Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Nenia
Nenia
Nenia
E-book172 pagine2 ore

Nenia

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Sofia ha diciassette anni, ama la quiete dei cimiteri, veste sempre di nero e ha una grande passione per la musica. Ha anche una situazione famigliare difficile e quando l’amore bussa al suo cuore, Sofia si ritrova più confusa che mai. In questo tumulto di emozioni, riuscirà a realizzare i propri sogni?
di Elena Fanti
Sofia ha diciassette anni, ama la quiete dei cimiteri, veste sempre di nero e, soprattutto, ha una grande passione per la musica. Un giorno, mentre passeggia nel cimitero della sua città, una voce meravigliosa la attrae: è quella di Angelo, un ragazzo poco più grande di lei, che frequenta il suo stesso liceo. Ingaggiata all’ultimo momento per cantare durante la festa dell’istituto, Sofia scopre che dovrà duettare proprio con Angelo, il quale, al termine dell’esibizione, le propone di entrare a far parte della sua band symphonic metal. Sofia vede in questo la grande occasione per dedicare la propria vita alla musica, perciò cerca di superare tutti gli ostacoli, dalla gelosia di Julia, che vorrebbe far parte della band al posto suo, al rapporto conflittuale con il padre e alla situazione famigliare difficile. Quello che la ragazza non ha messo in conto, però, è l’amore, che quasi con prepotenza entra nella sua vita. In questo tumulto di emozioni, riuscirà Sofia a realizzare i propri sogni?
LinguaItaliano
Data di uscita21 giu 2021
ISBN9788833285719
Nenia

Correlato a Nenia

Ebook correlati

Young Adult per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Nenia

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Nenia - Elena Fanti

    Capitolo 1

    Chi non conosceva Sofia avrebbe trovato bizzarro vederla aggirarsi nel cimitero di Montesilvano, senza fiori fra le mani e senza sostare dinanzi ad alcuna tomba, guardando dritto davanti a sé con gli occhi persi e un po’ melanconici. La sua figura minuta e vestita di nero, però, ben si sposava con gli alti cipressi che costeggiavano il viale principale, con il cielo plumbeo che persisteva da almeno una settimana e con il silenzio immoto che lì regnava. Solo il suono pesante dei suoi anfibi sui ciottoli riecheggiava a tratti. Il vento spirava dalla collina, facendo ondeggiare il tulle della sua gonna, che le si attaccava alle cosce sottili.

    Sofia era assai graziosa, con un viso delicato e capelli castani che scendevano sulle spalle. Da quando aveva scoperto il metal, quattro anni prima, aveva abbandonato l’ormai esecrato rosa per indossare solo abiti neri, concedendosi ogni tanto qualche particolare rosso o viola, cosa che le conferiva un look piuttosto eccentrico.

    I luoghi silenziosi le erano sempre piaciuti, la aiutavano a svuotare la mente, per questo i suoi pochi amici, come il custode del cimitero, non trovavano così strane quelle frequenti passeggiate al camposanto. Era stata Rina, un giorno, a fare la battuta. Le aveva detto: Con l’avversione che hai per gli altri, potresti andare d’accordo solo con i morti!

    Sofia l’aveva presa un po’ troppo alla lettera.

    Si fermò verso il limitare del cimitero, vicino ai nuovi loculi in costruzione, e si sedette su un muretto. Fissò le lapidi e le cappelle che la circondavano, soffermandosi sui volti ritratti nelle foto. Sofia frequentava il cimitero con un certo rispetto reverenziale e non senza tristezza, sebbene avesse un carattere poco incline alla commozione. Non andava mai a trovare i nonni paterni, lì sepolti, perché era convinta che fosse inutile. I defunti dovevano continuare a vivere nei cuori delle persone che li avevano amati e le sembrava assurdo portar loro dei fiori. In fondo, si diceva, non potevano certo sentirne il profumo.

    Si scostò una ciocca dalla fronte. Il vento le portò l’eco di un canto che la fece sussultare. Aggrottò la fronte e si rimise in piedi, tendendo l’orecchio. Si lasciò guidare lungo un sentiero acciottolato e un po’ in salita, con il cuore che le martellava nel petto tanto era bella la voce da baritono che seguiva i capricci del vento. Vide un ragazzo, immobile davanti a una tomba.

    Angelo non si era mai preoccupato di attirare l’attenzione, soprattutto non a quell’ora del giorno e non con quel tempo. Ogni volta cantava quella ninnananna, con gli occhi socchiusi e la mente persa in ricordi lontanissimi e sfocati, certo che in quell’angolo di cimitero nessuno sarebbe andato a disturbarlo.

    Quando con la coda dell’occhio vide Sofia, tacque e sentì l’indignazione infiammargli il petto. Volse il capo verso quella ragazza che se ne stava tranquilla a pochi passi da lui e lo fissava con occhi grandi e scuri. Lei ricambiò lo sguardo e Angelo ebbe l’impressione di averla già vista da qualche parte. Forse a scuola? Una tipa del genere, si disse, non passa inosservata.

    Sofia non sapeva cosa fare o dire. Doveva ignorarlo? Era rimasta lì, ferma, per troppo tempo ed era tardi per fingere di esserci capitata per caso. Le costò fatica reggere quello sguardo di un azzurro così intenso da metterla in soggezione, uno sguardo che lei aveva incontrato distrattamente lungo i corridoi del liceo.

    Il ragazzo si infilò le mani in tasca e le diede un’occhiata prima di allontanarsi. Sofia lo seguì con lo sguardo fino a quando le fu possibile, osservandone le spalle larghe e gli abiti, neri come i capelli spettinati dal vento.

    Una goccia di pioggia cadde dal cielo e il brontolio di un tuono ruppe il silenzio. Sofia sollevò gli occhi e sospirò. La sua passeggiata terminava lì.

    Rientrò a piedi mentre le prime gocce di pioggia cadevano dalle nuvole cupe. Si infilò sotto il portico appena in tempo, prima che l’acqua iniziasse a scrosciare, accompagnata dal rombo dei tuoni.

    Sofia entrò in casa, percorse il corridoio e raggiunse il salotto. Lasciò cadere la tracolla a terra, poi si abbandonò sul divano, coprendosi gli occhi con l’avambraccio. L’ambiente era immerso nel silenzio, interrotto a tratti dal ticchettio soffocato dell’orologio a muro della cucina.

    Sua madre, Irene, non era ancora tornata, nonostante il suo orario di lavoro fosse terminato da almeno un’ora. Sofia sapeva perché ritardava: stare in quella casa le faceva male. Roberto, l’uomo che da un paio di anni lei aveva smesso di chiamare papà, aveva un’altra donna e forse l’aveva sempre avuta. Sofia non riusciva a biasimare la madre, anche se, forse, al suo posto avrebbe cacciato il marito a calci. Irene, però, si ostinava a far finta di nulla, nella speranza che tutto tornasse a posto, che potesse riavere indietro la famiglia che aveva sognato fin dall’inizio. Amava ancora Roberto e in fondo al cuore sperava che lui ricambiasse quel sentimento.

    Il telefono prese a suonare. Sofia si rimise in piedi con un sospiro stizzito. Odiava dover rispondere a quell’apparecchio.

    «Pronto?»

    «Sofia Liberatore?» chiese una vocetta dall’altra parte.

    «Sono io, chi parla?»

    «Sono Julia Di Mario, una delle rappresentanti d’istituto. Ti disturbo?»

    Il nome non le diceva niente, ma se chiamava per conto della scuola non poteva di certo riappendere. Inoltre, era assai raro che un rappresentante d’istituto chiamasse proprio lei.

    «No, dimmi pure», rispose, incuriosita.

    «La faccio breve. La cantante che era stata ingaggiata per la festa della scuola ha avuto un incidente; nulla di grave, ma non potrà esibirsi. Lo spettacolo è fra quattro giorni, ma so che tu sei bravissima, l’allieva migliore della professoressa Renzetti, per cui… in nome di tutto il consiglio ti chiedo di cantare.»

    Sofia represse un’imprecazione. Bofonchiò qualcosa di incomprensibile e rimase a pensarci. Non cantava in pubblico da almeno un anno, nonostante non avesse mai tralasciato lo studio. Beh, se lo avesse fatto, la sua insegnante l’avrebbe bacchettata a dovere. Si passò una mano sulla fronte come per riordinare i pensieri: l’idea di esibirsi le piaceva, sebbene i brani scelti non fossero di suo gradimento.

    «Allora?» insistette Julia. «È stata proprio la professoressa Renzetti, che oltretutto è la mia attuale insegnante di canto, a darmi il tuo numero. Le avevo raccontato ciò che è successo e dato che sa che frequentiamo lo stesso liceo, mi ha fatto il tuo nome. Anche l’insegnante di teatro è entusiasta di questa scelta.» Poi, abbassando la voce, come se temesse che qualcuno potesse sentirla, aggiunse: «A proposito dell’insegnante di teatro: voleva chiamarti prima, ma dato che la cantante c’era già ed è anche una rappresentante d’istituto…»

    «Ho capito», tagliò corto Sofia. «Va bene, verrò.»

    «Magnifico! Domani mattina presentati alle otto e venti all’Hotel Il Vate. Ti farò vedere gli spartiti e ti farò provare i brani, che sono certa conosci già. Allora a domani e grazie ancora, Sofia!» Detto questo, Julia riappese senza attendere risposta.

    Sofia staccò la cornetta dall’orecchio e la guardò, un po’ frastornata, infine la rimise al suo posto.

    «Dovrò cantare di nuovo», si disse e per un istante sentì l’eccitazione scorrerle sotto la pelle come una scarica elettrica.

    Non ricordava quando avesse deciso di studiare canto. Aveva iniziato da piccolissima, forse in prima elementare, incoraggiata dalla maestra di musica che le aveva addirittura proposto di tentare con il coro dell’Antoniano.

    «Hai una voce così particolare, Sofia, che ti prenderebbero di certo», le aveva detto con entusiasmo, ma suo padre si era opposto.

    Per lui la musica era una perdita di tempo, anche se le aveva permesso di prendere lezioni private dalla migliore insegnante della città. La professoressa Renzetti era un soprano e quando l’aveva sentita intonare Parte del tuo mondo, da La Sirenetta, le aveva subito detto che possedeva una voce assai particolare e che l’avrebbe presa come allieva. Poi, a quattordici anni, quando si era cimentata con un’aria del ‘500 di un autore sconosciuto, la Renzetti si era complimentata dicendole: «Sofia, hai il timbro del mezzosoprano, ma anche un’ottima agilità nel registro più alto. Lascia che te lo dica con sincerità: non lasciarti scappare l’occasione di studiare canto lirico.»

    Sofia aveva seguito il suggerimento, ma a sedici anni aveva smesso di esibirsi in pubblico perché aveva deciso di perfezionarsi il più possibile e solo in seguito riprendere con i concerti e i saggi. La sua insegnante di canto, infatti, collaborava con una scuola di teatro che metteva spesso in scena dei musical e fin da piccola Sofia aveva fatto parte dei cast.

    Salì in camera e aprì la vecchia tastiera che sua madre le aveva regalato per il suo undicesimo compleanno. Non sapeva suonare, riusciva solo a eseguire qualche vocalizzo accompagnandosi con le note della chiave di violino, ma era sempre meglio di niente. Recuperò da un cassetto della scrivania il libro di esercizi e il contenitore rosso con gli spartiti dei brani che aveva studiato nel corso degli anni. Tossicchiò e riscaldò la voce per una mezzora, a occhi socchiusi, facendo scorrere le dita sulla tastiera, poi passò agli esercizi di intervalli e di portamento e finì con uno dei suoi brani preferiti, una romanza di Francesco Paolo Tosti, Sogno. Sapeva che con molta probabilità le sarebbe toccato cantare brani di musica leggera, ma forse, se avesse insistito, sarebbe riuscita a convincere l’insegnante di teatro a inserire qualche aria lirica nello spettacolo.

    Irene rincasò che il temporale andava chetandosi; era fradicia dalla testa ai piedi. Stava per chiamare la figlia, ma quando la sentì cantare si trattenne e richiuse piano la porta. Salì le scale in punta di piedi e, tolta la giacca, si infilò in bagno. Appoggiò la schiena contro il legno della porta e si asciugò le lacrime. Anche se lo aveva visto con i propri occhi, non riusciva a crederci. Il problema, adesso, era se dirlo a Sofia, ed eventualmente come. Lei avrebbe dato di matto, ne era certa, ma di sicuro non poteva nasconderle un evento simile. Irene ingoiò un singhiozzo e poi un altro, cercando invano di calmarsi. Si sentiva così umiliata che per un istante provò il desiderio di riempire la vasca e affogarsi. Tutti i suoi sogni e le sue speranze erano andati in frantumi quel pomeriggio.

    Con la vista appannata, si tolse i vestiti bagnati e si mise sotto il getto dell’acqua calda, che riuscì a scioglierle le membra e sbrogliarle i pensieri.

    Hai accettato una situazione del genere con tuo marito, infischiandotene di ciò che era meglio per Sofia, le diceva una vocina in un angolo della mente, adesso è troppo tardi anche per chiederle perdono.

    Chiuse l’acqua e si avvolse nell’accappatoio, tremando come una foglia.

    «Io faccio ciò che mi pare, smettila di immischiarti nella mia vita! Tornatene dalla tua puttana!»

    «Come ti permetti di parlarmi così? Ti ricordo che sono tuo padre!»

    «Tu hai solo messo incinta mia madre, essere padre è un’altra cosa.»

    A quelle urla, Irene

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1