Dentro i miei occhi
Di Cuorenero
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Anteprima del libro
Dentro i miei occhi - Cuorenero
Cuorenero
Dentro i miei occhi
Saddy
Sorrido a tutti ma io non mi sorrido mai.
Da piccolo sono stato circondato da affetti, anche se poi crescendo riesci a percepire solo ciò che ti ha segnato e che non ti ha mai fatto avere né sentire la tua età.
E allora mangi delusioni,
ingerisci rabbia e sputi forza.
Così tanta che non riesci più a sentire dolore e diventi quasi invincibile.
Tante cose ti possono fare bene al cuore,
ma mai niente come l’amore.
A noi cresciuti con la rabbia.
A noi con le cicatrici sul cuore.
A noi che non molliamo mai.
Prima parte
1 Sul crinale dell’incertezza
Mi svegliai di botto con gli occhi serrati da quel letto in cui i piedi entravano a stento, come una di quelle tante mattine in cui avevo voglia di mangiarmi il mondo. Sapevo che sarebbe stato comunque difficile e in quel periodo bastava un niente per farmi precipitare di nuovo nella sfera d’influenza della mia negatività. Ma io ci volevo sperare comunque, volevo credere in una svolta, non potevo sempre privarmi anche solo della possibilità di essere felice.
Poggiai i piedi per terra, scalzi. Mi sembrò di metterli su una lastra di ghiaccio e per un attimo ebbi il fortissimo desiderio di tirarli su e tornare sotto le coperte, nello stesso letto che mi aveva riscaldato e protetto tutta la notte dal freddo gelido di quel dannato dicembre.
Mi recai in bagno quasi in punta di piedi, col pensiero di collegare, come era mio solito fare, il mio iPhone alla cassa Bluetooth. Una volta fatto cominciai a entrare nel mio mondo, la musica. È lei che ha sempre trovato le risposte alle mie tante domande; è la musica che mi ha fatto sentire un gigante ma che, allo stesso tempo, ha saputo uccidermi con le sue potenti strofe. Perché certe canzoni diventano posti, persone, sogni e a volte rimpianti. Fin da piccolo ho ascoltato e apprezzato tutti i generi musicali, ma il rap per me non ha mai avuto rivali. È sempre riuscito a scuotermi l’anima, sfiorandomi il cuore con le sue note e rendendo tutto straordinariamente vivido e dannatamente vicino. Una trasfusione empatica di emozioni. Ancora oggi, riesco a captare la rabbia e la fame di riscatto che nutrono gli artisti come anche la loro volontà di esternare al mondo intero ciò che provano, ciò che vogliono, senza rifugiarsi in quell’ombra di rassegnazione che ingoia chi non sa reagire con forza alle difficoltà della vita. Io, anche in quel periodo, mi sentivo esattamente come loro, per questo non riuscivo a farne a meno.
Saddy!
esclamò mia madre con tono infastidito, avvicinandosi alla porta del bagno.
Perché ascolti la musica così alta? Sei sordo? È presto! Vuoi che ci buttino fuori da questo condominio? Guarda che non te lo permetterò!
Scusami mamma, hai ragione
, risposi mentre finivo di ascoltare l’ultimo pezzo. Non avrei potuto reagire diversamente ai rimproveri di mia madre, ne sarebbe nata una discussione infinita. E non mi avrebbe comunque capito. Poi io ho sempre odiato gli scontri.
Erano le 7:15; ancora un po’ presto, in effetti, per tenere il volume così alto. L’acqua che scorreva dalla doccia era bollente, lo capivo dal colore bordeaux dei palmi delle mie mani. I continui richiami mattutini di mia madre finivano col diventare la mia salvezza, perché io, fosse stato solo per me, da quel comfort non ci sarei mai uscito e il tempo non stava affatto dalla mia parte.
Erano già passati quarantacinque minuti dal mio risveglio e me ne rimanevano solo quindici per prepararmi e raggiungere la scuola, che ne distava dieci o poco più. Ma non ero un menefreghista, non lo sono mai stato. Cercai così di sfruttare a pieno il tempo rimastomi e accelerai il passo durante tutto il tragitto.
Il cortile era stracolmo di studenti che iniziavano a dirigersi verso l’entrata principale del Liceo G. Seguenza. Cercavo il mio gruppo tra la folla senza riuscire a trovarlo.
All’improvviso un flash mi attraversò la mente: Cazzo! Oggi c’è compito di italiano!
Di fretta e furia inizia a divincolarmi da quell’ammasso confuso di liceali, salendo i gradoni a quattro a quattro e pensando alla solita espressione antipatica della professoressa di italiano, che avrebbe sicuramente commentato il mio ritardo in maniera sgradevole, mettendomi in imbarazzo.
Iniziamo bene!
– pensai tra me e me notando che la porta della classe era già chiusa – Sono pure costretto a bussare…
La Prof. si sarebbe comunque e sicuramente accorta di me lo stesso, essendo il più scuro e alto della classe.
Come immaginavo, aveva già notato la mia assenza:
«Saddy! Se solo partissi prima da casa non avresti tutto questo fiatone!» infierì severa e senza alcuna esitazione.
«Scusi il ritardo, Prof.» risposi a malapena, accomodandomi accanto ad Andrea e salutando frettolosamente gli altri compagni di classe.
Iniziammo