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Se tu fossi mio
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E-book337 pagine4 ore

Se tu fossi mio

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Info su questo ebook

Man Candy Series

Theo MacLeod non è l'uomo per me. Anche se è bellissimo e affascinante, non riesco a sopportare la sua arroganza. Il suo ego è uno di quelli che farebbero perdere la pazienza a qualunque donna costretta a frequentarlo. Dopo averlo assunto, pensavo di riuscire a sopportarlo per qualche ora. L'idea di partecipare a un matrimonio esiliata per l'ennesima volta al tavolo dei single, infatti, mi ha fatto prendere la prima di una serie di decisioni sbagliate. Prima ho pagato Theo per fingere di essere il mio fidanzato. Poi l'ho baciato. E quando mi sono accorta dei sussulti del mio cuore, era troppo tardi. Passare una notte con lui è stata la cosa più stupida che abbia mai fatto.

Melanie Harlow
è un'autrice bestseller di USA Today e ama definirsi una "Michigan girl". Adora i cocktail, i tacchi alti e le storie d'amore. I suoi romanzi ruotano sempre intorno a personaggi moderni in cui è facile immedesimarsi, alla ricerca del più classico dei lieto fine. Vive poco fuori Detroit con il marito e le due figlie.
LinguaItaliano
Data di uscita21 ott 2019
ISBN9788822735348
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    Anteprima del libro

    Se tu fossi mio - Melanie Harlow

    Capitolo uno

    Claire

    Non volevo mentire, ma le parole mi sono uscite di bocca.

    Non sono nemmeno brava a dire le bugie. Ogni volta che racconto una balla le orecchie mi diventano fredde, iniziano a prudere e sento il desiderio irrefrenabile di grattarmele. So che sembra assurdo, ma è proprio così. Da piccola, quando mia madre chiedeva a me e mia sorella Giselle chi di noi avesse combinato quel disastro con il dentifricio, o chi si fosse dimenticata di portare fuori il cane, o chi avesse mangiato tre cupcake lasciando la carta sul bancone della cucina, diceva sempre che le bastava uno sguardo per capire che ero stata io: mi grattavo le orecchie. (Giselle, inutile dirlo, era una bugiarda straordinaria. Era straordinaria in tutto, a dire la verità).

    Quindi, ero pronta a essere onesta al cento per cento. Avevo le parole sulla punta della lingua. No, a dire il vero non c’è nessuno che possa accompagnarmi al tuo matrimonio. Vengo da sola. (Io vengo da sola. Autobiografia della mia vita sessuale, di Claire French).

    «Guarda che non è mica una tragedia non avere un accompagnatore. Ho bisogno di saperlo solo per regolarmi con i tavoli». La mia amica e collega – nonché futura sposa – Elyse mi aveva messo alle strette di fronte alla fotocopiatrice della segreteria della scuola elementare in cui lavoravamo. Nella sua espressione riuscivo a leggere un misto di comprensione (Mi dispiace da morire che tu sia ancora single) e sollievo (Grazie al cielo io non lo sono più). «C’è il tavolo dei single e ci saranno un sacco di persone interessanti. Magari sarà l’occasione giusta per incontrare un uomo!».

    O mio Dio. Il tavolo dei single.

    Ero stata rilegata al tavolo dei single fin troppe volte per non sapere a cosa andavo incontro: è l’ultimo posto dove una persona sana di mente vorrebbe passare il sabato sera. O qualsiasi sera. Ricordavo ancora perfettamente l’ultimo matrimonio a cui ero andata da sola. I miei commensali erano uno sbalorditivo campionario di stranezze: un ragazzo mi ha descritto la fantasia delle lenzuola che gli aveva comprato la madre (Spiderman), un altro mi ha confidato la sua parola di sicurezza dopo neanche cinque minuti (Rutabaga) che parlavamo, e un altro ancora non ha fatto altro che lamentarsi, incazzato nero, perché avevano appena ucciso il suo personaggio preferito de Il Trono di spade («Pensaci: ogni scena in cui l’hai visto era una farsa!»). Riuscite a immaginare una serata più imbarazzante? Quella sera avevo anche preso al volo il bouquet, e non esagero affatto se dico che c’è stato un collettivo sospiro di sollievo tra i presenti – ho addirittura sentito qualcuno, probabilmente mia madre, esclamare: «Grazie a Dio!».

    Non potevo sopportarlo. Non di nuovo.

    «A dire il vero, pensavo di venire con una persona…», le parole mi sono uscite di getto mentre raccoglievo le stampate dalla fotocopiatrice. Hanno iniziato a prudermi le orecchie e, per evitare di grattarmi, ho stretto il plico di fogli con tutte le mie forze.

    «Davvero?».

    Ho provato a non sentirmi offesa dal tono sorpreso della sua voce. Non era certo la prima volta che uscivo con un ragazzo, è solo che la maggior parte degli uomini che ho frequentato erano dei completi imbecilli. «Sì. Stavo proprio per rispondere alla partecipazione. Scusa se non l’ho fatto prima».

    «Non importa. È fantastico, Claire. Non sapevo stessi uscendo con qualcuno». Abbiamo proseguito lungo il corridoio, allontanandoci dalla segreteria. La sua classe si trovava proprio di fronte all’aula di artistica in cui facevo lezione. Prima eravamo molto amiche, ma da quando aveva conosciuto il suo attuale fidanzato, due anni prima, non parlavamo più come un tempo quindi, a meno che non avesse deciso di farmi il terzo grado, forse sarei riuscita a cavarmela.

    «Be’, tu sei stata molto impegnata a organizzare il matrimonio, e la mia relazione è ancora una cosa fresca». Dovevo filarmela il più in fretta possibile: prima entravo in aula, meglio era. Sapevano tutti che Elyse era una chiacchierona, e che adorava spettegolare.

    «Da quanto tempo uscite insieme?»

    «Un paio di mesi».

    «Wow! Sono proprio felice per te. Come vanno le cose?»

    «Benissimo!», ho cinguettato con voce stridula. «Davvero benissimo».

    «È carino?»

    «Meraviglioso»

    «Com’è esteticamente?»

    «Uh, capelli biondi. Occhi azzurri. Con un po’ di barbetta, se non si rade». In sintesi avevo appena descritto il mio uomo ideale: Ryan Gosling.

    Elyse ha abbassato la voce per non farsi sentire. «E a letto com’è? È bravo?»

    «Incredibile». (Io vengo da sola era pieno di storie su me e Ryan: insieme facevamo faville). Fortunatamente la campanella è venuta in mio soccorso, e ho varcato la soglia dell’aula di artistica con un sospiro di sollievo. «Buona giornata!», le ho detto salutandola con la mano. Poi sono entrata e mi sono chiusa la porta alle spalle.

    Ho appoggiato le fotocopie sul banco più vicino e mi sono grattata le orecchie fredde. Non è che me lo stessi immaginando: erano fredde per davvero. Nel tentativo di dare una spiegazione logica a quest’assurdo fenomeno, ho scoperto che l’ansia fa defluire il sangue dalla faccia, interpretazione che ha perfettamente senso, dal momento che mentire mi rende nervosa per davvero. Come un sacco di altre cose, fra l’altro. Ho sempre sperato di riuscire a diventare più sicura di me, un giorno, ma mia sorella Giselle pareva aver ereditato tutto il coraggio della nostra famiglia. Forse era questo il motivo per cui ora lei stava a New York, a vivere il suo sogno a Broadway, mentre io ero rimasta qui, nella città in cui eravamo cresciute, e abitavo ancora a un chilometro da casa dei miei genitori, insegnando educazione artistica nella stessa scuola elementare che avevamo frequentato da piccole.

    «Cristo, come fai a resistere? Non provi mai il desiderio di andartene da questo posto?», non si stancava mai di ripetermi mia sorella.

    Era così orribile non avere questo desiderio?

    Non è che io non avessi dei sogni, erano solo più semplici. Più tranquilli. Meno scintillanti. Volevo una famiglia tutta mia. Avrei voluto essere un esempio per i miei bambini, la persona che li stimolava ad apprezzare l’arte, a trovare la bellezza nei luoghi più impensabili. Avrei voluto vedere le mie opere esposte in una galleria, o a un festival, o addirittura in vendita nel gift shop di un museo, un giorno. Per ora, però, non avevo ancora trovato il coraggio di mostrarle a nessuno. Ma l’avrei fatto. Presto. Forse.

    «Gesù, siamo proprio diverse io e te», diceva sempre Giselle. Lei si godeva davvero la vita, cercava costantemente l’attenzione di tutti – e tutti sembravano ben contenti di dargliela – e il palcoscenico, che calcava perfettamente truccata e con il costume di scena, era il posto dove era più felice al mondo. Al liceo io ero contenta di dipingere le scenografie e dare una mano alla troupe durante gli spettacoli, vestita di nero da capo a piedi in modo che il pubblico non si accorgesse della mia presenza e applaudisse Giselle dalla platea.

    Ma io ero felice per lei. Non tutti sono tagliati per essere la star dello show.

    Mentre preparavo i materiali per le lezioni della mattinata, ho ripensato a Elyse e alla mia bugia sull’appuntamento – e, a essere onesti, non avevo detto di avere un appuntamento, avevo fatto molto peggio: avevo detto di avere un fidanzato. Merda. Conoscevo qualcuno che corrispondesse alla descrizione che avevo appena fatto a Elyse?

    Se lo conoscessi non saresti ancora single, genio.

    Giusto. Con aria accigliata, ho iniziato a sistemare i contenitori di plastica con i pennelli sui banchi. Potevo sempre fingere che il mio misterioso accompagnatore si fosse sentito male. Avrei risposto alla partecipazione di Elyse dicendo che saremmo andati in due, così non mi avrebbe messo al tavolo dei single, ma alla fine mi sarei presentata da sola, fingendo che il mio fidanzato avesse l’emicrania o roba del genere.

    Sì, esatto! Era un piano perfetto.

    O meglio, lo sarebbe stato se solo Elyse avesse tenuto quella sua boccaccia chiusa. Ho perso il conto del numero di volte in cui gli altri insegnanti e le segretarie si sono avvicinati durante il corso della giornata per congratularsi della notizia e dirmi che non vedevano l’ora di conoscere il mio fidanzato al matrimonio. Hanno detto frasi tipo: «Finalmente, eh?», e: «Era ora!».

    Mentre guidavo verso casa, dopo il lavoro, ho cercato di capire se fosse peggio l’umiliazione di presentarmi al matrimonio da sola o la sfida di trovare un uomo che recitasse la parte del fidanzato, e ho deciso che era nettamente peggio l’umiliazione. Posti a tavola a parte, ero stanca di essere presa in giro perché ero eternamente single. Io ero la prima a voler incontrare un uomo, che cosa credevano? Pensavano che mi divertissi a vedere le mie amiche innamorarsi e ricevere proposte di matrimonio mentre le mie chance diminuivano ogni giorno che passava? Avevano idea di quanto fosse dura guardarsi allo specchio e chiedersi: «C’è qualcosa che non va in me se a trent’anni non mi sono ancora innamorata?». Giselle aveva solo un anno più di me ma da quando ne aveva quattordici si era innamorata – o almeno così sosteneva – già di una cinquantina di uomini, e una volta era addirittura stata a un passo dal matrimonio (ma era durata molto, molto poco).

    Non è che non provassi a incontrare l’uomo perfetto. Ero la persona che era andata a più primi appuntamenti sulla faccia della Terra. Mi sono fatta presentare ragazzi da tutte le persone che conoscevo: il mio insegnante di yoga, il parrucchiere, perfino da mia madre, e avevo provato tutte le app di incontri sul mercato.

    Avevo conosciuto dei tipi niente male, ma non avevo mai sentito scoccare la scintilla – il battito accelerato, il fiato corto – quelle cose che si vedono sempre in TV, su Hallmark. Ero sicura che tutto questo esistesse perché lo avevo letto nei libri, visto nei film e ne ero stata testimone nella vita di tutti i giorni. E non parlo di Giselle, ovviamente. Mia sorella è sempre stata volubile in fatto di uomini, e cambiava idea con la facilità con cui cambia i costumi sul palcoscenico, ma le mie due migliori amiche – Jaime e Margot – erano pazzamente innamorate, e Margot si era perfino fidanzata. Vedendo il loro amore, avevo deciso che non mi sarei accontentata di meno. Credevo nell’anima gemella, e volevo trovarla anche io.

    Ma che diavolo di fine aveva fatto la mia?

    «Io ci rinuncio», ho detto quella sera a Jaime durante la nostra uscita settimanale tra donne. Eravamo solo noi due, dal momento che Margot si era trasferita nella fattoria del suo fidanzato a due ore di macchina da Detroit e tornava in città solo un paio di volte al mese. «Morirò da sola, come una vecchia zitella».

    Ha alzato gli occhi al cielo. «Non essere sciocca. Se mi sono innamorata io, c’è speranza per tutti. E guarda Margot… cazzo, si sta per sposare un contadino! Certe cose capitano quando meno te lo aspetti».

    Ho annuito triste. Era vero che le mie migliori amiche avevano trovato l’amore quando meno se lo aspettavano, ma io non avevo né il carattere impetuoso di Jaime, né l’eleganza innata di Margot. Era questo che affascinava le persone, ed erano delle caratteristiche di cui io ero totalmente priva. Avevano quel qualcosa in più che possedeva anche mia sorella, mentre io a loro confronto ero insicura e banale.

    Jaime era una sensuale, formosa bomba sexy dai capelli scuri, mentre Margot aveva l’esile e bionda bellezza di Grace Kelly – io avevo tutto al posto giusto, gli occhi verdi e i capelli sani e folti di mia madre, ma niente di straordinario in fin dei conti. Paragonandoci a dei dolci, Jaime sarebbe stata una cosa divertente, tipo una torta di compleanno, Margot una classica crema pralinata, mentre io… io solo la vecchia e noiosa vaniglia. Carina e affidabile, certo, ma una noia mortale. Il gusto che ti dà sicurezza, e che ordini quando hanno terminato quello che volevi per davvero.

    «È per il matrimonio di Elyse?», ha chiesto Jaime in tono accusatorio, raccogliendosi i capelli in una coda di cavallo bassa.

    Sospirando, sono crollata sul bancone del bar, appoggiando le sopracciglia sul tavolo e nascondendo la faccia tra le mani. «Più o meno».

    «Non hai ancora trovato nessuno che ti accompagni?»

    «No. Ed Elyse oggi a lavoro mi ha messo alle strette. Stavo quasi per dirle che sarei andata da sola, ma poi ha cominciato a parlare del tavolo dei single e…».

    Jaime ha fatto un versetto schifato. «Il tavolo dei single! Spero che almeno Margot abbia il buon gusto di non costringere nessuno a una simile tortura. Cristo, i matrimoni fanno davvero schifo».

    Ho preso il mio bicchiere di cabernet e ne ho bevuto un sorso. Margot si sarebbe sposata subito dopo San Valentino, la classica festività deprimente. «Almeno al matrimonio di Margot sarò seduta al tavolo degli sposi e non avrò bisogno di un accompagnatore, visto che sono la sua damigella».

    «Non capisco perché ti ostini ad andare a questo matrimonio. Tu ed Elyse non siete nemmeno più tanto amiche».

    Ho fatto una smorfia. «Lo so, ma sembra brutto non andare. E ho peggiorato la situazione dicendole che sarei andata con il mio fidanzato».

    Jaime ha scrutato confusa il suo Martini, appoggiando il bicchiere sul bancone così forte che per poco non rovesciava tutto il drink. «Cos’hai fatto?»

    «Il mio fidanzato. Dai, lo conosci, è quello che somiglia a Ryan Gosling e scopa come una rock star».

    «Prego?». Si è guardata intorno come se si aspettasse che da un momento all’altro saltasse fuori una troupe televisiva gridando: «Sorridi! Sei su candid camera».

    «Che mi sono persa?».

    Ho fatto un sospiro e scosso la testa. «Sono stata una sciocca. Non sopportavo l’idea di stare al tavolo dei single, e mi sono inventata un fidanzato».

    Jaime è scoppiata a ridere.

    «Non è affatto divertente». Ho buttato giù un altro sorso di vino. «Adesso che faccio?»

    «Non puoi semplicemente inventare una scusa per cui non può venire?»

    «Era quello il piano, ma Elyse l’ha raccontato a tutti e ora se mi presento da sola penseranno che era una bugia». Mi sono abbandonata, sconfitta, sullo sgabello. «Quinn ha qualche amico sexy e sigle con i capelli biondi e gli occhi azzurri?»

    «Mmm. Non credo, altrimenti te lo avrei già presentato».

    «Non mi importa nemmeno se è single o no. Sono disperata. È solo per una sera, e giuro su Dio che non lo sfiorerò nemmeno con un dito. Per quanto mi riguarda può perfino essere gay. Tuo fratello ha qualche amico carino da prestarmi?»

    «Wow. Sei davvero disperata». Jaime è scoppiata a ridere. «Vuoi che ti presti Quinn? Ha gli occhi azzurri e i capelli biondicci».

    Ho esultato. «Jaime, sei un genio!». Ma i miei problemi si erano risolti solo per un secondo. Non avrebbe mai funzionato, e il motivo era molto semplice. «Oh, aspetta un attimo. Elyse e Quinn si sono conosciuti un paio di anni fa alla mia festa di compleanno. Ti ricordi? Tra te e Quinn era appena iniziata».

    «Oh, sì, la cena a cui si è autoinvitato solo per mettermi in imbarazzo fingendo che fossimo una coppia». Jaime ha riso ricordando la scena. «Quella sera volevo davvero ucciderlo».

    «Lo so». Per il resto dei presenti, quella sera, era ovvio che Quinn e Jaime fossero perfetti l’uno per l’altra, e che lui fosse completamente pazzo della sua bella nonostante lei continuasse a fingere il contrario. Un po’ come era successo a Margot, che aveva conosciuto il suo fidanzato, Jack, quando la fattoria della sua famiglia l’aveva assunta per un lavoro di marketing – all’inizio non si sopportavano, ma dopo nemmeno una settimana erano innamorati persi.

    Ero felice per loro, lo ero davvero, ma non potevo fare a meno di chiedermi cosa facessi io di tanto sbagliato, dato che per tutti quelli che mi circondavano l’amore sembrava cadere dal cielo mentre per me non arrivava neanche a pagarlo. Ho fatto cenno al barman di portarmi un altro bicchiere di vino. «Perché deve essere tutto così difficile? Ci sto provando con troppa insistenza? Sono troppo esigente? È colpa dei miei capelli?»

    «I tuoi capelli?».

    Mi sono spostata nervosamente i lunghi ricci biondo cenere su una spalla. Ero tornata da poco al mio colore naturale.

    «Sì, dici che mi sta male? Sembro pallida? Troppo bleah?».

    Ha alzato gli occhi al cielo. «Ora cominci a farmi paura. I tuoi capelli non hanno niente che non va. E poi io ti adoro bionda. Mi ricorda quando eravamo piccole».

    Nel frattempo il mio secondo bicchiere di vino era arrivato e ne ho bevuto un lungo sorso. «Cristo, perché non si può affittare un ragazzo per una notte proprio come si affitta un film?».

    Jaime ha fatto un sorrisetto diabolico sopra al bordo del bicchiere. «Fidanzato On Demand?»

    «Esattamente!». Ho schioccato le dita. «Dovresti solo scrollare la pagina, sceglierne uno che ti sembra bello, e farlo diventare tuo per ventiquattro ore. Sarei disposta anche a pagare un extra per avere un GC».

    «Un GC?»

    «Un Grosso Cazzo».

    Mi sono messa a ridere.

    «In realtà penso che tu lo possa affittare davvero un fidanzato. L’ho letto da qualche parte… è di gran moda in Giappone».

    «Dici sul serio?». Ho raddrizzato la schiena. «Si può fare anche qui?».

    Ha alzato le spalle. «Forse. Ma non so quanto sia affidabile».

    «Come si chiama il sito? Ti ricordi?»

    «No». Jaime ha indietreggiato e mi ha guardato come se fossi matta. «Spero tu non stia davvero prendendo in considerazione l’idea di affittare un uomo per farti accompagnare al matrimonio, Claire. Dai, non sei così disperata».

    «No. Non credo», ho risposto.

    Ma mi prudevano le orecchie.

    Capitolo due

    Claire

    Due giorni dopo non avevo ancora trovato un uomo che mi accompagnasse al matrimonio. Non mi era rimasta alternativa se non provare a cercarlo su Google (vorrei sottolineare che ho preso questa decisione dopo essermi scolata quasi un’intera bottiglia di vino mentre guardavo una maratona di commedie romantiche su Hallmark, pertanto non posso essere giudicata colpevole di tale comportamento). I titoli di coda del secondo film stavano ancora scorrendo sullo schermo quando ho versato quel che restava del vino nel bicchiere e ho aperto il portatile. Ho digitato «appuntamento in affitto» nella barra di ricerca, ho preso un sorso di coraggio e ho premuto INVIO.

    Sono stata subito bombardata da immagini di tette e culi e, capendo l’errore, ho specificato che ero in cerca di compagnia maschile. Sperando che questa volta il mio campo visivo non venisse invaso da foto di cazzi, ho premuto di nuovo INVIO.

    È apparsa una lista infinita di siti, ma il più cliccato pareva essere uno chiamato ficoinaffitto.com. Dopo essermi guardata alle spalle, come se avessi paura di venire scoperta – una sciocchezza, dal momento che vivevo da sola – e aver preso un altro lungo sorso di chianti, ho aperto il link.

    Hai bisogno di un accompagnatore per un’occasione speciale ma non hai tempo di cercarlo?

    Sei stanca di sentirti chiedere perché sei ancora single?

    Desideri un fidanzato platonico, per un periodo di tempo limitato, che finga di essere pazzo di te?

    Sei nel posto giusto.

    Ficoinaffitto ha l’uomo perfetto per ogni occasione.

    Mi sono rianimata in un istante. Quel sito sembrava fatto apposta per me! I ragazzi erano di bell’aspetto e non avevano troppo l’aria da serial killer, e le recensioni delle clienti erano strepitose!

    «Ficoinaffitto è esattamente ciò di cui avevo bisogno per la festa di Natale in ufficio! Ron è stato un vero gentiluomo e poi… è così sexy!».

    «Non so da dove cominciare a parlare di Shemar: le parole non gli renderebbero giustizia! È stato educato, affascinante e davvero premuroso per tutta la serata!».

    «Al matrimonio erano tutte gelose del mio Fico. Al mio ex per poco non veniva un colpo! Mi sono sentita meravigliosa tutta la sera!».

    Il sito era gestito da donne, e avevano Fichi in ventidue Stati, Michigan compreso. QUESTO NON È UN SITO D’APPUNTAMENTI, diceva lo slogan. «Se cercate sesso o una relazione seria non è il sito che fa per voi, ma se invece volete passare una splendida serata con una persona tranquilla, educata e soprattutto sexy, allora siete nel posto giusto».

    Sì, Fico, aiutami tu!

    Cinque minuti dopo avevo pagato i 29,95 dollari di iscrizione necessari per poter accedere ai profili dei Fichi nella mia area personale, e mi stavo già affannando nella ricerca del sosia di Ryan Gosling. Non ci ho messo molto a rendermi conto che i ragazzi in homepage non erano un campione rappresentativo dell’intero stock, ma non vedevo nemmeno facce da galera. Alla fine ne ho trovato uno che poteva fare al caso mio: capelli biondo sabbia, occhi chiari. Un bell’otto in una scala da uno a dieci. Si chiamava Fred.

    Secondo quanto scritto nel suo profilo, Fred era un pilota, gli piaceva viaggiare e fare nuove conoscenze, e adorava le macchine d’epoca. Era alto un metro e ottanta, aveva trentun anni e non era mai stato sposato. Aveva venticinque recensioni da cinque peperoncini, e i commenti erano tutti positivi. «Divertentissimo!», diceva Lisa di Orlando. «Uno splendore», scriveva Jasmine di Phoenix. «Dolce e affascinante», era l’opinione di Lisa di Buffalo. «E un ballerino provetto!».

    Orlando, Phoenix e Buffalo? Wow, si spostava parecchio. Era perché faceva il pilota? In che città viveva? Ma non aveva senso preoccuparsene, l’unica cosa importante era che si presentasse in orario e fingesse di amarmi – e speravo non si sarebbe rivelata un’impresa troppo ardua, dal momento che di sicuro era un attore molto migliore di me.

    L’avrei dovuto pagare cento dollari l’ora, quindi era meglio per lui che fosse bravo.

    Ho bevuto un altro sorso di vino e gli ho scritto un messaggio in chat.

    Ciao Fred, mi chiamo Claire, cerco un accompagnatore per il matrimonio di una collega venerdì 21 dicembre, di sera. Sei disponibile? Se sei libero, ti andrebbe di incontrarci per un caffè qualche giorno prima per conoscerci meglio e discutere i dettagli?

    Poco prima di inviare il messaggio ho avuto un piccolo attacco di panico. Era una follia? Affittare un uomo solo per salvare le apparenze? E se la serata fosse finita con me strangolata e chiusa nel bagagliaio della sua Camaro di seconda mano?

    Poi mi sono ricordata di quella volta in cui ero seduta al tavolo dei single di fianco a un ragazzo che ha cominciato a elencare 369 cifre decimali dopo la virgola del pi greco, per poi chiedermi se volevo leggere la sua fanfiction erotica sui Pokemon.

    Click.

    Grazie per il tuo messaggio! Fred ti risponderà appena possibile!

    Ho chiuso il computer e sono rimasta seduta per un momento, provando a decidere se mi sentivo strana e disperata o moderna e audace. Non avevo fatto niente di male, no? Dopo tutto ero una donna del nuovo millennio! E le donne del nuovo millennio non devono sottostare alle regole rigide e antiquate sugli appuntamenti imposte dalle loro madri e dalle loro nonne! E in fin dei conti, questo non era neanche un vero appuntamento. Era solo un po’ di… shopping online. Shopping umano.

    O mio Dio.

    Avevo la nausea. Ma per tempi duri occorrono misure drastiche, e se con qualche centinaio di dollari fossi riuscita a far chiudere la bocca a tutti e mi fossi procurata un posto a sedere in un tavolo migliore, tutto sommato avrei fatto un affare. E poi avrei passato una piacevole serata con un bellissimo ragazzo il cui unico lavoro era farmi i complimenti per tutta la sera. Nessuno avrebbe saputo che lo pagavo. A fine ricevimento saremmo andati ognuno per la sua strada, e a lavoro avrei raccontato una storia plausibile sul perché ci eravamo lasciati, per colpa sua, ovviamente, (Fred, brutto bastardo) e sarebbe finita lì.

    Cosa poteva andare storto?

    Alle tre del mattino mi sono svegliata in preda al panico. Cosa avevo combinato?

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