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I Pavoni Ruggenti
I Pavoni Ruggenti
I Pavoni Ruggenti
E-book200 pagine2 ore

I Pavoni Ruggenti

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Info su questo ebook

Milano, 1972
Biagio è un pittore ultrasessantenne ossessivo compulsivo, devoto alle proprie abitudini e poco propenso al contatto interpersonale. Stabilisce rapporti umani solo con un gruppo di ex colleghi di Accademia d’Arte, mantenendo sempre un minimo di distanza necessaria per non sentirsi assillato.
Tutto procede secondo le tempistiche che Biagio si auto impone, sino ad una mattina soleggiata quando conosce il figlio di uno straccivendolo con cui deve concordare la consegna di alcuni indumenti. Questo incontro darà il là ad una serie di eventi, distribuiti in una parabola temporale di alcuni anni, che lo costringeranno a dover affrontare sé stesso ed il mondo che lo circonda.
LinguaItaliano
Data di uscita7 mag 2017
ISBN9788826087122
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    Anteprima del libro

    I Pavoni Ruggenti - Zilio Zerbinati

    Zilio Zerbinati

    I Pavoni Ruggenti

    UUID: d78d4596-5111-11e7-9fd2-49fbd00dc2aa

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    PREFAZIONE

    IMPRIMITURA

    RICORDI

    PENNELLATE

    RITRARRE

    INCONSCIO

    CRESCERE

    ESPLORAZIONE

    VIAGGIO

    RIFLESSIONI

    NUOVE SCOPERTE

    COMPAGNI D'ARTE

    L'AMBULANZA

    PANICO

    SOLO

    CAPACITA' D'ASCOLTO

    MADONNA RINASCIMENTALE

    APRIRSI

    DIFFICOLTA'

    GESUALDO

    SPAZIARE

    LINDA

    UMANITA'

    ARACNOFOBIA

    LEI

    AL TELEFONO

    LEGAME

    FRETTA

    PARIGI E BIDET

    KRIEGSZEIT

    RITORNARE

    SPLENDORE E FRAGILITA'

    PASSAGE COUVERT

    ATTO NOTARILE

    CONTRATTAZIONE

    TROPPO PICCOLO

    MAD STOP

    ASSENTE,IMMOBILE

    IL GORILLA

    RAFFAELLA

    ULTIMI,DUE RITOCCHI

    VERNICE FINALE

    BIOGRAFIA AUTORE

    …a chi ama l’arte

    immagine 1

    Schiena, un ritratto(Zilio )

    PREFAZIONE

    Quando ho iniziato a scrivere I Pavoni Ruggenti,mi sono domandato innanzi tutto se sarei stato in grado di portarlo a termine.

    E' nato come un'idea ispirata da esperienze personali, ovviamente modificate per contribuire allo sviluppo della storia, ma ha preso forma con il passare dei mesi, specie di sera, nei minuti prima di addormentarmi.

    L'evoluzione dei personaggi, il racconto, le ambientazioni ,si sono delineati quasi spontaneamente in quella fase che chiamiamo dormiveglia,dove, a dispetto di quanto si pensi, siamo forse più lucidi che in altri momenti della giornata.

    Nei primi giorni, quando ho scritto l'Imprimitura, il personaggio di Biagio mi ricordava un amico da cui ho avuto la fortuna di apprendere le basi della pittura ad olio. Certo, non era ossessivo compulsivo, ma la sua visione di un mondo incapace di sorprenderlo era la stessa del Vecchio Pittore.

    Biagio soffre di momenti di notevole noia in attesa di provare stupore per qualcosa di inatteso; un gesto, una parola , magari da una persona che a prima vista sembrerebbe il ritratto dell'ovvietà.

    Forse per questo, si rifugia nella pittura, ne assorbe ogni sfumatura ed ogni ombra, in attesa che un evento lo possa destare da un mal di vivere che lo rende così particolare, a volte deprecabile ma ,al contempo, attraente agli occhi del mondo. Un mondo esterno ed alieno che a volte può assumere le sembianze di un ragazzino esile dalle orecchie a sventola.

    Zilio Zerbinati

    Nota bene: ogni riferimento a persone, luoghi, situazioni o cose è puramente casuale.

    In copertina: Solitudine(Zilio)

    IMPRIMITURA

    Il cellulare squillò due volte.

    Vide il nome sul display; era lei che lo stava chiamando, forse per scusarsi, forse per discutere ancora, forse per lasciarsi definitivamente.

    Rifiutò la chiamata e s'accorse che il vento sibilava tra le foglie come volesse suggerirgli qualcosa; un fruscio diffuso , familiare ed incomprensibile.

    Cercò la tomba. Dovette attraversare almeno tre diversi campi di sepoltura prima di rivederla dopo tanti anni; era immutata. Il monumento funebre era raffinato, una scultura rappresentante un angelo, ma non secondo l’iconografia tradizionale,uno di quelli caduti, uno dei tanti, con il capo chino e lo sguardo celato.B ello e lontano dal dogma; libero, per questo.

    Non aveva fiori con sé, tanto non li avrebbe graditi.

    Lo salutò.

    Si sedette sull’ angolo destro della base del monumento funebre,estrasse dallo zainetto una confezione piatta e scura ed un sacchetto color beige.

    Aprì la confezione, spezzò una tavoletta e dopo aver frugato nel sacchetto, iniziò a mangiare.

    RICORDI

    Alcune storie non si dovrebbero raccontare, meglio sussurrarle.

    Altre invece si dovrebbero urlare a squarciagola, quasi da far esplodere le corde vocali.

    Ma nessuna di queste fa al caso nostro.

    Un'immagine che ci mostra un uomo anziano, distinto, che cammina veloce attraverso una piazza di Milano, infastidito dalla pioggia e seminascosto sotto un voluminoso ombrello nero... bè già' può essere un inizio.

    Se poi vogliamo aggiungere che il suo obiettivo del momento sia una panetteria, la solita di ogni mattina e non solo, anche il suo inconfondibile profumo di pane appena sfornato, allora possiamo auto-invitarci in questa storia, perché no, senza sussurrare né urlare. Avvicinarsi con un approccio dolce, legato alla quotidianità di un uomo che scopriremo in seguito.

    E lo faremo al passato, perché tutto questo è già accaduto. Da tempo.

    Era entrato , come ogni mattina, in una panetteria, giusto a due isolati dalla sua abitazione.

    Il fornaio, un uomo corpulento a tal punto da occupare un terzo del piccolo banco, si spostò e lasciò spazio al calen dario appeso alle sue spalle, raffigurante Papa Giovanni XXIII, con la scritta beneaugurante LE OTTENGA UN FELICE ANNO 1972.

    Sospirò sconsolato; tanto ottimismo popolare lo aveva sempre infastidito, non per snobismo fine a se stesso, ma per una persistente noia verso atteggiamenti scontati. Cercò ,così, la via più semplice e veloce: ordinò tre panini all'olio e cinque michette, li fece mettere sul conto e si affrettò a salutare.

    Di nuovo in strada, gioì nel vedere che non pioveva, le nubi si muovevano veloci in alta quota e qualche timido spiraglio di sole illuminava la piazza, donandole una nuova consistenza; svoltato l'angolo, decise di camminare per una via deserta, smanioso di ritrovarsi solo e avvolto dal silenzio, ma come tutte le magie, anche questa doveva durare poco... come al solito, perché fu spezzata dalla voce roca di un uomo che attraversava la via con un carretto cigolante, intento ad ululare in direzione dei palazzi per attirare l'attenzione.

    Era un uomo piccolo, tozzo, rozzo e scorbutico...uno strascee, uno qualunque a prima vista, ma, osservandolo bene, in lui spiccava una grande abilità nel relazionarsi, tipica dei migliori venditori.

    Sapeva come gestire i tempi e le azioni, e credetemi, sapeva districarsi con abilità nel gioco delle parti, concedendo alle massaie di mostrare gli indumenti sdruciti per poi illuderle che sarebbe stata una giornata proficua per gli affari; poi, dulcis in fundo, chiudeva il siparietto concordando la cifra dopo un'aspra contrattazione e non trovando vie d'uscita, al gruppetto di donne non era restato che accettare l'accordo ed alzare un coro , più che altro, un lamento

    -...se ne è approfittato! -

    Agli inizi divertito, l'uomo anziano sostò in un angolo,ora incuriosito.

    Dovette riconoscere l'abilità di quello strascee, anche se di lui non gli erano piaciuti né il tono e neppure l'atteggiamento. Comunque, in quanto creatura pragmatica,si convinse che, osservandolo più volte, avrebbe imparato qualcosa di nuovo sulla vendita; in fondo anche i suoi clienti erano diffidenti, ma altrettanto prevedibili.

    Sorrise , poi l'occhio cadde sull'orologio: si era distratto, era in ritardo.

    S'incamminò verso casa improvvisando un passo ritmato, agitando l’ombrello a mo’ di bastone da passeggio, tanto per darsi un’aria da gentleman inglese. Incrociò un autobus strapieno della linea E, diretto in centro; dal suo interno si sentivano voci sovrapposte discutere animatamente per la calca e d'istinto scosse il capo.

    Non cambiano mai…

    Con le mani gelide ed insensibili,con fatica aprì il portone del suo palazzo e sfiorò il cappello in direzione del portinaio che gli aveva tenuto da parte il Corriere.

    -Signor Biagio, devo parlarle. -

    Leggendo i titoli di prima pagina, si finse interessato.

    -Mi dica signor Piero…-

    -La signora che abita sul suo piano…-

    -La signora che spia? -

    -Si, lei. Mi ha chiamato il padrone di casa, l’ingegnere, e mi ha detto di dirle che si è lamentata perché ieri sera ha sentito sbattere la sua porta tante volte.Scusi, sa, ma anche questo è il mio lavoro.-

    Biagio, che non amava mostrare i suoi stati d'animo, replicò a voce bassa, scandendo bene le parole, con aria di sufficienza.

    -Forse il vento?! Con questo freddo si formano diverse correnti d’aria. Farò più attenzione a chiudere bene la porta di casa. -

    Il portinaio, ripreso un discreto colore in viso, sembrò sollevato dalla risposta conciliante e con gestualità servile, si affannò per aprire la porta dell’ascensore come ammenda per quell’ appunto. Biagio gli dette corda, lo ringraziò, giusto per scrollarsi di dosso quel momento imbarazzante; non amava perdere tempo con le miserie quotidiane e desiderava solo rientrare a casa e dedicarsi alle sue attività e poi...da giorni si sentiva stanco, più del solito.

    ... vacca la miseria...maledette sigarette...

    Ennesima scusa comoda, stanziale nella sua mente.

    In realtà non toccava una bionda da almeno trent’ anni ed ,oltretutto, la tradiva con la più seducente pipa: aromatica, adatta per essere accesa con lentezza, attraente se il gesto non è plateale. Peggiorava l'alito, la gola era più secca, ma una caramella a portata di mano non mancava mai...

    In tutto questo, bionde o pipa(e quando ci pensava,la piega della bocca accennava un ghigno), era comunque innegabile una constatazione: fino a poco tempo prima, quattro piani di scale per lui non rappresentavano un problema.

    Poi, dalla mattina alla sera, il suo fisico aveva subito un calo di energia, obbligandolo a riconoscere che qualcosa era cambiato;definitivamente.

    Si vedeva come un piccione incapace di ritornare sul cornicione per benedire il genere umano, e, cosa non trascurabile, non era più giovane, aveva sessantasette anni, anche se portati bene con la sua statura media, un fisico longilineo ed eleganza nel portamento.

    Non si poteva definire un bell’uomo, ma, nell'insieme, esercitava una forte attrazione nelle persone che lo conoscevano.

    Era canuto , con lo sguardo profondo; il viso , delineato nella parte inferiore dal pizzetto sale e pepe, era esaltato, scalando visivamente il naso prominente, dagli occhi scuri e luminosi e le rughe d’espressione sulle guance e sulla fronte completavano il quadro, rendendolo ancora più intrigante. Vestiva con gusto; amava dare un tocco personale con l’immancabile cappello stile Borsalino, abbinato a sciarpe colorate e voluminose.

    E le mani?

    Senza ombra di dubbio, la parte migliore, quelle di un artista. Si notavano subito; vissute, delicate nel gesticolare, apparentemente pulite.

    i pigmenti ad olio sanno sempre dove nascondersi...

    Forse, sempre per via dell’età, come artista lavorava anche meno rispetto al passato… e meno bene! come riconosceva lui stesso, rammaricandosene.

    Rifletteva su sé stesso senza indulgenza, come solo i grandi uomini sanno fare, constatando che la sua splendida creatività aveva lasciato spazio ad una tediosa pigrizia, alimentata dalle abitudini, dalle piccole manie a cui non poteva rinunciare e da una lenta, ma progressiva, perdita di controllo della sua autonomia; a mente fredda sapeva quanto fosse insano e surreale aprire e chiudere la porta di casa tre volte, tornare sui propri passi altre tre volte e così via, ma non riusciva ad evitarlo.

    Uno scricchiolio improvviso lo distolse dai suoi pensieri ; si voltò istintivamente ed intravide l’ombra della signora Marcucci, seminascosta dietro lo spiraglio della porta di casa, sempre pronta a scrutare il vicinato. La salutò ad alta voce e, per tutta risposta, udì la porta chiudersi con un gran fragore. Scrollò le spalle, scosse la testa ed entrò in casa.

    Appoggiò metodicamente il sacchetto del pane sul tavolo della cucina, proprio nel centro, si sfregò le mani per scaldarle, accese la stufetta e aprì il rubinetto per far scorrere l’acqua con cui riempire il bollitore, quasi sino all’orlo, poi lo mise sul fuoco. Solo a quel punto, gestite le priorità, si tolse cappotto, cappello e sciarpa e, cambiando stanza, li lasciò cadere sul divano della sala. Alzò lo sguardo come per ricevere un suggerimento, ma non poté far altro che grattarsi la testa. Con fare molle si voltò verso un ritratto di donna, sorretto da un cavalletto massiccio in legno; era una tela di media grandezza.

    -Non mi piaci. Senza offesa …Devo cucinare, poi ricomincio con te. -

    Giunta la sera, fu una cena allegra, senza formalità, come sarebbe dovuto essere tra ex colleghi d' Accademia.

    Un primo brindisi nacque spontaneo dopo aver ricordato il professore di disegno che li aveva sfottuti durante la prima lezione di nudo dal vivo; un secondo, solo nella mente di Biagio, detentrice di quei pochi frammenti visivi di suo padre, morto in trincea.

    Inevitabilmente,spaziando con la memoria, ripensò all'addio in Accademia per necessità economiche.

    E poi, la ricerca di un lavoro per mantenere la famiglia, ma non solo; il notturno, tempo libero per la pittura e quei pochi soldi risparmiati per tenersi aggiornato sulle novità artistiche provenienti da Parigi: avrebbe rinunciato alla mano sinistra (ovviamente era destro) per poter vivere d'arte.

    Leggeva, appena possibile, qualunque articolo che descrivesse quel mondo ideale, paradisiaco per un artista.

    Molti raccontavano di un pittore spagnolo emergente, dagli occhi stralunati ed egocentrico. Lui, invece, adorava i dipinti di un ebreo toscano definito, con un gioco di parole, maledetto dai francesi. Era stato un tormentato, geniale artista...uno di quelli che non avrebbe trovato la serenità interiore neppure in un'esistenza millenaria; non la cercava, non era parte del suo essere. Aveva visto alcuni suoi dipinti, ovviamente in foto; sebbene non fossero a colori, era impossibile non cogliere la grandezza artistica di quell’ uomo e della sua visione: gli occhi di quelle figure, prive di anima e così seducenti al tempo stesso, dimostravano che

    - …per quanto si possa interpretare filosoficamente un’opera, l’impatto emotivo dei primi, pochi secondi, è un patrimonio indelebile, un marchio nella nostra memoria... nessun Trattato d'Arte potrà mai scalfire l’anima come la paralisi del bello...-

    Lasciò la sedia e barcollò per un paio di secondi sino al lavabo in cucina.

    -...vi ricordate cosa dicemmo all’ epoca del Nudo Rosso? - alzò il tono della voce e riempì un contenitore di vetro con mezzo litro d’acqua. In attesa di una risposta, raccolse da un sacchetto di plastica quattro manciate di palline simili a perline e le gettò nel contenitore.

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