Racconti di sale e di nebbia: Dodici racconti al femminile
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Info su questo ebook
Patrizia Fiaschi nasce nel 1965 a La Spezia. Vive e lavora tra Toscana e Liguria, affiancando alla professione di docente di Lingua Italiana l’impegno sociale di promotrice culturale.
È organizzatrice e curatrice di presentazioni di autori, eventi letterari e premi di narrativa. Ha fondato e amministra il blog Raccoglimi un libro.
Racconti di sale e di nebbia è il suo esordio.
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Anteprima del libro
Racconti di sale e di nebbia - Patrizia Fiaschi
Rattaro
I
Gennaio
Nessuno ha mai considerato il primo di gennaio con indifferenza. È ciò da cui ognuno data il proprio tempo, e su cui conta ciò che rimane. È la natività del nostro comune Adamo.
CHARLES LAMB
Torino
Aver lasciato la scuola per lavorare in una libreria di un’altra città doveva essere stata agli occhi dei miei genitori, oltre che una follia, una grande delusione. Eppure apparivo serena, anche se le mie giornate trascorrevano senza slanci e novità, tutte uguali, calme come il mare la sera. Stavo risistemando alcuni libri che un cliente noiosissimo aveva estratto da uno scaffale, quando riconobbi una voce maschile che chiedeva un’informazione alla titolare. Ebbi cura di non voltarmi per evitare uno sguardo non gradito. L’uomo nel frattempo, non avendo trovato il libro che cercava, si era diretto verso l’uscita; ebbi certezza che se n’era andato dal cigolio della porta d’ingresso. Erano quasi le otto di sera e ci si apprestava a chiudere quando il mio telefono prese a suonare: sicuramente Elsa mi avvertiva che il giorno dopo non sarebbe venuta a pulire casa perché il bimbo aveva ancora la febbre, perciò risposi senza preoccuparmi di capire chi fosse. La stessa voce udita poco prima mi procurò questa volta un afflusso di sangue alla testa. Tacqui. Andrea aveva bisogno di vedermi, si trovava a Torino per lavoro e avrebbe approfittato volentieri di incontrarmi per definire meglio con me la vendita dell’appartamento al mare. Non avevo assolutamente voglia di vederlo, ma la casa al mare era effettivamente l’ultimo baluardo da superare per sentirmi libera da ogni legame col passato. Esitai a rispondere, poi di getto mi uscirono le parole e inconsapevolmente lo invitai a cena per quella sera stessa. Farfugliai l’indirizzo al quale vivevo ormai da quasi due anni mentre mi apprestavo a chiudere la serranda della libreria. Faceva freddo: gli inverni a Torino sono incredibilmente lunghi e freddi e a me mancava il mare, dentro e fuori. I vetri della macchina si stavano appannando così fui costretta ad aspettare un po’ dopo aver messo in moto. Lo vidi, nel suo cappotto grigio mentre si allontanava da un’auto nera e, frettolosamente, attraversava la strada per andare a infilarsi in un Caffè. Partii e mi scaraventai come ogni sera nel traffico. Avevo trovato casa nei pressi di Corso Vittorio Emanuele, in una zona non troppo lontana dal centro città. Il palazzo ottocentesco, completamente affrescato, possedeva una piccola corte interna dove gli inquilini parcheggiavano le proprie auto. Scesi alla svelta dalla macchina e mi infilai nel portone; avrei preparato una cena veloce con quello che il frigo conteneva. Fortunatamente era martedì e l’odiata spesa settimanale ora mi rincuorava. Risotto con i funghi e brasato al vino rosso. Fui attraversata da capo a piedi da una nostalgia profonda e capii in un attimo che a Torino, nonostante gli sforzi per adattarmi, non ero felice. Non avendo il tempo per una doccia, mi sistemai i capelli ed evitai accuratamente di indossare il solito pigiama, unico compagno delle serate tra libro e divano. Guardandomi allo specchio mi trovai stranamente bella, forse un po’ stanca e triste, ma con quel minimo di sicurezza che serve per affrontare una serata dubbia. Apparecchiai con cura evitando di mettere candele in giro per la casa, come facevo d’abitudine. Alle nove in punto il citofono vibrò così forte da causare la caduta della cornetta. Un fremito. Aprii cercando di ravviarmi i capelli, sistemai meglio i jeans in vita e il cardigan lungo i fianchi.
«Che fine hai fatto Paola? Qualcuna delle tue ex colleghe mi ha detto che lavori in una libreria del centro. Ero a Torino per lavoro e ho pensato che non ti avrei disturbata troppo se ti avessi chiesto di ospitarmi per una notte».
«Credevo tu alloggiassi in un hotel o rientrassi in nottata come sempre», mi interruppi. Volevo dare un taglio diverso alla serata così ci provai davvero.
«Non è un problema comunque, l’appartamento è grande abbastanza per tutti e due, ci sono un paio di camere».
Ci sedemmo a tavola dopo che Andrea si era tolto il cappotto e si era strofinato le grandi mani. Vantava un’aria sfacciatamente sicura e girovagava per la casa come ci fosse stato già altre volte. Mi imposi di essere piacevolmente di buon umore, ma il sangue mi ribolliva nelle vene. Quell’uomo mi attraeva come la prima volta e avrei voluto dirgli di restare per quella sera e per tutte le altre, ma ingoiai l’amaro che sentivo in bocca e tacqui. Il vino rosso non è nelle mie corde, ma conoscevo bene i suoi gusti così abbinai alla cena un cabernet che ben si sposava col profumo forte del risotto. Cenammo in silenzio guardando, vuoti, la televisione che raccontava di cose sempre uguali con voci tutte uguali.
«Mi prepari un caffè?», chiese.
«Se ti va te lo servo in soggiorno, accomodati pure sul divano». Non avevo mai voluto acquistare quelle stupide macchinette da caffè tanto pubblicizzate, forse perché i lineamenti un po’ duri del tipo della pubblicità mi ricordavano l’espressione sempre un po’ imbronciata di Andrea. Versai l’acqua e il caffè nella caffettiera e mi apprestai ad accendere il fornello. Mi raggiunse in