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Come in Cielo, così in Terra
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E-book229 pagine3 ore

Come in Cielo, così in Terra

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Info su questo ebook

In secondo piano, come se fosse una melodia di sottofondo, un virus di cui non si sa quasi nulla mentre in primo piano Elettra Sartori, una ragazza quasi diciottenne racconta la sua storia.
Elettra è una ragazza proveniente da una cosiddetta buona famiglia e che, alla vista di tutti, dovrebbe avere una vita spensierata e all’insegna della bellezza ma, dentro di lei, un mondo fatto di incubi vissuti e non, la porta a ricordare episodi, storie e avvenimenti che l’hanno scombussolata facendola diventare quella che è ora. Si tratta di un viaggio, quasi dantesco, all’interno del suo cuore per cercare di rispondere a quei grandi interrogativi a cui la vita non dà certezze ma solo dubbi nonostante si creda che l’adolescenza possa essere il momento più spensierato dell’esistenza di ciascun essere umano. Elettra si sente esclusa, discriminata e messa in un angolo da una società in cui non riesce a ritrovarsi ma che la confonde, incatenandola a una triste normalità dalla quale vorrebbe solo evadere per poter assaporare almeno una volta cosa voglia dire essere felice e innamorata perché, disperatamente, ricerca l’amore che considera l’unica scappatoia per raggiungere i suoi sogni ma a quale prezzo?
Dalla sua cameretta, in cui è relegata a causa del virus, si trova costretta a guardare una finestra da cui osserva ciò che sta all’esterno e all’interno di essa come se fosse lo spartiacque, la dogana o semplicemente l’unico confine tra il mondo esterno e quello sopito all’interno del suo cuore e della sua anima mentre sulla sua Moleskine nera, annota, a sprazzi e a volte in modo confuso come se fosse lo specchio della sua esistenza, i propri pensieri, i propri sentimenti e tutto ciò che spesso non riesce a spiegare se non attraverso l’inchiostro.
LinguaItaliano
Data di uscita28 feb 2021
ISBN9788832928099
Come in Cielo, così in Terra

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    Anteprima del libro

    Come in Cielo, così in Terra - Damiano Trenchi

    cacciatore.

    1

    Lacrime

    Io sono il diavolo.

    L’hanno sempre pensato tutti e ho finito per crederlo anche io e forse questo ruolo non mi sta neanche male. Avete presente? È come quando indossate un vestito così stravagante da farvi notare da tutti ma, per te, è semplicemente un vestito. Io sono quel vestito che tutti guardano in continuazione perché non vedono l’ora di levarmelo di dosso per vedere il mio corpo nudo e pieno di cicatrici. Mi screditano, mi lanciano coltelli attraverso i loro sorrisi, si divertono a farmi del male. Non credete che io sia fatta di ferro; indosso solo una corazza che è più simile al guscio di una tartaruga perché ho imparato a girarmi e a non guardare i loro volti intrisi di odio e di sangue. Cammino per strada come se nulla fosse successo ma dentro di me vorrei salire ancora una volta sulla finestra di casa mia e buttarmi giù senza chiudere gli occhi perché mi piacerebbe vedere cosa c’è in quei secondi che legano la vita alla morte. Vorrei capire il mio vero nome, chi sia veramente e per quale oscura ragione io abbia aperto gli occhi proprio in questo mondo che non mi desidera e mi considera un peso. Alla fin fine non sono pesante, forse non riesco nemmeno ad arrivare a quarantacinque o cinquanta chili nonostante sia alta quasi un metro e settanta ma, evidentemente, sono più grassa di quanto pensi. Forse sono io che sbaglio, forse sono semplicemente io che mi illudo di essere come tutte le altre ma in realtà sono solo una ragazza che cammina a stento in un vicolo cieco da cui è impossibile vedere la luce. Mi sono sempre chiesta il motivo per cui la mia vita sia sempre così tetra, annerita dalla cenere di una sofferenza che brucia in continuazione e malinconica. Forse la risposta me l’ha data Leonardo, il mio professore di italiano della scuola media il quale mi disse che l’inferno è un dono e il paradiso un traguardo. Non ho mai capito le sue parole ma, in questo momento, rimbalzano nel mio cuore come se fossero mani che mi spingono a trovare la forza di reagire, di rialzarmi e di sollevare di nuovo il mio sguardo come quando lo vedevo davanti al mio banco, seduto sopra la cattedra a spiegare Dante, Leopardi o qualsiasi altra cosa lui volesse perché qualsiasi cosa, detta da lui, andava bene lo stesso mentre ora ascolto solo parole spente, prive di magia e soprattutto svuotate di quell’amore che solo una persona come lui sapeva trasmettere.

    Ho diciassette anni ma è come se ne avessi trascorsi settantuno per come la vedo io. Mi sento vecchia, terribilmente vecchia perché la vita mi ha provato talmente tanto da farmi vedere quasi tutto o almeno così ho sempre creduto. Ho conosciuto così tante persone da ricordare i loro volti soltanto nei miei sogni ma non potrei mai dimenticare quelli di Leonardo, di Damiano, di Cassia, di Michelangelo e quelli che ho semplicemente tratteggiato nella mia mente come un quadro che abbiamo in casa e dentro cui anneghiamo i nostri ricordi più belli. Sto parlando di Aureliano, Lia e Tella. Chi sono? Lo sapete benissimo. Sono coloro che hanno saputo abbracciarmi quando ne avevo bisogno e uccidermi quando ho cominciato a sentirmi al sicuro.

    Sto parlando come Leonardo. Sono diventata come lui. Sono lo specchio di un professore che mi ha insegnato tutto anche se non riesco ancora ad amare e a odiare come era solito fare lui. Sono solo un’adolescente in cerca di se stessa, una mina vagante che potrebbe esplodere sotto le suole delle scarpe di qualcuno oppure la classica ragazza viziata e annoiata. Pensate che io sia annoiata e viziata, dite la verità! È come se vedessi i vostri sguardi giudicarmi anche ora. Del resto, non è colpa vostra ma sapete soltanto vedere ciò che sta fuori e mai ciò che sta dentro. La mia famiglia è una di quelle a cui i soldi non mancano e senz’altro penserete che io sia fortunata ma i soldi non c’entrano niente, le belle case nemmeno e i vestiti di marca li potrei anche rubare da qualche parte in un mondo in cui onesto fa rima con modesto, purtroppo. Cosa mi manca? Tutto quello che ho vissuto in un solo anno. Mi manca tantissimo e mi sento come se fossi piombata in una selva così oscura da restarci per sempre perché forse è davvero quello il posto per una ragazza come me: sono la delusione dei miei genitori che non mancano mai di ripetermelo, sono il pomo della discordia della mia famiglia, sono colei che rovina tutto quello che gli altri costruiscono ma in realtà sono una diciassettenne che tra poco se ne andrà via, via da una casa che non è più sua e lontano da una famiglia che non ha mai avuto. Probabilmente è meglio essere orfani che vivere in una gabbia dorata perché le sbarre, seppur d’oro, resteranno per sempre delle sbarre mentre correre su un prato verde o rotolare nella neve fino a non capire più quale sia il dritto e quale sia il rovescio, non vuol dire aver perso la bussola ma aver trovato la libertà. Io vorrei tanto essere libera ma la libertà l’ha trovata solo Mel Gibson nel film Braveheart, proprio sul finale, proprio mentre veniva torturato, proprio mentre stava morendo. Credo che sia proprio questo il tipo di libertà a cui tutti aspiriamo ma che non abbiamo il coraggio di inseguire perché siamo attaccati alla vita come il ferro alla calamita senza capire che a volte fa molto meno male lasciarsi andare piuttosto che continuare a essere torturati da un nodo che non ci permette nemmeno di respirare. Avete presente un pesciolino rosso in un acquario? Tutti credono stia bene. Continua a girare qua e là in una vasca di vetro per essere ammirato al pari di un fenomeno da baraccone, è nutrito regolarmente, non ha nemici da combattere eppure lui vorrebbe un po’ di privacy, desidererebbe cercarsi il cibo da solo con il rischio di rimanere a pancia vuota e soprattutto non vedrebbe l’ora di combattere le sue battaglie perché potrà vivere nell’acquario più confortevole del mondo intero ma lui sognerà sempre la libertà del mare. A nessuno piace vivere in catene sebbene a volte, queste maledette catene, aiutino a sapere chi siamo ma a me non piace sapere chi sono perché sono stufa che gli altri mi dicano chi io debba essere, come comportarmi e come rispondere ad alcune domande. Vorrei tanto avere la forza di essere me stessa, di andare in giro nuda per le vie del mio paese e mandare affanculo tutti coloro che anche adesso mi stanno osservando attraverso occhi vecchi, viscidi e depravati in cerca di soddisfare quei desideri che hanno potuto soltanto guardare attraverso uno schermo di un sudicio computer ammuffito sopra una scrivania che non ha mai conosciuto pensieri ma solo parole vuote e maleodoranti. Ed è proprio questo il guaio più grande! Mi piacerebbe disegnare arcobaleni e guardare il mondo attraverso mille colori; Leonardo mi ha insegnato questo perché in me ha visto qualcosa di più di un bel sedere dentro un paio di jeans ma io lo sto deludendo e forse è questo ciò che mi ferisce più di ogni altra cosa. Non ce la faccio! Non ce la faccio proprio a vedere un mondo a colori, non riesco a disegnare arcobaleni perché i miei occhi sono un televisore degli anni Sessanta: un po’ sfuocati e in bianco e nero. Non ho la forza di vedere quel maledetto bicchiere mezzo pieno perché la mia vita è vuota, arida e secca come un deserto senza oasi in mezzo a una distesa di sabbia così splendente sotto raggi di un sole che sanno solo ustionare e uccidere. Cammino a piedi nudi su cocci di bottiglia che mi lacerano le piante dei piedi, per questo le nascondo dentro un paio di tacchi quando esco al sabato sera. Sono un’adolescente anche se sono già una donna e vorrei potermi divertire ma le mie braccia sono oltremodo tirate verso i lati opposti tanto che prima o poi si spezzeranno lasciandomi vagare per strada monca e mutilata. Da una parte, mia madre vorrebbe darmi una mano ma è troppo presa a guardare le vetrine dei negozi e voler vivere nella favola di una vita perfetta quando di perfetto non c’è nemmeno la lettera O disegnata con il fondo di un bicchiere così rotondo da risultare stucchevole, banale e frivolo. Una sbavatura c’è e ci sarà sempre perché al mio destino piace scherzare con il fuoco e dall’altra la mano di mio papà è forte tanto da lasciarmi perfino qualche livido. Mi viene da piangere perché ricordo quando da piccola mi arrampicavo sopra le sue gambe per poterlo guardare negli occhi mentre ora, quegli occhi non li riconosco più nemmeno se li dovessi guardare per un giorno intero senza muovermi. Non vedo più amore ma soltanto odio nei miei confronti. Perché? Cos’ho sbagliato? Sono sbagliata? Io non ho mai creduto di essere un errore ma ora, queste mie certezze vacillano perché una ragazza come me non può avere sicurezze ma solo dubbi che la logorano come fanno le tarme con il legno. Vorrei tanto parlare con l’uomo di cui ogni figlia si innamora e dirgli quello che provo ma non ne ho la possibilità perché quelli che erano abbracci si sono trasformati in umiliazioni, le carezze in schiaffi e le uniche parole che escono dalla sua bocca sono fallimento, frustrazione, errore, sbaglio e perfino abbandono. Prima o poi me ne andrò davvero così non sarò mai più un peso per nessuno ma sono davvero io la causa di tutto questo? Sono giorni che non ho più la forza nemmeno di parlare e di dormire la notte nonostante voglia urlare al mondo quanto sia tremendamente ingiusto e poter riposare in un letto vero fino a quando il mio cuore smetta di versare sangue. È come se dalle mie cicatrici continuasse a uscire un odore fetido e puzzolente di rabbia e di odio e il problema è che non riesco a controllarlo. Mi piace fare sport, mi piace fare l’amore, lo sport più bello del mondo ma non pensate che io sia una ragazza frivola, ho detto fare l’amore, non fare sesso. E poi corro. Nella mia vita ho sempre corso come se fossi davvero Kipchoge alla ricerca del suo record ma il mio non frega niente a nessuno perché al traguardo non ci sono telecamere, sponsor e familiari che mi abbracciano ma solamente la mia pallida controfigura che mi dirà ancora una volta di aver sbagliato, di aver fallito e di essere l’ultima dei primi. Sono stanca di tutto questo, sono stanca di dover sempre rendere conto delle mie azioni, delle mie scelte e di ciò che voglio essere.

    Mio padre direbbe che il mio posto sia il riformatorio perché secondo lui sono una criminale, una delinquente e una poco di buono ma non ho mai spacciato, non ho mai fumato e non bevo nemmeno alcool. È una mia scelta, non giudico chi lo fa perché tutti abbiamo dei motivi per fare qualsiasi cosa e per ciascuno di noi sono senz’altro giusti, dipende dai punti di vista ma credo che chi abbia provato lo sconforto, la sofferenza e l’umiliazione, tante volte non abbia scelta e la strada che si presenta davanti ai tuoi occhi non è altro che una lunghissima galleria senza luce, senza ossigeno e senza fine. Prima o poi morirai soffocato all’interno di essa ma almeno, in qualche modo, avrai vissuto. Senza scuola, senza affetto, senza amore ma con qualche centone nel portafoglio di Gucci mentre io non voglio centoni e non voglio nemmeno il naso sporco di farina ma vorrei semplicemente perdermi tra le braccia di Damiano, il mio ragazzo. So cosa state pensando e avete ragione. Chiamalo! Vai sotto casa sua! Suona al suo campanello! Peccato che lui non possa rispondere, che non sia a casa e che il campanello suonerebbe a vuoto. È colpa mia, è sempre stata colpa mia perché forse ha ragione quel bastardo di mio padre, non sono all’altezza di far niente, non sono in grado nemmeno di prendere una sufficienza a scuola e probabilmente la mia vita sarà un fallimento. Hanno ragione coloro che mi hanno dato della puttana; mi viene da piangere al solo pensiero ma un domani potrei vivere in alberghi di lusso solo per fare dentro e fuori da una suite all’altra. Ieri sera ho visto Baby su Netflix e non ho potuto fare altro che prendere in mano il mio cuscino e stringerlo tra le braccia perché Chiara Altieri potrei essere io o potresti essere tu che stai leggendo e questo mi spaventa così tanto da paralizzare i miei movimenti e soprattutto i miei sentimenti. L’amore che provo per Damiano potrebbe essere solo un gioco perché in fin dei conti la vita è un grandissimo gioco in cui o impari a giocare in fretta oppure vieni eliminato immediatamente e io sono stata eliminata fin da subito proprio perché non ho mai capito le regole di questo gioco, alla fin fine, così banale. Io sono complicata e assurda, per questo non riesco a giocare come farebbero tutti gli altri. Per me amare significa odiare e odiare significa amare. Non ho mezze misure e non conosco l’equilibrio perché non mi è mai piaciuto fare l’equilibrista; quando vedo un ostacolo o lo salto o ci sbatto contro ma il più delle volte ottengo come risultato quello di avere mandato in frantumi il mio cuore che ormai non riesco più nemmeno a ricomporre. Damiano ha messo insieme quei pezzi. Lui è quella colla che tiene unita ogni cosa, forse perché è uguale a Leonardo, forse perché Leonardo era uguale a Aureliano e forse perché io assomiglio così tanto a quella Lia di cui Leonardo non poteva fare a meno, forse perché sono semplicemente una diciassettenne in cerca di quel goal che può risolverle la vita.

    Goal? Non posso trattenere le lacrime. Non mi piace il calcio, lo ritengo una perdita di tempo ma non sono la classica ragazza radical chic a cui piace vestirsi male ma avere i soldi, leggere Flaubert e Baudelaire ma odiare la morte e potrei andare avanti per ore ma a Leonardo piaceva così tanto e ha dato tutto se stesso per segnare un goal o per tirare un maledetto rigore. Io devo tutto a lui perché è stata l’unica persona che mi ha teso la mano facendomi assaporare per pochi attimi quell’alito di vita che non ho mai sentito sul mio viso. Tutti dicono abbia un bel viso ma a me non piace proprio perché quando mi guardo allo specchio, non vedo altro che un volto stanco e pieno di rughe. Vorrei volare alto come mi diceva sempre lui ma non ci riesco. Ho la sensazione di vagare in un limbo che mi fa sentire estranea a tutto ciò che mi circonda. Mi piace svegliarmi presto la mattina e sentire quella leggera brezza accarezzare il mio pigiama. È l’unico momento in cui sorrido perché quella brezza è il miglior buongiorno che abbia mai ricevuto. Vado verso la grande vetrata che dà sul mio giardino e osservo la pioggia che cade. Adoro vedere quelle gocce appiccicarsi al vetro e scendere giù come se fossero lacrime. Avete mai pianto? Penso proprio di sì ma io non sto parlando delle lacrime di un bambino che vuole a tutti i costi un gelato al cioccolato; io mi riferisco a quelle lacrime che solcano i meandri più profondi del cuore di un’adolescente, che non possono essere lasciate andare in pubblico e che ti hanno sempre insegnato a trattenere perché fuori luogo e sconvenienti. Fuori luogo? Sconvenienti? Non siamo più nel Medioevo anche se avrei preferito vivere in quel periodo nonostante, in fin dei conti, sono passati i secoli ma non è mai cambiato proprio nulla.

    Sapete, oggi ho vagato per le strade di Limago anche se non abito qui ma ho preso il primo treno e in poche decine di minuti sono arrivata in stazione. Sono andata al pozzo, a quel maledetto pozzo e mi è sembrato di sentire il suo odore impregnato in quei mattoni rossi sgualciti dal tempo. Sono entrata nel centro sportivo della FSL e ho percepito la sensazione di essere di troppo su quel campo. Poi ho camminato tra le vie del paese e mi sono sentita osservata da tutti come se sapessero chi fossi, come se sapessero che nei miei occhi ci fossero anche i suoi. Non sto parlando di quelli di Damiano ma quelli di Leonardo. È inspiegabile ma quel paese trasuda di mistero in ogni vicolo ed è come se potesse vedere, sentire e percepire ogni cosa. Leonardo ha sempre avuto ragione e io ne sono la prova.

    Chi sono?

    Il diavolo, ve l’ho già detto all’inizio.

    Un tempo mi piaceva scherzare ma ora non trovo più nessun divertimento nel farlo. Tutto ciò che mi circonda appassisce e poi muore. È la mia condanna? Può darsi ma non posso farci niente. Io ho bisogno di amare e sono disposta a rischiare qualsiasi cosa pur di essere innamorata. Molti sostengono che l’amore offuschi la mente e ne sono convinta anche io ma non per questo dobbiamo smettere di amare altrimenti non saremmo altro che macchine destinate all’estinzione. L’amore spegne il cervello e accende il cuore ed

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