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Il cielo blu di Tel Aviv
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E-book302 pagine4 ore

Il cielo blu di Tel Aviv

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Info su questo ebook

Diciotto mesi possono essere sufficienti per capovolgere degli equilibri che sembravano stabili. Ne sanno qualcosa le gemelle Helen, Mary ed Elizabeth Green che decidono di trascorrere un anno sabbatico lontano da casa, dividendosi per la prima volta in diciannove anni.

Negli ultimi mesi della sua permanenza a Tel Aviv, Elizabeth incontra Ester, tornata lì dopo quindici anni. Ester ha intrapreso questo viaggio per provare a riallacciare i rapporti con i suoi genitori nonostante nessuno l'abbia più cercata. E' stato il suo cuore a chiederglielo e lei non ha più potuto ignorarlo. Questo viaggio, sarà sconvolgente ma anche stimolante. Sarà un cammino a ritroso in un passato difficile da dimenticare ma necessario per guardare con fiducia al presente dove tutti avranno l'opportunità di mettersi a nudo scoprendo, senza paura, le proprie fragilità.
LinguaItaliano
Data di uscita8 giu 2021
ISBN9791220342339
Il cielo blu di Tel Aviv

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    Anteprima del libro

    Il cielo blu di Tel Aviv - Emanuela Stievano

    Phillips

    Prologo

    L’onda di Daniel

    L’onda arrivava e si fermava sulla battigia. Gli occhi di Daniel la seguivano da lontano fino ad arrivare quasi vicino a lui. Se fosse stato più grande avrebbe potuto tuffarcisi sopra come fosse stato un materassino e si sarebbe fatto cullare facendosi trasportare dolcemente ma Daniel era piccolo e aveva un unico desiderio in quel momento… toccare con la manina quell’onda che finiva la sua corsa ma non ci arrivava. Doveva solo fare un piccolo sforzo e scivolare un po’ più avanti, solo così avrebbe potuto toccare l’onda. La sabbia era calda, il suo costumino blu ne era pieno. Provò a spingersi più avanti. Allungò la mano ma era ancora lontano. Un’altra onda, più forte delle altre ma il suo braccino non riusciva ancora a toccarla, doveva scivolare un po’ di più e ce l’avrebbe fatta. Questo era un bel gioco e Daniel ne era ipnotizzato. Quando la vide da lontano, le sue gambine si mossero in avanti, non poteva farsela scappare, quella era più grande. Oh adesso sì che la toccava e galleggiava anche, proprio come aveva immaginato, ma gli occhi gli bruciavano. Il gioco non era poi bello come aveva pensato. l’onda che arrivò subito dopo, Daniel non la vide nemmeno. Non ebbe nessuna pietà per lui, fu violenta e inesorabile. Qualcuno gridò il suo nome, era Ester la sua gemella ma Daniel ormai non la sentiva più. Gli strilli di Ester, fecero accorrere il padre che era disteso con gli occhi chiusi e un libro sopra le ginocchia. Fu più veloce di una gazzella a tuffarsi. Qualcuno si avvicinò a Ester per consolarla, ma lei aveva gli occhi fissi su quella sagoma che nuotava e che doveva riportare suo fratello da lei. Avevano ancora giochi da fare e un castello da costruire. Finalmente, Ester vide suo padre tornare con Daniel. Per un attimo, tutto sembrò tornare al suo posto: la spiaggia, il mare, i secchielli… poi suo padre raggiunse la riva. Una donna si fece largo tra la folla. Prese il piccolo dalle braccia del padre e lo posò delicatamente sopra un asciugamano posandogli sopra il petto un indumento. Ester osservava da lontano trattenendo il respiro. Avrebbe voluto correre lì ma qualcosa la tratteneva. La donna era china su Daniel. Cosa gli stava facendo? Quando finalmente la sconosciuta si alzò in piedi, vide suo padre mettersi le mani sul volto, accasciarsi a terra ed emettere urla di disperazione. Lentamente, prese tra le braccia quel figlioletto che fino ad allora era stato tutto il suo orgoglio, alzò gli occhi incrociando quelli della figlia che terrorizzati chiedevano in silenzio spiegazioni  ma trovò solo un freddo sguardo d’odio. Fu in quel momento, in quella spiaggia dorata che il destino di quella famiglia cambiò radicalmente la sua rotta…

    Aisha

    Estate 2019

    L’ala dell’aereo traballa, c’è un po’ di turbolenza. Anche senza volerlo, la mia mente va indietro esattamente ad un anno fa, anche allora guardavo l’ala oscillare. Chissà se anche mamma ci pensa. La osservo mentre parla con papà. Deve essere un argomento interessante perché entrambi sembrano assorti nella conversazione. E’ bello vederli assieme quest’anno. Claire, mia sorella, sta sonnecchiando. Povera Claire, anche stavolta  dovrà rinunciare alla vacanza in Italia e alle sue amate montagne del Trentino ma dovrà accontentarsi del mare di Tel Aviv. Sorrido a questo pensiero, sono sicura che farà anche a lei l’effetto che ha fatto a me un anno fa. Finirà per innamorarsene ne sono sicura, finirà per desiderare di tornarci ancora e ancora. Mando un pensiero a zio Gad. Lo immagino super indaffarato e allegro. Coraggio zio, manca poco ormai e poi saremo di nuovo da te. Chiudo gli occhi e mi lascio andare ai ricordi, alle persone che ho conosciuto e al loro impatto nella mia vita.

    Era poco più di un anno fa, eravamo ormai prossimi al termine della scuola. Le vacanze in Trentino non erano ancora state programmate ma non serviva, bastava affittare il solito camper. Tutto era normale, tutto sembrava procedere come sempre. Ma non era così, mamma non stava pensando alle vacanze ma un viaggio sì che ce l’aveva in mente e quando ce lo disse, io chiesi di andare con lei. Non me lo aveva domandato ma avevo intuito che  le avrebbe fatto piacere avermi vicino. Per me, una novità, per lei, un tuffo nel suo doloroso passato e un difficile presente da affrontare. Oggi, a distanza di un anno, tutto è cambiato. Il suo cuore è più leggero, forse un po’ in ansia ma certamente gioioso. Improvvisamente i nostri occhi si incrociano. Ci sorridiamo. Le parole a volte non servono e penso che nonostante la turbolenza, questo è un volo diverso, noi siamo diversi.

    Primavera 2018

    Ester

    Mi preparo per uscire. Questo sarà il mio primo weekend lontano da casa, lontano dalle mie figlie e da mio marito, ma è necessario che vada per capire come risolvere i miei crucci, affinché io possa tornare a dare il meglio di me alla mia famiglia, la cosa più preziosa che ho.

    Susan mi aspetta a Londra, alla stazione di St Pancras.

    L’idea è venuta a mio marito Johann. Se vuoi parlarne con qualcuno mi disse un po’ di tempo fa, Posso contattare il mio vecchio amico Martin, sua moglie Susan è una psicologa. Che ne dici Ester? Dovrei andare in Inghilterra per incontrare una psicologa? chiesi tra il serio e il faceto. Siamo sempre stati una famiglia riservata con pochi amici soprattutto nella nostra zona. Tutto sommato, un breve viaggio non mi dispiaceva e forse era proprio quello che mi ci voleva per schiarirmi le idee. Mio marito, mi aveva parlato con dolcezza, senza segni di inquietudine ma sentivo che era preoccupato per me. Forse temeva per il nostro rapporto… Eppure, io non ero cambiata nei suoi confronti. Avevo  fatto una pazzia per stare con lui tanti anni prima e non ne ero per niente pentita.

    Tutto era iniziato all’università di Tel Aviv. Johann mi sentì mentre mi esercitavo con l’arpa, il mio strumento principale. Iniziammo a frequentarci, anche se io non ero libera. Avevo un fidanzato, non per mia scelta. E’ difficile parlarne ma in qualche maniera devo riordinare le idee se non voglio far confusione quando incontrerò Susan. Il pasticcio, lo aveva combinato mio padre, mi aveva promessa in matrimonio, senza avermi minimamente interpellato. A quel tempo, io abitavo assieme ai miei genitori a Gerusalemme. Mio padre, accanito giocatore di poker, ospitava clandestinamente, un gruppetto di compari, una, o anche due volte a settimana. Un giorno, dovetti entrare nella stanza mentre era in corso una partita. Quando stavo uscendo, sentii uno di loro fare apprezzamenti pesanti su di me. Ribollivo perché scoppiarono tutti a ridere compreso mio padre. E’ innegabile che l’ambiente di casa mia fosse marcio. Purtroppo, quell’apprezzamento, non rimase fine a sé stesso. Quel giorno, mio padre perse al gioco ma invece di onorare i suoi debiti con del denaro, si offrì di darmi in sposa al figlio del tizio che aveva parlato. Avevano stipulato un contratto vero e proprio, tutto a mia insaputa.

    Mentre mi preparavo la valigia per trasferirmi nel campus dell’università a Tel Aviv, mio padre volle accompagnarmi con la sua macchina. Ero sbalordita, non entravo in quella macchina da molti anni ormai, in più, non c’era comunicazione tra noi. Avevo accettato, mio malgrado, quello strano ménage famigliare fin da piccola. La scuola e in particolare le lezioni di musica, mi avevano dato un motivo per riemergere.

    Il viaggio fu breve. Come avevo previsto, rimanemmo entrambi in silenzio. Non c’erano argomenti tra noi… Poi, mentre mio padre parcheggiava la macchina, disse: Prima di andare, devo dirti una cosa, una cosa che ti devi mettere bene in testa, quindi, mi devi ascoltare con attenzione. Ero rimasta rigida, capivo solo che quello che mi avrebbe detto, non sarebbe stato niente di buono per me. Mio padre proseguì: Non credere di entrare in quel campus e fare quello che vuoi. Ricordati che ho i miei informatori. Sarai sempre sotto osservazione mia cara. Non ci sarà inoltre bisogno che tu faccia esperienze con l’altro sesso, a casa c’è già qualcuno che ti aspetta. Quando terminerai questo dannato corso, ti sposerai. E’ già tutto programmato. E adesso vai che io ho altro da fare.

    Ero in trance. Quel discorso che mio padre mi aveva fatto, mi stava rimbombando in testa. Mentre stavo per scendere, lui disse: Tieni sempre in mente Esodo 20-12 Onora tuo padre e tua madre. E dopo queste parole, mi fece un cenno che potevo andare. Cosa dovevo fare per onorare mio padre e mia madre? Secondo la sua mente malata, dovevo ubbidirgli senza remore e sposare uno sconosciuto. Non avevo immaginato così la mia entrata all’università. Avevo sognato per tanto tempo di uscire da quella casa stantia dove regnava il silenzio o le urla improvvise di mio padre ma adesso che c’ero riuscita, comprendevo che era solo una cosa temporanea. Mi imposi di non pensarci e mi immersi nello studio. E senza cercarlo, trovai l’amore.

    Johann era un ragazzo che veniva dal Belgio. Gli avevo raccontato il mio dramma. Nonostante questo, iniziammo una relazione. Stavo trasgredendo alle regole di mio padre. Avevo paura di essere scoperta ma ero disposta a correre il rischio pur di stare con Johann. Quando però, lui dovette lasciare l’università, rimasi sola. Ero riuscita a procurarmi un telefono che avevo ben nascosto. Fu così che rimanemmo in contatto nonostante la lontananza. Era pericoloso ma ero diventata esperta nel nasconderlo. Quando tornai a casa, ci fu l’incontro con Raul. Capii di piacergli e questo complicava le cose. Vestivo il meno appariscente possibile ma questo non sembrava un problema per lui. Il suo sguardo mi nauseava. Prese l’abitudine di passare da casa quasi tutte le sere. Mio padre era gioviale e persino mia madre si stava rianimando. Io invece, ero taciturna e soprattutto disperata. Un giorno mia madre mi fece trovare un abito rosso da sera sopra il letto, disse: Non capisci la fortuna che ti è capitata? Togliti quella gonna lunga e quella camicetta accollata. Mettiti questo. Raul si è lamentato con tuo padre. Vuole vederti elegante. Questo è un suo regalo. Non ebbi il tempo di replicare perché lei uscì dalla camera. Ero arrabbiata e non mi misi quell’abito, ma quando andai nel salone, Raul era già lì, il suo sorriso si spense non appena mi vide. Mia madre mi prese sottobraccio, mi portò in camera mia, mi strappò i miei abiti, e mi infilò il vestito rosso di raso che era rimasto sopra il letto. Quando tornai nel salone, Raul mi venne vicino e sistemò meglio la scollatura dell’abito. Ecco disse Adesso va meglio. Hai un seno delizioso, non devi nasconderlo. Tutta sua madre disse mio padre ridendo apertamente. Avevo un groppo alla gola, ma le sorprese non erano finite, mio padre disse: Ester cara, vuoi suonare per noi? In un angolo nascosto, vidi un’arpa. E’ per te disse Raul. Avrei voluto scappare anziché suonare, invece mi alzai e andai a posizionarmi  in quell’angolo. Era un’arpa classica, molto bella, mormorai un grazie e mi accinsi a suonare. Lo strumento era già accordato il che mi parve strano. Scelsi un brano classico di Bach: Air. Fu il primo che mi venne in mente. Ogni tanto alzavo gli occhi su quelle  tre figure che stonavano con una melodia dolce come quella che stavo suonando. Senza volerlo fare, mi ritrovai a dominarli. Quando terminai, Raul applaudì e venne a baciarmi sulla guancia. Gli fui grata che non scelse la mia bocca, anche se non vedevo l’ora di andarmi a rinfrescare la faccia. Fu in quei giorni per me bui, che arrivò la proposta di aggregarmi all’orchestra universitaria di Tel Aviv. Andavano a suonare a Maastricht in Olanda. Mio padre mi disse che essendo promessa sposa a Raul, era lui che doveva acconsentire alla mia trasferta. La sera stessa, Raul venne a cena portandomi un mazzo di rose gialle. Mi guardò serio e disse: Ester, queste rose sono per te. Le ho scelte gialle perché significano gelosia e io che tra poco diventerò tuo marito, sono già tremendamente geloso, questo è perché ti amo lo capisci vero?

    Io annuivo. Dentro di me avevo ormai perso le speranze di partire, invece, Raul continuò: Nonostante la mia gelosia, so che persona sei, perciò ti concedo quest’ultima uscita. Quando tornerai, tutto sarà pronto per il nostro matrimonio. Non riuscivo a crederci, potevo partire col benestare del mio futuro marito. Nonostante la mia euforia, cercai di non farla trapelare eccessivamente. La cena fu lunga ma la sopportai pensando al piano che avevo elaborato nella mia testa. Raul, senza volerlo, mi stava regalando la libertà.

    Scrissi a Johann e non appena fu possibile, ci incontrammo lì a Maastricht. L’ultimo giorno, quello in cui sarei dovuta tornare a casa, parlai con l’organizzatore dell’evento dicendogli che non sarei partita con loro. Non era d’accordo ma ero maggiorenne, non poteva impormi nulla. Io e Johann, scappammo letteralmente subito da Maastricht alla volta del Belgio. Ci sposammo di lì a poco e due anni dopo, nacquero le nostre gemelline Claire e Aisha. Quei primi tempi, li ricordo come pieni di entusiasmo ma anche di grande preoccupazione. Temevo ad uscire da sola o anche in compagnia. Avevo paura ad affacciarmi alla porta quando arrivava il postino. Ero spaventata all’idea di vedermi comparire davanti all’improvviso Raul assieme a mio padre. Apparentemente nessuno mi aveva cercata ma io avevo cambiato cognome e forse mi avevano perdonato. Sapevo che non era così ma intanto gli anni passavano e la mia vita era sempre più distante da quella precedente. Non fu facile ma Johann fu molto paziente. A poco a poco, cominciavo a lasciarmi andare e soprattutto a lasciar andare il mio passato. Ma quando finalmente la mia vita sembrava essersi tranquillizzata, fui io ad iniziare ad avere dei strani pensieri. La mia coscienza mi tormentava. Era come se sentissi di dover regolare i conti con me stessa e col mio passato. Cosa avrei insegnato alle mie figlie? Mi domandavo. Che quando c’è un problema, si scappa? Era davvero solo quella la soluzione da adottare? Quello che non mi era piaciuto di me, era stata quella mia sottomissione prima a mio padre e poi a Raul. E se non avessi avuto l’opportunità di andare a Maastricht? Che vita avrei fatto io? La risposta la conoscevo da me. Non ero stata in grado di reagire a due cafoni che mi avevano tenuto in pugno. Non avevo fatto il minimo sforzo per ribellarmi. Era questo che mi affliggeva. Volevo dimostrare a me stessa, che ce la potevo fare. E per farcela, dovevo affrontare mio padre. Dovevo tornare in Israele. Di Raul non mi importava più. La mia amica Lea, l’unica che avevo avuto lì a Gerusalemme, aveva saputo per vie traverse, che si era sposato e che aveva già quattro figli. Ne fui felice per lui. Le mie bambine stavano diventando grandi, avevano già tredici anni. La scuola stava terminando e io, invece di pensare alle vacanze come ogni anno, mi tormentavo sulla mia crisi.

    I miei genitori, erano più vecchi di quindici anni. Non mi avevano dato niente, né da piccola, né da adulta. Eppure, qualcosa mi diceva che dovevo affrontarli e tornarmene nel mio Belgio, in pace con me stessa. Ecco, questo è quello che racconterò a Susan domani.

    Incontro con Susan

    Hai bisogno del mio benestare? Susan mi fece questa domanda, dopo avermi ascoltato a lungo. Era sorridente ma sapevo che era seria. Credo di sì dissi sospirando.

    Il fatto è continuai che devo fare qualcosa. Se rimango senza ascoltare la mia coscienza, dovrò metterci una pietra sopra e seppellire il mio passato per sempre. Se invece decido di agire, ho paura  di ferire la mia famiglia, mio marito e le mie bambine. Loro sono la mia vita ma vorrei sentirmi pronta a dare loro dei consigli, invece mi sento una codarda, una che ha scelto una scappatoia per essere felice. Se posso esprimere la mia opinione Ester, te la sei meritata tutta questa felicità. Hai agito come meglio credevi. E non dimenticarti che avevi vent’anni. Oggi tante cose sono cambiate anche nel Paese da dove provieni, ma tu vivevi in una famiglia molto ai margini, con grossi problemi esistenziali da risolvere. A questo punto, vorrei chiederti se è sempre stato così…

    Sapevo che prima o poi questo argomento sarebbe uscito. Mi schiarii la voce e dissi: Avevo un fratello, il mio gemello. Un giorno, eravamo al mare con nostro padre. Avevamo giocato tanto assieme, papà non era esattamente un giocherellone, però ci aveva aiutato a costruire una barchetta sulla sabbia. Aveva messo in testa a Daniel, un cappellino da marinaio e lo aveva nominato capitano della barca. Eravamo piccoli, avevamo circa tre anni. Io mi sentivo esclusa, papà si rivolgeva sempre a Daniel. Mamma a quel tempo aveva già iniziato a sentirsi triste, diceva che la sfinivamo, perciò papà anche quel giorno ci aveva portato fuori. Doveva essere un giorno come un altro invece…

    Invece? Cosa accadde Ester? Invece di rispondere subito a Susan, chiusi gli occhi. Andai con la mente a quel giorno, mi sembrava di essere ancora lì in quella spiaggia. Proseguii: Papà si mise a leggere e poi lo vedemmo appisolarsi. Anch’io ero annoiata. Giocavo con la sabbia, volevo provare a fare qualcosa  per poi mostrarla a papà. Daniel guardava le onde. Io avevo finalmente iniziato a fare un piccolo castello, e mi dimenticai di Daniel. Quando me ne ricordai, feci appena in tempo a vederlo in acqua mentre l’onda lo travolgeva. Urlai forte. Mio padre e anche altre persone, si precipitarono in acqua. Quando vidi papà tornare con mio fratello in braccio, mi sentii sollevata. Ma Daniel non sopravvisse. Non ho ricordi vividi della nostra vita a quattro, ma da quando rimanemmo in tre, io divenni quasi invisibile. Ancora adesso, mi domando come io possa essere riuscita a sopravvivere in quella situazione.

    Io e Susan rimanemmo in silenzio. Eravamo in una graziosa viletta di Birmingham, fuori c’era un bel sole ma all’interno, la temperatura era fredda come dentro di me.

    Ad un certo punto Susan disse: Credo sia difficile ricostruire un rapporto tra te e i tuoi genitori, principalmente perché non c’è mai stato, e poi perché erano proprio loro ad aver bisogno di aiuto. Quello che puoi fare, è affrontare questo tuo malessere e superarlo. Non sarà un compito facile ma se vuoi liberarti di questo peso, devi provarci.

    Uscimmo e cercammo un ristorante appartato fuori dal centro. Per un po’ parlammo d’altro. Susan mi disse che anche lei aveva tre gemelle, che proprio in quel periodo erano lontane. Hanno preso un anno sabbatico per fare una crescita individuale disse Susan. Invidiavo quelle ragazze per avere due genitori così aperti.

    Improvvisamente dissi: Che ne pensi se porto con me una delle mie figlie?

    Susan mi guardava pensierosa, poi mi chiese: Perché questa idea? E perché solo una?

    Non vorrei lasciare completamente solo mio marito. In futuro potrei portare anche l’altra, così da mostrare loro da dove vengo. Aisha, spesso ha insistito per sapere cose su Israele, sulla mia infanzia, sui giochi che facevo… Io non ho mai risposto. Non avrei saputo cosa dire. Mi vergognavo a raccontare che a casa non avevo giochi. Ecco, porterei per prima Aisha credo.

    Quando tornammo a Londra, e il mio treno era già lì ad aspettarmi, io e Susan ci abbracciammo. Mi chiese: Hai le idee più chiare adesso? Sorrisi e dissi: Non proprio ma tu non c’entri. Mi ha fatto bene parlare con te. So che dovrò tornare in Israele per affrontare i miei fantasmi. Grazie Susan, ti scriverò per darti notizie. Ci conto disse lei passandomi la borsa mentre salivo i gradini della mia carrozza.

    Rientro a casa

    In treno ripensavo al mio incontro con Susan e a tutto ciò che era stato detto. Avevo parlato molto e già questo mi faceva stare meglio. Erano anni che tenevo quei ricordi in un punto inaccessibile del mio cervello. Per quindici anni, li avevo deliberatamente ignorati, erano ingombranti, erano scomodi ma avevano fatto parte di me. Li sentivo premere per uscire e per la prima volta, lo volevo anch’io anche se ero terrorizzata all’idea di tornare in Israele. Era quella la parte più complicata, ma ormai sapevo che non potevo più tirarmi indietro. Se pensavo ai miei genitori, li immaginavo nella grande casa a Gerusalemme ma non ero sicura che abitassero ancora lì. La mia referente era sempre Lea, la mia amica del cuore che ormai viveva stabilmente in Francia. Lea aveva saputo da suo padre, che i miei si erano trasferiti da molti anni, nelle vicinanze di Tel Aviv ma questa notizia non era più verificabile dal momento che Lea non era più tornata in Israele da quando suo padre se n’era andato a vivere negli Stati Uniti. Li avevo cercati nell’elenco telefonico ma senza esito. L’unico che avevo trovato, era lo zio Gad, fratello di mio padre.

    In treno seguivo il corso dei miei pensieri, quando sentii il mio telefono vibrare. Avevo dimenticato di alzare la suoneria immersa com’ero nei miei pensieri. Era un messaggio di Claire, diceva: Ti stiamo aspettando in stazione mamma. Come al solito, il messaggio terminava con una miriade di cuoricini. Mi venne da sorridere, ma poi mi sentii subito triste. Come avrebbe preso Claire la mia partenza? Lei, così attaccata alla mia gonna, così ancora troppo bambina… diversa da Aisha nonostante siano due gemelle perfettamente identiche. E poi, cosa penserebbe Claire se portassi con me Aisha? Rispondo al suo messaggio con un tra un po’ ci vediamo e poi le mando un bacio. Se Aisha verrà con me, sarà soltanto se lei lo vorrà. Apro la rubrica, il numero di zio Gad è già trascritto, dovrò solo decidermi prima o poi a comporlo.

    E’ domenica pomeriggio e tanto per non smentirsi, piove. Esco dalla stazione facendo attenzione ad evitare gli ombrelli aperti. Vedo Johann e le bambine poco distante da me. Anche loro mi vedono. Le mie figlie si precipitano ad abbracciarmi. Arriva anche Johann che prende il mio magro borsone, poi entriamo tutti in macchina. Sono sommersa da domande su Londra ma più che altro, le mie figlie, mi abbracciano e baciano, poi dicono quasi in coro: Visto che piove e siamo già fuori, ti va di andare al cinema? Io sono stanca e vorrei parlare con Johann, però non posso rifiutare, così andiamo tutti al cinema a vedere Piccole donne. Dentro il locale è pieno di ragazzine ma siamo fortunati, la nostra è una fila centrale. Johann mi lancia occhiate, so che è in ansia, vorrebbe sapere del mio incontro con Susan, se ho cambiato idea o se sono ancora decisa a partire. Lo guardo anch’io, mi scambio di posto con Aisha così mi ritrovo vicina a lui, l’uomo che mi ha fatto conoscere il lato bello della vita e che cosa significa amare davvero. Gli cerco la mano, gliela stringo. Per oggi, basta pensare al passato. Questo è un magnifico presente ed è tutto nostro.

    Archiviato quel weekend, particolare per me, si torna alle attività quotidiane. Ancora qualche settimana, e le mie ragazze, termineranno la scuola. Di solito sceglievamo una località che mettesse d’accordo tutti per le vacanze ma quest’anno, ci sarà un cambio. Io e Johann abbiamo deciso di parlare apertamente con Claire e Aisha questa sera dopo aver cenato. Mi sento nervosa e ancora piena di dubbi ma sento che devo affrontare questo grosso ostacolo. So che è giusto così.

    Ho la gola secca dopo aver esposto le mie ragioni alle mie figlie che mi guardano con occhi pieni di perplessità. Rimaniamo tutti in silenzio mentre il dolce che avevo preparato e che avevo messo sopra il tavolo, rimane lì, testimone muto di una situazione che avrei potuto evitare continuando a vivere la mia vita come avevo sempre fatto

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