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Tessaglia: operazione ZEROUNO: Tessaglia 2
Tessaglia: operazione ZEROUNO: Tessaglia 2
Tessaglia: operazione ZEROUNO: Tessaglia 2
E-book209 pagine3 ore

Tessaglia: operazione ZEROUNO: Tessaglia 2

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Info su questo ebook

Fantasy - romanzo (162 pagine) - Uno vuole ucciderla. L'altro è disposto a tutto per salvarla. Due cloni, un solo cuore: chi vincerà?


La vita all’Esterno delle mura non è semplice. Misha è torturato da incubi fin troppo realistici e i suoi feromoni impazziti giocano brutti scherzi. Mauro, col cuore spezzato, deve tenere insieme da solo i frammenti di una rivoluzione che stenta a partire.

Tra la povertà e il degrado di quel mondo sconosciuto che si trova solo a pochi chilometri dalla vecchia vita, a Tessa mancano da morire il Capitano Sergio, la dolce Marusca e persino la scuola.

Ma i problemi urgenti sono altri: i cloni bambini salvati dal laboratorio del dotto Golia stanno morendo come mosche, e per salvarli è necessario tornare a combattere.

Nel frattempo, dall’altra parte delle mura, il Gran Maestro estende sempre di più i suoi tentacoli sulla città.

E un ragazzo identico a Misha compie attentati in suo nome.

Nessuno di coloro che Tessa ama è al sicuro, né dentro, né fuori dalle mura di Roma.


Polly Russell, classe 1975, marchigiana di nascita e sabina d’adozione, è una lettrice e scrittrice compulsiva. Nel 2010 ha iniziato a partecipare a diversi premi letterari minori con buoni risultati e pubblica in numerose antologie e riviste. Ha frequentato palestre letterarie come Minuti contati, La Sfida e Lo Skannatoio, e moderato per alcuni anni il forum di scrittura creativa La Tela Nera.

Dopo una battuta d’arresto per problemi personali ha ricominciato a scrivere vincendo o classificandosi finalista in premi come l’Arthè, La centuria, Il sentiero dei draghi e Inchiostro e Pinna.

Tra le raccolte che contengono sue pubblicazioni: Il magazzino dei mondi e 365 Racconti horror di Delos Book; ASAP tempi che corrono, auto pubblicato; Dieci passi nell’aldilà di Liberodiscrivere; I Mondi del Fantasy IV di Limana Umanita e due volumi di Steampunk Vapore Italico, Edizioni Scudo. Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati in riviste come la Writer Magazine Italia, Noir, Terre di confine, Short Stories e sotto forma di podcast.

LinguaItaliano
Data di uscita21 dic 2021
ISBN9788825418699
Tessaglia: operazione ZEROUNO: Tessaglia 2

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    Anteprima del libro

    Tessaglia - Polly Russell

    Capitolo 1

    Dei tre uomini che si aggiravano nel laboratorio, Zero ne conosceva due. Quello più vecchio, il dottor Golia, che si vantava di averlo creato e che parlava di lui come del suo gioiello, era particolarmente nervoso. Non era mai un buon segno, il dottor Golia nervoso, scontento o comunque in preda a un qualsiasi stato d’animo che non fosse la soddisfazione, gli aveva provocato solo dolore. Gli si fermò davanti, lo fissò per qualche minuto e riprese a camminare. Fece il giro del laboratorio aiutandosi col bastone e si fermò di nuovo davanti a lui. Lo fissò ancora più a lungo di prima e blaterò qualcosa, ma dall’interno di quella specie di teca in cui galleggiava, Zero non riuscì a sentire cosa dicesse.

    Il vecchio raggiunse i monitor che erano sul muro di fronte e si sbracciò per attirare l’attenzione degli altri due ricercatori. Se Zero non fosse stato immerso in quel liquido colloso e denso avrebbe potuto leggergli le labbra, ma le forme gli apparivano distorte. Mosse le braccia e la sostanza vischiosa si contrappose ai suoi movimenti, a fatica riuscì a poggiare i palmi sul vetro. Si spinse in avanti alla ricerca di un cenno, un movimento abituale, un indizio sul perché il suo creatore fosse tanto agitato e, soprattutto, su cosa avrebbe significato per lui.

    L’altro viso conosciuto era del dottor Brundu, e quello Zero aveva proprio sperato di non vederlo mai più. Quel grasso bastardo si divertiva a fargli del male, a umiliarlo. Non solo a lui, sfogava il suo sadismo su tutti gli esperimenti, ma di certo Zero era il suo preferito. Seguì con lo sguardo quel maiale sudato che trotterellava dietro al dottor Golia per tutto il laboratorio. Piccoli passi sincopati che facevano ondeggiare la pancia flaccida che spuntava dal camice sbottonato.

    Il terzo scienziato non lo conosceva, ma questo significava poco, negli anni aveva visto decine di persone andare e venire dal laboratorio. Di qualcuno aveva anche dimenticato i volti, di altri gli avevano strappato il ricordo. Rimanevano figure fumose, perse nel tempo.

    Golia si avvicinò di nuovo e fece qualcosa al display appeso sul vetro laterale della teca. Il rumore acciottolato di un meccanismo in rotazione precedette quello più lieve del liquido della teca che iniziava a defluire.

    Per prima emerse la testa, quella roba viscida gli si appiccicò agli occhi, dovette scrollarla come un cane per liberarli. Poi il collo, le spalle. Mano a mano che la sostanza scivolava via, lui riacquistava sensibilità. La pelle pizzicava e aveva freddo. Avvicinò una mano alla nuca e sfilò il respiratore che gli copriva bocca e naso tenendolo per le due fasce elastiche. Lo tolse e si leccò le labbra, rese secche dall’ossigeno. Dal laboratorio non proveniva alcun rumore, la teca era insonorizzata. Lo sguardo preoccupato di Golia però bastò a spaventarlo.

    Lo indicava e urlava in faccia a Brundu.

    Una fitta percorse l’addome e il costato di Zero. Abbassò lo sguardo. Il liquido era sceso fino alla vita ed era diventato rosato.

    Alcuni filamenti rossi si rincorrevano nel vortice dello scarico.

    Le ginocchia di Zero toccarono il pavimento della teca e una fitta più forte della prima lo fece piegare in due. Un paio di ferite si aprirono sul suo ventre. Erano due lunghi tagli a forma di ipsilon dall’osso iliaco salivano fino agli addominali obliqui.

    – Cosa?

    La parete frontale della teca si spalancò e Zero rovinò a terra, in una pozza di quel liquido denso, il dolore esplose come se lo avessero appena inciso.

    I rumori del laboratorio gli arrivarono addosso tutti insieme. Quattro diversi tipi di bip, lo scarrellare delle stampanti, dita che picchiettavano tastiere e la voce arcigna di Golia. – Sei un idiota! Non vedi che non sta funzionando?

    Brundu balbettò, ma il fischio che strideva nelle orecchie di Zero non gli permise di capire cosa stesse dicendo. Si girò per poggiare le spalle a terra, il dolore all’addome era terribile. Pigiò i palmi sulle ferite e li guardò. La sostanza gli lasciò lunghi filamenti vischiosi e sanguigni tra le mani.

    Avrebbe voluto chiedere cosa fosse quel dolore che non gli permetteva nemmeno di respirare, perché fosse necessario… ma la gola gli bruciava più delle ferite.

    Chiuse gli occhi e li riaprì, il volto ovale e ossuto del dottor Golia lo scrutava da molto vicino. – Sta rigettando gli innesti, non lo vedi?

    Non stava parlando con lui, e il faccione tondo e rosso di Brundu che invase il suo campo visivo gliene diede conferma. Le guance flaccide tremolarono e un paio di gocce di sudore gli caddero addosso. – Non so cosa dire, dottor Golia, era tutto nei parametri dieci minuti fa.

    Un paio di mani lo afferrarono per le braccia. A Zero girava la testa, il dolore all’addome saettava lungo le gambe come una scossa elettrica.

    – Mettetelo lì sopra.

    Lo appoggiarono su qualcosa di freddo e duro. Provò a voltare lo sguardo, la lampada scialitica era spenta e rifletteva il suo ventre aperto che gorgogliava. Il sibilo elettrico delle manette magnetiche lo fece sobbalzare e subito dopo si ritrovò bloccato. Come se nelle sue condizioni avesse potuto far altro che strisciare.

    Brundu aveva indossato una mascherina chirurgica, i suoi occhi porcini sembravano ancora più piccoli. – Non si preoccupi signore, lo posso operare di nuovo.

    Il terzo dottore si avvicinò, anche lui aveva indossato una mascherina e una cuffia verdi. – Li rigetterà comunque.

    – Allora aumentate gli anticoagulanti! – La voce di Golia era distorta, sembrava arrivasse da lontano.

    Stava perdendo conoscenza?

    Zero si inumidì le labbra e cercò il proprio creatore con lo sguardo. Il freddo dell’ago nel braccio gli diede un momento di lucidità. – Che succede?

    Golia gli poggiò una mano sulla fronte. – Non preoccuparti Zero, va tutto bene, sopporta ancora un po’ e sarai davvero perfetto. Ce la fai a sopportare ancora un po’ per me?

    No. Resistere non era umanamente possibile. Tossì e gli sembrò che anche il torace si fosse spaccato. Aperto in due. Un rigurgito vischioso gli riempì la bocca.

    – Signore, siamo già oltre livelli accettabili di anticoagulante, sta vomitando sangue.

    Golia lanciò un’occhiata al terzo dottore che aveva appena parlato, spostò la mano dalla fronte di Zero e lo guardò fisso. Non c’era traccia di emozione in quegli occhi grigi. – Procedete.

    – NO!

    – Misha, che succede?

    Aveva freddo ma era sudato fradicio. Strinse gli occhi per abituarli alla penombra. Si trovava in un letto, un letto vero, e accanto a lui c’era Tessa, poggiata su un gomito.

    – Niente. Scusami, ho avuto un incubo. – Le fece una carezza col dorso delle dita. – Mi dispiace di averti svegliata.

    Lei aveva uno sguardo dolce, la preoccupazione nei grandi occhi scuri era evidente nonostante la poca luce. – A me dispiace che tu non riesca a dormire, invece. Accidenti! Da quanto è ormai?

    Tessa si tirò a sedere, si passò le mani nei capelli. Era adorabile quando cercava di dare un senso a quel nido arruffato. – Almeno stavolta me lo vuoi raccontare? .

    Misha trattenne il fiato. No, non voleva. Non poteva spiegarle che non erano incubi quelli che gli impedivano di dormire da giorni. Erano ricordi.

    Lei raccolse le ginocchia al petto, si abbracciò le gambe e piegò la testa da un lato, come un cucciolo.

    – Non c’è nulla da raccontare, o credimi, lo farei. Non ricordo il sogno, ho visto solo qualche flash confuso, come le altre volte. – Misha si tirò a sedere, il linoleum scrostato del pavimento gli solleticò i piedi. – Che ore sono?

    Tessa si sporse sul letto e prese una vecchia sveglia analogica, la sollevò per esporla alla poca luce che filtrava dalla finestra. – Le quattro e mezzo, è ancora prestissimo. Ce la fai a riaddormentarti?

    Non ne aveva voglia, gli faceva male l’addome e le cicatrici bruciavano, quasi come se le avessero davvero riaperte. Avrebbe fatto volentieri una doccia, se avessero avuto acqua sufficiente. – No, vado a fare due passi.

    – Vengo con te?

    Misha le sfiorò le labbra con un bacio. Odorava di sandalo e mirra, nonostante l’acqua fosse razionata. Ed era tanto buono da superare la puzza di stantio di quel loculo che chiamavano casa. – Rimani a dormire, cerco qualcosa per fare colazione, così mi passa il tempo.

    Le tirò il lenzuolo fin sotto il mento e le sorrise, cercò di essere convincente, di sembrare tranquillo. Sapeva che non l’avrebbe ingannata.

    Tes strinse il lenzuolo e si raggomitolò. – Ti aspetto qui, allora.

    Il cielo era rosato e luminoso nonostante il sole non fosse ancora sorto. Misha si strinse nelle spalle beandosi dei brividi sottili che quella mattina di luglio gli stava regalando. Legò i capelli in una coda bassa e si allacciò gli anfibi.

    Roma era un albero di Natale piantato in un deserto cangiante, fatto di serre e capannoni industriali. Si estendeva sulla valle del Tevere, monolitica, circondata dalle mura e del tutto inconsapevole. Se ne stava lì, come un gatto acciambellato sui resti della preda che qualcuno aveva ucciso per lei. C’erano milioni di persone là dentro, protette e prigioniere. Credevano di vivere liberi, al riparo dai terroristi dell’Esterno, non si facevano domande, non si ponevano dubbi. Perché biasimarli, in fondo? avevano il pasto in tavola, bei vestiti nell’armadio, scarpe alla moda… Chiedersi da dove provenissero e grazie al sangue di chi, non aveva importanza. In fondo, le avevano pagate quelle cose. Avevano lavorato sodo per la nuova auto elettrica in garage, che fosse stata assemblata da schiavi all’Esterno, non erano tenuti a saperlo.

    Misha distese la schiena e sbadigliò. Infilò una mano sotto alla maglietta e sfiorò la cicatrice di destra. Sembrava più gonfia, ma era solo un’impressione.

    Si voltò verso l’agglomerato del centro commerciale. Gli autobus parcheggiati avevano le luci spente, ed erano spente anche le luci di ciò che rimaneva del centro commerciale che i ribelli avevano occupato. Stavano dormendo ancora tutti.

    Misha raggiunse la piazzola dov’erano parcheggiati gli autobus e i caravan e si arrampicò sulla vecchia insegna triangolare di un negozio per il fai da te. Raggiunta la cima, si aggrappò all’intelaiatura e spinse lo sguardo più lontano. Decine e decine di persone uscivano in file disordinate da alcune serre a destra della capitale, si trascinavano, qualcuno addirittura arrancava. Uno cadde in ginocchio e poi scivolò a sedere, come sopraffatto dalla fatica.

    Misha cambiò presa sul ferro consumato e guardò dall’altra parte, verso la cascata di liquame. Delle luci si muovevano lente. Il sole non era ancora sorto e già qualcuno ci sguazzava dentro, immerso nel putridume fino alle ginocchia, alla ricerca di qualcosa di utile o di commestibile.

    Una decina di metri più in basso, il bestiame che erano riusciti a rubare a uno degli allevamenti muggiva nervoso. Era stato un colpo particolarmente fortunato, erano riusciti a sgraffignare alla Almaleche due dozzine di vacche senza che ci fossero feriti, né tra di loro, né tra le guardie, né tantomeno tra i poveracci che erano costretti a lavorarci come schiavi. Grazie a quegli animali, i ribelli si erano assicurati di avere latte e formaggio.

    Cerco qualcosa per fare colazione. Lì fuori la gente si arrabattava per un tozzo di pane ed era costretta a rubare. Cercare qualcosa per fare colazione gli sembrò così stupido, che si sentì in colpa solo per averlo pensato.

    Misha saltò giù, molleggiò sulle ginocchia e poggiò la punta delle dita a terra.

    Poco distante, un tipo a torso nudo e con un cappellino da baseball aprì il cancello delle mucche ed entrò nel recinto.

    Misha lo raggiunse con una corsetta e lo riconobbe. – Rob! Già sveglio?

    Quello si girò e gli sorrise. Aveva meno di vent’anni e la faccia deturpata da un’esplosione. – Ehi! Io sono di turno alla mungitura, tu che diavolo ci fai già in piedi?

    – Non riuscivo a dormire, fa troppo caldo.

    Misha saltò il recinto e gli si avvicinò. Poggiò una mano sulla groppa di una grossa vacca bianca e nera. – Ti aiuto, se mi dai un altro secchio.

    – Sai mungere?

    – Certo che no, perché tu sei capace?

    Roberto scoppiò a ridere e si passò il dorso della mano sulla fronte sollevando il cappellino. – Be’, io un paio di volte l’ho già fatto. – Gli indicò quello che sembrava un vecchio negozio di scarpe appena oltre il recinto. – Là dentro dovrebbero esserci altri secchi. Mi fa piacere se mi dai una mano.

    Misha scavalcò di nuovo, ma con meno agilità della prima volta. L’addome aveva ripreso a fargli male. Si passò una mano sulle cicatrici e rabbrividì. – Che diavolo succede?

    Ebbe il bisogno di sussurrarlo, di ascoltare la propria voce, ma non riuscì comunque a darsi una risposta.

    Raggiunse il posto indicato da Rob. Era davvero un vecchio negozio di scarpe, anche se le scarpe, che da quelle parti ormai era una merce più preziosa dell’oro, erano sparite da un pezzo. Le scaffalature e le scatole spaccate sul pavimento non lasciavano dubbi.

    Negli scaffali color legno avevano trovato posto utensili di vario tipo. Cazzuole, spatole… più avanti sacchetti di cemento e finalmente dei secchi. Misha prese quello che sembrava più pulito e tornò al recinto. – Sei sicuro che posso usare questo? Non so cosa ci abbiate fatto prima, ma non mi sembra adatto.

    Rob sollevò il capo nella sua direzione, aveva il volto rosso e sudaticcio, adesso.

    – Be’, quello abbiamo. Dovremo accontentarci, e comunque lo faremo bollire prima di berlo.

    Misha si diede un colpetto sulla fronte. – Ah, sì, certo. Stupido io ad averlo chiesto.

    Scelse la mucca bianca con le corna grandi. Aveva un’espressione bonaria, e lui non aveva voglia di perder troppo tempo ad ammansire un grosso mammifero. Una ragazza con i dreadlock biondi e un paio di anelli al labbro inferiore si appoggiò sulla staccionata. Aveva il viso piccolo e appuntito, una specie di musetto da topolino e un seno da pin up strizzato in un vestitino a fiori. – Ciao ragazzi! Bisognerà che vi diate una mossa, si sta già formando una fila giù al parcheggio.

    – Una fila di che? – Misha faticò a togliere lo sguardo dalla scollatura e a portarlo sugli occhi azzurri della ragazza.

    Lei sembrò notarlo solo in quel momento. – E tu da dove vieni, bello?

    Rob spostò il secchio da sotto alla pezzata che stava mungendo e lo avvicinò alla ragazza. Passò vicino a Misha e gli diede una pacca sulla spalla. – È appena arrivato, mi pare chiaro no? Lei è Scheggia, si occupa dei viveri di quelli di sotto. Razioniamo il più possibile per lasciarne un po’ anche a loro.

    Misha alzò lo sguardo, oltre le trecce color oro della ragazza. Quelli di sotto. Quelli che morivano nelle serre, e che non avevano altra possibilità che sguazzare nel liquame, avevano formato una lunga fila davanti a uno dei pochi ingressi ancora agibili del parcheggio. Anche lì, in quell’anticamera dell’inferno, esistevano dei privilegiati.

    La ragazza raccolse un secchio e lo fece ondeggiare, tenendo l’indice dritto, sotto al manico. Masticava qualcosa, improbabile che fosse una gomma. – E tu stai facendo un gran buon lavoro, amico. Quei muscoli sono tutti tuoi o c’è stata una svendita?

    Capitolo 2

    Misha si andò a riposare, appoggiandosi sulla staccionata. Abbassò il capo

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