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Gita al faro
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E-book249 pagine4 ore

Gita al faro

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Gita al Faro (1927) è il ritratto corale della famiglia Ramsay che ogni estate ospita diversi amici su un’isola delle Ebridi. Virginia Woolf sembra avere una lente di ingrandimento con la quale osserva ognuno di loro, con il suo flusso continuo di pensieri, immagini, ricordi, associazioni, aspettative, paure. Una narrazione dotata di una sinestesia percettiva, un procedere ambivalente tra la fredda razionalità dell’analisi e la visione più intuitiva, e forse più femminile, della sintesi, un ampliamento di coscienza che si potrebbe definire quasi una danza tra i due emisferi cerebrali.
LinguaItaliano
Data di uscita12 feb 2021
ISBN9788831372237
Autore

Virginia Woolf

Virginia Woolf (1882-1941) was an English novelist. Born in London, she was raised in a family of eight children by Julia Prinsep Jackson, a model and philanthropist, and Leslie Stephen, a writer and critic. Homeschooled alongside her sisters, including famed painter Vanessa Bell, Woolf was introduced to classic literature at an early age. Following the death of her mother in 1895, Woolf suffered her first mental breakdown. Two years later, she enrolled at King’s College London, where she studied history and classics and encountered leaders of the burgeoning women’s rights movement. Another mental breakdown accompanied her father’s death in 1904, after which she moved with her Cambridge-educated brothers to Bloomsbury, a bohemian district on London’s West End. There, she became a member of the influential Bloomsbury Group, a gathering of leading artists and intellectuals including Lytton Strachey, John Maynard Keynes, Vanessa Bell, E.M. Forster, and Leonard Woolf, whom she would marry in 1912. Together they founded the Hogarth Press, which would publish most of Woolf’s work. Recognized as a central figure of literary modernism, Woolf was a gifted practitioner of experimental fiction, employing the stream of consciousness technique and mastering the use of free indirect discourse, a form of third person narration which allows the reader to enter the minds of her characters. Woolf, who produced such masterpieces as Mrs. Dalloway (1925), To the Lighthouse (1927), Orlando (1928), and A Room of One’s Own (1929), continued to suffer from depression throughout her life. Following the German Blitz on her native London, Woolf, a lifelong pacifist, died by suicide in 1941. Her career cut cruelly short, she left a legacy and a body of work unmatched by any English novelist of her day.

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    Gita al faro - Virginia Woolf

    Virginia Woolf

    Gita al Faro

    ISBN: 9788831372237

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    https://writeapp.io

    Indice dei contenuti

    PRESENTAZIONE

    Virginia Woolf

    Gita al Faro

    I. LA FINESTRA

    II. IL TEMPO PASSA

    III. IL FARO

    Virginia Woolf

    Gita al Faro eBook

    (edizione integrale)

    Traduzione di Laura Pierantoni

    Recitar Leggendo Edizioni

    ©2018 audiolibro – ©2021 Ebook – Diritti riservati

    Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

    RECITAR LEGGENDO EDIZIONI

    www.recitarleggendo.it

    ISBN Ebook: 978–88–31372–23–7

    Copertina a cura di Giuseppe Rossi

    La versione in audiolibro di questo testo può essere reperita presso:

    Recitar Leggendo Audiolibri

    https://www.recitarleggendo.it/071gitaalfaro

    PRESENTAZIONE

    Recitar Leggendo Audiolibri è una iniziativa editoriale indipendente nata nel 2004 e curata da Claudio Carini, attore di prosa con oltre quarant’anni di esperienza nel campo della lettura ad alta voce. Da questa vasta esperienza nasce la linea editoriale della Casa Editrice, prevalentemente dedicata ai grandi classici: Ariosto, Dante, Boccaccio, Petrarca, Leopardi, Omero, oltre a quei moderni che sono ormai anch'essi dei grandi classici, come Calvino, Verga, Svevo, Pirandello.

    Con lo scopo di diffondere ulteriormente le opere immortali dei grandi classici, e per dare la possibilità di seguire il testo durante l’ascolto del relativo audiolibro, Recitar Leggendo ha avviato una collana di ebook le cui traduzioni sono pensate per la lettura ad alta voce. Tutti i testi della collana ebook, infatti, sono disponibili anche in audiolibro, sia in formato CDmp3 (nelle migliori librerie) che in formato download (scaricabile dai più importanti portali di audiolibri).

    Per conoscere il mondo Recitar Leggendo visita il sito:

    www.recitarleggendo.it

    Email: info@recitarleggendo.com

    Virginia Woolf

    Adeline Virginia Woolf (Londra, 25 gennaio 1882 – Rodmell, 28 marzo 1941) è considerata una delle principali figure della scena letteraria del XX secolo.

    Nata in una famiglia dell’alta borghesia, riceve un’educazione raffinata e cresce in un ambiente frequentato da scrittori e intellettuali, il padre essendo anch’egli scrittore nonché editore. La breve vita di Virginia si svolge principalmente tra la produzione letteraria e l’attivismo politico in favore dell’emancipazione femminile. Grandi amori della sua vita furono il marito Leonard Woolf e Vita Sackville–West che le ispirerà il romanzo Orlando. Con il marito fondò la casa editrice Hogarth Press, che pubblicò fra gli altri, oltre ai titoli della stessa Woolf, le opere di Katherine Mansfield (l’unica scrittrice di cui Virginia invidiava il talento), Italo Svevo, Sigmund Freud (di cui pubblicarono l’opera omnia) e T. S. Eliot.

    Marguerite Yourcenar, che tradusse Le onde in francese, descrisse la Woolf come una grande virtuosa della lingua inglese, tra i pochi scrittori con la chance di essere ricordata dai posteri, paragonandola, in un saggio a lei dedicato, al pittore Vermeer «per il fascino quasi idilliaco dei colori che rivela lo stesso gusto delle vibrazioni uniche, dei minuti eterni di cui è fatto il mondo di Virginia Woolf, per la magia segreta che impregna le loro immagini, seppure rese con strumenti diversi».

    Tra le sue opere, ricordiamo: La stanza di Jacob, La signora Dalloway, Orlando, Le onde e Una stanza tutta per sé, un saggio che rivendica i diritti delle donne contro la predominanza maschile in ambito culturale e letterario e che negli anni ’60 ebbe un forte impatto sul movimento femminista.

    Diviso in tre parti, Gita al faro è il suo romanzo più autobiografico. Ambientato in una grande casa vicino al mare nelle isole Ebridi, ricordo della residenza estiva della famiglia che, in realtà, si trovava nel sud dell’Inghilterra, nei personaggi è riconoscibile la numerosa famiglia Woolf. La prima parte Alla finestra è la narrazione di una giornata vissuta dalla famiglia Ramsey in cui la scrittrice racconta la vita interiore dei personaggi utilizzando la tecnica del flusso di coscienza e il monologo interiore indiretto; qui il tempo è quello della mente ed è la parte più lunga del romanzo, mentre nella seconda e nella terza parte il tempo è quello oggettivo.

    «Io tendo a un diverso tipo di bellezza: raggiungere una simmetria per mezzo di discordanze infinite. Ottengo infine una sorta di insieme composto di frammenti palpitanti. A me sembra, questo, un processo naturale: il volo della mente.»

    Gita al Faro

    Gita al Faro (1927) è il ritratto corale della famiglia Ramsay che ogni estate ospita diversi amici su un’isola delle Ebridi. Virginia Woolf sembra avere una lente di ingrandimento con la quale osserva ognuno di loro, con il suo flusso continuo di pensieri, immagini, ricordi, associazioni, aspettative, paure. Una narrazione dotata di una sinestesia percettiva, un procedere ambivalente tra la fredda razionalità dell’analisi e la visione più intuitiva, e forse più femminile, della sintesi, un ampliamento di coscienza che si potrebbe definire quasi una danza tra i due emisferi cerebrali.

    I. LA FINESTRA

    1.

    «Ma sì, certamente, se domani sarà bel tempo» disse la signora Ramsay, «ma dovrai svegliarti con le allodole» aggiunse.

    A suo figlio quelle parole suscitarono una gioia straordinaria, come fosse ormai deciso che la spedizione si sarebbe fatta e l’evento meraviglioso che lui attendeva da tanti anni, fosse lì, a portata di mano, dopo una notte buia e un giorno di navigazione.

    Perché già all’età di sei anni, lui apparteneva a quella categoria di persone che, incapaci di separare le emozioni, lasciano che l’immaginazione del futuro, penosa o gioiosa che sia, offuschi il momento presente e poiché per questo tipo di persone, sin dall’infanzia, ogni oscillazione del sentire ha il potere di fissare e cristallizzare l’attimo su cui proietta il suo splendore o la sua oscurità, James Ramsay, seduto sul pavimento a ritagliare figurine dal Catalogo illustrato Army and Navy, alle parole della madre, riversò sulla figurina di un frigorifero una felicità celestiale: i suoi bordi ritagliati sprizzavano gioia.

    La carriola, il tosaerba, il suono dei pioppi, le foglie che in attesa della pioggia si sbiancano, le cornacchie gracchianti, il picchiettio delle ginestre, il fruscio degli abiti, tutto era così nitido e distinto nella sua mente che lui aveva già un suo codice privato, una sua lingua segreta; eppure con la sua fronte alta e i fieri occhi azzurri di una purezza e di un candore impeccabili, che si accigliavano di fronte alla fragilità umana, James sembrava il ritratto della severità più nuda e intransigente cosicché sua madre, guardandolo mentre ritagliava attento i bordi del frigorifero, lo immaginava con una toga rossa di ermellino dietro il banco di un giudice o a condurre qualche impresa ardua e decisiva durante una crisi della vita pubblica.

    «Comunque,» disse suo padre fermandosi alla finestra del salotto, «non sarà bel tempo.»

    Se ci fosse stata a portata di mano un’ascia, un attizzatoio o una qualsiasi arma per squarciare il petto di suo padre e ucciderlo, James, lì su due piedi, l’avrebbe fatto. Tanto estremi erano i sentimenti che il signor Ramsay suscitava nel cuore dei suoi figli con la sua semplice presenza; come adesso che se ne stava lì, smilzo e affilato come una lama di coltello, col sorriso sarcastico, non solo con il piacere di deludere il figlio e ridicolizzare la moglie, che era diecimila volte migliore di lui (pensava James), ma anche con la segreta presunzione per l’esattezza della sua previsione: quello che lui diceva era vero. Era sempre vero. Era incapace di falsità; non alterava mai i fatti; mai cambiata una parola sgradevole per il piacere o per assecondare nessuno, men che meno i suoi figli che, carne della sua carne, dovevano imparare, sin dall’infanzia, che la vita è difficile, che i fatti sono fatti e che il passaggio a quella mitica terra dove si estinguono le nostre speranze più brillanti e dove le nostre fragili scorze affondano nell’oscurità (e qui il signor Ramsay raddrizzò la schiena stringendo i suoi piccoli occhi blu sull’orizzonte) esige soprattutto coraggio, verità e forza di sopportazione.

    «Ma magari sarà bel tempo, anzi, credo proprio che lo sarà» disse la signora Ramsay rigirando spazientita la calza rossiccia che stava lavorando ai ferri. Se l’avesse finita in serata, e se fossero finalmente andati al faro, avrebbe consegnato le calze al guardiano del Faro per il suo bambino minacciato di tubercolosi all’anca; avrebbe portato anche una pila di vecchie riviste, un po' di tabacco e in effetti, quello che avrebbe trovato in giro per casa e che era di ingombro, per dare un po' di svago a quei poveretti che dovevano annoiarsi a morte, seduti tutto il giorno senza far niente se non lucidare la lampada, pareggiarne lo stoppino e rastrellare il loro piccolo lembo di orto. «A voi piacerebbe forse stare confinati per un mese intero o anche più, in caso di tempesta, su di uno scoglio grande come un campo da tennis,» chiedeva la signora Ramsay, «senza ricevere lettere, né giornali, senza incontrare nessuno? Poi se uno fosse sposato non potrebbe vedere sua moglie, né sapere come stanno i figli, se sono malati o se sono caduti magari rompendosi una gamba o un braccio; vedere le stesse tristi onde infrangersi settimana dopo settimana, e poi, quando arriva la tempesta le finestre si coprono di spruzzi, gli uccelli sbattono contro la lampada, tutto trema e non si può mettere il naso fuori di casa per paura di essere trascinati in mare. Vi piacerebbe?» chiedeva rivolgendosi soprattutto alle figlie. Quindi, cambiando tono, aggiunse che bisognava portar loro tutto quello che poteva essere di conforto.

    «È il vento di ponente» disse Tansley l’ateista, allargando le sue dita ossute, in modo che il vento le attraversasse, mentre camminava a fianco del signor Ramsay nella sua passeggiata serale su e giù per la terrazza. E ciò significava che il vento soffiava dalla peggior direzione possibile per veleggiare verso il Faro. «Eh già, riusciva a dire sempre cose spiacevoli» ammise la signora Ramsay; era odioso da parte sua insistere e deludere ancor di più il piccolo James, ma, al tempo stesso, non avrebbe permesso che si ridesse di lui. L’ateista, lo chiamavano: il piccolo ateo. Rose lo prendeva in giro; Prue lo prendeva in giro; Andrew, Jasper, Roger lo prendevano in giro; persino il vecchio Badger, senza più un dente in bocca, lo aveva morso per essere (come diceva Nancy) l’ennesimo giovane a seguirli fino alle Ebridi, dove invece era così bello starsene da soli.

    «Sciocchezze» disse la signora Ramsay con grande severità. A parte la tendenza a esagerare che avevano preso da lei e l’allusione (peraltro vera) ai troppi invitati di cui amava circondarsi e che a volte doveva far ospitare in paese, lei non poteva tollerare la minima scortesia verso i suoi ospiti, in particolare verso i più giovani e poveri in canna ma eccezionalmente dotati – come diceva suo marito – di cui erano grandi ammiratori, e che venivano per trascorrere una vacanza con loro. In effetti, la signora Ramsay, proteggeva l’altro sesso, per ragioni che non riusciva a spiegarsi, forse per lo spirito cavalleresco e per il valore dei maschi; forse perché negoziavano trattati, governavano l’India, gestivano le finanze; ma in fondo in fondo, per quell’atteggiamento che avevano nei suoi confronti, che avrebbe lusingato ogni altra donna, qualcosa di fiducioso, infantile, reverenziale; che una signora di una certa età, come lei, poteva ricevere anche da un giovanotto senza perdere la sua dignità, e guai alla ragazza – e lei pregava che non fosse mai una delle sue figlie – che non sapesse stimarne il valore e tutto ciò che implicava fino al midollo delle ossa!

    Si voltò guardando severamente Nancy e disse che lui non li aveva inseguiti: era stato invitato. E che quindi dovevano trovare una via d’uscita, in modo semplice e poco faticoso, sospirò. Quando si guardava allo specchio e si vedeva coi capelli grigi, la guancia affossata, pensava che a cinquant’anni, forse, avrebbe potuto gestire meglio le cose: suo marito, i soldi, i suoi libri. Ma per come era fatta, non avrebbe mai rimpianto, per un solo secondo, le sue decisioni e non avrebbe mai evitato le difficoltà o i doveri. Ora, lei era bellissima e nel silenzio che seguì al severo discorso in favore di Charles Tansley, le sue figlie Prue, Nancy e Rose alzarono lo sguardo dai loro piatti e ricominciarono a fantasticare una vita diversa da quella della madre, magari a Parigi, una vita più avventurosa, non sempre a prendersi cura di un uomo o di un altro. E intimamente nutrivano molti dubbi sul rispetto e lo spirito cavalleresco, sulla Banca di Inghilterra e l’impero indiano, su anelli nuziali e merletti, benché ci fosse qualcosa in tutto questo che riportava all’essenza della bellezza, e richiamava l’idea della virilità nei loro cuori di fanciulle, e le induceva, lì sedute a tavola sotto gli occhi della madre, a rispettare la sua particolare severità, la sua estrema cortesia, come una regina che alza dal fango il piede sporco di un mendicante per lavarlo, quando le aveva ammonite così duramente per quel povero ateista che li aveva seguiti – o meglio, era stato invitato a raggiungerli – sull’isola di Skye.

    «Domani non ci sarà nessuna gita al Faro» disse Charles Tansley battendo le mani, fermo davanti alla finestra col signor Ramsay. Aveva parlato fin troppo. Lei desiderava che andassero a parlare altrove lasciandola tranquilla con James. Guardò Tansley. Era un essere così miserabile, dicevano i ragazzi, tutto gobbe e affossamenti. Non sapeva neanche giocare a cricket; si muoveva impacciato e strascicava i piedi. Andrew diceva che era un bruto pieno di sarcasmo. Sapevano quale era il suo passatempo preferito: passeggiare continuamente su e giù per la terrazza con il signor Ramsay, commentando chi aveva vinto questo o quello, chi era un fuori– serie in latino, chi era brillante ma io credo fondamentalmente corrotto, chi era, senza alcun dubbio lo studioso più meritevole del college di Balliol, chi aveva temporaneamente sepolto le sue doti a Bristol o a Bedford ma era destinato a far parlar di sé, in futuro quando i suoi Prolegomeni alla matematica e alla filosofia, di cui il signor Tansley aveva con sé le prime bozze da mostrare al signor Ramsay – se lui avesse voluto – avrebbero visto la luce.

    Questo era ciò di cui parlavano.

    A volte lei stessa non poteva fare a meno di ridere. Qualche giorno prima, lei aveva detto qualcosa riguardo alle onde alte come montagne. Sì, aveva risposto Charles Tansley il mare era un po' agitato. «Ma non siete inzuppato fradicio?» «Umido, non bagnato» aveva risposto lui strizzandosi una manica e i calzini.

    Ma i figli dicevano che non era questo a dar loro fastidio. Non era la sua faccia; non erano i suoi modi. Era lui – il suo modo di vedere le cose. Quando parlavano di qualcosa di interessante come la musica, la storia, le persone, o di qualsiasi altro argomento, e se magari era una bella serata e suggerivano di sedersi insieme fuori, ecco, ciò di cui si lamentavano i ragazzi era che Charles Tansley non era contento finché non ribaltava la situazione per mettere in mostra sé stesso e screditare tutti quanti. Lui era capace di andare in una galleria d’arte e chiedere alle persone se apprezzavano la sua cravatta. «E Dio solo sa se non lo aveva mai fatto!» disse Rose.

    Appena terminata la cena, gli otto figli dei signori Ramsay, scomparvero da tavola furtivi come spie e si ritirarono nelle loro camere, i loro rifugi in una casa dove non c’era alcuna intimità per discutere del più e del meno: la cravatta di Tansley, l’approvazione della legge di Riforma, uccelli marini, farfalle, persone, mentre il sole irrompeva in quelle mansarde dove una sola tavola separava gli spazi, così che ogni passo si sentiva chiaramente – con la cameriera svizzera che piangeva per il padre, ammalato di cancro, lontano in una valle dei Grigioni – e illuminava mazze, abiti di flanella, cappelli di paglia, calamai, boccette di colore, scarafaggi, teschi di uccellini e faceva salire, dalle strisce di alghe appese alla parete, un odore di salmastro e di erbacce che impregnava anche gli asciugamani ruvidi di sabbia.

    Conflitti, divisioni, divergenze d’opinione, pregiudizi sono connaturati nell’essere umano, oh, però non dovrebbero cominciare così presto, si lamentava la signora Ramsay. I suoi figli erano così critici, dicevano tali assurdità. Uscì dalla sala da pranzo tenendo per mano James che non voleva unirsi ai fratelli. Le sembrava folle inventare delle differenze quando le persone, e lo sa il cielo, sono già abbastanza diverse senza il bisogno di inventarselo. Le differenze reali, pensò in piedi vicino alla finestra del salotto, sono più che sufficienti. In quel momento stava pensando ai poveri e ai ricchi, a grandi e umili; un po' a malincuore nutriva del rispetto per chi aveva sangue nobile perché anche lei aveva nelle vene il sangue di quel nobilissimo e mitico casato di origini italiane le cui figlie, sparse nei salotti inglesi dell’800, sbiascicavano la s così graziosamente, vivevano passioni tempestose, e tutto il suo spirito, i suoi modi, il suo temperamento venivano da lì e non dai pigri inglesi o dai freddi scozzesi.

    Ma con maggior insistenza rimuginava sul contrasto fra i poveri e i ricchi e sulle cose che vedeva ogni settimana, ogni giorno lì o a Londra, quando visitava una qualche vedova o una qualche moglie in difficoltà, con la borsa sotto al braccio, e segnava sul suo taccuino, nelle colonne che tracciava con cura, salario e spese, lavori e disoccupazione con la speranza di non sentirsi più una donna qualunque che fa la carità, in parte per alleviare il suo senso di indignazione e in parte per soddisfare la sua curiosità; nonostante l’inesperienza amava vestire i panni di una figura che tanto ammirava: quelli della studiosa dei problemi sociali.

    Le sembravano problemi irrisolvibili, pensava lì in piedi, tenendo James per mano. Quel giovanotto di cui si facevano beffe l’aveva seguita in salotto; era in piedi, vicino al tavolo, giocherellava impacciato con qualcosa, sentendosi estraneo a tutto, lo capiva senza neanche guardarlo.

    Se ne erano andati tutti: i bambini, Minta Doyle e Paul Rayley, Augustus Carmichael, suo marito, se ne erano andati tutti quanti. Così lei si girò con un sospiro e chiese: «Vi spiacerebbe venire con me, signor Tansley?»

    Aveva una noiosa incombenza da sbrigare in città, ma prima doveva scrivere un paio di lettere da spedire, le bastavano dieci minuti e avrebbe indossato il suo cappello. Eccola di nuovo, infatti, dopo dieci minuti, col cesto e il parasole, pronta, equipaggiata per la gita che tuttavia interruppe fermandosi al campo da tennis per chiedere al signor Carmichael, steso crogiolato al sole con gli occhi di gatto socchiusi, che sembravano riflettere i rami in movimento e le nuvole di passaggio senza mai dare l’idea di un pensiero o di un’emozione, se desiderava qualcosa.

    Stavano per compiere la grande spedizione, disse lei ridendo.

    Stavano andando al villaggio. «Francobolli, carta da lettere, tabacco?» suggerì, fermandosi al suo fianco. Ma no, non gli serviva niente.

    Le mani appoggiate sulla grossa pancia, batté le palpebre come per rispondere con gentilezza a quest’offerta (lei era seducente ma un po' nervosa) ma non vi riuscì, affondato com’era in una sonnolenza grigio–verde che abbracciava tutto e, senza bisogno di parole, li avvolgeva in una vasta e indulgente letargia amorosa: la casa, il mondo, le persone, poiché a pranzo si era versato nel bicchiere qualche goccina di chissà che: ecco spiegato, a sentire i figli, quelle strisce giallo canarino che aveva sulla barba e sui baffi solitamente bianco latte. No, non voleva niente, mormorò.

    Avrebbe potuto essere un grande filosofo, ma aveva fatto un matrimonio sfortunato, disse la signora Ramsay lungo la strada per il villaggio dei pescatori. Tenendo ben dritto il suo parasole nero e muovendosi con l’aria di chi ha aspettative fantastiche, come se si aspettasse di incontrare qualcuno dietro l’angolo, lei ne raccontò tutta la storia: la relazione con una ragazza a Oxford, il matrimonio precoce, la povertà, il viaggio in India, la traduzione di una breve poesia molto bene, credo, l’intenzione di insegnare ai ragazzi il persiano o l’industano, ma a che serviva? – forse a starsene sdraiato sul prato – come avevano visto – a mentire.

    Tansley si sentì lusingato; abituato a essere snobbato da tutti, lo consolò il fatto che la signora Ramsay gli raccontasse tutto ciò. Charles Tansley si sentì rinascere. Anche perché, insinuando, come lei aveva fatto, che l’intelletto maschile è grande anche quando è in declino e che le mogli dovevano sacrificarsi agli impegni dei mariti (non che biasimasse la ragazza poiché il matrimonio doveva essere stato abbastanza felice, lei pensava), lei lo risollevò, lo fece sentire più contento di sé stesso tanto che

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