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Vite interrotte
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E-book130 pagine2 ore

Vite interrotte

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Info su questo ebook

Nusa è solo una bambina quando scopre che il mondo non è il luogo incantato e sicuro che credeva. La meschinità delle persone le apre presto gli occhi, costringendola ad affrontare prove che minacceranno la serenità di tutta la sua famiglia. 
In un viaggio lungo una vita, Nusa impara a lottare contro i suoi demoni, interiori e non solo, per diventare forte abbastanza da salvare se stessa e le persone che ama e ritrovare la felicità da lungo tempo persa.

Bratu Nusa Steliana nasce nel 1983 in Romania e trascorre gran parte della sua infanzia nelle campagne di Buzău, divisa tra i suoi bisogni di bambina e i doveri familiari che l’hanno fatta crescere in fretta. Poco più che ventenne, intraprende il viaggio che le cambierà la vita e raggiunge l’Italia, il paese che l’ha accolta e che oggi la vede impegnata nella sua missione di aiutare chiunque ne abbia bisogno, insieme al suo fedele cagnolino Bruno.
LinguaItaliano
Data di uscita22 giu 2023
ISBN9791220143691
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    Anteprima del libro

    Vite interrotte - Nusa Bratu Steliana

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    Bratu Nusa Steliana

    Vite interrotte

    © 2023 Europa Edizioni s.r.l. | Roma

    www.europaedizioni.it - info@europaedizioni.it

    ISBN 979-12-201-3999-1

    I edizione maggio 2023

    Finito di stampare nel mese di maggio 2023

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distributore per le librerie Messaggerie Libri S.p.A.

    Vite interrotte

    Capitolo 1

    Ho pensato a lungo al motivo per cui sentissi il bisogno di scrivere questo libro e alla fine ho capito di volerlo fare per le due persone più importanti della mia vita, i miei genitori. Le motivazioni che mi spingono ad intraprendere questo viaggio sono molteplici, ma la principale è senza dubbio il senso di gratitudine che provo nei loro confronti, perché sono ben consapevole di tutto quello che mamma e papà hanno dovuto affrontare nella loro vita, e nonostante le numerose sfide, sono riusciti a proteggere me e i miei fratelli dall’orrore di questo mondo, che troppo spesso tenta di schiacciare ognuno di noi.

    La mia infanzia è costellata di momenti in cui la vita sembrava pronta ad inghiottirci, eppure siamo sempre riusciti ad affrontare ogni avversità, superando anche il più buio dei momenti, e tutto grazie alla forza di volontà dei miei genitori. È con quella forza che sono riusciti a mostrarmi solo il bello delle cose, persino della fatica, che sembrava non mancare mai nelle nostre giornate.

    La nostra non è stata una famiglia ricca, tutt’altro, ma quella condizione non mi è mai pesata, anzi ricordo con piacere gli anni della fanciullezza, che ho vissuto con l’ingenua spensieratezza che appartiene ad ogni bambino, almeno per la maggior parte del tempo.

    Come in ogni famiglia, c’erano momenti di tensione anche nella nostra, e per quanto fossi piccola, a volte avvertivo anch’io la strana atmosfera che si respirava in casa quando mamma aveva una delle sue ricadute, ma la sua malattia non ha mai scalfito l’amore incondizionato che nutriva nei miei confronti e in quelli dei miei fratelli. È stata una donna tormentata, una donna costretta a combattere tanto con i suoi demoni interiori che con quelli in carne ossa, e ritengo che nessuno – fatta eccezione per mio padre – abbia mai realmente capito la profondità del suo dolore o quanto sia stata dura la sua battaglia. Di certo io non ne ero del tutto consapevole, ero troppo piccola per comprendere il significato reale di tutto quello che le accadeva, o il motivo per cui a volte la portavano via da me. Quando mamma ha avuto le sue crisi più significative – acuite dalla depressione post-partum – io avevo appena quattro anni e i ricordi che conservo di quel periodo sono caotici e confusi. Quello che so lo devo ai racconti di mia sorella e a qualche sporadico ricordo, come quello della nascita dell’ultimo dei miei fratelli, la cui nascita ha segnato una frattura profonda nell’equilibrio psichico di mia madre. Ma il suo arrivo è stato anche motivo di felicità, soprattutto per me, perché desideravo con tutta me stessa poterlo stringere tra le braccia. Il giorno della sua nascita è stato emozionante e caotico, ricordo che è stata mia sorella a trovare la mamma nel bagno di casa, stremata da quel parto improvviso e che aveva gestito tutta da sola. A metterla in allarme era stato il pianto di un bambino, così aveva percorso il lungo corridoio di casa tutto di corsa, salvo poi restare gelato di fronte alla porta del bagno, troppo scioccata dallo spettacolo che aveva di fronte. L’unica soluzione plausibile è stato precipitarsi a chiedere aiuto, in modo che un adulto potesse aiutare nostra madre. Purtroppo presto è stato chiaro che le cure dell’ospedale non sarebbero state sufficienti per mamma, che infatti è stata costretta ad affidare nostro fratello alle cure di una clinica. Lei e papà andavano spesso a trovarlo e non c’era giorno in cui lei non piangesse, mentre guardava suo figlio dall’altra parte di un vetro; lo amava con tutta se stessa, ma sfortunatamente il suo amore non era sufficiente per contrastare il suo male. Dunque ho dovuto aspettare più di un anno per tenere tra le braccia mio fratello e quell’attesa è stato motivo di profonda sofferenza per me, perché non capivo il motivo per cui non potesse stare a casa con noi, la consideravo semplicemente una crudeltà.

    Con il tempo mi è stato più chiaro quanto mia madre avesse bisogno di aiuto, ma anche allora, nel mio piccolo, cercavo sempre di starle accanto e proteggerla. Oggi so che quella donna così fragile avrebbe avuto bisogno di un sostegno diverso, più professionale, che purtroppo non ha mai avuto, principalmente a causa dell’insensibilità e dell’ignoranza della società che ci circondava.

    Dal canto suo, mio padre ha cercato costantemente di tenere i suoi figli all’oscuro di tutto, con l’intenzione ovviamente di proteggerci e non lasciarci intuire le difficoltà che stava affrontando completamente solo.

    Così, grazie ai suoi sforzi, i mei primi anni di vita sono trascorsi all’insegna della leggerezza, nella città di Buzau, dove vivevo in uno di quegli appartamenti che l’allora governo comunista metteva a disposizione delle famiglie meno abbienti. Probabilmente non era la villa lussuosa che molti sognano, ma io amavo casa mia, era abbastanza grande da essere comoda per una famiglia come la nostra e, trovandosi in città, ci garantiva tutte le comodità di cui avevamo bisogno, compresa quella di una scuola vicina. Frequentare le lezioni e giocare con gli altri bambini mi rendeva felice, perché adoravo stare fuori casa, sempre in movimento e con qualcosa da fare, un po’ come succede anche oggi. Non ho mai sopportato l’idea di dover restare con le mani in mano, non fa per me, e da piccola questo bisogno mi rendeva a dir poco spericolata. Da bambina avevo un coraggio di cui adesso mi stupisco incredibilmente e che mi ha permesso di lanciarmi nelle più disparate follie insieme ai miei amici. Ricordo perfettamente gli inverni innevati durante i quali sfrecciavamo con i nostri slittini improvvisati, scivolando su discese così ripide da farci rischiare l’osso del collo. Non a caso una ragazzina ha finito con il rompersi la gamba in tre punti, proprio durante una delle nostre gare, e ho assistito con orrore all’incidente, salvo poi rilanciarmi poco dopo in una nuova acrobazia, perché i bambini hanno l’incredibile capacità di scacciare la paura molto più in fretta degli adulti.

    Allo stesso modo, non ci facevamo problemi a gironzolare la sera per andare a rubare un cavolo o una verza ai vicini, correndo via come fulmini, con le minacce dei proprietari nelle orecchie. Lo facevamo per fame, ma anche per divertimento, perché l’ebrezza del pericolo era emozionante, ci faceva sentire vivi. Ridevo durante quelle fughe a perdifiato, e così facevano i miei compagni di giochi, ma non perché fossimo dei ragazzi cattivi o poco educati, si trattava semplicemente di tempi diversi e di una realtà così povera che finiva per giustificare certi atteggiamenti. Basti pensare che il solo mangiare un’arancia – di solito a Natale – era per noi un lusso senza eguali, come potrebbe essere oggi andare a pranzo in un ristorante rinomato e di conseguenza molto costoso. Quelle arance erano così buone che non potevo fare a meno di mangiarne anche la buccia!

    Era una vita semplice e di ristrettezze, ma mi piaceva e mi regalava tutto quello che volevo, che di solito non era altro se non la possibilità di essere libera e spensierata.

    In quel periodo papà si spostava spesso per lavoro e restava lontano da casa per diversi giorni, lasciando che fossimo noi ad occuparci della casa e della mamma. Una volta, al suo ritorno, ha portato con sé alcuni mobili per il nostro appartamento, tutti incredibilmente belli, soprattutto agli occhi di una bambina, ma quello che più mi aveva estasiato era il pacchetto di biscotti al cacao che papà teneva sotto braccio. Se chiudo gli occhi, riesco ancora a sentire il sapore di quei dolcetti, che restano tuttora tra i più buoni che abbia mai mangiato, forse perché legati a un così bel ricordo.

    Quella stessa sera, mio padre ha preso da parte mia sorella, la più grande, ma la mia curiosità ha avuto la meglio e non ho ubbidito all’ordine di lasciarli soli. Li ho seguiti fino in camera dei miei genitori e lì ho visto papà consegnarle un bellissimo orologio da polso, tutto rosso e con un elefantino dietro le lancette. Ovviamente una bambina della mia età non ha potuto fare a meno di ardere per la gelosia. Volevo anch’io un regalo tutto per me, qualcosa che fosse solo mio, così ho cercato una rivincita prendendo i soldi che tenevamo da parte per le spese familiari e con quelli in tasca mi sono diretta verso la pasticceria più vicina. Lì ho acquistato un’intera scatola di Delizia Turca alla frutta. Saranno stati circa due chili di dolce e persino il pasticcere si era sorpreso per la quantità che avevo richiesto, tanto da domandarmi se avessi intenzione di organizzare un matrimonio. Gli ho risposto che non ci sarebbe stato alcun matrimonio e che avrei mangiato quel dolce tutta da sola. era la verità, era quella la mia intenzione, infatti ho tenuto la scatola gelosamente nascosta all’interno del mio armadio, almeno finché mia sorella non ha scoperto il mio tesoro e io sono stata rimproverata.

    Fatta eccezione per queste parentesi pittoresche, trascorrevo le mie giornate in tranquillità. Andavo a scuola e mi piaceva farlo, mi impegnavo negli studi perché il mio grande sogno era quello di diventare dottoressa in futuro, motivo per cui costringevo i miei amici a fingere di essere dei pazienti in modo tale che potessi curarli. Purtroppo non sono riuscita a diventare medico, la vita non mi ha concesso le possibilità di cui avrei avuto bisogno. La situazione a casa ha iniziato a peggiorare, dopo la nascita del più piccolo dei miei fratelli, non solo perché un bambino comporta ulteriori spese, ma per la salute di mia madre, che si è sentita sopraffatta da quella nuova responsabilità. Come ho detto, mamma era una donna estremamente fragile, delicata come il vetro soffiato, e partorire per la quinta volta, per di più completamente sola, ha assestato un duro colpo al suo equilibrio.

    Penso spesso a cosa avrei potuto fare

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