La valutazione del danno esistenziale socio-relazionale e le competenze del sociologo nel processo civile e penale
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Anteprima del libro
La valutazione del danno esistenziale socio-relazionale e le competenze del sociologo nel processo civile e penale - Francesco Casillo
PREMESSA
Nell’attuale ordinamento processuale italiano, sia civile che penale, la figura professionale del sociologo è quasi ignorata o comunque poco utilizzata
. Tenuto conto del numero elevatissimo di processi che si tengono in Italia e delle innumerevoli fattispecie che vengono affrontate e discusse, i casi in cui il sociologo viene chiamato a partecipare a essi, sia in qualità di consulente sia in quella di componente dei collegi giudicanti, è veramente bassa e comunque non adeguata rispetto alle effettive necessità di beneficiare della sua competenza al fine di perseguire l’obiettivo principale della giustizia: accertare i fatti, attribuire le responsabilità inerenti le condotte illecite, sia civili che penali, e valutare e quantificare i danni derivanti da tali condotte illecite. L’obiettivo di questo lavoro sarà quindi quello di individuare le tante fattispecie per la quali la competenza del sociologo non solo è utile ma è addirittura necessaria, sia nel processo civile che in quello penale, in particolare per la valutazione del danno esistenziale socio-relazionale.
Prima di approfondire tale tematica, che è sicuramente una delle fattispecie in cui è maggiormente rilevante la consulenza del sociologo, soprattutto nel processo civile, è necessario e opportuno fornire alcuni brevi cenni sul concetto di danno e di risarcimento.
CENNI PRELIMINARI SUL CONCETTO DI DANNO E DI RISARCIMENTO
Per giungere a una corretta definizione di danno
dobbiamo preliminarmente considerare i due aspetti nei quali esso si configura: quello naturalistico
e quello giuridico
.
Il primo consiste nel pregiudizio subìto da un soggetto per effetto di una lesione di una situazione favorevole preesistente. Il concetto di danno
, nell’ottica naturalistica
, può essere identificato come ogni intervento, sia naturale che dell’uomo, che incide in senso negativo su qualunque posizione della quale beneficia il singolo.
Il danno però assume anche una valenza giuridica
. Infatti, il pregiudizio subito dal soggetto deve essere tutelato da una norma giuridica. Pertanto, perché il danno possa essere delineato nei suoi contorni essenziali, devono concorrere due elementi: quello materiale
, che consistente nel fatto o evento lesivo, e quello formale
, rappresentato dalla norma giuridica. L’effetto giuridico causato dal danno consiste pertanto in una reazione che il diritto appresta al fine della sua repressione. Strettamente connesso al concetto di danno
è quello di risarcimento
, che si configura appunto come la reazione
dell’ordinamento giuridico ai fatti che determinano una lesione della sfera giuridica del soggetto. Il risarcimento rappresenta quindi lo strumento volto a riparare il danno creato e, conseguentemente, a ristabilire l’equilibrio violato, rimettendo il soggetto che abbia subìto un danno nella situazione quale era prima che esso si verificasse e perciò di colmare una perdita già prodottasi per la vittima.
Se un danno è stato provocato a una situazione soggettiva meritevole di tutela giuridica, con la previsione di un risarcimento, è necessario attribuire e individuare la responsabilità in capo al soggetto che lo ha determinato con il suo comportamento positivo o omissivo.
Nell’ambito del nostro ordinamento giuridico civilistico, la responsabilità sorge quindi come conseguenza di un comportamento antigiuridico, sia nell’ipotesi in cui esso si sostanzi in un inadempimento contrattuale non scusabile di una delle parti, sia che si concretizzi in un comportamento negligente causante un danno a un terzo.
Più propriamente, il diritto della responsabilità civile ha il compito di filtrare, dalle numerose esperienze quotidiane, le azioni e i comportamenti lesivi.
RESPONSABILITÀ CONTRATTUALE
ED EXTRACONTRATTUALE
Il nostro ordinamento è connotato da due differenti ipotesi di responsabilità per danno: l’una di natura contrattuale, l’altra extracontrattuale, ovvero aquiliana
o per fatto illecito.
La responsabilità contrattuale consiste nella violazione di un dovere specifico derivante da un preesistente vincolo obbligatorio rimasto inadempiuto.
Così l’art. 1218 c.c., il quale, disciplinando specificatamente la responsabilità da inadempimento, recita testualmente:
Il debitore che non esegua esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l’inadempimento o il suo ritardo sia stato causato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile
.
Dal tenore letterale della norma in argomento si desume il preciso intento del legislatore di sanzionare l’inadempimento in sé e per sé, a prescindere dalla verifica della sussistenza dell’elemento psicologico del dolo o della colpa. Pertanto il creditore che abbia avanzato richiesta risarcitoria sarà onerato semplicemente dal provare l’inadempimento e l’entità del danno mentre, di converso, il debitore, che voglia sottrarsi all’obbligo risarcitorio, dovrà dimostrare l’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa a lui non imputabile.
A ben vedere, la norma suindicata risulta alquanto rigida, in quanto mira a garantire una tutela sostanziale della posizione del creditore.
Ciò nondimeno, essa va incontro a dei temperamenti, frutto del coordinamento con altre disposizioni del Codice civile, tra le quali per l’appunto l’art. 1176, in materia di diligenza. Invero, il debitore che abbia agito con diligenza e, nonostante ciò, non abbia potuto adempiere all’obbligazione sarà, comunque, esonerato dalla responsabilità risarcitoria. Tale diligenza va valutata sulla base del criterio oggettivo costituito dal comportamento che di norma verrebbe richiesto al c.d. uomo medio
(c.d. buon padre di famiglia
).
Inoltre, a seconda del ruolo svolto dal suddetto criterio nell’economia delle obbligazioni, la dottrina suole distinguere le obbligazioni di mezzi da quelle di risultato. In quest’ultime, il fine perseguito è costituito dalla realizzazione dell’interesse del creditore e, pertanto, la diligenza risulta strumentale al raggiungimento dello scopo; nelle obbligazioni di mezzi, invero, la diligenza ha rilevanza in sé e per sé rappresentando l’essenza del comportamento posto in essere indipendentemente dal perseguimento di un risultato finale, il quale può anche non aversi.
Un'ulteriore differenza si ravvisa anche nell’onere probatorio: infatti, mentre nelle obbligazioni di risultato si applica la regola generale ex art. 1218 c.c., nelle obbligazioni di mezzi il creditore