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Come acqua
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E-book203 pagine3 ore

Come acqua

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Info su questo ebook

Un uomo innamorato dell’acqua e la sua canoa: il risultato di questo incontro è Come acqua, un libro che è insieme romanzo d'avventura, autobiografia e cronaca di viaggio. Un lungo racconto in cui si fondono l’insaziabile curiosità per l’ignoto, la sfida contro i propri limiti umani e sportivi, e la riconquista di una vicinanza al sé più profondo. Viaggi, spesso solitari, in mezzo a una natura primitiva e violenta e a una bellezza che incanta senza lasciare alcun margine di errore. L’autore, con il suo stile immediato e senza nascondere nulla, trasporta il lettore sulle rapide sudamericane, nel sacro Tibet, nella sconosciuta Tasmania. Ma il cammino si spinge anche intorno alle sue fragilità più umane, che solo nell’acqua si disvelano completamente.
LinguaItaliano
Data di uscita13 lug 2020
ISBN9791280100023
Come acqua

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    Anteprima del libro

    Come acqua - Roberto Chilosi

    AltreOmbre

    Roberto Chilosi

    COME ACQUA

    Proprietà letteraria riservata

    ©2020 AltreVoci Edizioni srls

    ISBN: 9791280100023

    Prima edizione: luglio 2020

    In copertina:

    Fotografia © Daniela Polimeni

    Elaborazione: Wahtari Studio

    Design: Creativita Agency

    Per accedere ai contenuti extra di Come acqua fai la scansione del codice o visita il seguente indirizzo:

    www.altrevociedizioni.it/qr/come-acqua

    A Chiara

    Introduzione

    Perché io so di non avere tutti i miei in casa, ma per essere matti bisogna essere veramente intelligenti! Altrimenti non si è matti ma solamente dementi.

    R. d. G.

    Non è tempo di bilanci, non lo sarà mai.

    Non mi sento arrivato e non mi va di vivere una vita in poltrona. Sicuramente sono maturato e sono meno foglia al vento di qualche anno fa, ma lo spirito che mi ha sempre spinto a fare le mie scelte non è domo. Sono soddisfatto di me, della mia vita e dell’equilibrio che ho raggiunto, eppure sarei pronto a partire domani se ne avessi l’opportunità. Il fisico non è più quello di venti anni fa, ma ritengo di poter fare ancora molte cose a livello sportivo.

    E ora scrivo un libro: una sfida enorme, un salto nel vuoto. Un percorso interiore sicuramente divertente e allo stesso tempo doloroso. Non ho grandi aspettative: il peggio che mi possa capitare è capire qualcosa in più su me stesso. È una sorta di outing di cui ignoro le conseguenze, come attraversare una porta senza sapere cosa ci sarà dall’altra parte. Anche se sono un naturista convinto, per ora l’idea di vederlo pubblicato mi fa sentire come se dovessi camminare nudo in mezzo alla gente. Scrivere di se stessi è un processo strano: hai tutto dentro di te e basta scavare a fondo per portarlo alla luce, ma non puoi inventare niente. Raccontare i fatti della mia vita in modo diverso da come sono accaduti sarebbe un po’ come tradire la mia etica.

    Ho ripreso in mano le centinaia di foto scattate e i tantissimi appunti presi durante i miei viaggi, gocce di memoria della mia storia, flash di incontri, volti e parole che non potrò mai scordare, emozioni fissate per sempre nella mia anima e che, mentre scrivo, mi sembrano ancora attuali nonostante il tempo trascorso e la mia vita sia cambiata, nonostante io sia cambiato.

    Momenti fantastici e dolorosi, come il mio primo viaggio in Nepal da solo, una fuga da una donna e da me stesso, alla ricerca di una nuova anima: settantacinque giorni vissuti uno alla volta, avendo come unici obbiettivi la discesa di nuovi fiumi e la riconquista della mia serenità perduta, la conoscenza di altri popoli e la battaglia continua per l’istante successivo di vita. Un banco di prova a volte durissimo per quello che sarebbe stato il mio futuro. La forza dell’incoscienza nell’affrontare certe discese, ma anche per cercare sempre la situazione più disagevole e dimostrare a me stesso che, nonostante avessi rischiato di distruggere la mia vita per una donna, almeno in canoa e nelle situazioni estreme non ero secondo a nessuno.

    La canoa quindi come una sorta di cilicio, per espiare la vergogna che ho avuto di me e per affrancarmi dalla colpa, in apparenza intollerabile, di essermi innamorato di una persona impossibile. Ma la canoa anche come una scoperta che si rinnova ogni giorno, o come sfida che affronto sempre con lo spirito sereno di chi vuole conoscere senza fermarsi alle apparenze, per arrivare nel profondo a capire il perché della vita: la mia e quella delle persone che hanno incrociato il mio cammino. Un cammino che non si concluderà mai, per me stesso, per le persone che mi stanno vicino, e soprattutto per mia figlia Chiara.

    Rivivere le emozioni passate, assistito per fortuna dalla mia ancora buona memoria, mi aiuterà a fare la differenza tra quello che ero e quello che sono diventato, proprio grazie a questi viaggi e a queste imprese sportive.

    La mia regola è sempre stata quella di provare sulla mia pelle le cose che mi incuriosiscono, soprattutto se comportano difficoltà: in questo senso ho dimostrato una buona fantasia.

    Sono molto sensibile al fascino femminile, probabilmente troppo, e questo mi ha portato a volte a infilarmi in storie fini a se stesse, senza pensare troppo alle conseguenze. Come figlio di genitori separati, da ragazzo credevo che avrei trovato conforto nella stabilità sentimentale, ma ci ho messo poco a capire che invece proprio nel torbido delle relazioni extraconiugali o delle storie con il solo fine del sesso avrei trovato il terreno fertile per assecondare il mio carattere.

    So di aver fatto errori enormi nella mia vita, ma non ho mai scaricato le mie colpe sugli altri e ho sempre pagato di persona le mie responsabilità: in questo mi sento onesto e puro. Ho molto rispetto per gli altri e per le loro vite. Mi piace ascoltare per imparare e capire. Ascolto volentieri tutti, anche quando mi accorgo che il mio interlocutore sta mentendo.

    I cambiamenti climatici mi stressano, il razzismo e la cattiveria dilagante mi fanno stare male e mi devo fingere in un altro mondo e attingere ai ricordi per cercare di ignorare il presente. Volo spesso nei miei mondi paralleli nei quali sono un supereroe, un assassino, un re o un coglione qualsiasi, ma da quelle realtà traggo lo spunto per isolarmi, quando quella attuale mi angoscia e mi stringe lo stomaco. E faccio tutto con serietà e impegno, soprattutto le cazzate, ma non mi prendo mai troppo sul serio.

    Questo è quanto, e probabilmente non è poco.

    Free Solo

    Italia – Natale 1995

    È tutto Vero!

    Anonimo

    Lo faccio.

    Ho deciso che lo faccio, domani.

    Non dirò niente a nessuno fino a domattina, quando avviserò Stefano e forse Giuseppe, ma fino ad allora non voglio ansie e rotture di scatole supplementari.

    Ci penso mentre sono a tavola coi miei in un ristorante a Castel del Piano, in Toscana, dove ci siamo ritrovati tutti insieme come se fossimo una famiglia normale. I miei sono separati da anni ma vanno d’accordo per cui, come d’abitudine da qualche anno a questa parte, ci troviamo qui a mangiare per la vigilia di Natale.

    Mi rimpinzo come se non avessi un domani, ma io un domani ce l’ho: ho deciso che scenderò in solitaria il Gordana, un torrente molto impegnativo che scorre nella valle di Zeri e sfocia nel fiume Magra a Pontremoli, in Lunigiana. La gola alta è molto difficile e mortalmente insidiosa: qualche anno fa è stata teatro di un incidente, ma io ne sono innamorato dalla prima volta che l’ho discesa.

    Ecco, magari avrò un domani ma non un dopodomani, ma sono tranquillo, perché sono allenato e in canoa so il fatto mio. In ogni caso voglio saggiare i miei limiti, qualsiasi cosa comporti, quindi lo farò da solo. Le solitarie mi hanno sempre affascinato, anche se sono ben conscio che non lasciano margini di errore. Da ragazzo la solitudine mi spaventava e pesava, oggi è la mia miglior compagna: essere autosufficiente in una condizione oggettiva di rischio è una sfida con me stesso a cui non voglio rinunciare.

    Oggi piove e il fiume è grosso. La notte porterà consiglio: in base a come la passerò, deciderò se andare davvero oppure no, intanto però preparo il materiale e la bicicletta che userò per recuperare l’auto che lascerò all’imbarco. Metto anche la pagaia di scorta, in caso dovessi rompere la mia, più altro materiale per gestire le emergenze: una corda galleggiante da lancio di sicurezza, cordini vari e moschettoni, fischietto e coltello. Controllo tutto un paio di volte, aggiungo qualcosa da mangiare in caso di emergenza, faccio un po’ di stretching, poi vado a nanna. La notte passa bene, la mattina mi sveglio presto, come mio solito, riposato e determinato.

    Parto, ma non prima di una bella colazione e di aver avvisato il mio grande amico Stefano Vietti su quello che sto per fare: se non avrà mie notizie entro le 17, dovrà chiamare i soccorsi. Stefano è molto fatalista, a volte sembra superficiale ma è solo apparenza: è una persona positiva e razionale. Scherziamo su cosa potrebbe tenersi se io dovessi morire e ci accordiamo per la mia collezione di libri, i cd e la mia mountain bike.

    Buon Natale, ciao ciao, ci vediamo stasera.

    I miei ovviamente non sanno nulla: mia madre starebbe male, mio padre invece – scoprirò con piacere – è molto più tranquillo, oppure ha capito che non sono incosciente come potrei sembrare.

    Piove ancora, ma la temperatura è discreta. Sul passo del Brattello, vedendo i piccoli torrenti che si incontrano nel versante toscano, mi faccio un’idea del livello che troverò sul Gordana: alto ma non impossibile. L’ho già sceso tre volte, anche se sempre con altri. Mi risulta che finora nessuno lo abbia mai fatto in solitaria.

    La gola è lunga sette chilometri con un grado compreso tra iv e vi nella scala White Water (ww) che va da i (uno), molto facile, a vi (sei), estremamente difficile, cioè ai limiti della praticabilità. Normalmente, quando una rapida è troppo difficile o impossibile da percorrere, si scende a riva e la si supera a piedi, con la canoa in spalla. Si chiama trasbordo. Sul Gordana, che scorre dentro una stretta gola rocciosa, un trasbordo implicherebbe arrampicate sulle cenge di roccia ai lati del fiume, spesso legando la canoa con una corda per non rischiare che finisca nel fiume. In particolare nel primo chilometro la gola è strettissima e le rapide sono obbligate, ovvero non si possono superare a piedi e non è quasi mai possibile abbandonare il fiume in caso di problemi. Lì l’acqua si arrampica letteralmente sulle pareti, creando gorghi, rulli e banane, tutti termini del gergo canoistico per indicare varianti diverse dello stesso concetto: acqua pericolosa.

    In particolare sono due le rapide, su una cinquantina in totale, che mi preoccupano e sulle quali so che dovrò essere estremamente concentrato e attento. Nella prima l’anno scorso ho fatto un bagno piuttosto lungo: gli altri tardavano ad arrivare, nel frattempo io frullavo, rotolando come una pallina da ping pong nel rullo alla base del salto.

    Quando arrivo ha smesso di piovere, ma la nebbia avvolge la valle verde e strapiombante. Lascio la bici e una sacca stagna con i ricambi asciutti nascoste nel bosco, vicino al mitico sbarco del Gordana, cioè dove arriverò una volta finita la discesa.

    Dal lago della diga alla strada sono più di trecento metri di dislivello nel bosco, i primi cento ripidi e scivolosi. Molti canoisti che conosco non hanno mai percorso questo fiume proprio per questo motivo: a parte le difficoltà tecniche, la salita su un sentiero difficile da trovare e fangoso scoraggia parecchi kayaker. La prima volta che l’ho disceso, un’estate di tre anni fa assieme a Stefano e Roberto, è stata dopo un temporale: abbiamo impiegato più di due ore per risalire, tra rovi e imprecazioni. Le canoe in quegli anni erano ancora lunghe, mediamente 300-310 centimetri, e portarle in spalla attraverso un bosco fitto è stato tremendo, si incastravano e si impigliavano ovunque. Uno dei motivi per cui adesso uso una barca molto corta è anche questo: ho molta, moltissima resistenza, ma poca forza, e quando devo trasportare carichi gravosi vado subito in affanno.

    Arrivo all’imbarco, al paese di Noce, da cui per un breve e ripido sentiero si raggiunge il fiume. Qualche addobbo natalizio mi ricorda che oggi è Natale e tutti saranno a festeggiare, ma io sono oramai nella mia bolla di sapone – o campana di vetro, come chiamo io le ore che precedono una discesa importante: mi isolo completamente dall’ambiente circostante ed entro in uno stato quasi di trance. So di essere bravo in canoa, ma anche di avere ancora poca esperienza, quindi dovrò essere il più concentrato possibile per non fare errori che, in una solitaria, potrebbero avere pessime conseguenze.

    Mi cambio, ricontrollo il materiale, faccio una decina di minuti di riscaldamento e poi parto. I primi duecento metri sono relativamente facili, ottimi per fare gli esercizi di riscaldamento, poi subito i due salti artificiali che sanciscono l’entrata nella prima gola: l’Inferno, come l’ho soprannominata io. Il primo è alto quasi quattro metri e va preso di slancio, il secondo, più basso ma più insidioso, va superato anch’esso in velocità per evitare il forte rullo alla base.

    Il colore dell’acqua sta virando dal marrone al verde scuro torbido, quindi siamo in regime di piena calante, la condizione ideale per una discesa perché dovrebbero già essere passati tutti i tronchi e i rami che potrebbero ostruire il corso del fiume. Sopra di me la nebbia, e ancora più su gli alberi, che dalla cima della gola rocciosa si sporgono sul fiume come spettatori curiosi e interessati.

    Mi fermo in una morta, una zona di acqua più calma, dove posso fare un ultimo controllo. Il respiro accelera, il cuore pompa il sangue nelle vene. Mi sento forte ma qui inizia la parte difficile, quella in cui si stabilirà se anche io avrò un domani o se la mia storia finirà qui. Devo essere deciso, è un tratto molto pendente e continuo da fare a vista, cioè senza la possibilità di ispezionare la rapida prima di affrontarla, per capirne i pericoli e tracciare almeno mentalmente una traiettoria ideale. Col livello di oggi, è un quinto grado.

    Scendo bene, senza problemi, poi devo obbligatoriamente prendere una morta a destra, una zona di acqua più calma, dove mi fermo e mi arrampico sulle rocce scivolose per ispezionare per quanto possibile la rapida successiva, una delle due che temo di più: non vorrei che nella parte finale ci fossero tronchi incastrati, pericolo potenzialmente mortale se dovessero ostruire il passaggio. Riesco a intravedere il punto in cui avevo frullato tre anni fa: sembra libero, ma il livello del fiume è alto e la rapida fa impressione.

    Adoro la canoa: è uno sport molto tecnico, ma l’acqua non segue le tue stesse regole e, per quanto tu riesca a interpretare la linea da seguire, basta uno spostamento laterale di pochi centimetri per stravolgere tutte le tue previsioni.

    La sfida è con me stesso, non contro il fiume o la natura, ma assieme a loro. Non vedo Nirvana liquidi o Madonne a ogni rapida che percorro come affermano molti canoisti blasonati, ma sono sempre grato all’acqua che mi permette di passare.

    E passo.

    Poi l’impraticabile: un salto a imbuto impossibile da fare, almeno oggi, che mi costringe all’uso di corda e moschettoni per calare me e canoa sulla sinistra, effettuando un insidioso traverso in acqua e su rocce scivolose. Mi reimbarco per percorrere i quaranta metri molto difficili prima del salto successivo, teatro di un incidente mortale nel 1985. Mentre ispeziono la rapida molto al di sopra del livello del fiume e valuto cosa fare, trovo la lapide commemorativa, una pala di una pagaia con nome cognome e date di nascita e morte di Manuel. Questa sarà l’ultima volta che la lapide viene vista da qualcuno: probabilmente nelle prossime settimane sarà trascinata via da una piena e finirà libera nella corrente, come lo spirito dei canoisti morti.

    Non guardo l’orologio, non ho fretta, anche se mi rendo conto di essere veloce nelle mie decisioni. Amo le solitarie anche per questo: odio le perdite di tempo, da solo seguo il mio ritmo.

    Oggi il salto è fattibile, c’è una finestra sulla sinistra che credo di riuscire a percorrere. Lo passo e mi fermo nella pozza sottostante. Ora mi aspetta la tanto temuta seconda rapida. Il vantaggio è che con questo livello non ci

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