non aprirei certo cinquanta persiane al giorno per nulla. Dai! «

    Un minuto dopo, bussai alla porta chiusa, depresso.

    Penso che questo debba essere il retro, dissi senza convin-

    zione.

    Girammo intorno all‘edificio, ma le porte erano sprangate anche dall'altra parte. Due ragazzi emersero dal nulla e dissero che il museo era già chiuso.

    "Già?" chiesi.

    disse il più alto dei due.

    Quindi é stato aperto?

    Lui annuì. Sì.

    Sono le undici del mattino!

    Il ragazzo guardò l'orologio ed annuì, concorde. Mi resi conto del fatto che che dovevo esprimermi più chiaramente.

    »Com'è possibile che il museo chiuda così presto?«

    Pausa pranzo, immagino, disse, scrollando le spalle.

    Appresi, dunque, che il museo avrebbe riaperto dalle quattordici alle sedici ed esultai ripromettendomi di ritornare. Nel frattempo, avremmo continuato ad esplorare la città. Attraver-sando il Nam Ko (Nam significa fiume), ci portammo nella parte settentrionale della città e girovagammo per il mercato cinese, dove ammirammo borse della Nike e biancheria Dolce e Gabbana contraffatte. Falk, che aveva perso i suoi occhiali da sole da poco, stava riflettendo sull’opportunità di acquistare un paio di occhiali da sole da donna in sostituzione di quelli.

    Ma mi stanno così bene! Disse, indossandoli e togliendoli davanti ad un piccolo specchio per la decima volta. Ancora maggiore fu la mia incertezza, quando mi fermai davanti a un elicottero giocattolo telecomandato e proposi di portarlo con noi come mezzo di intrattenimento durante il viaggio.

    Pensavo proprio alla stessa cosa, disse Falk.

    Allora prendiamolo! esclamai con entusiasmo. Da bambino, ho desiderato per anni un elicottero simile in regalo per Natale, ma non l'ho mai ottenuto perché i miei genitori pensavano di farmi felice con altri regali. Falk sorrise e iniziò a spostarsi.

    Falk, dove vuoi andare? chiesi, e nella mia voce risuonò una certa inquietudine.

    Oltre, naturalmente.

    E l'elicottero?

    Sorrise di nuovo, questa volta solo per gentilezza. La sua espressione diceva qualcosa del tipo: È stato divertente per cinque secondi, ma ora basta. Constatai di essere deluso nel vedere che era divenuto di nuovo giudizioso, ma non mi arresi così facilmente.

    Soltanto ieri hai detto quanto sarebbe bello viaggiare con una chitarra e poter strimpellare qualcosa la sera, e sono d'accordo con te.

    E?

    » Con l'elicottero almeno ci divertiremmo e a buon mercato, come é possibile qui ...«

    Erik, scordatene!

    Ma la chitarra ...

    'Era solo un pensiero ad alta voce, non serio. Ecco perché non ne abbiamo comprata ancora una: perché sarebbe assolutamente da stupidi trascinarci una cosa del genere in giro. «

    Tu e i tuoi argomenti.

    »Dimenticatene. Vieni, piuttosto. "

    Rivolsi un'ultima occhiata, colma di desiderio, all'oggetto dei miei sogni d'infanzia e lo seguii.

    Lasciato il mercato cinese, notammo un ufficio per le informazioni turistiche dall'altra parte della strada. Era esattamente quello di cui avevamo bisogno in quel momento. Prendemmo alcuni volantini e opuscoli e fummo attratti da alcune foto delle minoranze etniche della provincia, come gli Yao e i Khmu, che erano affisse su pareti espositive, accanto a tabelle informative, riguardanti gli orari di partenza degli autobus. Sulla parete posteriore della stanza erano appesi: una mappa disegnata amorevolmente a mano della provincia di Oudomxai con i suoi monumenti, un poster riguardante alcune specie animali in via di estinzione che vivevano in Laos, come il re cobra, e una rappresentazione dettagliata del sistema di grotte di Chom Ong, situato a quarantacinque chilometri da Oudomxai.

    Questa grotta è stata scoperta non molto tempo fa e si trova ancora, in gran parte, nel suo stato naturale. Sarebbe stato possibile fare un'escursione di 5-8 ore nelle parti attrezzate ed aperte al pubblico fino a quel momento, ma io non sono un grande amante delle grotte ed, inoltre, avevo già visto troppe grotte nella mia vita, che, nel mio ricordo risultavano essere quasi tutte identiche.

    Posso aiutarvi? Sentii chiedere una voce alle mie spalle e ci vollero alcuni secondi prima che mi rendessi conto che la domanda ci era stata posta in tedesco. Mi voltai sorpreso e mi trovai a guardare in viso un giovane dai capelli corti e biondi.

    Siete tedeschi, vero?

    Esatto disse Falk.

    Stamattina vii ho visti mentre facevate colazione sulla terrazza, precisò con un sorriso smagliante. Sono Mirko.

    Invece di svolgere il suo servizio civile, Mirko aveva trascorso un anno a Oudomxai e supportato il centro per i visitatori.

    »Sto migliorando il sito Web, devo utilizzare il mio inglese scolastico per insegnare l'inglese ai collaboratori e fare tutto il possibile per promuovere il turismo verso questa città. Ad esempio, i miei predecessori, hanno contribuito a preparare le escursioni attraverso le grotte di Chom Ong. Ma c'è sicuramente ancora molto da lavorarci. «

    Soddisfatto di aver trovato un esperto, gli mostrai su una mappa l’itinerario programmato per la visita della città prevista per quel pomeriggio.

    Cosa ne pensi? Chiesi. Hai altri suggerimenti?

    Egli guardò in modo scettico la mappa e le mie annotazioni e disse: Penso che potreste risparmiarvi il Toung Dai, il monumento dell'amicizia lao-vietnamita. Anche il monumento Kaisone Phomyihan non è molto meglio , continuò. Il Centro di produttività e marketing dell'artigianato ora prevede la pausa pranzo e non aprirà per alcune ore.

    Cos'altro possiamo fare?

    Bene, ci sono sorgenti calde sulla strada verso Phongsali.

    Falk ascoltò con interesse. Adatte a fare il bagno?

    Ufficialmente, si, disse Mirko.

    E non ufficialmente?

    In realtà, sono troppo calde per fare il bagno, puoi tenerci al massimo soltanto i piedi per qualche secondo.

    Sembra fantastico, mormorai.

    Sfortunatamente, Oudomxai non ha molto da offrire, disse Mirko, "ma molti prendono a noleggio una moto o una bicicletta ed esplorano la zona. Ci sono cascate e ... «

    „Motociclette?" osservò Falk. Il vecchio motociclista era tutto orecchi. (In Germania aveva posseduto uno scooter fino a quando un giorno me lo prestò e io lo ridussi ad un rottame; io ho continuato a sostenere che non é stata colpa mia, ma che era stato il freno a non funzionare.) Mirko ci mostrò sulla mappa dove era l’ufficio per il noleggio. Era, così, stabilito il nostro progetto per l‘indomani.

    Ho ancora un'altra domanda, disse Falk. "Abbiamo chiesto dappertutto di spray antizanzare e abbiamo sempre avuto risposte come „E‘ difficile trovarne" e „non credo che ci sia nulla del genere a Oudomxai."

    "Davvero? Sono sorpreso. «

    Mirko ci portò in una capannone del mercato e chiese qui e là, in laotiano

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