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Tessaglia: operazione M.I.S.H.A.
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E-book302 pagine4 ore

Tessaglia: operazione M.I.S.H.A.

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Info su questo ebook

Fantasy - romanzo (231 pagine) - L’amore è più forte dei condizionamenti mentali? Si può amare un sicario programmato per ucciderti? Tessa dovrà scoprirlo sulla propria pelle.


Tessaglia ha diciassette anni e vorrebbe una vita normale, ma non l’avrà mai.

Agile, forte e dotata di un olfatto portentoso, quelli come lei sono chiamati “Segugi”, e sono visti con paura e disprezzo dal resto del mondo.

Quando non va a scuola Tessa aiuta il suo tutore, il capitano Sergio, nell’identificazione dei sospetti criminali. Sarà durante un interrogatorio che si imbatterà in Misha, un ragazzo bello e misterioso, un Segugio potente come nessun altro.

Perché non ha odore né chip identificativi?

E perché non esiste nel sistema?

Cercando le risposte a queste domande, Tessa scoverà le propaggini sotterranee di una potente organizzazione segreta, una fabbrica degli orrori che sfrutta l’ingegneria genetica e il condizionamento mentale per creare un esercito di killer spietati.

In una Roma distopica, dove la differenza tra la vita e la morte la fa l’essere nati all’interno delle mura, Tessa dovrà unire le proprie forze con i suoi nemici… e cercare di salvare proprio colui che è programmato per ucciderla.


Polly Russell, classe 1975, marchigiana di nascita e sabina d’adozione, è una lettrice e scrittrice compulsiva. Nel 2010 inizia a partecipare a diversi premi letterari minori con buoni risultati e pubblica in numerose antologie e riviste. Frequenta palestre letterarie come Minuti contati, La Sfida e Lo Skannatoio, e modera per alcuni anni il forum di scrittura creativa La Tela Nera.

Nel 2014 subisce una battuta d’arresto per problemi personali. Ricomincia a scrivere qualche anno più tardi, vincendo o classificandosi finalista in premi come l’Arthè, La centuria, Il sentiero dei draghi e Inchiostro e Pinna.

Tra le raccolte che contengono sue pubblicazioni: Il magazzino dei mondi e 365 Racconti horror di Delos Book; ASAP tempi che corrono, auto pubblicato; Dieci passi nell’aldilà di Liberodiscrivere; I Mondi del Fantasy IV di Limana Umanita e due volumi di Steampunk Vapore Italico, Edizioni Scudo. Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati in riviste come la Writer Magazine Italia, Noir, Terre di confine, Short Stories e sotto forma di podcast.

LinguaItaliano
Data di uscita30 mar 2021
ISBN9788825415629
Tessaglia: operazione M.I.S.H.A.

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    Anteprima del libro

    Tessaglia - Polly Russell

    podcast.

    Prologo

    Mauro appoggiò la schiena alla parete, chiuse gli occhi e prese un respiro profondo.

    – Qualcosa non va? – gli chiese Lucio dandogli una spallata amichevole.

    – No, tutto bene. Cominciamo.

    La zona intorno al Varco Tiburtino era deserta, l’accesso era proibito di notte e lo sarebbe rimasto fino alle sei del mattino. Era il momento migliore per mettere in atto il piano.

    Mauro si sfilò lo zaino dalla spalla e ne controllò il contenuto per l’ennesima volta. La miscela che aveva preparato il Chimico avrebbe fatto tanto rumore, tanta polvere e una deflagrazione sufficiente ad aprire un bel buco nel muro che separava il mondo dei ricchi da quello dei poveri.

    Lucio gli strinse il braccio. – Basta controlli, guarda che il Varco non esploderà da solo.

    – Sì, hai ragione. Muoviamoci – disse lui, ricambiando la stretta.

    Deglutì con fatica e si rimise in spalla lo zaino.

    In lontananza, un cane uggiolava e degli ubriachi emettevano schiamazzi stonati.

    Il Varco vero e proprio, il cancello che li separava dal centro città, era a meno di un centinaio di metri, poco prima del ponte. Il muro alto una quindicina di metri correva come un nastro grigio in entrambe le direzioni, perdendosi verso il cimitero da un lato e tagliando in due la stazione Tiburtina dall’altro. Le proiezioni olografiche delle pubblicità si rincorrevano sulla parete, in gara per raggiungere i posti più visibili.

    Lui e Lucio attesero quella di un sexy shop della zona per nascondersi sul suo sfondo nero. Corsero insieme alla proiezione, radenti al muro.

    Mauro azionò l’innesco, lasciò cadere lo zaino a ridosso della parete, qualche metro dopo quello che aveva lasciato cadere Lucio, e proseguì dritto per portarsi al riparo dietro un cassonetto.

    10, 9, 8…

    Qualcosa lo afferrò per il cappuccio della felpa. La presa era tanto salda e repentina che lo scaraventò a terra.

    – Ma che diavolo…

    Non ebbe il tempo di chiedersi altro. La cosa lo aveva artigliato alla gola e sbattuto contro il muro.

    A Mauro mancava il fiato, la presa era tanto salda da impedirgli di respirare in modo corretto. Quella cosa era una persona? Possibile?

    Spalancò gli occhi mentre, in carenza d’ossigeno, cercava di divincolarsi dalla morsa che gli serrava il collo. Tutto ciò che riuscì a distinguere alla fioca luce dell’illuminazione pubblica furono un paio di occhi di un blu tanto intenso da sembrare innaturale.

    Avrebbe voluto chiedere aiuto, ma riuscì solo a vomitare dei vocalizzi strozzati.

    L’essere che lo aveva aggredito non accennava a diminuire la forza esercitata, lo avrebbe ucciso.

    La salvezza arrivò con le fattezze rudi di Lucio e con una spranga raccattata chissà dove. L’amico la abbatté sulla testa dell’assalitore, obbligandolo a lasciarlo.

    Un boato improvviso li fece sobbalzare.

    Era la prima esplosione del Varco. Aveva funzionato!

    Mauro si coprì la testa con le mani per evitare la pioggia di calcinaci. Le orecchie gli fischiavano, e non era solo perché decine di allarmi si erano attivati dalle auto parcheggiate e dalle case vicine. L’esplosione era stata vicinissima.

    Il tipo che Lucio aveva colpito si alzò e scrollò le spalle come se lo avesse picchiato con un cuscino. Emerse dalla penombra e finalmente vide com’era fatto: un ragazzo più o meno della loro età, con gli occhi che brillavano come quelli di un felino.

    A Mauro si accartocciò lo stomaco.

    Chi diavolo era, e cosa voleva da loro?

    Un paio di sirene degli sbirri ulularono in avvicinamento.

    – Corri, Lucio! – fu l’unica cosa intelligente che a Mauro venne in mente di dire.

    L’amico non se lo fece ripetere, ma anche il ragazzo misterioso cominciò a rincorrerli. In poche falcate li raggiunse, afferrò la felpa di Lucio, quando la seconda esplosione lo investì, sbalzandolo qualche metro più avanti.

    Mauro tossì per il polverone che si era alzato, e si scrollò di dosso qualche detrito.

    Al ragazzo misterioso però era andata peggio. Era riverso a terra con un braccio e una gamba piegati in modo innaturale.

    Mauro si paralizzò.

    – Non sarà mica… – non riuscì a finire la frase.

    Non aveva mai ucciso nessuno, finora.

    – Meglio lui che noi – mormorò Lucio raggiungendolo col fiatone, poi lo afferrò per un braccio. – Andiamo, gli sbirri saranno qui a momenti!

    Il ragazzo a terra mugolava qualcosa

    – Aspetta – rispose Mauro, drizzando le orecchie.

    – Non può essere – balbettò Lucio.

    Il ragazzo che li aveva assaliti si stava alzando sulle braccia. Era incrostato di sangue, disarticolato, con la maglia a brandelli.

    Non poteva essere ancora vivo. Non se era umano.

    Si tirò in piedi come un incubo che al mattino non vuole scomparire, una mano tesa verso di loro. Il suo sguardo era cambiato, stava provando a dirgli qualcosa?

    Mauro decise che non voleva scoprirlo.

    Afferrò la mano che gli tendeva Lucio e si tirò in piedi.

    L’ultima cosa che vide mentre fuggivano furono le macchine degli sbirri che circondavano il ragazzo misterioso.

    Capitolo 1

    Tessa emerse dalla vasca e appoggiò le braccia sul bordo di porcellana. L’ologramma di un unicorno galoppava nella stanza nitrendo per invitarla a rispondere al telefonino, che lampeggiava per terra. Lei allungò un braccio gocciolante e pigiò il tasto mute sul display. L’unicorno si ammutolì e rientrò nell’apparecchio.

    – Che scocciatura – sussurrò Tessa e sprofondò di nuovo nell’acqua tiepida che sapeva di mirra e sandalo.

    Le mani sul bordo, gli occhi chiusi, con le dita seguiva il ritmo del basso di Little black submarines in filodiffusione.

    Oh, can it be? canticchiò. The voices calling me, they get lost and out of time.

    Aggiunse ancora un po’ d’acqua calda prima di immergere la testa e bagnare il caschetto di capelli corvini. Shampoo lisciante, balsamo ammorbidente… era tutto inutile. Tanto, appena asciutti i suoi capelli sarebbero tornati selvaggi, e ogni ciocca se ne sarebbe andata per conto suo.

    Quando uscì dalla vasca, il telefono stava vibrando e il nome Sergio lampeggiava sullo schermo.

    Tessa alzò gli occhi al cielo. – Dovrai aspettare ancora un po’ – disse allo schermo che strisciava lungo il linoleum color indaco.

    Si arrotolò in un telo da bagno, prese le pinzette e si avvicinò allo specchio. Aveva sopracciglia folte ma ben disegnate, una bella linea curva che si alzava verso il naso.

    Sergio diceva che i grandi occhi scuri e le labbra sottili la facevano somigliare a una bambola di porcellana. Lei preferiva pensare di somigliare a un personaggio di qualche manga. Accentuò la somiglianza con un velo di rossetto scuro al centro delle labbra, per lasciare gli angoli sfumati, e si spostò in camera ballando sulle note di un assolo di chitarra elettrica.

    Appallottolati ai piedi del letto c’erano un completo di pelle e un paio di magliette. Tessa li scostò con un piede e si fece un varco fino al letto, sepolto sotto un ingombro di vestiti ammassati. Se mai avesse avuto una madre, non sarebbe stata contenta di quel disordine. Ma tanto lei non ce l’aveva.

    Dalla cabina armadio scelse un paio di pantaloni verde militare con più tasche di quante ne potessero davvero servire, li indossò insieme a un top nero e si controllò allo specchio.

    Poteva andare.

    Abbassò i pantaloni fino a scoprire l’ombelico e spettinò i capelli con le mani.

    Meglio.

    Tornò in bagno e raccolse il telefono. C’erano sette chiamate, tutte di Sergio.

    – E va bene, sentiamo che vuoi.

    Nell’ultimo messaggio della segreteria il capitano parlava sottovoce, ma il tono era tutt’altro che calmo.

    – Dove cazzo sei, Tessaglia? Devi venire qui, subito!

    Ma che diavolo voleva durante il suo giorno libero?

    Tessa si grattò la testa bagnata. – Chiama Sergio e metti in viva voce – ordinò a Luca, la IA della casa.

    – Subito, principessa – rispose la voce sensuale e retrò di Luca Argentero.

    Nell’attesa, Tessa si strinse i lacci degli anfibi.

    – Finalmente! – sbottò la voce di Sergio, sostituendosi alla musica dell’interfono. – Sono ore che ti chiamo, ma dov’eri?

    – A godermi un lungo bagno rilassante – rispose lei, cercando di sottolineare la parola rilassante.

    Capisci il messaggio, capitano.

    – Be’, considera il relax finito. Ho bisogno di te qui, adesso. – Sergio stava ancora sussurrando, ma il tono era più incazzato di prima.

    Tessa sbuffò. – Senti, sono le dieci e ho un appuntamento con Maru. Anzi – aggiunse guardando l’ora dal display – sono pure in ritardo. Trovati un altro Segugio per stasera, OK?

    Segugio. Era quello il modo in cui chiamavano quelli come lei, quelli che lavoravano per il governo, almeno. Per tutti gli altri gli appellativi erano meno lusinghieri: Lupi, Sciacalli… E il ciondolo con la testa stilizzata che somigliava a quelle belve, e che brillava accanto al lavandino, era lì per ricordarle che tutto quello che aveva lo doveva solo alle sue capacità.

    – Non ce l’ho un altro Segugio – ribatté il capitano – e vedi di muoverti se non vuoi un ragazzo sulla coscienza. La Guardia Sacra lo sta interrogando da ore… non finirà bene.

    – Merda. – Tessa chiuse la conversazione e corse fuori. – Ehi, Luca! – alzò la voce per sovrastare la musica appena tornata, infilandosi la giacca di pelle appesa accanto alla porta.

    L’assistente vocale le rispose dall’interfono: – Cosa posso fare per te, principessa?

    – Chiama un taxi.

    – Provvedo subito. Posso fare altro per te? Preparo un tè, una tisana?

    Tessa ridacchiò immaginando l’attore dei primi duemila che le preparava lo spuntino serale e appoggiò il palmo sul lettore accanto alla porta. – No, no, grazie.

    Il tempo di scendere i dodici piani del palazzo, e il taxi a levitazione era già lì ad attenderla. Tessa si strinse nella giacca e rabbrividì ai primi freddi della notte autunnale. Avvicinò il palmo al display esterno della macchina. I suoi dati scorsero sullo schermo e si fermarono alla parola idonea, poi attese il bip di assenso e salì.

    – Caserma Barberini. Sai dov’è? – chiese all’autista.

    – Certo dolcezza. – L’uomo le sorrise dal riflesso nello specchietto retrovisore.

    Tessa si schiarì la voce.

    Lo sguardo dell’autista cadde sul ciondolo, e il sorriso gli si spense sulle labbra. – Oh… mi scusi, volevo dire subito signorina – si corresse, e avviò il tassametro con la mano che tremolava.

    Tessa fece un cenno veloce al piantone, solo due dita sollevate nella sua direzione, ma non si fermò a guardarlo. Proseguì spedita verso la scalinata al centro dell’androne. La gomma degli anfibi produceva fischi spezzati nel silenzio della sera.

    Il corridoio del primo piano era quasi deserto. Si sfiorò il collo, percorse il collarino in pelle con la punta delle dita e si fermò sul ciondolo. Lo girò in modo che la parte anteriore, con il logo, fosse visibile.

    Due militari stavano chiacchierando davanti a una porta a vetri, quello più alto era di spalle. Quando si girò e le puntò addosso gli occhi color miele, Tessa si rese conto che era l’agente Matteo Carli, il più giovane della caserma, con solo tre anni più di lei. Di certo il più carino.

    Il ragazzo la fissò per un momento, una tazza di caffè fumante stretta in mano, poi le fece un cenno con la testa, un misto tra un saluto e un implicito dove vai?

    Lei continuò a camminare, la testa bassa, lo sguardo fisso alla porta alla fine del corridoio. Nel passarci davanti allungò una mano e gli sfilò la tazza dalle mani.

    Lui alzò un sopracciglio senza smettere di fissarla.

    – Ci vuoi del latte? – le chiese accennando un sorriso, poi al suo sguardo di sfida improvvisò un colpo di tosse, distese le labbra e abbassò lo sguardo.

    – Dov’è il capitano? – chiese lei in modo brusco, sperando di mascherare il fatto che lo stava guardando con troppo interesse.

    Il ragazzo strinse le mani ormai vuote e se le massaggiò. – Ti stava cercando, in effetti. È laggiù – indicò la porta in fondo al corridoio – ma ci sono degli agenti della Guardia Sacra, non credo possa essere disturbato. Se vuoi provo a chiamarlo, oppure ti accompagno. – Le offrì il braccio e si inchinò appena, per guardarla in viso.

    Tessa diede un sorso alla bevanda e arricciò il naso.

    – Questo caffè fa schifo – disse, rafforzando la corazza da dura che si era imposta, poi gli restituì la tazza e tirò dritta.

    – Se hai bisogno sono qui! – le gridò dietro il ragazzo, mentre l’altro ridacchiava e lo prendeva in giro, la cotta stratosferica che aveva per lei doveva essere di dominio pubblico.

    Tessa li ignorò, spalancò la porta e si trovò in una piccola sala d’attesa. C’era una porta in metallo chiusa sul muro di fronte, e il capitano Sergio Nardone seduto su una delle tre poltroncine in finta pelle verde. I primi due bottoni della camicia erano aperti e si teneva la testa tra le mani. Con i gomiti poggiati sulle ginocchia, si massaggiava la nuca rasata al riparo della fotografia del Gran Maestro, appesa alla parete.

    – Allora? – gli domandò lei, avvicinandosi.

    Sergio sollevò il capo. – Oh, finalmente! – Si alzò di scatto e diede due poderosi colpi alla porta chiusa. – Aprite! È arrivato il mio Segugio. – Ancora un colpo, più forte dei primi. – Adesso!

    Tessa lo fissò, in attesa di un ragguaglio un po’ più sostanzioso.

    Sergio tornò a rivolgersi a lei. – Ma quanto ci hai messo? Diamine, abiti a due passi!

    – Il tempo minimo – rispose lei – sono pure venuta in taxi! Tu lo sai che quelli della Guardia Sacra sono delle bestie, avresti dovuto fermarli.

    – Non posso fermarli se non ho un Segugio che interroghi il sospettato, e guarda un po’? Il mio Segugio non era reperibile! Che cosa te lo pago a fare un cellulare di ultima generazione?

    Tessa soffiò via un ciuffo di capelli dagli occhi e li alzò al cielo.

    Qualche secondo più tardi, la chiave girò nella serratura. Si affacciò un uomo di grossa corporatura: sudato, camicia bianca sporca di sangue, nocche sbucciate e la guardava con un’espressione tanto incredula da farla innervosire.

    – Che cos’è questo, capitano, il giorno del porta tuo figlio al lavoro? Chi diavolo è questa ragazzina?

    Tessa gli lanciò un’occhiataccia. Aveva diciassette anni, non era una bambina. Detestava che la considerassero tale dopo tutto l’impegno che ci metteva. Era tutta la sua vita quel lavoro. Ma quando sei un Lupo, la gente non vede altro che questo.

    Sergio sollevò il labbro in una sorta di ghigno. – Questa ragazzina è il miglior Segugio in circolazione, lavora per me ed è qui per valutare il sospetto.

    L’altro fece una risata forzata e appoggiò la mano sullo stipite della porta, impedendo loro di oltrepassarla. – Non abbiamo alcun bisogno del tuo cucciolo, ce la caviamo benissimo da soli.

    Era una sentenza, più che un’affermazione.

    Il capitano corrugò le sopracciglia folte, gli occhi dal taglio orientale ridotti a due fessure nere.

    – Non me ne frega un cazzo. Non avete uno straccio di prova, senza la consulenza di un Segugio non potete classificarlo come terrorista, ora il Segugio è qui e voi dovete togliervi dalle palle. Adesso è nella mia giurisdizione.

    L’uomo allargò le braccia e si tirò su le maniche.

    – Il prigioniero non ha documenti, né chip identificativo ed è stato arrestato a due passi dal luogo dell’attentato. Ha i vestiti a brandelli e bruciaticci.

    Sergio diede un pugno alla mostra della porta facendola vibrare e gli urlò in faccia.

    – I miei uomini lo hanno arrestato, non voi! E perché guidava un’auto rubata! – Spalancò la porta, spostò l’energumeno con uno spintone e fece cenno a Tessa di seguirlo.

    Lei non si fece aspettare, ma subito dopo qualcuno trattenne Sergio con dei moduli da firmare, e Tessa si ritrovò dentro da sola.

    Il cuore le batté forte.

    All’interno c’erano altri due uomini, stessa stazza di quello che le aveva aperto, stesse camicie, stesse macchie vermiglie. Facce simili: com’era possibile che la guardia scelta del Gran Maestro si somigliasse tutta?

    Tessa dovette fare un passo indietro, investita dall’odore di sangue e adrenalina. Si mise una mano davanti alla bocca e tossicchiò.

    – Ma che diavolo avete combinato?

    Gli uomini si scambiarono qualche occhiata compiaciuta, ma non si degnarono di risponderle.

    Tessa vagò con lo sguardo nella stanza che era quasi spoglia, fatta eccezione per un vecchio schedario in metallo tra due finestre e una piccola scrivania in un angolo. Al centro, su una poltroncina, era legato un ragazzo all’incirca della sua età.

    Polsi e gomiti erano stretti da manette magnetiche ai braccioli, oltre che le caviglie, e sembravano l’unica cosa che gli impedisse di rovinare a terra. Il capo scuro era riverso sul petto, la maglietta ridotta a brandelli penzolava dai jeans macchiati di sangue. Le braccia e il petto erano anneriti da lividi estesi, la pelle lacerata in diversi punti.

    Tessa si tirò una ciocca di capelli ancora umidi dietro a un orecchio e si avvicinò al prigioniero.

    – Siete dei mostri… – sussurrò mentre si inginocchiava per guardarlo in faccia.

    Dovette deglutire un paio di volte per ingoiare il groppo che le stringeva la gola. Avvicinò due dita al viso del prigioniero, ma appena lo sfiorò quello aprì gli occhi, due sfere blu su un tappeto rosso.

    Rimase incantata dalla loro lucentezza, dal loro chiarore nonostante le venature sanguigne che formavano un’intricata ragnatela sulla sclera. Sentì il cuore perdere un battito e dovette farsi scudo di tutta la propria determinazione per non cedere alla voglia di fargli una carezza.

    Lui scattò indietro facendo traballare la poltrona. Il viso era una maschera di sangue, l’occhio destro quasi del tutto chiuso dal rigonfiamento sullo zigomo. Prese fiato, un lungo filo di sangue denso schiumò dalle labbra spaccate.

    – Chi sei tu? – ringhiò.

    Tessa alzò i palmi delle mani. – Non ti preoccupare, non voglio farti alcun male… e non te ne faranno nemmeno loro – aggiunse, lanciando uno sguardo torvo agli energumeni che si erano avvicinati. Si schiarì la voce con un colpetto di tosse per togliersi dalla gola il groppo che si era formato. – Non più, almeno.

    Il ragazzo la guardò per un lungo istante, senza battere le palpebre. Alzò appena il naso, come per annusarla.

    – Sei qui per me? – biascicò, la voce arrochita dallo sforzo evidente che faceva per non perdere di nuovo conoscenza.

    Ma fu inutile, perché socchiuse gli occhi e svenne.

    Tessa gli spostò le lunghe ciocche corvine indietro e sfiorò la linea del naso. Era deformata e gonfia, ma non nascondeva i tratti gentili. Si sorprese a pensare a quanto fosse bello, nonostante il viso devastato dal pestaggio.

    Era sicura che non fosse un criminale. Non sapeva perché, e di solito non si affidava alle sensazioni. Eppure, quel ragazzo le infondeva calma e sicurezza.

    – Per quale motivo lo avete massacrato? – Lo annusò. Sgranò gli occhi. Impossibile: non aveva alcun odore. – Non odora di esplosivo – disse per prendere tempo, mentre iniziava a sudare. Doveva improvvisare. – Puzza di birra e ha addosso un profumo da donna. Probabilmente era a una festa, o con la sua ragazza. Bestie. Siete delle bestie!

    L’agente che aveva aperto si sistemò i polsini.

    – Dovresti uscire, se hai il pancino delicato – la canzonò.

    Sergio rientrò in quel momento. Raggiunse Tessa accanto al ragazzo privo di sensi.

    – Avete avuto tutto il tempo per farlo controllare dai vostri Segugi – continuò l’agente della Guardia Sacra. – Una volta che entriamo in gioco noi, diventa il nostro caso.

    Si avvicinò a grandi passi al prigioniero, diede una spinta a Tessa, facendola cadere a sedere e afferrò lui per i capelli. Gli strattonò la testa indietro e lo scosse. – Sveglia pezzente! – gli urlò addosso.

    Il ragazzo aprì di nuovo gli occhi, ma solo per un momento.

    L’agente si rivolse a Tessa, che si sentiva tanto impotente quanto furiosa.

    – Siamo a un passo dalla confessione, poi non avrete alcuna autorità su di lui. – Aprì la mano, lasciandogli cadere la testa all’indietro e se la pulì sui calzoni. – Occuperemo la vostra bella caserma solo qualche altro minuto, il tempo che vengano a prelevarci.

    Avrebbero continuato a pestarlo, finché non avesse confessato loro quello che volevano sentirsi dire, o finché non lo avrebbero ucciso.

    Per un Lupo come Tessa, essere un Segugio era l’unica possibilità per elevarsi sopra agli sguardi carichi d’odio e diffidenza, sopra al timore e ai preconcetti. E riuscire ad essere considerata normale era quello a cui lei ambiva da quando aveva memoria. Inimicarsi la Guardia Sacra, strappar loro dalle grinfie un possibile terrorista avrebbe mandato tutto il suo lavoro in fumo. E avrebbe deluso Sergio.

    Ma il prigioniero aveva riaperto gli occhi e la stava fissando.

    Quanto poteva essere persuasivo uno sguardo?

    I dubbi di Tessa svanirono. Si alzò, con gesti misurati estrasse il telefono dalla tasca e scattò un paio di foto al prigioniero e all’agente.

    – Che diavolo stai facendo, Segugio? – sbraitò quest’ultimo.

    Tessa gli rivolse un sorriso di sfida e continuò a fare foto.

    – Una confessione estorta in questo modo, in tribunale vale quanto il deodorante di merda con il quale cerchi di coprire il tuo puzzo di sudore. Le mie consulenze invece no.

    Aveva cercato di mantenere un tono fermo. Si schiarì anche la gola, senza smettere di fissare negli occhi il bestione che aveva davanti, alto due volte lei.

    L’uomo accennò un passo verso Tessa,

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