Volevo solo insegnarti a volare
Di Erica Marani
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Info su questo ebook
Madre, imprenditrice, arredatrice di interni, assaggiatrice di vino, speaker radiofonica, appassionata di fotografia e studentessa di Scienze Giuridiche, Erica Marani è tutto questo e molto altro. Una donna costantemente in viaggio per lavoro, divisa tra mille impegni, ma con il cuore sempre a Spello, paese che l’ha adottata da quasi vent’anni. Dopo gli innumerevoli traguardi raggiunti, quest’anno aggiunge una nuova voce alla sua lista pubblicando Volevo solo insegnarti a volare, il suo primo romanzo, edito da Europa Edizioni.
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Anteprima del libro
Volevo solo insegnarti a volare - Erica Marani
1
Un modello da seguire
Mi chiedo spesso se chi mi guarda dall’esterno noti le cicatrici, tutte le piccole incrinature che nascondo dietro la mia spavalda tenacia.
Sono una donna incredibilmente resiliente, una capace di sopportare grandi dolori e di superare sfide apparentemente impossibili. Ho avuto molto tempo per imparare a farlo, anni e anni di duro allenamento di cui avrei fatto volentieri a meno, ma che in un modo o nell’altro hanno fatto la differenza, rendendomi la persona determinata che sono oggi.
Forse però è proprio questo il problema, sono così forte e decisa da dare di me un’impressione fuorviante, perché ciò che mostro non corrisponde totalmente alla realtà che mi porto dentro. Con questo non sto dicendo di essere poco trasparente, o peggio, una bugiarda, semplicemente non sono disposta a condividere tutta me stessa con il resto del mondo, almeno non nella vita di tutti i giorni. In particolare non riesco a condividere con gli altri le mie debolezze, le paure e i momenti di sconforto. È che mostrarmi vulnerabile non fa parte di me, non è così che sono cresciuta, anzi ho sempre pensato che imparare a risolvere i problemi da sola fosse l’unico modo per trovare il proprio posto nel mondo.
Voglio che anche i miei figli imparino questa lezione, che sappiano cavarsela in ogni occasione e che soprattutto capiscano il vero valore della vita, che siano pronti ad affrontarne i lati positivi ma anche le difficoltà che porta con sé. Devono sperimentare il bello e l’amaro dell’esistenza, devono conoscere la fatica e l’impegno necessari per ottenere ciò che desiderano e la soddisfazione di aver raggiunto il traguardo con le loro forze. Certo, dovrà essere un percorso graduale e voglio che arrivino ai loro obiettivi con i loro tempi, senza che qualcuno imponga dall’alto un ritmo che non gli appartiene, ma nel mio piccolo sento di dover essere un esempio, come mia madre lo è stata per me, e questo mi riporta al mio atteggiamento a volte controproducente, quello che mi spinge a ergere un muro tra me e chi mi circonda. A volte credo di farlo per proteggere gli altri, per non schiacciarli con i miei dubbi e le mie angosce, altre volte mi ritrovo a pensare che si tratti solo di un meccanismo di autodifesa, di un modo tutto mio per non essere ferita o delusa dalle persone, in particolare da quelle che amo.
Quindi nascondo le mie ferite sotto una patina di distaccata sicurezza e non permetto a nessuno di permeare le mie difese. Sono disposta a mostrare i miei momenti di rabbia e ad ammettere i miei errori, ma non posso accettare di condividere il dolore, perché quello mi appartiene ed è solo mio.
Per quanto sembri incredibile, so di rendere la mia vita più complicata, perché condividere le proprie preoccupazioni alleggerirebbe di molto il carico emotivo che ci portiamo dentro, ma non mi sono mai sentita realmente pronta per un passo simile.
O almeno non lo sono stata fino a questo momento.
Oggi avverto il bisogno di raccontarmi, di rivelare me stessa un pezzetto alla volta, senza altro obiettivo se non quello di dare voce alla parte di me che ho custodito tanto gelosamente e che invece si è sempre dibattuta per emergere. Penso che aprirmi agli altri farà la differenza, per me e per quanti come me preferiscono affrontare i momenti bui in solitudine.
A volte raccontare le proprie esperienze ad alta voce – o scriverle, come sto facendo io – può essere una vera e propria cura, una sorta di rinascita. E magari alla fine mi convincerò che questo è un esempio ben più importante da dare ai miei figli, rispetto alle classiche lezioni morali che ricevono ogni giorno; mettersi a nudo e combattere a testa alta le proprie debolezze, è questo che voglio lasciare loro in eredità. Questa è la vera forza, ne sono consapevole, ma per molto tempo è stato difficile accettarlo dal momento che, come ho detto, anch’io da bambina ho avuto un esempio da seguire, mia madre, e da lei ho imparato a tenere i denti stretti quando le cose iniziavano a farsi davvero complicate. Era quello che faceva lei, sempre. Non aveva alcuna importanza quanto difficile e duro potesse essere il momento, lei non ne parlava, non lasciava trapelare nulla e continuava a trascorrere le sue giornate come niente fosse. La verità è che interiorizzava i suoi problemi e li teneva lì, sotto chiave, lontani dagli sguardi altrui e soprattutto da me e dai miei fratelli. Lo faceva per proteggerci, come io faccio con Christian e Teresa, e ci mostrava solo i suoi sorrisi gentili e quell’incrollabile determinazione che la contraddistingueva.
Mia madre era una donna abituata a fare tutto da sola. Con un marito sempre fuori per lavoro e quattro figli a cui badare, non poteva far altro che contare sulle sue forze e imparare dagli errori ma senza fermarsi, continuando ad andare avanti giorno dopo giorno.
Da bambina non capivo l’incredibile sacrificio a cui mia madre si sottoponeva quotidianamente, ma percepivo con chiarezza come dietro i suoi sorrisi si nascondesse molto più di quello che era disposta a confidarci. Dietro quei sorrisi c’era tanta solitudine, c’era la sofferenza di una donna che non aveva nessuno con cui sfogare le sue frustrazioni, nessuno con cui parlare, o almeno non di quello che la angustiava veramente, quello che la teneva sveglia la notte e che rendeva il suo sguardo meno luminoso.
Probabilmente gran parte di quella cocciutaggine era da attribuire alla sua indole schiva e al bisogno di indipendenza, almeno per quanto riguardava i suoi sentimenti. Sono quasi certa che se anche ne avesse avuto l’opportunità, mamma non avrebbe esternato le sue preoccupazioni a nessuno. Era una persona che bastava a se stessa, tutto qui, una di quelle donne abituate a cavarsela da sole; in più non posso negare che nascondesse in lei una certa diffidenza, che la portava a valutare gli altri con attenta razionalità. Ma mia madre era anche e soprattutto una persona appassionata e piena d’amore, un amore così totalizzante da convincerla a tenerci all’oscuro dei suoi problemi.
Quindi se ne stava in silenzio a guardarci, badava a noi con la solita discreta dolcezza, tenendo per sé tutto il resto. È questo che ho ripreso da lei: l’incredibile ermetismo con cui sono solita chiudermi al mondo.
Forti e inespugnabili all’esterno, caotiche e fragili all’interno, un ossimoro che ci accompagna da sempre e a cui devo ammettere di essermi affezionata, perché fa parte della mia storia.
Una parte di me ha sempre avvertito la malinconia di mia madre, ma non ero ancora in grado di interpretarla, di comprendere il reale messaggio dietro quell’espressione provata; ero giovane, troppo giovane per capire certi sentimenti, ma non per percepire il bisogno di aiutarla, quel senso di responsabilità vibrava in me forte e chiaro. Le stavo accanto per osservarla, per prendere nota di ogni suo più piccolo cambiamento, per alleviare le sue fatiche almeno nel mio piccolo.
Era bello vederla in pace con il mondo, sapendo di essere in parte il motivo di quella serenità, e farla sorridere mi rendeva orgogliosa come poche cose al mondo. Quello che però la rendeva davvero felice era vedere me e i miei fratelli mentre ci divertivamo insieme, qualcosa di davvero facile, in un luogo da sogno come la nostra Valtopina.
Non so spiegare con esattezza cosa renda il mio paese natale un posto tanto unico, i motivi sono semplicemente troppi da annoverare, a partire dall’atmosfera di pace assoluta che sembra circondare i suoi abitanti come un abbraccio.
Se dovessi fare un elenco degli aspetti più belli della mia valle, quelli realmente capaci di farmi sentire a casa, al primo posto metterei senza dubbio il verde rigoglioso dei prati, quella distesa infinita e ondeggiante sotto le carezze del vento, punteggiata dai variopinti fiori di campo.
Non c’era giornata che non passassi tra quelle vallate, nemmeno la pioggia era in grado di fermarmi, anzi l’odore penetrante dell’erba bagnata riusciva perfino a rilassarmi, così accoglievo i temporali improvvisi con un misto di rammarico per le giornate di gioco perdute e di velato compiacimento per lo spettacolo che mi veniva offerto. Probabilmente chi vive in città non può cogliere la bellezza di certi momenti, la meraviglia della natura che si manifesta in tutte le sue sfumature. Per chi invece come me ha sempre vissuto in comunione con essa, sa che un temporale non è mai solo lo scrosciare intenso dell’acqua, ma una vera e propria melodia, a volte intensa, altre malinconica, ma pur sempre musica.
Inspiravo a fondo l’aria umida e odorosa e con la mente elaboravo nuovi modi per regalare a me e ai miei compagni di gioco la giornata più divertente e spensierata di sempre, con quella velocità di cui solo i bambini sono capaci.
Amavo quella vita, starmene all’aperto e correre a perdifiato, quello che invece non mi piaceva affatto era aiutare mamma con i lavori domestici. Ricordo perfettamente il modo in cui sbuffavo quando mi chiedeva di darle una mano, esattamente come fa oggi Christian con me. Nemmeno i miei fratelli erano particolarmente entusiasti all’idea di collaborare, perché noi preferivamo di gran lunga giocare e scorrazzare per la campagna, piuttosto che curare i campi o badare agli animali. Eravamo dei ragazzini pestiferi e scapestrati, ma non per questo ci siamo sottratti alle nostre responsabilità, quando è arrivato il momento.
In un modo o nell’altro la vita ci ha resi più forti, uomini e donne consapevoli di ciò che è davvero importante nell’esistenza di una persona, uomini e donne capaci di cogliere sempre il lato positivo di qualsiasi evento, anche il più tragico. Ogni difficoltà ci ha regalato un insegnamento importante, in particolare ci ha mostrato come risollevarci dopo una caduta, come racimolare le forze, stringere i denti e ripartire da zero, sempre.
C’è stato un solo evento capace di metterci realmente in ginocchio, un evento che ha cambiato e sconvolto le nostre vite nel profondo; ma non è questo il momento di parlarne, non ora che la mia mente ha finalmente riafferrato quei ricordi preziosi, quei momenti felici e irripetibili che appartengono all’infanzia.
Non era solo la bellezza del luogo – la bellezza di casa – a rendere spensierate le mie giornate, a fare la differenza era la mentalità dei tempi, la semplicità, ormai perduta, di come si era soliti condurre la propria vita. Purtroppo il tempo ha portato via con sé valori e tradizioni che all’epoca sembravano intramontabili e che invece sono stati cancellati con una facilità agghiacciante.
Non mi riferisco soltanto alle mode, che sono passeggere da sempre e che inevitabilmente ritornano, a volte sotto forma di veri e propri incubi, ma piuttosto al modo in cui giudicavamo quello che ci circondava, comprese le altre persone. Io ad esempio, durante le scuole medie, sono stata presa di mira per le mie lentiggini. Sembra incredibile, una cosa così piccola capace di creare un problema così grande. Eppure sì, è stato un vero problema per me, qualcosa per cui ho sofferto e che mi ha spinta a mettere in discussione quella che ero, a dubitare del mio reale valore solo per qualche innocua macchiolina, che molti altri consideravano graziosa. Ma a quell’età – e non solo a quell’età – i giudizi dei nostri pari sono quelli che temiamo maggiormente e che spesso ci tolgono la voglia di sollevare lo sguardo per incontrare quello specchio. Tuttavia se confronto la mia esperienza con quanto accade oggi, mi rendo conto di come la vita sia diventata ancora più dura, soprattutto per i ragazzi, che se dovessero essere criticati esclusivamente per le loro lentiggini, dovrebbero sentirsi estremamente fortunati; perché oggi non sono più le lentiggini il problema, ma il modo in cui cammini, ti siedi o guardi qualcuno, perfino il tono di voce può diventare una questione di Stato, e all’improvviso non sei più sicuro di te, di quello che stai facendo o che vorrai fare, non solo in un prossimo futuro, ma anche da lì a un paio di minuti. Tutto diventa terribilmente spaventoso, perché non sei davvero libero di esprimere te stesso ma costretto a omologarti pur di essere accettato.
Non sono un’ingenua, so che questa è una realtà che ha radici profonde, che affligge il genere umano dalla notte dei tempi, ma è evidente che le