Un abisso di luce
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Penelope è una donna come tante, che conduce una vita come tante in una piccola cittadina in riva al mare dove, come ogni anno, sta sbocciando la primavera. Penelope è innamorata e André sembra ricambiare il suo affetto, anche se talvolta lei scorge nel suo sguardo qualcosa che non sa spiegarsi, una specie di tiepida malinconia che non capisce da dove possa nascere.
Penelope fa strani sogni, sogni di cui la protagonista è lei ma allo stesso tempo è diversa, sogni di altre epoche e di altri costumi, in cui l’unico elemento costante è André, con la sua presenza salda e sicura. André non è un uomo come tanti e nemmeno ciò che prova per Penelope è un sentimento come tanti, poiché ha origine all’alba dei tempi e ritorna, più profondo, ogni volta che lei se ne va. Il suo è un amore che gli sta lacerando l’anima, senza il quale, tuttavia, non può vivere. Mentre gli eventi precipitano,
Penelope e André devono affrontare la possibilità che questa loro vita possa essere la loro ultima esistenza insieme e che essa possa rivelarsi la loro ultima occasione per amarsi. Sarà abbastanza forte la loro passione, per sopportare la certezza della perdita?
Sarà abbastanza salda la loro anima, per sopravvivere alla spietata bellezza di un sentimento che li accompagna da un tempo più lungo di quanto chiunque abbia memoria?
E, infine, sarà abbastanza grande il cuore umano per contenere l’immenso abisso di luce che l’amore crea?
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Un abisso di luce - Serena Artuso
Serena Artuso
UN ABISSO DI LUCE
Prima Edizione Ebook 2020 © R come Romance
ISBN: 9788893471893
Immagine di copertina su licenza Adobestock.com, elaborazione Edizioni del Loggione
www.storieromantiche.it
Edizioni del Loggione srl
Via Piave 60
41121 Modena – Italy
romance@loggione.it
http://www.storieromantiche.it e-mail: romance@loggione.it
La trama di questo romanzo è frutto della fantasia dell’autore.
Ogni coincidenza con fatti e persone reali, esistite o esistenti, è puramente casuale.
Serena Artuso
UN ABISSO DI LUCE
Romanzo
INDICE
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
XI
XII
XIII
XIV
XV
XVI
XVII
XVIII
XIX
XX
XXI
XXII
XXIII
XXIV
XXV
L’autrice
Catalogo
I
Penelope si muoveva lentamente, la sabbia era fredda sotto i suoi piedi nudi e il vento della prima primavera sferzava il suo viso e spettinava i suoi lunghi capelli neri e mossi. Daphne era inginocchiata davanti a lei e immortalava la sua bellezza eterea e un po’ fredda con la sua macchina fotografica, ogni tanto le dava qualche indicazione, ma solo raramente, dato che ormai Penelope era diventata particolarmente abile a posare.
Era una giornata tranquilla, il mare era calmo e in giro non c’era molta gente, solo qualche anima persa e nostalgica, solo qualche spirito che non aveva paura della solitudine. A Daphne non piaceva, lei amava il caos e il colore, amava la confusione, la gioia, amava la folla. Penelope era diversa, più remissiva e silenziosa, lei amava chiudersi nel suo mondo, amava l’ombra e la notte, quella notte che presto sarebbe scesa, quella notte che avrebbe offuscato tutto, trasformando ogni cosa in un sogno.
«Perfetto» ripeté Daphne per l’ennesima volta osservando i suoi scatti, ma Penelope non le stava prestando attenzione, i suoi occhi erano fissi su qualcos’altro, su qualcuno alla periferia del suo campo visivo, una figura seduta sul pontile di legno poco distante, una figura che la osservava a sua volta.
«Possiamo fare una pausa?» chiese di scatto, non preoccupandosi troppo di sembrare svogliata o disinteressata.
Daphne alzò appena lo sguardo e fece un gesto vago con la mano. «Certo, certo. Abbiamo praticamente finito, sei stata bravissima. Possiamo continuare domani.»
Penelope annuì anche se l’altra non la stava guardando, indossò rapidamente il chiodo nero e i suoi anfibi, prese lo zaino da terra e se ne andò senza un’altra parola. Un po’ le dispiaceva, un po’ si sentiva in colpa, ma non abbastanza.
André osservava il mare quasi con nostalgia, come se potesse portarlo da qualche parte, come se potesse offrirgli tutte le risposte del mondo.
«Che strana combinazione di vestiti» mormorò inarcando un sopracciglio e sorridendo, non la stava nemmeno guardando, il suo sguardo era ancora perso nell’orizzonte.
«Già.» Penelope non era mai stata una che parlava troppo, tendeva a rimanere in silenzio e, il più delle volte, a non farsi capire. Ma André la capiva lo stesso.
Penelope guardò oltre la massa disordinata dei suoi capelli color miele che gli nascondevano il viso: tra le mani teneva un blocco da disegno su cui stava tracciando il contorno della sua figura con un carboncino, che poi sfumava con le sue lunghe dita da pianista. Penelope sorrise al ricordo di lei che gli chiedeva quando avesse imparato a suonare, dopo averlo ascoltato una sola volta ed essersi sentita rapita dalla sua musica. In un’altra vita
aveva risposto lui. Penelope non sapeva quanto fosse vero.
«Non dovresti stare qui» le disse lui. «È pericoloso.»
Il pontile era infatti piuttosto pericolante e diversi cartelli suggerivano di non sostarvi. Né Penelope né André erano persone che badavano troppo agli avvertimenti. La donna si accucciò accanto a lui con un’alzata di spalle e appoggiò la testa al suo corpo. Riusciva a vedere meglio il disegno da quella posizione, c’era qualcosa di soprannaturale nella sua rappresentazione di lei, era come se riuscisse a scorgere nella profondità della sua anima. Penelope fu attraversata da un brivido freddo e si alzò. Improvvisamente non aveva più voglia di stare lì accanto a lui, improvvisamente voleva tornare a casa, improvvisamente voleva tornare in un luogo che le fosse familiare, più familiare del profumo di lui.
«Forse hai ragione» mormorò allontanandosi.
Con un movimento brusco lui le prese il polso e cominciò ad accarezzarlo con il pollice, lentamente e gentilmente. Lei lo osservò, perdendosi nei suoi occhi chiari, perdendosi in tutto quel che volevano dire pur rimanendo in silenzio.
«Verrai stasera?» La sua sembrava una supplica, era triste, il suo tono le spezzava il cuore.
Voleva dirgli di no, che non sarebbe andata alla sua stupida festa, che era stanca di quei giochetti in cui lui si avvicinava e poi si allontanava, incurante delle speranze e dei segni che lasciava sul suo cuore.
Ma non lo fece. Annuì senza dire una parola e se ne andò, tornò a casa.
Il suo appartamento era un miscuglio disordinato di antico e di moderno, aveva i colori caldi del legno e dei mattoni e il disordine della personalità eclettica di Penelope. Gettò lo zaino in un angolo e il chiodo in un altro, si tolse gli stivali e cominciò a vagare per il loft, perdendosi nella luce arancione e rosa del tramonto che entrava dalle ampie finestre. Scostò le tende leggere e rimase per qualche istante a osservare il panorama: le case tutte uguali, le strade semivuote e, in lontananza, la spiaggia e poi il mare. Era tutto così familiare eppure, chissà perché, Penelope non riusciva a smettere di sentirsi estranea a ogni cosa, era come se le mancasse qualcosa, come se un pezzetto di lei fosse irrimediabilmente perso, cosicché non avrebbe mai potuto essere completa. Con un sospiro si allontanò dalla finestra, cercando di allontanare quei pensieri che non la portavano da nessuna parte, e si diresse nel piccolo bagno, lasciando che l’acqua calda della doccia sciogliesse un po’ della sua tensione. L’aria si riempì del profumo dolce e fruttato del suo shampoo, mentre Penelope se ne stava sotto il getto d’acqua, immobile e con gli occhi chiusi, come se aspettasse qualcosa.
II
Faceva freddo, Penelope tremava leggermente, era come se la fitta nebbia nella quale si trovava immersa le stesse entrando nelle vene, con la sua umidità opprimente. Era notte, una notte scura, senza stelle e senza luna, Penelope non aveva paura, non era il tipo da avere paura, non della notte almeno, lei apparteneva alla notte. Non sapeva da dove arrivassero quei pensieri cupi, non sapeva perché lei fosse così diversa da tutti, così lontana da tutti, si sentiva sempre spaesata, estranea, fuori posto.
Tranne che con André.
Con André tutto era diverso, tutto era più chiaro, tutto finalmente ritrovava un posto. Tutto sembrava andare bene.
Sul balcone della grande villa arrivava solo una musica distante e ovattata, Penelope stava appoggiata alla balaustra, insensibile al freddo, osservando tutto quello che le stava intorno con un indifferente distacco.
«Stai molto bene.» La voce di André era delicata e ovattata e Penelope sentiva uno strano calore irradiarsi nel suo corpo ogni volta che lui le era vicino e le parlava. Era molto diretto, tanto diretto che poteva sembrare scortese, ma non per Penelope, non per lei che amava i suoi modi un po’ bruschi ma sinceri e la gentilezza che si nascondeva dietro quella facciata.
«Grazie» mormorò arrossendo imbarazzata, osservando il giardino all’italiana davanti alla villa e gli invitati a quella festa, che passeggiavano alla luce ambrata delle candele che delimitavano i sentieri.
André si avvicinò in silenzio, sorrideva, ma era come se la sua mente fosse sempre avanti, come se pensasse sempre alla mossa successiva, come se la sua vita fosse una partita a scacchi. La stava guardando con un’aria stranamente familiare, come se la conoscesse da sempre, come se conoscesse ogni angolo e ogni curva del suo corpo, come se conoscesse ogni sfumatura dei suoi occhi e ogni rossore sulle sue guance. E la stessa sensazione attraversava Penelope, anche lei sentiva di conoscerlo da sempre, sentiva di conoscere la morbidezza dei suoi capelli e la ruvidezza delle sue guance la mattina appena si svegliava, quando non si era ancora fatto la barba ed era solo suo, sentiva di conoscere ogni parte del suo corpo, i suoi muscoli ben definiti, la morbidezza delle sue labbra quando la baciavano.
Ma era una menzogna, perché lei non l’aveva mai toccato né, tantomeno, baciato, erano solo i suoi sogni a confonderla, sogni di buio e di tenebre, sogni di se stessa in altri abiti, sogni di lui che la guardava e pareva vederla davvero, vederla come non l’aveva mai vista nessuno, come desiderava essere vista.
Penelope era confusa, quei pensieri non potevano appartenerle, quei pensieri non erano propri di una ragazza di buona famiglia, che non era mai stata toccata da un uomo, anche se in quel momento non desiderava altro che il tocco di André.
«Questo colore…» sussurrò lui, facendo scivolare lo sguardo sul suo vestito tinta bronzo. «mette in risalto la tua carnagione… E anche i tuoi occhi».
Penelope abbassò lo sguardo, non sapendo come reagire, mentre André le si avvicinava e la sua mano scivolava lungo il suo braccio nudo, che lei cercava di coprire con uno scialle. Delicatamente lui le sfilò il suo guanto, lasciando scoperta la pelle del suo avambraccio e intrecciando le sue dita con le proprie. All’interno della villa, nel grande salone, gli invitati continuavano a ballare nei loro abiti eleganti e l’orchestra continuava a suonare, come se quella festa non dovesse mai finire, come se la serata potesse durare per sempre. Sul balcone André guardava Penelope come se lei fosse la risposta a tutte le sue domande, come se volesse solo lei, con un sentimento così profondo che la donna non era in grado di comprendere appieno. Gli occhi dell’uomo erano come un abisso, ma era un abisso di luce di cui Penelope non aveva paura, in cui voleva perdersi. André fece scivolare il braccio sinistro sulla sua schiena, accarezzando la stoffa sottile del suo vestito, sentendo, sotto di essa, le linee dure del corsetto che le stringeva il busto, esaltando la forma arrotondata del suo seno. La attirò verso di sé con un movimento rapido e la figura di lei si adattò perfettamente al suo corpo, riempiendone gli spazi vuoti. Penelope respirava contro il suo collo, era un respiro