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La sfiga non esiste
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E-book153 pagine2 ore

La sfiga non esiste

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Info su questo ebook

Perché la sfiga non esiste? Perché siamo completamente responsabili della nostra esistenza, anche se non ne siamo consapevoli. Quello che voglio ottenere con questo libro è di far un po' più di luce sulla necessità di divenire coscienti di questa responsabilità. Sono anche convinto che diffondere questo punto di vista, e gli strumenti adeguati per comprenderlo, sia la sola via per aiutare l'umanità ad uscire dalla sua condizione di sofferenza. Perché, sarà anche vero che la sfiga non esiste, ma la sofferenza ci riguarda sicuramente tutti. Potendo facilmente accertare questa cosa, ci siamo mai posti veramente il problema di come far cessare le nostre sofferenze ed eventualmente quelle del mondo attorno a noi? Volendo vedere la questione da una prospettiva meno sfigata, quanto gioiamo veramente? Che spazio occupa nella nostra vita la leggerezza, la gioia, la capacità di sorridere e di amare, l'abilità nel realizzare ciò in cui crediamo?
Massimo Rodolfi da trent'anni tiene corsi di raja yoga ed esoterismo. E'fondatore dell’associazione Atman, che ha lo scopo di studiare e diffondere queste antiche conoscenze; di Energheia, la prima scuola italiana per terapeuti esoterici; della Draco Edizioni, casa editrice che vuole diffondere in termini moderni l’antica saggezza esoterica; creatore, assieme ad oltre cento collaboratori, del portale internet Yoga, Vita e Salute www.yogavitaesalute.it, vero punto di riferimento nel settore, che contiene al suo interno il blog-giornale La Finestra sul Mondo.
LinguaItaliano
Data di uscita4 set 2012
ISBN9788863530124
La sfiga non esiste

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    Anteprima del libro

    La sfiga non esiste - Massimo Rodolfi

    Conclusioni

    Introduzione

    Perché la sfiga non esiste? Perché siamo completamente responsabili della nostra esistenza, anche se non ne siamo consapevoli. Quello che voglio ottenere con questo libro è di fare un po’ più di luce sulla necessità di divenire coscienti di questa responsabilità. Sono anche convinto che diffondere questo punto di vista, e gli strumenti adeguati per comprenderlo, sia la sola via per aiutare l’umanità a uscire dalla sua condizione di sofferenza. Perché, sarà anche vero che la sfiga non esiste, ma la sofferenza ci riguarda sicuramente tutti. Potendo facilmente accertare questa cosa, ci siamo mai posti veramente il problema di come far cessare le nostre sofferenze ed eventualmente quelle del mondo attorno a noi?

    Volendo vedere la questione da una prospettiva meno sfigata, quanto gioiamo veramente? Che spazio occupano nella nostra vita la leggerezza, la gioia, la capacità di sorridere e di amare, l’abilità nel realizzare ciò in cui crediamo? Quanto abbiamo stabilizzato nella nostra coscienza ananda? Non  la Nanda, diminutivo di Fernanda, una cara amica di mia nonna, che abita tuttora in una delle case popolari del mio paese, bensì ananda, in sanscrito la beatitudine. Ma poi, diciamocelo, pensiamo veramente che si possa essere sempre contenti senza essere stupidi? Visto, fra l’altro, che siamo incazzati dalla mattina quando ci alziamo  alla notte quando ci addormentiamo... E quanta energia abbiamo dedicato nella nostra vita, consapevolmente, ripeto consapevolmente, alla realizzazione della felicità nostra, delle persone che amiamo e anche di quelle che non amiamo? E chi ci ha mai detto cos’è veramente la felicità? E ammesso che qualcuno ce lo abbia anche detto, che birillo ci abbiamo capito?

    La sfiga non esiste. Sì, sì...  Questa affermazione potrebbe apparire inverosimile al senso comune, abituato da millenni a considerare come fattore imprescindibile della vita la fortuna, il fato, il destino, la sorte, il caso, la fatalità, la provvidenza, la combinazione, la circostanza, la coincidenza, l’aver finito la benzina, oppure la sfiga. Da sempre, la maggioranza dell’umanità attribuisce alla casualità la realizzazione di una parte consistente degli avvenimenti che la riguardano, e temo che affermare il contrario risulti essere leggermente controcorrente, specialmente qui in Occidente. In Oriente è sicuramente più diffuso il concetto di karma, o legge di causa-effetto, che dovrebbe essere di fondamentale sostegno alla mia affermazione. Però, ad essere onesti, non è che, mediamente, un tassista di Benares, in India, mi sia sembrato  tanto più consapevole della responsabilità della sua vita di quanto non lo sia il suo collega di una grande città europea (non me ne vogliano i tassisti, avrebbero potuto essere i salumieri, ma mi è tornato in mente il mio tassista a Benares…). In pratica, cioè, non è che l’adesione natalizia (dovuta ai natali) ad una religione, o ad un sistema di vita piuttosto che ad un altro, cambi sostanzialmente l’atteggiamento oggi possibile da parte della coscienza umana nei confronti della vita.

     È poi anche vero che  la scienza contemporanea non è in grado di rispondere alla domanda che ci interessa, se la sfiga esista o non esista, suffragandola con i risultati, riproducibili e verificabili, di ripetute analisi di laboratorio. La scienza, d’altronde, ancora si sta interrogando sul fatto che l’universo sia nel caos, anagramma di caso (sfiga?), se tenda o meno all’entropia o all’empochia, a seconda che ci sia troppa materia o troppo poca (forse non era proprio così...). Ma ti pare a te che l’universo debba essere caotico, nato da un caso, e che possa finire o non finire grazie a un qualche accidente? Che anche l’universo debba essere così sfigato? È evidente che, allo stato attuale, la scienza non è in grado di dirimere la vexata quaestio che ci interessa, visto che nei suoi fondamenti ontologico-epistemologici non comprende ancora un adeguato concetto di sfiga, in grado di rassicurarci sulle origini della vita del presente universo, ma soprattutto sulle sue necessità evolutive e sulle sue finalità.

    Vista l’inadeguatezza della scienza moderna, ma vista soprattutto la nostra propensione per un empirismo cognitivo, comunque di stampo scientifico, ci pregeremo di suggerire delle indicazioni, delle tracce da seguire, che ci mettano nelle condizioni di attivare quel raffinatissimo laboratorio che è la nostra coscienza, l’unico in grado di dare una risposta a questa controversa domanda.

    In effetti, se esiste un modo per rendersi conto del fatto che, quello che prima ho chiamato senso comune, è  in realtà un punto di vista basato sull’ignoranza di come funziona veramente la vita, questo sta solo nell’uso diverso della propria coscienza. Ossia, ci si può rendere conto di quanto l’ignoranza produca ogni tipo di sofferenza nella nostra esistenza, unicamente riconsiderando la nostra esperienza alla luce di una visione diversa, che tenga conto non solo di quello che tutti possono vedere con i propri occhi, ma anche di quello che sfugge alla considerazione dei più, ossia le vere cause della vita e del comportamento umano.

    Capito poco quello che ho detto? Traduco: ogni evento ha delle cause, queste cause normalmente non sono né viste né comprese, l’unico modo per capire un po’ meglio la vita è essere disponibili a sperimentare consapevolmente all’interno di quello che ho definito il laboratorio della nostra coscienza... Solo questa possibilità ci mette al riparo dalla ‘sfiga’. Meglio? Questo in pratica significa essersi fatti delle domande sui grandi perché della vita, del tipo perché esisto, da dove vengo, dove vado, casa facciamo stasera e perché devo pagare l’affitto se la casa dove abito è mia etc.

    In questo campo le risposte teoriche non bastano. Razionalmente si può dimostrare tutto o il contrario di tutto, per fede devozionale l’uomo può credere alle più grosse baggianate in grado di appagare il suo ego, così come agire nel modo più santo possibile. Sono convinto che comprendere i moventi della vita, per poterne cambiare gli effetti, superando così la necessità del dolore e della sofferenza, sia possibile solo quando è veramente possibile interrogarsi sui perché dell’esistenza. Il desiderio di comprendere motiva la volontà di sperimentare, e l’esperienza consapevole produce quella trasformazione della coscienza che affranca l’uomo dall’automatismo della vita, rendendolo libero, santo o illuminato a seconda delle varie tradizioni.

    Tutto questo è indimostrabile a priori. Possiamo forse fidarci dell’esperienza di tutti coloro che, a varie latitudini, affermano di avere sperimentato stati di libertà interiore ed esteriore dovuti all’intensa consapevolezza, ma di sicuro questa fede non ci farà sperimentare la beatitudine di qualcun altro, così come il racconto della torta di mele che ho mangiato ieri non ve la potrà far assaporare. L’unica cosa che possiamo veramente fare, se ne abbiamo la voglia, la possibilità e se ci sentiamo misteriosamente in sintonia con coloro che nella storia hanno esotericamente affermato questa possibilità di trasformazione, è di mettere in gioco la nostra vita, facendola divenire il campo di battaglia citato nella Bhagavad Gita, assumendo su di noi il giogo dell’insegnamento del Cristo, disponendoci al solve et coagula alchemico, percorrendo il sentiero disegnato dall’albero della vita etc etc.

    Andando in questa direzione scopriremo che c’è molto più da fare che da dire, e cercheremo gli strumenti adeguati in grado di sostenerci sul sentiero della trasformazione. Meditazione, preghiera, attenzione al proprio comportamento divengono allora i prerequisiti necessari, il cibo quotidiano di coloro che vogliono comprendere il senso della vita, perché non di solo pane vive l’uomo. Essere liberi significa essere completamente e consapevolmente responsabili di ogni proprio pensiero, parola, opera od omissione.

    In un modo apparentemente misterioso, quindi, queste pratiche universalmente denominate di purificazione producono intense modificazioni nella coscienza umana. (Se può servire, ciò è anche convalidato da decenni di lavoro, se così si può dire, che ho svolto con la coscienza degli esseri di questo pianeta). L’esperienza inizia a divenire conoscenza, e ciò che è teorizzato nei testi esoterici, altrimenti indimostrabile scientificamente, inizia a divenire una pratica quotidiana. L’anatomia e la fisiologia occulta dell’uomo, e della vita in genere, si svelano progressivamente, vari piani di esistenza e varie dimensioni cominciano a mostrare la loro realtà e integrazione, gli effetti iniziano finalmente ad essere compresi per le loro cause.

    L’uomo può finalmente mangiare i frutti dell’Albero che sta in mezzo al Giardino, senza che gli diano lo sfratto. Passo dopo passo sul Sentiero dell’Iniziazione ai Misteri della Vita il Figlio dell’Uomo si mostra nella nostra coscienza. Il Verbo si fa carne e il Regno dei Cieli, che è in noi e fuori di noi, dischiude i suoi cancelli, come una novella Gerusalemme Celeste, che cala sulla Terra ogni volta che un essere umano ascende alle vette dell’amore per il prossimo e dell’innocuità. Detto con parole meno auliche, l’uomo infine dà un senso alla sua vita che lo mette in sintonia con il senso della vita stessa; la sofferenza viene compresa come effetto necessario di esperienze necessarie all’evoluzione umana e alla fine viene superata, alla faccia della sfiga. Tutto questo, che mi crediate oppure no, non avviene per caso.

    Capitolo primo

    Perché la sfiga non esiste?

    Un indimostrabile assioma

    La sfiga non esiste perché la legge del karma, o di causa-effetto, è una delle leggi fondamentali dell’universo. Così come semino raccolgo: gli avvenimenti della mia esistenza sono il prodotto di cause che io ho messo in moto in questa vita o in vite precedenti. Il che comporta che ognuno di noi è assolutamente responsabile di ogni parola, pensiero, opera, omissione, anche se non conosce la sopraindicata legge e non ne ha mai nemmeno sentito parlare. Detto questo potrei insaccocciare la penna, anzi la tastiera, e andarmene per campi a raccogliere erbe selvatiche. Effettivamente, a parer mio, se potessimo comprendere il significato del karma, non staremmo di certo qui a discutere del fatto se esista la sfiga oppure no; temo però che debba passare ancora un po’ di tempo prima che la comunità scientifica internazionale riconosca questa legge in tutta la sua importanza. Eppure la si potrebbe considerare un’estensione della terza legge della dinamica, o terza legge di Newton, che ci racconta che ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Questo è comunemente accettato per quel che riguarda il mondo cosiddetto inanimato, mentre di sicuro non si pensa che possa avere una qualche validità nel campo della coscienza, anche perché ci si dovrebbe prima mettere d’accordo su cosa si intende per coscienza.

    Il dizionario etimologico Zanichelli definisce la coscienza come consapevolezza che l’uomo ha di sé, del proprio corpo e delle proprie sensazioni, delle proprie idee e dei fini delle proprie azioni. Tale definizione appare ampiamente condivisibile, anche se è evidente, basandosi sull’esperienza, che possono esistere differenti livelli di consapevolezza. La scienza contemporanea direi che si sta ancora abbondantemente interrogando sulla natura e l’origine della coscienza, però è abbastanza chiaro che dal punto di vista scientifico si tende comunemente a considerarla come coincidente col cervello. La maggioranza delle ricerche scientifiche è orientata a scoprire i fondamenti biologici del comportamento umano, pensando forse di poter risolvere i vari problemi, che l’uomo ha con l’apporto di qualche sostanza chimica, o producendo magari qualche mutazione genetica.

    Detto questo, poi, quand’è che comincia a manifestarsi la coscienza nei vari Regni di Natura? Qual è la linea di demarcazione tra ciò che possiamo considerare animato e ciò che invece è inanimato? Cosa distingue la vita dalla materia bruta? È difficile che la scienza possa considerare vivo un vegetale o senziente un sasso, mentre la scienza esoterica in questo si differenzia. Infatti essa afferma che esiste un’unica onda vitale, creata dallo Spirito che, plasmando la Materia, dà vita alle infinite possibili forme, ognuna delle quali è espressione, a qualsiasi livello si trovi, di coscienza. Ovviamente diverse sono le condizioni espresse  dalla molteplicità delle forme a seconda del rapporto esistente tra Spirito e Materia. Quindi anche un sasso e un vegetale manifesterebbero, a modo loro, coscienza.

    Tutta l’esistenza si svolgerebbe poi su sette piani fondamentali di esteriorizzazione, a loro volta suddivisi in sette sottopiani ciascuno, espressione quindi di una realtà veramente a più dimensioni. La dimensione della materia fisica, l’unica di cui è in grado di occuparsi la scienza contemporanea, sarebbe solo lo strato più denso di questo universo pluridimensionale, nel quale, in realtà, ogni cosa

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