La ricerca della perfezione morale
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Eureka, piccolo pianeta minerario ai margini dell’universo. La perfetta Sondra Laakini si erge a moralizzatrice e, forte di seguaci accecati dall’ideologia populista, inizia un percorso coercitivo contro la società. Crea una dittatura filosofica a cui nessuno riesce a opporsi, facendo precipitare la tranquilla esistenza planetaria in una muta disperazione.
Può un’idea, se gestita dalle persone sbagliate, possa trasformarsi in un’arma? Toccherà a Lena scoprirlo, provando sulla sua pelle il bruciante calore della follia umana.
Davide Del Popolo Riolo è nato ad Asti nel 1968. Laureato in Giurisprudenza all’Università di Torino nel 1992, è avvocato e svolge la professione a Cuneo, dove vive. Da quattro anni è anche segretario dell’Ordine Avvocati di Cuneo.
Ama viaggiare in Europa e in questi anni ne ha visitata una buona parte.
Fin da ragazzino ha amato la storia e la letteratura, anche e soprattutto fantascienza e fantasy, ma non solo.
Come scrittore ha esordito nel 2014 con De Bello Alieno, vincitore del Premio Odissea e in seguito il Premio Vegetti, che ha stupito proponendo un originale storia steampunk in epoca romana. Successivamente col suo secondo romanzo Non ci sono dei oltre il tempo ha vinto il premio Kipple.
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Anteprima del libro
La ricerca della perfezione morale - Davide Del Popolo Riolo
Gli ho chiesto se sa ancora di sicuro
cosa è bene e male per il genere umano.
È la più mortifera di tutte le illusioni
-mi ha risposto.
Szymborska, Il vecchio professore
La stanza era un parallelepipedo di plasticemento grigio. Non un rumore veniva dall’esterno e la temperatura era appena al di sotto del confortevole. Macchie scure di umidità sporcavano le pareti, creando forme che la donna osservò senza attenzione, mentre attendeva. Una porta metallica, quella da cui era entrata, si apriva proprio davanti a lei. L’interno era spoglio, soltanto la sedia di plastica su cui lei era seduta e un’altra. Una sedia piuttosto scomoda, tra l’altro.
E poi c’era la puzza. Puzza di paura e di sconfitta, oltre che di piscio e di sudore.
Lei rabbrividì e fece una smorfia, infastidita da quella debolezza. Mise le mani nelle tasche dei pantaloni. Erano mimetici come la giacca e, da quando era lì, avevano acquisito lo stesso colore grigio-sporco delle pareti. Sorrise, pensando che era una tonalità che non si addiceva alla sua carnagione.
Si chiese da quanto tempo l’avevano portata lì. Non aveva più la connessione neurale e naturalmente non aveva mai posseduto un orologio. Stimò che non fossero trascorsi più di dieci o quindici minuti. Accavallò le gambe, immaginando che l’attesa sarebbe stata ancora lunga. Cercavano di innervosirla con quel ritardo. Respirò a fondo e chiuse gli occhi, tentando di concentrarsi. Di svuotare la mente. Cacciare via la paura, le incertezze e la debolezza. Loro avrebbero potuto approfittarne. Erano più deboli di lei, però. Solo che ancora non lo sapevano.
La porta, silenziosamente, si aprì. Avvertì solo lo spostamento d’aria, una lieve ventata di calore proveniente dal corridoio Dunque aveva ragione, quella stanza era più fredda del resto dell’edificio. Sospirò, disgustata da quel trucco squallido.
– Felice giorno, Lena.
Anche senza aprire gli occhi la riconobbe subito. Non avrebbe mai potuto confondere la sua voce con un’altra Trovò fastidioso che avessero mandato proprio lei ma riacquistò subito la padronanza delle sue emozioni.
Aveva un senso, in realtà. Aprì gli occhi e piegò le labbra in un sorriso di saluto.
– Felice giorno a te, Maia. O forse devo dire perfetta Tomainen? – le rivolse la domanda in tono quieto, riuscendo a non mettere nella sua voce nemmeno un pizzico di sarcasmo.
L’altra sbatté le palpebre e si irrigidì. La fissò per qualche istante, in silenzio, con uno sguardo perplesso. Lei le restituì un’occhiata serena e incuriosita, come fossero soltanto vecchie amiche che si ritrovano dopo un po’ di tempo in cui si sono perse di vista.
Maia aveva un aspetto stanco, sembrava invecchiata molto dall’ultima volta che l’aveva vista. Era alta e robusta come la ricordava, una presenza imponente che riempiva la stanza. I suoi occhi scuri erano però cerchiati da profonde occhiaie e il viso sembrava contratto in un’espressione preoccupata.
La donna avanzò di un passo. Pareva non sapere dove mettere le grosse mani, si passò le dita tra i capelli cortissimi e poi le infilò nelle tasche dei pantaloni della tuta di colore smorto.
– Posso sedermi? – Chiese guardinga.
– È casa tua, qui. – Sorrise e le indicò con una mano la sedia libera, anche se non ce n’era bisogno.
L’altra sbatté le palpebre e strinse le labbra, irritata. Si sedette davanti a lei e riprese a fissarla.
Lena continuò a sorridere.
– Quanto tempo, eh? – La punzecchiò con tono leggero, solo per infastidirla.
L’altra accavallò le gambe, facendo dondolare il piede con un movimento nervoso. Riprese a fissarla, con un’aria allarmata che Lena trovò divertente.
– È lei che ti ha mandato? Che ha mandato proprio te? – decise infine di chiedere.
Maia non sembrò aver sentito la domanda. – Porti i capelli più lunghi, adesso – disse invece.
Lena fu sorpresa da quell’osservazione. Accennò un movimento con la mano per toccarli ma lo frenò in tempo. Sbatté le palpebre e mosse appena il capo. Decise che non era il caso di rispondere.
– Perché, Lena? – chiese l’altra alla fine, come sputando un boccone amaro.
Lei spalancò gli occhi, cercando un effetto teatrale che era consapevole di saper realizzare. Aprì la bocca fingendo uno stupore che non provava.
– Perché che cosa, amica mia? – Dovette sforzarsi di non ridere.
Negli occhi di Maia comparve un lampo di ostilità.
–Tu eri una di noi! Come hai potuto tradirci? Come hai potuto abbandonare la ricerca della perfezione morale? Ti hanno corrotta? In che modo l’hanno fatto?
Lena sostenne lo sguardo della sua accusatrice per un istante, e poi scoppiò a riderle in faccia. Come faceva a essere così ingenua? Maia la guardava con severità, ci mise qualche secondo a ricomporsi.
– Scusa, non ridevo di te, perdonami. Puoi perdonare il mio difetto? – chiese, usando quella formula rituale che ormai trovava priva di significato.
La donna le rivolse uno sguardo ostile.
Lena sospirò, pensando che nonostante tutto la sua vecchia amica meritava una vera risposta.
– È questo che pensi? Che vi ho tradito? Che mi hanno… comprata?
Maia incrociò le braccia, mettendosi sulla difensiva, e allontanò lo sguardo da lei, rifiutando di fissarla negli occhi.
– È