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L'appuntamento mancato
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E-book256 pagine3 ore

L'appuntamento mancato

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Info su questo ebook

Ciro Coppa è tornato a Napoli, per svolgere un'indagine, non di quelle solite, una più complicata. Lui è nato proprio nei bassi; diversamente dal suo dirigente che è un uomo sveglio, pieno di donne giuste, quelle che ti portano in giro, senza ingombrare i tuoi spazi. Invece, quelle di Coppa sono un catalogo interessante per varietà e poca consistenza, fonte d’imprevisti e di stupore per lo stesso ispettore, spuntano dal nulla per complicargli le cose… Sono sempre alla ricerca di aiuto e di protezione, quindi lui come può rifiutarsi? Ora, però, ha un caso importante, di quelli che scuotono la Procura e fanno cronaca. C'è il sospetto di un mercato criminale estero e ampio, di espianti di organi su bambini. Non è un’indagine per Ciro Coppa; lui lo sa bene, è un indeciso, si lascia scivolare tutte le cose addosso e soprattutto le donne. Essere stato infilato in quell’indagine, fatta d’intercettazioni, di complicate questioni che riguardano la criminalità dei colletti bianchi, è per lui un danno. Che cosa ci fa in una sala intercettazioni, uno come lui che ha sempre lavorato per strada, con i suoi confidenti? E come può entrare nella sua vita una giovane donna come Alessandra D’Angelo, con il vizio di scrivere per la cronaca giudiziaria, in un giornale locale? Il finale è imprevisto, atteso ma paradossale e non svelato. Il prof. Giovanni Corti, l’imputato eccellente, si consegnerà all'ispettore Ciro Coppa, dopo aver commesso un omicidio, quasi un atto di giustizia. Una storia diversa, scritta in un attimo e nutrita dal dolore di anni. Lui non aveva nulla a che fare con i traffici illeciti, Coppa lo sapeva bene, perché aveva ascoltato tutte le intercettazioni convinto della sua innocenza, però il destino di ognuno è sempre da un'altra parte e ci viene inaspettatamente addosso…
LinguaItaliano
Data di uscita1 mar 2021
ISBN9788894592320
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    L'appuntamento mancato - Francesca Sassano

    L'appuntamento_Mancato.jpg

    Francesca Sassano

    L’APPUNTAMENTO MANCATO

    Romanzo

    ISBN 9788894592320

    Copyright ©2020 Francesca Sassano

    Grafica di copertina e impaginazione: Giovanni Marino

    Immagine di copertina: Andrea Carbone

    Casa Editrice PHOTO TRAVEL di Marino Giovanni

    Rionero in Vulture (PZ)

    www.phototraveleditions.com

    I

    Se la notte sapesse quello che porta il giorno...

    Questo pensava Ciro Coppa, mentre smetteva di scrivere l’ultimo rigo della sua inutile relazione di servizio.

    Avrebbe voluto trovare le parole che giravano invano nella sua mente, dare ad esse una collocazione immediata e precisa sulla carta, ma non era possibile.

    Questa operazione era a lui sconosciuta.

    Da sempre tutto era nella sua mente chiaro e lineare, ma non tanto da essere trasferito in un foglio bianco.

    E la colpa non era dei pochi studi fatti: dentro di lui era sempre tutto in perenne movimento. Anzi, in continua indecisione.

    Andava avanti e non sapeva perché, si trovava in ogni posto per caso, come i cani che seguono più odori ma non trovano la pista.

    Il suo destino era quello di interrogarsi, sempre, e di avvitarsi intorno ad una o più ipotesi tanto da creare una dolente filosofia.

    In questo pensare, ogni modifica di stato e di luoghi era un rischio.

    Insomma, era proprio come doveva essere: indeciso e immobile nella sua difficoltà di scelta.

    La sua famiglia era di Napoli, il padre faceva l’operaio e la madre stava in casa, lui e le sue tre sorelle erano cresciuti un po’ dovunque, fatalmente per strada, ma non si erano persi.

    Ciro Coppa aveva iniziato con il lavoro facendo il tassista abusivo a diciotto anni, di nascosto dai suoi, per avere i soldi in tasca e poter comprare qualcosa senza dover chiedere in casa, perché era inutile: nessuno poteva dargli nulla.

    Il superfluo era una parola che non apparteneva alla sua infanzia e che, in fondo, neanche ora faceva parte del suo vocabolario.

    Le cose che comprava, a quei tempi, erano minute e consistevano in piccoli oggetti o addirittura in peccati alimentari: un gelato, una pizza...

    Quando pensava a questo, andava oltre vent’anni addietro!

    All’ispettore Ciro Coppa, veniva una strana sensazione che gli partiva dalla parte alta dello stomaco e saliva piano, fino a pungergli gli occhi.

    Ricordava sempre il senso di libertà che provava ogni qualvolta usciva d’estate, con il sole alto alla controra, attraversava in silenzio e da solo le strade di Napoli.

    Via Tasso non è nel centro di Napoli e sembra lontanissima dal mare.

    Ci sono tante stradine che partono di lì e ti portano proprio nel cuore della città o sul lungomare.

    Se cammini per il lunghissimo Corso Vittorio Emanuele non hai quella sensazione di scorciatoie che sono indipendenti dalla strada principale.

    Solo nei vicoli stretti trovi la gente, con la loro storia nello sguardo attento.

    È il percorso delle stanze a pianoterra, delle piccole tendine che coprono poco.

    È la stradina stretta di Arco Mirelli, dove passa solo una macchina.

    Se prendi la scalinata Tasso e poi il Corso arrivi a Mergellina.

    Ciro Coppa pensava sempre a quei percorsi fatti mille volte, in tempi diversi, ma sempre nel caldo del dopo pranzo.

    Allora, i colori erano forti e l’assenza di rumori totale, interrotta solo da poche automobili che giravano per le strade ad una velocità ridotta.

    Una città chiusa nel suo ventre caldo, piena di fascino e di imprevisto.

    Ciro Coppa, nella sua stanza della questura, in via Medina a Napoli, chiudeva spesso gli occhi e pensava che essere tornato lì, nella sua città d’origine, non era stato un bene.

    Era capitato per caso.

    Tutta la sua vita, in fondo, non era stata da lui consapevolmente scelta, neanche il suo lavoro.

    Aveva pensato di poter fare tanti diversi mestieri, ma non avendo un’eccessiva applicazione per lo studio, non era stato nella condizione di aspirare ad una professione.

    Però il suo dinamismo, il desiderio di muoversi e di vedere posti nuovi, di conoscere uomini - ma soprattutto donne - e un innato senso d’ordine e di rispetto per le cose, lo avevano portato inevitabilmente in polizia.

    Una scelta che aveva lasciato tutta la sua famiglia indifferente, l’importante era che Ciro trovasse un lavoro e che non finisse in mezzo ai guai.

    Questo aveva detto suo padre, alla fine erano stati tutti molto contenti e la prima volta che aveva indossato la divisa, aveva letto nei loro occhi timore e ammirazione. Ciro Coppa, invece, sentiva solo il fastidio delle scarpe d’ordinanza, troppo dure e strette.

    E sudava con il berretto, ma da sempre aveva visto le mani sporche di suo padre, di grasso di fabbrica e, quindi, pensava che lui stava meglio, anche quando sentiva di stare peggio.

    Perché c’erano state notti in cui in silenzio aveva parlato con la sua pistola, muto in macchina appostato a contare i minuti, nella speranza che non fossero gli ultimi per nessuno.

    Sulla strada può capitare di tutto, in un attimo si gioca la tua vita, ma soprattutto quella degli altri.

    Si, perché è più importante la loro.

    « La tua, » diceva sempre Ciro Coppa per farsi comprendere bene nella sua filosofia « lo stato te la paga a rate, è un riscatto, per questo può succhiarti tutto, fino alle ossa. In servizio, la tua vita è a disposizione di tutti, quindi vale zero; il tuo sacrificio è previsto da contratto, scritto nero su bianco, con le poche cifre della tua busta paga. »

    Ma Ciro Coppa non si lamentava mai, diceva solo quello che pensava, in maniera pacata.

    Anzi, oggi parlava ancora meno di ieri, perché non si trovava più con i tempi nuovi.

    Lui stava lì, ormai neanche più con l’obbligo della divisa, ma sempre con quella sensazione di stretto ai piedi e sulla testa.

    Adesso, per sua madre, l’urgenza era che si facesse una famiglia.

    Quel figlio era la sua angoscia!

    Dopo tanti giri per molte città, lui non appoggiava il berretto da nessuna parte, non trovava mai la donna giusta.

    Non lo diceva, la signora Cesira, ma i suoi occhi parlavano per lei e si fermavano sempre sullo stesso pensiero.

    Al suo rientro in Napoli, l’aveva trovata esattamente come si erano lasciati.

    Intenta in casa a cucinare, addosso uno scamiciato di cotone a fiori leggero, che d’estate era l’unico abito, mentre d’inverno copriva una gonna e una maglia, quasi sempre a mezze maniche.

    Sua madre era tutta lì, tra la cucina ed il tavolo del soggiorno, a cucire.

    Ora era solo per i nipoti, ma in passato quella sua attività era servita per tutta la famiglia.

    Le pieghe degli abiti, le riparazioni dei vestiti, l’arte di rovesciare il cappotto della madre per farne uno nuovo per la figlia, la avevano resa famosa in tutto il rione e avevano consentito a lui e alle sue sorelle qualche piccolo sfizio.

    Ora la signora Cesira cuciva solo per la famiglia, gli occhi erano stanchi e le mani più sottili ma scomposte dal tempo, incurvate.

    E mentre stava lì, con la luce piccola puntata sulla macchina da cucire, quella moderna non più a pedali che Rosaria, la prima figlia, le aveva regalato, lei pensava a Ciro, perché quel figlio non portasse a casa ancora una donna.

    Ne erano passate tante, quelle di fuori non erano né meglio e né peggio di quelle di Napoli.

    A volte, si confondevano le storie, ma lei era convinta che fossero le donne a fare confusione, non suo figlio.

    La vita di Ciro Coppa girava ancora intorno ad un’unica canzone, quella che lui accendeva, ogni giorno, appena entrava nella sua vecchia autovettura, una Citroën Dyane, verde oliva, decapottabile, e risentiva per tutto il tragitto della strada, senza che le parole fossero da lui neanche percepite.

    Che cosa avesse significato per lui, quella canzone, ormai lo aveva dimenticato. Era un’abitudine, la musica partiva come il motore, quasi in automatico ma gli dava sempre forti sensazioni, era come se accelerasse il suo respiro.

    Era lì in sottofondo, quasi un aiuto al suo pensiero.

    Certo, un ispettore non deve pensare molto e questo Ciro Coppa lo aveva imparato presto dal suo lavoro, soprattutto iniziando dal basso.

    Da semplice agente si era mosso piano nella strada, cercando di essere più lesto, di arrivare un attimo avanti a quelli che doveva fermare.

    Aveva capito che un poliziotto non è quello che si vede nei film, non insegue ma è, invece, quello che arriva prima.

    Solo che fare questo era effettivamente un’operazione difficile, anzi impossibile, in un contesto disordinato ma affascinante com’era la sua città di Napoli.

    Scenario dolente e confuso, spazio aperto di panni stesi e di odore di fritto per i vicoli stretti.

    Di mattina, Ciro Coppa usciva molto presto, anche se non doveva iniziare con il primo turno di lavoro.

    Il suo piacere era quello di arrivare, intorno alle sei e trenta, al bar poco più in basso della questura e di sentire l’odore della pasta fresca dei cornetti appena sfornati.

    Era come mangiarli due volte, li gustava prima col naso e poi li divorava con il palato, si, perché, a volte, ne prendeva proprio uno dietro l’altro...

    Poi, alla fine, il caffè puliva ogni cosa.

    Così pensava, Ciro Coppa, mentre beveva una tazza rigorosamente amara sulla quale non poteva mancare la sigaretta, fumata piano fuori dal locale, fermandosi un attimo, a pochi passi ma non molto distante dall’ingresso, senza ostruire il passaggio, guardando di fronte a sé il portone centrale della questura, alzando un attimo gli occhi al cielo, soprattutto in primavera e in estate quando il fatto di dover entrare in un luogo chiuso e di pensare di stare tutto il giorno di fronte ad una scrivania, era un’operazione per la quale doveva impegnarsi molto.

    Spesso seduto alla sua scrivania, messa di traverso ad angolo con quella di Mario Germanà, il suo collega di stanza, Ciro guardava il pezzo di cielo che si vedeva dalla finestra della questura.

    Ogni giorno entrava, si sedeva alla sua sedia e aspettava che qualcosa accadesse.

    La sua vita era sempre scandita dagli eventi degli altri.

    Ogni volta veniva mandato da qualche parte a seguire un caso diverso, Ciro apriva una porta e s’infilava nella vita di qualcuno.

    Erano sempre troppo stretti gli abiti degli altri!

    Ci restava il tempo necessario, ma senza dimenticare nulla.

    Oppure era proprio la stessa persona che veniva a bussare alla sua porta per chiedere aiuto, per raccontare una storia.

    Mille volti si erano accumulati negli anni e si erano confusi tra di loro mentre le storie di ognuno erano rimaste singole e impresse nella sua memoria.

    Alcune cose gli sembravano chiare dall’inizio, altre invece si aprivano a soluzioni inattese.

    Ogni giorno la sua vita non era scandita dagli orari dei turni; quello che chiudeva, rovesciando la cartellina dell’ultimo fascicolo sulla sua scrivania prima di uscire dalla stanza, non rimaneva all’interno di essa ma usciva con lui, nelle tasche della sua giacca, nelle sue mani, nei suoi occhi.

    Era ciò che continuava a pensare in macchina, mentre stava mangiando e anche quando stava con una donna.

    C’era sempre un momento, un’espressione del volto di qualcuno, una parola spezzata, una frase compiuta che lo riportava a ciò che aveva lasciato, chiuso, all’interno della sua cartellina.

    Ciro Coppa non era molto ordinato.

    Non procedeva nel suo lavoro creandosi un’ipotesi investigativa.

    A Napoli non si vive così.

    Tutto accade e tutto ti porta nella direzione che è sempre quella giusta, perché alla fine qualcosa si scopre sempre.

    Questa era la filosofia di Ciro Coppa: storta va e deritta vène, ovvero si inizia da una parte per arrivare ad un’altra e quella è, sicuramente, la soluzione del caso.

    Era sempre andata così.

    Mario Germanà, invece, il collega con cui divideva la stanza del commissariato, non aveva questa visione delle cose.

    Era un siciliano di Catania, una città che Ciro nel suo lavoro non aveva mai visto anche se qualche volta, per breve periodo, era in andato in applicazione a Palermo, proprio i primissimi tempi, quando ancora del suo lavoro aveva capito poco.

    All’inizio aveva girato da un posto all’altro e, siccome, aveva dietro solo una valigia, non ne aveva mai risentito troppo.

    Invece, Mario non aveva gradito il trasferimento a Napoli perché tutta la sua famiglia era in Sicilia.

    Questo spostamento aveva scombinato i piani della sua vita o, forse, li aveva sistemati in maniera diversa.

    Napoli era una città che aveva imparato a conoscere piano, piano e all’inizio gli era sembrata poco comprensibile, ma per la sua innata attitudine a seguire con rapidità gli eventi, aveva subito trovato una buona collocazione all’interno del commissariato.

    Con il trasferimento, la vita di Mario era cambiata, i legami con la sua famiglia, con sua moglie e i suoi figli, si erano allentati e, come spesso accade, altre cose erano entrate nei suoi pensieri.

    Mario s’illudeva di avere il controllo su tutto, perché ogni cosa era riposta in un cassetto separato e chiuso.

    Era un uomo di poche parole perché un siciliano di solito tace e questo, per Ciro Coppa, era un grande pregio.

    Non avrebbe sopportato di dividere la stanza con un collega invadente perché lui aveva bisogno di silenzio per pensare.

    Tutto avveniva, prima e all’inizio, nella sua testa e non poteva essere distratto da scambi di parole inutili.

    Non aveva nei confronti di Mario una particolare vicinanza affettiva, nonostante fosse già un po’ di tempo che divideva con lui la stanza e avesse collaborato insieme a qualche indagine.

    La diversità di vita, di nascita e di situazione familiare non aveva consentito una frequenza extra lavorativa, si conoscevano ma non troppo.

    Il loro rapporto era tutto chiuso e limitato a quella stanza.

    Poi, ognuno aveva occasioni separate e Mario intervallava le uscite di lavoro, alla redazione di atti, ai pranzi.

    Ogni attività era scandita da una serie di messaggi, ovviamente a donne diverse.

    Solo con la moglie non scambiava messaggi, i loro colloqui erano, almeno in ufficio, brevi con tono spento e sofferente.

    E Ciro Coppa sapeva il perché, anzi ne aveva sentito la voce.

    Si chiamava Elena, una collega della penitenziaria, un incontro rapido, come tutti quelli che Mario cercava, quasi in una costante seriale ma quella volta gli era stata fatale.

    Era alta, più di lui, occhi scuri e capelli cortissimi, molto più giovane. Determinata come lo è solo una donna disperata o innamorata.

    Ciro non aveva compreso bene se Elena fosse più innamorata o meno disperata.

    Sapeva solo che era, forse, troppo giovane.

    Di certo, aveva messo Mario in angolo e lo teneva fermo.

    Lui, padre di due figli, prendeva tempo, accampava il diritto di non ferire nessuno.

    Ciro la vide entrare dalla loro stanza avvertendo il sibilo della porta trattenuta da lei al volo, prima che si schiantasse contro il muro.

    « Finalmente ti trovo. » gli aveva detto con voce rabbiosa.

    « Come ti viene in mente di venire qui... » aveva risposto Mario e gli occhi scuri si erano incupiti sul volto tirato.

    « Che cosa credi che io sia una stupida? No, caro. Sono due giorni che non rispondi alle mie telefonate... » ed il tono della voce era in crescendo stridulo.

    « Io vado. » aveva detto Ciro Coppa, senza avere un cenno di risposta, alzandosi, ignorato, mentre il discreto rumore della sedia era coperto dalle urla dei due.

    Aveva percorso piano il corridoio e si era diretto verso le scale a spirale che portavano al piano terra del commissariato guadagnando l’uscita.

    La strada lo aveva accolto, non c’era il sole, pioveva a dirotto come accade solo in certi giorni a Napoli, con i rivoli d’acqua che riempiono le cunette di scolo sotto i marciapiedi.

    « Quando una giornata nasce storta... » aveva pensato Ciro Coppa e aveva attraversato la strada.

    Si era infilato nel bar, arrivandoci completamente bagnato, deciso a trattenersi lo stretto necessario.

    Per questo lui era felice di non essersi mai sposato.

    C’era andato vicino più di qualche volta, perché di donne ne aveva conosciute tante.

    E qualcuna lo aveva, con il suo sguardo, per un attimo, convinto a fermarsi.

    Ciro Coppa con le donne non aveva fortuna. Questo la sapeva bene anche sua madre.

    Ne aveva avuta più di una, ma nessuna era rimasta.

    Forse perché, alla fine, le mandava via tutte.

    Aveva iniziato presto, stando in strada e soprattutto nel suo primo mestiere, quello di tassista abusivo.

    La sua prima ragazza aveva la sua stessa età, ma era già donna.

    Il padre entrava ed usciva dalle carceri ma solo per le sigarette, la mamma era sempre dietro all’ultimo dei figli.

    Il padrone di casa bussava alla loro porta giorno e notte, perché mai il fitto era pagato in regola ed i ritardi si accumulavano.

    Angela era con gli occhi scuri ed i capelli neri lunghi e ricci, un abito leggero di tessuto a maglia acrilica, quelli del mercato.

    Era alta e snella e tutto le stava bene, come disegnato addosso.

    Lei gli era passata accanto, verso sera.

    Era agosto. Lo aveva guardato e lui le aveva dato il suo gelato.

    Lo aveva appena comprato e ne aveva solo preso un poco.

    Angela lo aveva afferrato e senza dire una parola aveva poggiato le labbra sulla crema al cioccolato, nella parte centrale, colorandole di scuro. Lo aveva finito rapidamente e aveva buttato via il cono.

    Poi si era rivolto a lui e gli aveva detto: « Vieni. »

    E allungando la mano lo aveva condotto in fondo il vicolo e lo aveva baciato.

    Ciro era rimasto immobile, non sapendo dove mettere le mani. Era la prima volta. Sapeva di cioccolato, era dolce e caldo.

    Angela, si era staccata rapidamente e gli aveva detto:

    « Ci vediamo domani. »

    « Io mi chiamo Ciro. »

    « Lo so. » aveva detto lei scappando verso la strada, scomparendo alla vista appena dietro l’angolo.

    E da allora, Ciro Coppa, aveva compreso una cosa: le donne vanno e vengono, ti prendono e ti lasciano e tu rimani sempre a guardare.

    Con Angela fu tutto di corsa, come deve essere forse a quell’età.

    Lei arrivava e lui le faceva trovare il gelato, sempre al cioccolato.

    Non perché lei glielo avesse mai chiesto, ma Ciro non voleva cambiare nulla, quasi a garantirsi ogni volta lo stesso incantesimo.

    In pochi mesi con Angela aveva scoperto ogni parte del suo corpo e come le sensazioni fossero tutte forti e sicuramente di pelle.

    Una sera Ciro le aveva detto: « Ti amo. »

    Angela lo aveva guardato, aveva riso e gli aveva detto piano, con voce dura: « Quello che faccio a te, oggi l’ho fatto prima al padrone di casa. Mia madre dice che i debiti devono essere pagati. E l’amore è una cosa per chi tiene denari. »

    Ed era scappata via.

    Ciro Coppa non vide più Angela. Tutto finì così. Lui cambiò posto, andò in un’altra piccola piazza di parcheggio.

    Lei non lo cercò più.

    I primi tempi soffriva. Perché non sapeva, allora, se quelle sensazioni gli sarebbero ancora appartenute.

    Non ne aveva parlato con nessuno, non aveva molti amici. A scuola non c’era nessuna ragazza come Angela, poi in classe, quelli dell’ultimo anno come lui, erano tutti maschi.

    Appena usciva andava a casa e dopo il pranzo, si

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