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Le correnti a radiofrequenza applicate alla terapia del dolore
Le correnti a radiofrequenza applicate alla terapia del dolore
Le correnti a radiofrequenza applicate alla terapia del dolore
E-book338 pagine6 ore

Le correnti a radiofrequenza applicate alla terapia del dolore

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Info su questo ebook

I mezzi per contrastare il dolore diventano sempre più raffinati ed efficaci. I farmaci sono più sicuri e le tecniche interventistiche sono uscite dalla loro fase rudimentale grazie all'aiuto della tecnologia, per trasformarsi in strumenti sofisticati e precisi. L'alcol e il calore lesivo sono stati sostituiti dalle tecniche che, sfruttando la corrente elettrica, riescono a modulare gli impulsi nocicettivi piuttosto che distruggere le fibre nervose. Anche se dovremo studiare ancora a fondo per individuare con maggiore precisione limiti e indicazioni cliniche, oggi sappiamo che la neuromodulazione è un'evoluzione della neurolesione. L'impiego delle correnti elettriche a radiofrequenza con finalità antalgica rappresenta il paradigma di questo percorso. Questo libro si propone di trasferire conoscenza ed esperienze ai medici che intendono curane il dolore utilizzando queste tecniche.
LinguaItaliano
Data di uscita23 gen 2021
ISBN9788894584486
Le correnti a radiofrequenza applicate alla terapia del dolore

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    Le correnti a radiofrequenza applicate alla terapia del dolore - Carmelo Costa

    Carmelo Costa

    Le correnti a radiofrequenza applicate alla terapia del dolore

    ISBN: 9788894584486

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Prefazione

    1. Le correnti elettriche antalgiche con radiofrequenza

    1.1 La radiofrequenza pulsata

    1.2 Effetti fisici delle correnti a radiofrequenza

    1.3 Effetti biologici delle correnti a radiofrequenza

    1.4 Dai principi fisici all’applicazione clinica

    2. I blocchi nervosi diagnostici

    2.1 Generalità sulle tecniche di radiofrequenza

    3. Le tecniche a radiofrequenza nelle patologie dolorose trigeminali

    3.1 Anatomia

    3.2 Indicazioni

    3.3 Tecnica

    3.4 Procedura

    4. Le tecniche a radiofrequenza sul ganglio pterigopalatino

    4.1 Anatomia del ganglio pterigopalatino

    4.2 Indicazioni

    4.3 Tecnica

    4.4 Procedura

    5. Le tecniche a radiofrequenza sulle faccette articolari cervicali

    5.1 Anatomia

    5.2 Indicazioni

    5.3 Tecnica

    5.4 Procedura

    6. Le tecniche a radiofrequenza sulle faccette articolari toraciche

    6.1 Anatomia

    6.2 Indicazioni

    6.3 Tecnica

    6.4 Procedura

    7. Le tecniche a radiofrequenza sulle faccette articolari lombari

    7.1 Anatomia

    7.2 Indicazioni

    7.3 Tecnica

    7.4 Procedura

    8. Le tecniche a radiofrequenza sui gangli spinali cervicali

    8.1 Anatomia

    8.2 Indicazioni

    8.3 Tecnica

    8.4 Procedura

    9. Le tecniche a radiofrequenza sui gangli spinali toracici

    9.1 Anatomia

    9.2 Indicazioni

    9.3 Tecnica

    9.4 Procedura

    10. Le tecniche a radiofrequenza sui gangli spinali lombari

    10.1 Anatomia

    10.2 Indicazioni

    10.3 Tecnica

    10.4 Procedura

    11. Cateteri bipolari peridurali per l’erogazione di correnti a radiofrequenza

    11.1 Tecnica

    11.2 Raggiungimento del GRD nel tratto sacrale

    11.3 Raggiungimento del GRD nel tratto lombare

    11.4 Raggiungimento del GRD nel tratto toracico

    11.5 Raggiungimento del GRD nel tratto cervicale

    11.6 Conclusioni

    Bibliografia

    L'autore

    Ringraziamenti

    Questo libro è dedicato alla memoria dei miei genitori.

    La loro perdita è stata il più grande dolore della mia vita.

    Ed è anche dedicato ai miei figli, Vittoria e Filippo.

    La loro nascita è stata la più grande gioia della mia vita.

    Prefazione

    Per una lettura consapevole del libro

    Scrivere un libro sul dolore, ancorché un libro tecnico, non è mai una cosa semplice. Il dolore, secondo una definizione universalmente accettata, è un’esperienza sensitiva ed emotiva spiacevole, ed essendo un’emozione, o per lo meno una sensazione con forti contenuti emotivi, è più vicina al piacere che alla vista o all’udito. Non basta misurarlo, con strumenti tecnici più o meno sofisticati.

    Non si possono misurare l’amore o la paura, per citare alcune delle emozioni che regnano nell’animo umano.

    Il dolore non è altro che la sorpresa di non conoscerci affermava la poetessa Alda Merini, sottolineando ancora una volta l’aspetto emozionale del dolore. Forse per questo motivo, oltre che per il suo noto aspetto protettivo, il dolore è così difficile da combattere.

    Naturalmente mi riferisco al cosiddetto dolore cronico. Il dolore acuto è, fortunatamente, più alla portata dei nostri sforzi. E forse, come dice Guido Orlandini, chiamiamo ambedue i fenomeni dolore poiché non siamo stati capaci di trovare un altro termine che si adattasse meglio a definire il dolore cronico. Come se non bastasse, la ricerca scientifica degli ultimi anni ci ha svelato un nuovo e inquietante aspetto del dolore. La scoperta della plasticità del sistema nervoso, la sua capacità di adattarsi in seguito a ripetuti impulsi periferici ci ha permesso di comprendere il fenomeno della memoria del dolore e di ridefinire il dolore cronico non più come un dolore che dura per più di 3 o 6 mesi consecutivi, ma come la capacità che ha il nostro cervello di imparare il dolore in seguito alla formazione di nuovi circuiti neuronali.

    Come spesso accade, le intuizioni di alcune menti brillanti precorrono le conclusioni scientifiche. Diceva Dino Buzzati, in epoca pre-medicina basata sull’evidenza: Ogni dolore viene scritto su lastre di una sostanza misteriosa al paragone della quale il granito è burro. E non basta un’eternità a cancellarlo .

    Naturalmente, mano a mano che le nostre conoscenze sul dolore aumentano, anche i nostri mezzi per contrastarlo si fanno più raffinati ed efficaci. Non solo i farmaci sono più tollerati e sicuri, ma anche le tecniche interventistiche sono uscite dalla loro fase rudimentale e grossolana, grazie all’aiuto della tecnologia, per trasformarsi in strumenti sofisticati e precisi. L’alcol, e in parte il calore lesivo, sono stati sostituiti dalle tecniche che sfruttando la corrente elettrica riescono a modulare gli impulsi nocicettivi piuttosto che distruggere le fibre nervose con le quali vengono a contatto.

    Certamente dobbiamo ancora comprenderne a fondo il meccanismo d’azione, ottimizzare i parametri lettrici utilizzati routinariamente e individuare con maggior precisione limiti e indicazioni cliniche, ma non c’è dubbio che la neuromodulazione sia un’evoluzione della neurolesione.

    L’impiego delle correnti elettriche a radiofrequenza con finalità antalgica rappresenta il paradigma di questo percorso. Nate per sfruttare il calore lesivo sulle fibre nervose interrompendo così il passaggio dello stimolo nocicettivo, a metà degli anni Novanta si sono evolute nella loro variante neuromodulatoria di radiofrequenza pulsata (PRF).

    Inizialmente la comunità scientifica è rimasta disorientata da questa innovazione e molto si è dibattuto, e tuttora si dibatte, sull’effettiva potenzialità antalgica di questa metodica. In altre parole, ci si chiede se sia veramente possibile ottenere un pain relief senza lesione nervosa in seguito a un’applicazione di pochi minuti su un bersaglio nervoso ancora difficile da individuare con esattezza come il miglior bersaglio possibile.

    Nell’attesa di dirimere questo dubbio, la metodica si è comunque diffusa a macchia d’olio. Purtroppo è accaduto che la mancata comprensione del meccanismo d’azione della PRF, insieme alla scarsità di potenziali complicanze connesse al suo uso, ne abbia fatto uno strumento da adoperare nelle più disparate situazioni cliniche e, quel che è peggio, con scarso rispetto dei presupposti fisici del suo funzionamento.

    Infatti, mentre per eseguire una termolesione con la radiofrequenza continua il medico deve solo sapere quanti gradi di temperatura occorre erogare e per quanto tempo, per eseguire una neuromodulazione con PRF bisogna conoscere il rapporto fisico che lega il voltaggio, l’intensità di corrente e l’impedenza, oltre ad avere abbastanza chiaro il concetto di corrente elettrica e campo elettrico. In assenza di questa conoscenza, che normalmente non viene richiesta a un medico, i risultati della PRF sono stati spesso modesti e tali da far dubitare della sua reale efficacia.

    I miei risultati con la PRF sono migliorati notevolmente quando ho acquisito consapevolezza dei fondamenti tecnici che dovevo rispettare per eseguirla correttamente. Questa è la finalità del libro, trasferire esperienza e conoscenze in modo comprensibile. Ma la sua ambizione maggiore è quella di indicare un corretto modus operandi, cioè non eseguire alcuna terapia invasiva senza aver prima risposto alla domanda: Qual è la diagnosi patogenetica del dolore di questo paziente ? . Poiché se la diagnosi senza una successiva terapia può considerarsi sterile, la terapia senza una precedente diagnosi può essere pericolosa.

    Buona lettura.

    Carmelo Costa

    1. Le correnti elettriche antalgiche con radiofrequenza

    La corrente elettrica alternata a radiofrequenza oscilla a una frequenza relativamente alta di 500 KHz. Per uso medicale terapeutico, questa corrente è erogata da un generatore (Figura 1.1) e trasmessa a un sottile ago-elettrodo che è inserito in un ago guida completamente isolato tranne che nella sua parte distale, punta attiva, la cui lunghezza varia mediamente da 2 a 10 mm (Figura 1.2).

    Nella maggior parte dei casi, la punta attiva misura 4 o 5 mm (Figura 1.3). Attraverso questa punta fluisce la corrente elettrica e il campo elettrico. Occorre chiarire che questi fenomeni sono differenti. La corrente elettrica si può considerare un flusso di elettroni e fluisce soprattutto ai lati della punta attiva e molto poco davanti alla punta. La sua diffusione è direttamente proporzionale alla lunghezza della punta attiva e al calibro dell’ago. Il campo elettrico, invece, si può considerare la somma di forze elettriche vettoriali e fluisce soprattutto al davanti della punta e molto poco ai lati. Esso decresce rapidamente oltre 0,5 mm di distanza dalla punta ed è inversamente proporzionale al diametro della punta. Quindi, un ago più appuntito e sottile emetterà un campo elettrico di maggiore forza. Grazie a un sensore di temperatura posto all’estremità dell’ago, termocoppia, viene monitorata la temperatura dei tessuti nei quali si trova l’ago. Durante le applicazioni a radiofrequenza, attorno alla punta dell’ago avviene il passaggio della corrente elettrica. Questa si diffonde nel tessuto circostante che, come ogni materia attraversata da corrente elettrica, possiede una propria resistenza (impedenza elettrica, R, misurata in Ohm).

    Figura 1.1 Generatore di corrente a radiofrequenza

    Figura 1.2

    a) Mandrino dell’ago-guida che viene rimosso prima di introdurre l’ago elettrodo

    b) Ago-guida teflonato con punta attiva

    c) Ago elettrodo che si connette al generatore

    Figura 1.3 Dettaglio dell’ago teflonato con punta attiva

    Nelle nostre applicazioni, l’impedenza fisiologica dei tessuti attraversati da corrente elettrica si trova in un range di valori che nella maggior parte dei casi oscilla tra 200 e 800 Ohm. Un importante effetto secondario è rappresentato dal fatto che il tessuto sottoposto a questo attraversamento di corrente si riscalda secondo il principio noto come "effetto Joule". Il fenomeno, che tradizionalmente è stato sfruttato a scopi antalgici, è quello della formazione di calore per produrre lesioni termiche nei tessuti nervosi con i quali l’ago viene posto a contatto. A tal proposito occorre ricordare che la punta dell’ago non è riscaldata dalla corrente elettrica e che quindi non riscalda il tessuto con il quale viene a contatto: al contrario, l’ago si riscalda perché a contatto con il tessuto circostante che a sua volta, quando attraversato da una corrente elettrica, si surriscalda per effetto Joule. In queste condizioni, dunque, il sensore a termocoppia all’interno dell’ago misura la variazione di temperatura del tessuto durante il trattamento a radiofrequenza e comunica il dato al generatore che lo rende visibile nel display. Il valore di temperatura è una guida utilissima per permetterci di effettuare una lesione controllata e riproducibile. Esso è solo leggermente inferiore all’effettiva temperatura raggiunta nei tessuti grazie a un modesto assorbimento che si realizza alla punta dell’ago. 1,2 Un altro concetto da tenere bene in mente è quello che la corrente si diffonde soprattutto alla periferia della punta esposta e poco al davanti. Per tale motivo, la struttura nervosa bersaglio dovrebbe trovarsi, idealmente, al lato dell’ago e non davanti a esso (Figura 1.4).

    Figura 1.4 Diffusione della corrente

    a) Se la punta attiva è posta davanti alla struttura nervosa ne ingloba solo una piccola parte

    b) Se la punta attiva è posta a fianco della struttura nervosa ne ingloba la gran parte

    c) La punta attiva posizionata a lato della struttura nervosa la ingloba in maniera completa

    Da Orlandini G. La chirurgia percutanea del dolore. Delfino Editore 2011, mod

    Per definizione, quando la temperatura raggiunta nei tessuti supera i 44°C si verifica una lesione irreversibile. 3 Ogni volta che si esegue una termolesione occorre valutare bene l’eventuale danno nervoso e le sue conseguenze cliniche. Non a caso, attualmente le procedure neurolesive più attuate sono la termorizotomia trigeminale, dove la lesione avviene a carico della radice retrogasseriana del nervo trigemino, nervo quasi esclusivamente sensitivo, e la cordotomia cervicale percutanea, dove la lesione avviene sul tratto spinotalamico nel quale non esiste alcuna componente motoria. La denervazione delle faccette articolari, attraverso la lesione della branca mediale, rappresenta un’eccezione, grazie alle conseguenze irrilevanti sulla componente motoria di un piccolo ramo nervoso terminale.

    Da quanto suesposto sembrerebbe ovvio pensare che l’effetto antalgico della radiofrequenza sia raggiunto grazie a una lesione nervosa termica in grado di impedire il passaggio attraverso il nervo leso dell’ input nocicettivo. Ma alcune osservazioni empiriche fanno pensare che probabilmente esiste un altro meccanismo d’azione oltre a quello del calore lesivo.

    Per esempio, perché dopo un trattamento con radiofrequenza il pain relief dura più a lungo della perdita di sensibilità nel dermatomero interessato?

    O ancora, perché a volte i pazienti sperimentano il pain relief senza che si sia manifestata alcuna riduzione della sensibilità?

    Si potrebbe pensare a un effetto selettivo della lesione termica sulle fibre amieliniche, che conducono la sensazione dolorosa, con risparmio delle grosse fibre mieliniche A beta che conducono le sensazioni tattili, ma in realtà ciò non avviene e quando si esegue una lesione nervosa tutte le fibre vengono coinvolte indipendentemente dal loro calibro e dalla presenza della guaina mielinica.

    Il ruolo del calore come unico meccanismo antalgico venne messo ulteriormente in discussione dal risultato di uno studio di Slappendel e collaboratori 4 che non trovò nessuna differenza nei risultati di pazienti sottoposti a trattamenti con radiofrequenza quando la temperatura alla punta dell’elettrodo era di 40°C o di 67°C. Tutto ciò fa pensare che esista un altro, forse addizionale, meccanismo oltre al calore che altera la trasmissione del segnale doloroso.

    1.1 La radiofrequenza pulsata

    Nel 1996 Slujiter, avendo intuito la possibilità che esistesse un altro efficace meccanismo d’azione oltre al calore e volendo ottenere gli effetti antalgici senza le complicanze potenziali connesse alla neurolesione termica, mise a punto una diversa forma di corrente a radiofrequenza, la radiofrequenza pulsata (PRF). 5

    Il principio fisico è semplice: in 1 secondo si succedono due cicli di erogazione di radiofrequenza convenzionale di 20 ms ciascuno.

    Tra un ciclo e l’altro c’è una fase di silenzio elettrico che dura 480 ms durante la quale il calore viene dissipato attraverso la circolazione ematica e la conduttività termica (Figura 1.5).

    Figura 1.5 Radiofrequenza pulsata (PRF)

    Da Sluijter M.E. Le radiofrequenze. Parte prima. Delfino Editore, 2011, mod

    Il voltaggio in uscita del segnale elettrico è limitato a 45 V, ma se la temperatura alla punta dell’elettrodo supera i 42°C il voltaggio viene ridotto. In questa maniera la temperatura media misurata dal sensore posto sulla punta dell’ago non supera i 42°C-43°C. Si ottengono così degli effetti antalgici non attribuibili alla lesione termica. Quando la tecnica venne messa a punto i parametri elettrici consigliati furono i seguenti: frequenza 2 Hz, 20 ms di impulso attivo e 480 ms di pausa alternati 2 volte al secondo. Temperatura non eccedente i 42°C-43°C. Durata dell’erogazione 120 secondi. Voltaggio non superiore a 45 V. Tranne per la temperatura, che si sapeva dovesse rimanere al di sotto dei 44°C per non provocare effetti neurolesivi, gli altri parametri elettrici vennero stabiliti in maniera arbitraria ripromettendosi di modificarli in seguito qualora la ricerca scientifica avesse dimostrato la maggiore utilità di altri parametri. Così impostata, comunque, la radiofrequenza pulsata ha dato buona prova di sé e in questi anni migliaia di pazienti con patologie dolorose persistenti e croniche, prevalentemente di dolore neuropatico, sono stati trattati con successo.

    Studi clinici randomizzati ben condotti hanno dimostrato che la radiofrequenza pulsata adiacente ai gangli della radice dorsale (GRD) ai vari livelli del rachide è sicuramente efficace nel controllare il dolore radicolare cervicale, 6 toracico 7 e lombosacrale, 8-10 cioè in sedi che erano off limits per la radiofrequenza continua. Ma anche quando applicata sui gangli autonomici, come il ganglio sfenopalatino, si è dimostrata efficace. 11 Sul ganglio di Gasser, invece, il suo impiego attualmente non è considerato efficace come quello con la radiofrequenza continua, 12 ma recenti studi hanno dimostrato che, modificando alcuni parametri elettrici come il voltaggio, pur lasciando immutata la temperatura al di sotto dei 44°C, il risultato migliora decisamente. 13 Inoltre la radiofrequenza pulsata ha dimostrato di funzionare anche sui nervi periferici come, per esempio, i nervi sovrascapolare 14 e occipitale. 15 In tutte queste strutture nervose, sensitive o miste, la radiofrequenza pulsata agisce bene come la radiofrequenza continua, e a volte meglio, senza provocare gli effetti collaterali connessi alle alte temperature. Questo è l’innegabile vantaggio per il quale la radiofrequenza pulsata costituisce senz’altro un deciso passo avanti nell’evoluzione della terapia antalgica con la corrente elettrica a radiofrequenza.

    Ma se è senz’altro efficace nel controllare il dolore, qual è il suo meccanismo d’azione?

    Che non sia il calore lo ha dimostrato un lavoro di Sluijter del 1998 nel quale comparò gli effetti della radiofrequenza continua a 42°C con quelli della radiofrequenza pulsata a 42°C e trovò migliori risultati con quest’ultima. 16 Nel 2002, Cahana e collaboratori osservarono che, sottoponendo colture di tessuto nervoso a radiofrequenza pulsata a 38°C e 40°C e a radiofrequenza continua a 42°C, soltanto con la radiofrequenza pulsata si registrava, con esami neuroelettrofisiologici, una modulazione della trasmissione sinaptica eccitatoria. 17

    Per comprendere il meccanismo d’azione della radiofrequenza pulsata dobbiamo analizzare più attentamente gli effetti fisici e biologici della sua applicazione.

    1.2 Effetti fisici delle correnti a radiofrequenza

    Noi sappiamo che la radiofrequenza pulsata alterna brevi impulsi di segnali a radiofrequenza. La produzione di calore durante questi impulsi è direttamente proporzionale all’intensità di corrente (I) e al voltaggio, (V), che sono i due parametri che, in base alla prima legge di Ohm, (I=V/R*) aumentano in maniera direttamente proporzionale tra di loro. Ogni impulso dura 20 ms, ma la sua oscillazione di frequenza intrinseca per ciascun impulso è circa 420 KHz, che è la stessa della radiofrequenza continua.

    Nella radiofrequenza pulsata, siccome la durata degli impulsi è solo una piccola percentuale del tempo tra gli impulsi, la temperatura media raggiunta nei tessuti allo stesso voltaggio di 45 V è molto più bassa che nella radiofrequenza continua; per questo motivo, voltaggi elevati possono essere impiegati senza raggiungere la temperatura neurolesiva oltre i 44°C.

    All’inizio si pensava che la radiofrequenza pulsata non producesse nessun effetto termico neurolesivo, ma esperimenti in vitro hanno dimostrato brevi elevazioni di temperatura, fino a 50°C, durante la fase attiva di 20 ms e in funzione dell’impedenza dei tessuti. Infatti questi picchi di calore si riducono se la durata della fase attiva passa da 20 ms a 10 ms. 18 Non si sa se questi transitori picchi di calore provochino un effetto ablativo, ma nella pratica clinica quotidiana, dopo aver eseguito correttamente un trattamento a radiofrequenza pulsata su una struttura nervosa, si assiste alla scomparsa del dolore nell’immediato postoperatorio. E questo anche per dolori nocicettivi con importante componente incident (esperienza personale non pubblicata). Ma non si riesce a evidenziare alcun deficit neurologico, né sensitivo né motorio. In altre parole, è come se si fosse provocata una ridotta neurolesione termica. 19-21

    Quindi, almeno una parte dell’effetto della radiofrequenza pulsata è dovuto probabilmente a un limitato effetto neurolesivo. La parte del leone la fa il campo elettrico di alta intensità, i cui effetti sono stati ben studiati.

    In generale, la radiofrequenza pulsata produce un campo elettrico più forte della radiofrequenza continua. Sulla punta dell’elettrodo il campo elettrico misura 185.000 V/m (volt/metro è l’unità di misura del campo elettrico) utilizzando i consueti parametri

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