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Il coordinatore nell'orto ovvero la gestione del personale secondo natura, ovvero chi semina raccoglie
Il coordinatore nell'orto ovvero la gestione del personale secondo natura, ovvero chi semina raccoglie
Il coordinatore nell'orto ovvero la gestione del personale secondo natura, ovvero chi semina raccoglie
E-book118 pagine1 ora

Il coordinatore nell'orto ovvero la gestione del personale secondo natura, ovvero chi semina raccoglie

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Info su questo ebook

"Nella vita non raccogli ciò che semini, raccogli ciò che curi". È questa la frase, attribuita a Charles Monroe Schulz il creatore dei famosissimi Peantus, dalla quale far partire "Il coordinatore nell'orto". Un testo che prende spunto proprio dalla metafora dell'orto, la sua coltivazione e la cura del terreno in tutte le sue fasi. Una metafora importante che delinea tutte le caratteristiche di un gruppo di lavoro, come si forma e come agisce per la buona riuscita degli obiettivi da raggiungere. Un po' come quando si prepara il terreno, lo si concima per poi giungere alla fase finale ovvero il raccolto. Così anche un gruppo di lavoro prima di arrivare finalmente alla sua meta deve essere preparato adeguatamente. Per dirla con le parole dell'autore: "Non basta seminare per raccogliere, ma è necessario un intervallo di tempo durante il quale prendersi cura del terreno e delle piante".
LinguaItaliano
Data di uscita17 giu 2021
ISBN9791220343381
Il coordinatore nell'orto ovvero la gestione del personale secondo natura, ovvero chi semina raccoglie

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    Anteprima del libro

    Il coordinatore nell'orto ovvero la gestione del personale secondo natura, ovvero chi semina raccoglie - Vincenzo Raucci

    Dissodare il terreno

    Quando si dissoda un terreno e, soprattutto, perché? Per dissodamento si intende una lavorazione straordinaria che si esegue su un terreno dove non si è mai svolta attività agricola o che è rimasto incolto per molti anni.

    Si dissoda un terreno scavando a fondo (da 50 centimetri fino a un metro e mezzo, in base alla destinazione d’uso), frantumandolo, liberandolo dello strato superficiale di erba (o di arbusti, o alberi) e di sassi di grosse dimensioni. Per alcuni terreni, non troppo sodi, si usano aratri trainati, a volte e in base alla compattezza del terreno, da mezzi cingolati; altre volte, in condizioni difficili, si può rendere necessario l’utilizzo di escavatori, di ruspe o, addirittura, di esplosivi.

    Perché dissodiamo un terreno? Semplicemente per cambiarne il suo utilizzo e prepararlo, quindi, alla sua nuova funzione. Se volessimo realizzare un orto dobbiamo rendere più soffice il terreno, che potremo trovare compatto, pietroso e pieno di vegetazione, almeno per quaranta o cinquanta centimetri in profondità; le piante che vorremo coltivare dovranno avere la possibilità di far crescere agevolmente il loro apparato radicale.

    Quando ci accingiamo a coordinare un nuovo gruppo di lavoro, la prima operazione da fare è proprio quella di dissodare l’ambiente nel quale facciamo il nostro ingresso.

    Ma, prima ancora di metter mano all’aratro, va analizzato il terreno, comprenderne la composizione, l’ampiezza della sua superficie, la presenza o meno di sostanze inquinanti, la possibilità di un approvvigionamento idrico, l’esposizione al sole e così via.

    In altre parole, quando si arriva in un nuovo posto di lavoro, all’interno di un gruppo che non si conosce è impensabile innestare una modalità di lavoro preconfezionata, importata da altre realtà, che non tenga conto del patrimonio umano, della storia e delle capacità del gruppo che ci stiamo apprestando a coordinare.

    Prima di tentare di cambiare gli altri, magari è più facile provare a modificare il nostro approccio, in funzione delle nostre capacità, degli obiettivi e delle risorse a nostra disposizione.

    Con questo non voglio dire che ci dobbiamo adeguare e uniformare all’habitat che incontriamo: cambiare è sempre possibile, oltre che naturale. In natura tutto cambia e si trasforma, continuamente.

    Ma è inutile (oltre che costoso) piantare patate in un terreno argilloso: non cresceranno mai adeguatamente, poiché il tubero in questione preferisce suoli sciolti e profondi. Se volessimo coltivare patate a tutti i costi (ovvero, se gli obiettivi aziendali fossero imperativi) allora si dovrà necessariamente operare un intervento importante sul terreno: nel caso dell’argilla, aggiungere della sabbia aiuta a scioglierne la compattezza.

    Con gli esseri umani, tale operazione risulta essere leggermente più complessa: non si possono certo spostare le persone come fossero pedine! In questo caso possono tornare utili i cari, vecchi colloqui individuali. Attraverso questi, è possibile far emergere risorse sopite, vecchie ambizioni, qualità impensabili: lo strato argilloso si rivela essere solo epidermico e, più sotto, un mucchio di preziose potenzialità!

    Il colloquio individuale non è mai (o, perlomeno, non dovrebbe essere mai) un interrogatorio stile terzo grado, ovvero un incontro dove un soggetto (in questo caso, il coordinatore) persegue l’unico obiettivo di raccogliere informazioni sul secondo soggetto (in questo caso, il collaboratore). Piuttosto la modalità dovrà essere osmotica, ovvero un’occasione per approfondire la conoscenza per entrambi: il coordinatore rileverà le caratteristiche del suo collaboratore e questi, allo stesso modo, avrà la possibilità di comprendere meglio visione, missione e valori del nuovo capo.

    Durante il colloquio, non solo avremo la possibilità di conoscere la natura e la composizione del terreno col quale dovremo lavorare, ma avremo anche la possibilità di far comprendere al nostro collaboratore tutti i motivi che si nascondono dietro le scelte e le strategie aziendali. Spesso tendiamo a parcellizzare il flusso di informazioni, laddove ogni settore ha come unico scopo quello di occuparsi del suo pezzo, quasi come se fosse parte di una catena di montaggio. Niente di più sbagliato: per creare senso di appartenenza e passione nel lavoro bisogna facilitare la conoscenza e la trasparenza a tutti i livelli.

    Diceva Antoine de Saint-ExupérySe vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito.

    Oltre ai colloqui individuali, dove la dimensione più intima favorisce, se ben facilitata, una maggior apertura al dialogo, ci sono anche i colloqui di gruppo.

    Mediante l’utilizzo di questi, noi possiamo farci un’idea delle dinamiche che caratterizzano la struttura portante del gruppo di lavoro; attraverso l’interazione tra noi e i nostri collaboratori e l’osservazione dei singoli componenti in relazione con gli altri, possiamo comprendere il clima che soffia sul gruppo.

    Analizziamo, quindi, il terreno sul quale dovremo poi operare.

    Tanto per cominciare va detto che, in natura, ci sono vari tipi di terreno e, allo stesso modo, possono esserci vari tipologie di gruppi di lavoro.

    TERRENO ARGILLOSO (a grana fine)

    Pesante, compatto, faticoso da lavorare; ha il pregio di trattenere l’acqua e le sostanze fertili ma, per contro, favorisce i ristagni (soprattutto dopo le piogge) e le malattie fungine.

    I gruppi di lavoro di questo tipo possiamo definirli chiusi: sono costituiti da persone con molti anni di servizio sulle spalle, che probabilmente non hanno avuto coordinatori particolarmente empatici, assertivi, propositivi, creativi, democratici e dove impera il dogma del si è sempre fatto così. Sono gruppi dove, nel tempo, si sono consolidati alibi del tipo siamo sempre meno e sempre più stanchi, i capi pretendono sempre di più, ma non hanno idea di cosa significhi lavorare in questo posto, non guadagniamo abbastanza, le colpe sono sempre degli altri e così via.

    Pregi: prezioso know-how, grande esperienza, storia importante e schemi lavorativi collaudati.

    Difetti: autocelebrazione e convinzione che meglio di così non si possa più fare.

    TERRENO LIMOSO (a grana media)

    Spesso si rivela essere la giusta via di mezzo, poiché le particelle che lo compongono sono di dimensione intermedia e permettono una buona ossigenazione e drenaggio, oltre che a trattenere umidità e nutrimento; va sarchiata⁶ frequentemente, al fine di evitare il compattamento dello strato superficiale, che toglierebbe aria all’apparato radicale delle

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