Clio e il mondo delle ombre
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Lei soffre, è confusa. Non sa reagire! Nel suo tormento si ritrova scaraventata come Ombra, in un mondo apparentemente non reale. Qui incontra Eter, fragile bambina dalle doti musicali eccezionali e Merg, un ragazzo coraggioso.
Ma Clio si scontrerà anche con una persona senza nome con gli stessi lineamenti di Lore, che la perseguiterà.
Il Mondo delle Ombre è solo un sogno dovuto allo stress provocato da Lore?
La risposta la scoprirà difendendo la piccola Eter, trovando così anche la sua salvezza nella realtà.
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Anteprima del libro
Clio e il mondo delle ombre - Marco Tomatis
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colophon
CLIO E IL MONDO DELLE OMBRE
di Marco Tomatis
9791280184351
@2020 by All Around srl
Illustrazione di copertina: Cinzia Ghigliano
Progetto grafico e impaginazione: Claudia Giorgini
Editing a cura di Sesta Luna di Moony Witcher
www.sestalunaservizieditoriali.it
redazione@edizioniallaround.it
www.edizioniallaround.it
Lore
«Do bemolle, Clio! Do bemolle! Non re».
Già, me ne sono accorta da sola di aver sbagliato.
«Più veloce quel passaggio».
La voce del prof di Musica, echeggia tra i muri dell’aula. Non ha torto. Quella che avrebbe dovuto essere una cascata allegra di note, si è rivelata una sequenza di suoni senza senso sconfinanti in una scorreggina.
«Su! Riprova».
Idem come sopra. Niente da fare.
«Più precisa! Ma che hai oggi?».
Che ho? Semplicemente non riesco ad eseguire un semplice esercizio di diteggiatura sul flauto traverso. D’altronde non so chi lo potrebbe fare con un polso, per la precisione quello destro, che fa un male cane e pugnala ad ogni minimo movimento.
«Eddai! Più veloce con quelle dita».
Per giunta il prof oggi non sembra proprio essere di buonumore. No! Non ci riesco. E non solo per il dolore. È un periodo in cui nella mia vita stanno entrando complicazioni a carrettate.
«Ok! Pausa. Riprendi fiato mentre io vado a bere un caffè».
Sono grata dell’interruzione, mi siedo e chiudo gli occhi. Il pensiero, lasciato libero dall’impegno di concentrarsi su crome e biscrome, corre immediatamente a chi, quella mattina, in un corridoio deserto della scuola, mi ha scaraventato per terra con uno spintone, tentando poi di rifilarmi un calcio. Istintivamente avevo cercato di ripararmi con il braccio, che si era preso il colpo. Per niente fiacco.
Non sono stupida. So benissimo, anche se ho solo undici anni, che le cose non possono andare sempre bene. Dalla gita scolastica che salta alla malattia della zia che tiene mamma costantemente impegnata. Ma quello che mi sta succedendo non è normale. Non può esserlo. Non può accadere. E proprio a me! Vivere, sopportare, patire e soffrire una cosa di cui si dibatte in televisione, sui giornali e di cui si è parlato anche a scuola e che pensavo lontana anni luce dalla mia vita. Condensata in una parola semplice. Bullismo!
No. Non il dispetto passeggero di qualcuno a cui stai antipatico. Proprio una persecuzione. Da un paio di settimane, esattamente da 14 giorni, sette ore e una manciata di minuti. Da parte di un mio compagno di classe, Lorenzo, detto Lore.
Non gli ho mai fatto nulla. Giuro. Grande, grosso e ripetente è arrivato nella mia classe, la prima D dell’ Istituto comprensivo Sandro Pertini
, da chissà dove ed ha iniziato subito a prendermi di mira. Quando la nuova prof di Tecnica ha fatto il primo appello, si è messo a ridere appena ha sentito come mi chiamo.
«Clio? Che razza di nome è?».
Non mi ero nemmeno risentita troppo per la presa in giro. Ero abituata. Non avevo risposto, tirando contemporaneamente un bel frego rosso metaforico sul suo nome. Non sarebbe mai stato mio amico.
Il sabato sera successivo l’avevo incrociato al cinema. Ero con Sandra, la mia migliore amica. Alla fine dello spettacolo, mentre aspettavamo che sua madre venisse a prenderci, dalla sala era sbucato anche lui con alcuni compagni. Rivolgendosi alla mia compagna aveva detto: «Come fai ad andare in giro con una che si chiama Clio! È un nome da sfigati».
Se fossi stata intelligente avrei dovuto girarmi dall’altra parte e stare zitta. Però mi aveva irritato e avevo risposto seccata: «Ma pensa al tuo di nome! Lore! Sembra quello di un pappagallo idiota».
«Cretina» aveva replicato lui.
L’insulto quasi non l’avevo sentito. La mamma di Sandra era arrivata proprio in quel momento.
Pensavo fosse finita lì, ma sbagliavo. Me l’ero trovato davanti il lunedì mattina davanti alla scuola, alla fermata del bus da cui ero appena scesa. Sorrideva. Credevo volesse riconciliarsi e invece mi aveva afferrato per un braccio ed estratto dalla manica del giubbotto un coltello a scatto, puntandomelo alle reni.
«Ti credi furba eh? Adesso tutte le mattine entreremo in classe così».
Appena dentro aveva rinchiuso il coltello continuando a sorridere. Ero riuscita ad arrivare al bagno appena in tempo per non vomitare la colazione sul pavimento dell’atrio.
Il giorno dopo era successa la stessa cosa. Come quello dopo e quello dopo ancora. Da due settimane, domeniche e feste comandate escluse, sempre la stessa storia. Ed è cominciato il disastro.
Di notte non dormo per il terrore di quello che mi aspetta al mattino. Ho mal di stomaco in continuazione. Andare a scuola, che fino all’anno scorso era stata una cosa quasi piacevole, ormai è un tormento. I miei voti sono crollati in modo vergognoso. E poi whatsapp a raffica.
Il pezzo che faccio con te al mattino è il più bello della giornata
Magari vengo ad aspettarti davanti a casa
.
Da allora, per paura di incontrarlo, non sono più uscita di casa se non per frequentare le lezioni. Nemmeno tutti i giorni per la verità. Ho inventato più mali di testa, di stomaco e di pancia nell’ultimo periodo che nei precedenti dieci anni della mia carriera scolastica, asilo nido e scuola dell’infanzia compresi.
Come se non bastasse, niente più sabati con gli amici, niente più cinema o gelato con loro. Niente di niente. Non ho più rivisto nemmeno Sandra. Che si è pure offesa perché pensa che la trascuri.
Ho continuato con le lezioni di flauto. Quelle mi spiaceva perderle. E lì, per il momento, Lore non si è fatto vedere. Ma temo che questa sia l’ultima a cui mi presento. Oggi verrà ad aspettarmi. Ne sono sicura. L’ho intravisto all’angolo della strada quando sono entrata.
Panico. Mi manca il respiro. È una situazione infame e non ho coraggio di dirlo a qualcuno.
Non a papà, che comunque vedo poco ed è sempre in viaggio.
Non agli insegnanti. Magari non mi crederebbero.
Non ai compagni. Non voglio coinvolgerli in nessun modo.
Non a mamma, che si divide a fatica tra il lavoro, i turni di notte all’ospedale e la malattia della zia, che è ricoverata in una struttura per anziani, ma ha bisogno di assistenza.
Il residuo di pensiero che ancora navigava stancamente tra le mie sinapsi di parlare con lei e confessarle tutto, è sparito il giorno in cui è stata convocata dai prof per il mio scarso rendimento.
Quando siamo uscite, dopo aver ascoltato tutte le lagnanze, si è limitata a fissarmi con uno sguardo quasi di rassegnazione e con poche parole stanche.
«Clio, ti capisco. Hai ragione a sentirti trascurata, con l’anziana zia che sta male e tuo padre che tornerà solo per Natale. Ma per favore, non aggiungere altri problemi a quelli che ho già».
Fine della trasmissione.
Mi chiedo perché mi sta succedendo tutto questo. Mi vergogno come se fosse colpa mia. Sto male al pensiero di confessare la mia umiliazione. Ho paura. Paura che Lore possa farmi veramente del male.
«Parla con qualcuno e ti sfregio!».