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Caldo come il fuoco
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Caldo come il fuoco
E-book461 pagine7 ore

Caldo come il fuoco

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Info su questo ebook

Il primo bacio potrebbe essere l'ultimo...

Metà demone e metà gargoyle, Layla ha poteri che nessun altro possiede e per questo i Guardiani, la razza incaricata di difendere l'umanità dalle creature infernali, l'hanno accolta tra di loro pur diffidando della sua vera natura. Ma la cosa peggiore, un'autentica condanna, è che le basta un bacio per uccidere qualunque creatura abbia un'anima. Compreso Zayne, il ragazzo con cui è cresciuta e di cui è innamorata da sempre. Poi nella sua vita compare Roth, e all'improvviso tutto cambia. Bello, sexy, trasgressivo, è un demone come lei, e non avendo anima potrebbe baciarlo senza fargli alcun male. Layla sa che dovrebbe stargli lontana, che frequentarlo potrebbe essere molto pericoloso. Ma quando scopre fino a che punto, tutto a un tratto baciarlo sembra ben poca cosa in confronto alla minaccia che incombe sul mondo.

LinguaItaliano
Data di uscita14 apr 2015
ISBN9788858933411
Autore

Jennifer L. Armentrout

Autrice al vertice delle classifiche del New York Times e di USA Today, oltre a scrivere romance si è cimentata con successo nei generi Young e New Adult, fantascienza e fantasy. Attualmente vive a Martinsburg, West Virginia. Con HarperCollins ha pubblicato le serie Covenant, Titan, Dark Elements, The Harbinger, Blood and Ash e Flesh and Fire.

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    Anteprima del libro

    Caldo come il fuoco - Jennifer L. Armentrout

    Copertina. «Caldo come il fuoco (Dark Elements - Vol. 1)» di Armentrout Jennifer l.

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    White Hot Kiss

    Harlequin Teen

    © 2014 Jennifer L. Armentrout

    Traduzione di Donati Marta

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5893-341-1

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    Frontespizio. «Caldo come il fuoco (Dark Elements - Vol. 1)» di Armentrout Jennifer l.

    1

    C’era un demone da McDonald’s.

    E aveva una fame assurda di Big Mac.

    Di solito il mio lavoretto dopo la scuola mi piaceva. Marcare i senz’anima e i dannati mi faceva sentire da dio. Per non annoiarmi, spesso mi fissavo addirittura un obiettivo da raggiungere, ma quella sera era diverso.

    Dovevo preparare il saggio di letteratura per il corso avanzato di inglese.

    «Le mangi, quelle patatine?» mi chiese Sam, prendendone una manciata dal mio vassoio. I riccioli castani gli ricaddero sulla montatura in metallo degli occhiali. «Grazie.»

    «Occhio a non fregarle il tè...» Stacey gli diede uno schiaffo sulla mano e alcune patatine caddero per terra. «... o finirai per perdere il braccio.»

    Io smisi di battere il piede per terra, ma continuai a tenere d’occhio l’intrusa. Non so cosa ci trovassero i demoni in quella grossa M gialla, ma una cosa era certa: adoravano quel posto. «Mmh-mmh.»

    «Chi stai guardando, Layla?» Stacey si voltò, scandagliando l’affollatissimo fast food. «Un pezzo di figo? Perché, nel caso, faresti meglio... Oh. Wow. Che coraggio andarsene in giro in pubblico conciata così!»

    «Cosa?» Anche Sam si voltò. «Oh, andiamo, Stacey. Chi se ne frega. Mica tutti portano le Prada tarocche come te.»

    Agli occhi di quei due il demone sembrava un’innocua signora di mezza età con una singolare mancanza di stile. I suoi insulsi capelli castani erano tenuti fermi da una di quelle mollettine antiquate a forma di farfalla, di colore viola. Indossava pantaloni della tuta verdi abbinati a scarpe da ginnastica rosa, ma era il maglione a essere un epic fail totale. Qualcuno ci aveva sferruzzato sul davanti un Basset Hound, gli occhioni teneri ricamati in filo marrone.

    Ma nonostante l’aspetto anonimo, quella donna non era umana.

    Non che io fossi un granché, sia chiaro.

    Comunque, quella tizia era un demone Camaleonte. Quello che l’aveva tradita era l’appetito smisurato. I Camaleonti potevano ingurgitare in una volta sola il fabbisogno alimentare di un’intera nazione di piccole dimensioni.

    Erano umani nell’aspetto e nel modo di comportarsi, ma io sapevo che quel Camaleonte avrebbe potuto strappare la testa della persona seduta accanto a lei con il minimo sforzo. La vera minaccia, però, non era la sua forza sovrumana. Erano i denti e la saliva infetta il vero pericolo.

    Erano creature a cui piaceva mordere.

    E bastava un’addentatina per trasmettere agli umani la versione demoniaca della rabbia. Totalmente incurabile. Nel giro di tre giorni il giocattolino masticato dal Camaleonte avrebbe iniziato a somigliare a qualcosa uscito dritto dritto da un film di George Romero, tendenze cannibali incluse.

    Ovviamente quei demoni erano un problema serio, a meno che non si considerasse divertente un’apocalisse degli zombie. Il solo aspetto positivo era che i Camaleonti erano rari e, ogni volta che uno di loro mordeva una vittima, le sue prospettive di vita si accorciavano. Di solito ci volevano sette morsi prima che puf!, svanissero. Un po’ come le api con il loro pungiglione, ma più sceme.

    I Camaleonti potevano assumere qualsiasi aspetto volessero. Perché quella in particolare si fosse conciata in quel modo, però, proprio non lo capivo.

    Stacey fece una smorfia mentre la Camaleonte passava al suo terzo hamburger. Non si era resa conto che la stavamo guardando. Quei demoni non brillavano per il loro spiccato spirito di osservazione, soprattutto quando erano intenti a gustarsi una deliziosa salsa speciale.

    «È disgustosa.» Stacey tornò a sedersi composta sul divanetto.

    «Io trovo che abbia un maglione fichissimo.» Con un sorrisetto sulle labbra, Sam sgraffignò un’altra manciata di patatine. «Ehi, Layla, pensi che Zayne si lascerebbe intervistare per il giornalino della scuola?»

    Lo guardai sconcertata. «Perché vuoi intervistarlo?»

    Lui mi rivolse uno sguardo d’intesa. «Per chiedergli che effetto fa essere un Guardiano a Washington, come ci si sente a dare la caccia ai cattivi, ad assicurarli alla giustizia e via dicendo.»

    Stacey ridacchiò. «Fai sembrare i Guardiani dei supereroi.»

    Sam scrollò le spalle ossute. «Be’, in un certo senso lo sono. Cioè, dai, li hai visti.»

    «Non sono dei supereroi» dissi io, ricadendo nel solito discorsetto trito e ritrito che propinavo da quando i Guardiani avevano rivelato agli umani la loro presenza, dieci anni prima. Dopo l’impennata della criminalità – che non era affatto una conseguenza della crisi economica mondiale, ma piuttosto un segnale dall’inferno per dire che quelli di sotto non avevano più intenzione di giocare secondo le regole – gli Alfa avevano ordinato ai Guardiani di uscire allo scoperto. Agli occhi degli umani era come se fossero balzati fuori dal proprio guscio di pietra. Già, perché i gargoyle che si vedono su innumerevoli edifici e chiese erano stati scolpiti proprio per somigliare ai Guardiani nella loro vera pelle. Più o meno.

    In sostanza, c’erano troppi demoni in superficie perché i Guardiani potessero continuare ad agire in totale segretezza. «Sono persone» continuai. «Proprio come voi, ma...»

    «Lo so.» Sam alzò le mani. «Ascolta, lo sai benissimo che non sono uno di quei fanatici che li considerano creature malvagie o stronzate del genere. Penso solo che sarebbe una figata e che sarebbe un bell’articolo per il giornalino. Allora, che ne pensi? Zayne accetterebbe?»

    Io mi mossi sul divanetto, in imbarazzo. Dal momento che vivevo con i Guardiani spesso le persone tendevano a considerarmi o una porta secondaria per avere rapido accesso ai protettori dell’umanità, oppure una tipa strana. Perché tutti, inclusi i miei due più cari amici, credevano che io fossi umana come loro. «Non lo so, Sam. Non penso che la stampa, di qualunque tipo, li faccia sentire a proprio agio.»

    Lui parve mortificato. «Non potresti chiederglielo, almeno?»

    «Certo.» Giocherellai con la cannuccia. «Ma non ci sperare troppo, okay?»

    Sam si appoggiò allo schienale, apparentemente soddisfatto. «Indovina un po’...»

    «Cosa?» sospirò Stacey, scambiando con me un’occhiata afflitta. «Con quale perla di conoscenza ci stupirai, adesso?»

    «Lo sapevate che, se si congela una banana, può diventare talmente dura da essere usata come martello?»

    Io posai il mio bicchiere di tè. «Come fai a sapere tutte queste cose?»

    Sam finì le mie patatine. «Le so e basta.»

    «Sfido, io, passa tutta la vita davanti al computer.» Stacey si scostò dal viso la folta frangia nera. Non capivo perché non se la tagliasse. Era sempre lì che ci litigava. «Probabilmente a cercare scemate a caso tanto per divertirsi.»

    «Esatto, è proprio quello che faccio quando sono a casa.» Sam arrotolò il tovagliolo. «Cerco cose poco conosciute. Perché sono un figo.» Lanciò il tovagliolo in faccia a Stacey.

    «Mi correggo» ribatté Stacey, senza fare una piega. «Passi la notte a cercare siti porno.»

    Le guance di Sam si tinsero di un rosso acceso, mentre si sistemava gli occhiali. «Lasciamo perdere. Siete pronte? Dobbiamo buttare giù qualcosa per il compito.»

    Stacey gemette. «Non riesco a credere che Mr. Leto non ci abbia permesso di fare il saggio di letteratura su Twilight. È un classico!»

    Scoppiai a ridere, dimenticando per un attimo il lavoro che mi aspettava.

    «Twilight non è un classico, Stacey.»

    «Edward è decisamente un classico, per quel che mi riguarda.» Tirò fuori un elastico dalla tasca e raccolse i capelli che le arrivavano alle spalle. «E Twilight è molto più interessante di Niente di nuovo sul fronte occidentale

    Sam scosse la testa. «Non ci posso credere, hai appena usato Twilight e Niente di nuovo sul fronte occidentale nella stessa frase.»

    Ignorando Sam, lo sguardo di Stacey balzò dal mio viso al cibo davanti a me. «Layla, non hai neanche toccato il tuo hamburger.»

    Forse il mio istinto aveva capito che mi sarebbe servita una scusa per fermarmi da McDonald’s. Ricacciai indietro un sospiro.

    «Voi, ragazzi, andate pure avanti. Ci vediamo tra poco.»

    «Sul serio?» Sam si alzò in piedi.

    «Sì.» Presi il mio hamburger. «Vi raggiungo tra un attimo.»

    Stacey mi guardò con aria sospettosa. «Non ci darai buca come al solito, vero?»

    Il senso di colpa mi fece arrossire. Avevo perso il conto di tutte le volte in cui ero stata costretta a tirarle il bidone. «No. Giuro. Finisco di mangiare e arrivo.»

    «Andiamo.» Sam appoggiò il braccio sulle spalle di Stacey, indirizzandola verso il cestino dei rifiuti. «Layla avrebbe finito di mangiare, se tu non l’avessi fatta parlare tutto il tempo.»

    «Ah, adesso è colpa mia.» Stacey gettò i rifiuti, salutandomi con la mano mentre uscivano.

    Io posai l’hamburger, guardando la Camaleonte con apprensione. Pezzi di pane e di carne le caddero dalla bocca, andandosi a spiaccicare sul vassoio marrone. In un attimo mi passò l’appetito. Non che la cosa importasse davvero. Il cibo riusciva appena a lenire il dolore che mi attanagliava le viscere, senza cancellarlo mai.

    La Camaleonte alla fine concluse il suo banchetto di grassi e io presi la mia borsa, mentre si dirigeva lentamente verso l’uscita. Andò a sbattere contro un vecchio signore che cercava di entrare, facendolo cadere. Wow. Quella demone era una vera chicca.

    La sua risata echeggiò nel locale rumoroso, il suono tagliente come la carta. L’uomo inveì con il pugno alzato contro la demone in ritirata, mentre un ragazzo lo aiutava a rimettersi in piedi.

    Sospirando, abbandonai il cibo e seguii la Camaleonte fuori dal fast food, nella brezza di quel settembre inoltrato.

    Dovunque guardassi c’erano sfumature di anime che vibravano intorno ai corpi come un campo magnetico. Tracce di rosa chiaro e azzurro uovo di pettirosso seguivano una coppia che camminava mano nella mano.

    Quei due avevano anime innocenti... ma non pure.

    Tutti gli umani avevano un’anima – un’essenza – buona o cattiva che fosse, mentre le creature degli Inferi non avevano nulla del genere. Poiché la maggior parte dei demoni che si vedevano in superficie di primo acchito sembrava umana, era proprio la mancanza dell’anima intorno a loro a permettermi di individuarli e di lasciare un segno di riconoscimento sulla loro pelle. A parte quello, l’unica altra differenza tra loro e gli esseri umani era lo strano modo in cui i loro occhi riflettevano la luce, come quelli dei gatti.

    La Camaleonte si incamminò per la strada, zoppicando un po’. A guardarla alla luce del giorno non appariva molto in forma. Probabilmente aveva già addentato qualche umano, quindi era necessario catturarla e rimetterla al suo posto il prima possibile.

    Un volantino su un palo attirò la mia attenzione. Quando lo lessi, mi incupii all’istante. Attenti. I Guardiani non sono figli di Dio. Pentitevi adesso. La fine è prossima.

    Sotto quelle parole c’era il rozzo disegno di un incrocio tra un coyote con la rabbia e un chupacabra. «Gentilmente offerto dalla Chiesa dei figli di Dio» mormorai, alzando gli occhi al cielo.

    Fantastico. Odiavo i fanatici.

    Vidi gli stessi volantini sulla porta di una tavola calda alla fine dell’isolato, accanto a un cartello che annunciava: Non si servono Guardiani.

    La rabbia si diffuse dentro di me come un incendio fuori controllo. Quegli idioti non avevano idea di tutto quello che i Guardiani sacrificavano per loro.

    Presi un profondo respiro, poi lasciai andare lentamente il fiato. Dovevo concentrarmi sulla Camaleonte, anziché mettermi a pestare mentalmente i piedi sul mio fasullo podio improvvisato.

    La donna svoltò l’angolo e si guardò alle spalle, ma i suoi occhi vitrei si posarono su di me e passarono oltre: il demone in lei non percepiva niente di anomalo nella sottoscritta.

    Quello dentro di me, invece, non vedeva l’ora di mettere fine alla questione.

    Soprattutto dopo che il mio cellulare si mise a vibrare contro la coscia. Probabilmente era Stacey, che si chiedeva che fine avessi fatto. Io volevo solo sbrigarmela in fretta e tornare a essere normale per il resto della serata. Soprappensiero, sollevai una mano e toccai la collana che portavo al collo. Il vecchio anello che pendeva dalla catenina d’argento mi parve incandescente e pesante.

    Mentre superavo un gruppo di ragazzi più o meno della mia età, notai che i loro sguardi mi scorrevano addosso, per poi fermarsi e tornare a posarsi su di me. Era ovvio che mi fissassero. Lo facevano tutti.

    Avevo i capelli lunghi. Sai che roba, verrebbe da dire, ma erano di un biondo così chiaro da risultare praticamente bianchi. Odiavo quando la gente mi fissava. Mi sentivo come se fossi un’albina. Comunque erano soprattutto i miei occhi ad attirare l’attenzione. Perché erano di un grigio chiarissimo, quasi incolori.

    Zayne diceva che sembravo la sorella dell’elfo del Signore degli anelli. Quella sì che era una vera iniezione di autostima. Sigh.

    Il sole stava tramontando sulla capitale degli Stati Uniti e io, una volta svoltata in Rhode Island Avenue, mi fermai. Tutto ciò che avevo attorno sparì in un istante. E lì, nella debole luce sfarfallante di un lampione, vidi l’anima.

    Era come se qualcuno avesse intinto un pennello nella vernice rossa e poi lo avesse picchiettato su una morbida tela nera. Quel tizio aveva un’anima orribile. Non era sotto l’influsso di un demone, era semplicemente malvagio di suo. La lieve fitta nelle mie viscere si riaccese. I passanti mi superarono urtandomi e lanciandomi occhiate infastidite. Qualcuno addirittura brontolò sottovoce. Non mi interessava. Non mi interessava nemmeno delle loro anime rosa chiaro, un colore che di solito trovavo molto attraente.

    Alla fine mi concentrai sulla figura oltre l’anima, un uomo di una certa età che indossava un comunissimo completo da ufficio, la maniglia della ventiquattrore stretta nella mano grassoccia. Non sembrava un tipo da cui fuggire a gambe levate, o di cui avere paura, eppure io sapevo che sarebbe stato il caso di fare entrambe le cose.

    Quel tizio aveva peccato di brutto.

    I miei piedi si mossero in avanti, sebbene il cervello mi gridasse di fermarmi, di girarmi, addirittura di chiamare Zayne. Sentire la sua voce sarebbe bastato a farmi rinunciare. A impedirmi di portare a termine ciò che ogni cellula del mio corpo mi chiedeva di fare... quello che mi riusciva quasi naturale.

    L’uomo si voltò leggermente, gli occhi che si spostavano sul mio viso e scendevano sul mio corpo. La sua anima prese a vorticare a una velocità pazzesca, diventando più rossa che nera. Avrebbe potuto essere mio padre e la cosa era disgustosa, da vomito proprio.

    Mi sorrise in un modo che avrebbe dovuto spingermi a fuggire a gambe levate. E avrei dovuto farlo davvero perché anche se quell’uomo era marcio, anche se chissà quante ragazze mi avrebbero dato una medaglia d’oro se lo avessi levato di torno, Abbot mi aveva insegnato a rinnegare il demone dentro di me. Mi aveva cresciuta per diventare una Guardiana, per agire come una Guardiana.

    Ma Abbot non era lì.

    Incrociai lo sguardo dell’uomo, lo fissai e sentii le mie labbra incurvarsi in un sorriso. Il mio cuore prese a galoppare, avvertii un brivido dentro e arrossii. Volevo la sua anima, la desideravo così tanto che non stavo più nella pelle. Era come quando stai per essere baciata, quei secondi di trepidante attesa in cui ti manca il respiro. Ma io non avevo mai baciato nessuno.

    Tutto ciò che avevo era quella sensazione.

    L’anima di quell’uomo mi chiamava come il canto di una sirena. Essere così tentata dalla malvagità che c’era in lui mi faceva sentire uno schifo, ma un’anima nera era pur sempre squisita come una pura.

    Lui mi sorrise, stringendo la maniglia della ventiquattrore così forte che gli sbiancarono le nocche. E quel sorriso mi fece pensare a tutte le cose orribili che poteva aver fatto per guadagnarsi l’aura vorticante che lo circondava.

    Avvertii come una gomitata nella schiena. Quel lieve dolore non era niente, paragonato alla deliziosa sensazione d’attesa. Solo pochi passi e la sua anima sarebbe stata vicina. A portata di mano. Sapevo che il primo assaggio avrebbe acceso in me un fuoco dolcissimo, uno sballo senza pari. Non sarebbe durato a lungo, ma anche un solo attimo di pura estasi avrebbe lasciato il segno come un’attrazione potente.

    Le sue labbra non avevano nemmeno bisogno di toccare le mie. Mi sarebbe bastato arrivare a un centimetro o poco più e avrei assaporato la sua anima... senza però succhiarla tutta. Se gliel’avessi portata via lo avrei ucciso, e uccidere era male, e io non ero mica...

    È male.

    Mi allontanai di scatto, rompendo il contatto visivo. Un dolore lancinante mi esplose nello stomaco, propagandosi agli arti. Voltare le spalle a quell’uomo era come negare l’ossigeno ai polmoni. La pelle mi bruciava e la gola mi sembrava in fiamme mentre mi sforzavo di mettere una gamba davanti all’altra. Fu una fatica improba riprendere a camminare, non pensare a quell’uomo e ritrovare la Camaleonte, ma quando alla fine la individuai tornai a respirare normalmente. Concentrarsi su di lei almeno mi serviva da distrazione.

    Seguii la donna in un vicolo stretto, fra un negozio Tutto a un dollaro e un bancomat. Non mi restava che toccarla, cosa che avrei potuto fare anche da McDonald’s. Mi fermai a metà strada, mi guardai intorno e poi imprecai.

    Il vicolo era deserto.

    Sacchi neri erano allineati contro un muro di mattoni coperto di muffa. C’erano cassonetti che straripavano di spazzatura e creature che guizzavano a terra. Sussultai, osservando i sacchi neri con diffidenza. Molto probabilmente si trattava di topi, ma tante altre cose si nascondevano nell’ombra... cose ben peggiori dei ratti.

    E parecchio più spaventose.

    Mi addentrai ancora di più nel vicolo, scrutando il passaggio tetro mentre giocherellavo distrattamente con la collanina. In quel momento avrei tanto voluto essere così lungimirante da aver messo una torcia elettrica nella borsa di scuola, ma sarebbe stato fin troppo giudizioso da parte mia. Invece no, quella mattina ci avevo infilato un lucidalabbra nuovo di zecca e un sacchetto di biscotti. Molto utili.

    Un improvviso disagio mi gocciolò lungo la schiena. Lasciai andare l’anello, che rimbalzò sulla maglietta. C’era qualcosa che non andava. Infilai la mano nella tasca davanti dei jeans e tirai fuori il cellulare, un vecchio modello tutto scassato, mentre mi voltavo.

    La Camaleonte era qualche metro più in là. Quando sorrise, le rughe sul suo viso le accartocciarono la pelle. Aveva piccoli pezzi di lattuga incastrati tra i denti giallastri. Io presi un respiro e immediatamente mi pentii di averlo fatto. Puzzava di zolfo e carne andata a male.

    La Camaleonte inclinò la testa di lato e socchiuse gli occhi. Nessuna creatura infernale poteva percepire la mia natura demoniaca perché non avevo abbastanza sangue di demone nelle vene, ma lei mi stava guardando come se riuscisse a vedere ciò che nascondevo dentro.

    Il suo sguardo si posò sul mio petto e poi i suoi occhi scattarono in su, incontrando i miei. Io emisi un gemito stupefatto. Le sue iridi sbiadite cominciarono a vorticare attorno alle pupille, che si contrassero fino a diventare un puntino nero.

    Porca vacca. Quella donna non era un Camaleonte.

    La sua figura iniziò a ondeggiare e poi a muoversi a scatti, come uno schermo digitale che cerca di rimettere insieme i pixel di un’immagine. I capelli castani e la mollettina svanirono. La pelle rugosa si tese e divenne color cera. Il corpo si allungò e diventò più grande. La tuta sparì insieme all’orribile maglione, rimpiazzati da pantaloni di pelle e da un ampio petto muscoloso. Gli occhi erano leggermente allungati e si agitavano come un mare infinito. Niente pupille. Il naso era piatto, solo due buchi sopra un’ampia bocca arcigna.

    Oh, cazzarola.

    Era un demone Cercatore. Ne avevo visto soltanto uno nei vecchi libri che Abbot custodiva nel suo studio. I Cercatori erano un po’ gli Indiana Jones del mondo demoniaco, capaci di individuare e catturare praticamente tutto ciò che veniva ordinato loro di catturare. Solo che, a differenza di Indiana Jones, i Cercatori erano cattivi e violenti.

    Il demone sorrise, rivelando una bocca piena di denti affilatissimi. «Beccata.»

    Beccata? Beccata, chi? Io?

    Barcollò verso di me e io schizzai di lato, la paura che si impennava al punto da inumidirmi i palmi mentre gli toccavo il braccio. Esplosioni di luci al neon brillarono attorno al corpo del Cercatore, rendendolo una macchia rosa indistinta. Non reagì in alcun modo al contatto. Non succedeva mai. Solo i Guardiani potevano vedere il segno che lasciavo.

    Il Cercatore mi afferrò una ciocca di capelli, tirandomi la testa di lato e prendendomi per la maglietta. Il cellulare mi cadde di mano e si schiantò a terra. Una sensazione pungente mi corse lungo il collo, sulle spalle.

    Il panico straripò come una diga che crolla, ma l’istinto mi fece reagire. Tutte le sere che avevo passato ad allenarmi con Zayne diedero i loro frutti. Marcare i demoni poteva diventare pericoloso, di tanto in tanto, ma anche se non avevo esattamente le doti di un ninja, col cavolo che mi sarei lasciata mettere sotto senza lottare.

    Inarcando la schiena, sollevai una gamba e gli piantai il ginocchio dove non batte il sole. Fortuna che i demoni erano fatti come si deve a livello anatomico. Il Cercatore grugnì e balzò indietro, strappandomi diversi capelli. Spilli di dolore mi trafissero lo scalpo.

    A differenza dei Guardiani, io non potevo disfarmi del mio aspetto umano per suonargliele di santa ragione, ma il fatto che mi avesse tirato i capelli innescò la stronza che c’era in me come poco altro avrebbe potuto fare.

    Il dolore mi esplose nelle nocche mentre la testa del Cercatore scattava di lato quando il mio pugno lo colpì alla mascella. Altro che colpo da femminucce. Zayne sarebbe stato orgoglioso di me.

    Lentamente il demone si girò a guardarmi. «Bello. Fallo di nuovo.»

    Strabuzzai gli occhi.

    Lui mi caricò e io capii che stavo per morire. Un demone mi avrebbe fatta a fettine o, peggio, mi avrebbe fatto varcare uno dei tanti portali nascosti in giro per la città e mi avrebbe portata di sotto. Quando le persone sparivano inspiegabilmente nel nulla, di solito succedeva perché era stato assegnato loro un nuovo codice di avviamento postale, qualcosa tipo 666. E la morte sarebbe stata una benedizione, paragonata a quel genere di viaggio.

    Mi preparai all’impatto.

    «Basta così.»

    Sia io che il demone ci immobilizzammo per effetto di quella voce profonda che trasudava autorità. Il Cercatore reagì per primo, facendosi da parte. Quando io mi voltai, lo vidi.

    Il nuovo arrivato superava di parecchio il metro e ottanta ed era alto come i Guardiani. I suoi capelli erano scurissimi, del colore dell’ossidiana, e nella luce fioca sembravano avere riflessi blu. Sopracciglia scurissime si inarcavano su occhi dorati e i suoi zigomi erano ampi e alti. Era carino. Molto carino. Un figo spaziale, a dire il vero, ma la curva sardonica delle labbra piene attenuava la bellezza. La T-shirt nera era tesa sui pettorali e sul ventre piatto. Un grosso serpente tatuato gli si attorcigliava intorno all’avambraccio, la coda che spariva sotto la manica, la testa a forma di diamante sul dorso della mano. Dimostrava più o meno la mia stessa età. Il ragazzo perfetto di cui innamorarsi... Peccato che fosse senz’anima.

    Nel fare un passo indietro, incespicai. Che cosa poteva essere peggio di un demone? Due demoni. Le mie gambe iniziarono a tremare di brutto, così forte che ebbi paura di cadere a faccia in giù nel vicolo. Marcare i demoni non era mai stato un tale disastro prima. Quel giorno era andato tutto talmente storto che non faceva neanche ridere.

    «Non dovresti metterti in mezzo» disse il demone Cercatore e la sua mano si strinse in un pugno.

    Il nuovo arrivato fece un passo avanti senza produrre alcun rumore. «E tu dovresti baciarmi il culo. Che ne dici?»

    Wow...

    Il Cercatore si irrigidì, il respiro pesante. All’improvviso la tensione divenne una quarta presenza nel vicolo. Io feci un altro passo indietro, sperando di svignarmela. Era chiaro come il sole che quei due non la pensavano allo stesso modo e io non volevo andarci di mezzo. Quando due demoni si scontravano, di solito tiravano giù edifici interi. Fondamenta mal fatte o tetti scadenti? Stronzate. Era più facile che si trattasse di un epico scontro mortale fra entità infernali.

    Due passi a destra e avrei potuto...

    Gli occhi del ragazzo entrarono in rotta di collisione con i miei. Io inspirai, barcollando a causa dell’intensità del suo sguardo. La tracolla della borsa mi cadde dalle mani, che tutto a un tratto sembravano fatte di pastafrolla. I suoi occhi si abbassarono, le ciglia, folte come due ventagli, ombreggiarono gli zigomi e un lieve sorriso gli incurvò le labbra. Quando parlò, la sua voce era delicata eppure al tempo stesso profonda e potente. «Ti sei messa in una brutta situazione, non c’è che dire.»

    Non sapevo che tipo di demone fosse, ma dal modo in cui si atteggiava – come se fosse stato lui a inventare la parola potere – immaginai che non si trattasse di un’entità minore come un Cercatore o un Camaleonte. Eh, no, probabilmente quello era un demone superiore e apparteneva alle alte gerarchie demoniache... doveva essere un duca o un signore degli Inferi. Solo i Guardiani potevano affrontare creature così potenti, e di solito finiva in un bagno di sangue.

    Il mio cuore si lanciò contro la cassa toracica. Dovevo andarmene di lì. Per niente al mondo avrei affrontato un combattimento faccia a faccia con un demone di alto rango. Le mie misere abilità mi sarebbero valse soltanto un indimenticabile calcio nel sedere. E il Cercatore si stava arrabbiando sul serio, a giudicare da come continuava ad aprire e chiudere i pugni grassocci. La situazione stava per esplodere, e nel peggiore dei modi.

    Afferrai la borsa con i libri e la tenni davanti a me come uno scudo, per quanto ridicolo potesse sembrare. Già, perché non c’era niente che potesse fermare un demone superiore, se non i Guardiani.

    «Aspetta» disse il ragazzo. «Non scappare.»

    «Non avvicinarti» lo avvertii. «Non pensarci nemmeno.»

    «Non ho intenzione di fare niente che tu non voglia.»

    Ignorando qualunque significato avessero quelle parole, ripresi ad aggirare il Cercatore per dirigermi verso l’imboccatura del vicolo, che sembrava terribilmente lontana.

    «Stai scappando.» Il demone superiore sospirò. «Anche se ti ho chiesto di non farlo, e credo di averlo fatto con grande gentilezza.» Guardò il Cercatore, accigliandosi. «Non sono stato gentile?»

    Il Cercatore sbuffò. «Senza offesa, ma non me ne frega niente di quanto tu sia gentile. Mi hai interrotto mentre lavoravo, idiota.»

    Io sussultai a quell’insulto. Oltre al fatto che il Cercatore si era rivolto con quel tono a un demone di livello superiore al suo, era un modo di esprimersi così... umano.

    «Sai come si dice» ribatté il ragazzo. «Bastoni e sassi ti fracassano gli ossi... ma io ti distruggerò.»

    Merda. Se riuscivo a tornare sulla strada principale, li avrei seminati entrambi. Non potevano attaccare davanti agli umani: era una questione di regole. Be’, sempre che quei due le seguissero, il che non era scontato. Mi voltai di scatto, correndo verso l’uscita del vicolo.

    Non feci molta strada.

    Il Cercatore mi placcò con la forza di un linebacker della NFL, mandandomi a sbattere contro un cassonetto. Puntini neri mi oscurarono la vista. Qualcosa di peloso che squittiva mi cadde sulla testa. Gridando come un’arpia, alzai le mani e afferrai il corpicino che si dimenava. Piccole zampette si incastrarono fra i miei capelli. Un secondo prima di morire d’infarto, mi strappai il topo dai capelli e lo gettai fra i sacchi della spazzatura. L’orrida bestiaccia squittì mentre rimbalzava sull’asfalto, e si infilò come un razzo in una crepa nel muro.

    Con un sommesso brontolio, il demone di alto rango comparve alle spalle del Cercatore e lo prese per la gola. Un istante dopo lo teneva sospeso a più di un metro da terra. «Be’, questo sì che è stato poco gentile» disse con un tono letale.

    Si voltò di scatto e lanciò il Cercatore come se fosse un sacchetto di noccioline. Il demone si schiantò contro il muro di fronte e cadde in ginocchio. Il ragazzo alzò il braccio e... il serpente tatuato si staccò dalla sua pelle, frantumandosi in mille puntini neri che galleggiarono nell’aria tra lui e il Cercatore, rimasero sospesi per un secondo e poi caddero a terra fondendosi e formando una solida massa nera.

    No, non proprio una massa, bensì un mega serpente lungo almeno tre metri e grosso quanto me. Balzai in piedi, sforzandomi di ignorare le vertigini.

    Quella cosa si voltò verso di me, rizzandosi sulla metà posteriore del corpo. I suoi occhi ardevano di un rosso malvagio.

    Un grido mi si incastrò in gola.

    «Non avere paura di Bambi» disse il ragazzo demone. «È solo curiosa, e forse anche un po’ affamata.»

    Quella cosa si chiamava Bambi?

    Mio Dio, mi sta fissando come se volesse mangiarmi.

    Il serpente gigante però non cercò di trasformarmi nella sua merendina, e quando puntò verso il Cercatore quasi caddi a terra per il sollievo. Scattò in avanti nello spazio angusto del vicolo, sollevandosi finché la testa mostruosa non oscillò sopra il demone minore, che sembrava di pietra. Il serpente aprì la bocca, rivelando due zanne grandi quanto la mia mano dietro le quali si spalancava una voragine nera.

    «Okay» mormorò il ragazzo demone con un sorrisetto. «Forse è molto affamata.»

    Presi quel commento come il la per precipitarmi fuori dal vicolo.

    «Aspetta!» gridò lui, ma io non mi fermai e corsi più forte che potevo mentre la sua imprecazione mi echeggiava nella mente.

    Attraversai come una freccia i viali che costeggiavano il Dupont Circle, oltrepassai il locale dove avevo appuntamento con Stacey e Sam, e mi fermai a riprendere fiato solo quando raggiunsi il posto in cui Morris – il nostro autista e una decina di altre cose – mi veniva a prendere.

    Anime dai delicati colori pastello vibravano tutto attorno a me, ma io non le degnai di attenzione. Intorpidita fino al midollo, mi sedetti su una panchina sul marciapiede. Mi sentivo male, completamente fuori. Cosa diavolo era successo? Quella sera volevo solo buttare giù due righe su Niente di nuovo sul fronte occidentale, non arrivare a un passo dal divorare un’anima, sfiorare la morte, incontrare il mio primo demone di alto rango e guardare un tatuaggio trasformarsi in un anaconda, per carità di Dio!

    Abbassai lo sguardo verso la mia mano vuota.

    Oppure perdere il cellulare.

    Merda.

    2

    Morris non parlò mentre guidava verso casa lungo Dunmore Lane. Non era una novità. Morris non parlava mai. Chissà, forse erano le cose che vedeva succedere in casa nostra a lasciarlo senza parole.

    Nervosa come una biscia dopo essere rimasta sulla panchina per quasi un’ora ad aspettare Morris, continuai a battere il piede sul cruscotto lungo tutto il tragitto. Erano solo quattro miglia, ma quattro miglia a Washington erano come mille miglia altrove. La sola parte del viaggio che passò in fretta fu il tratto di strada privata che portava alla gigantesca residenza di Abbot.

    Quattro piani, con un numero spropositato di stanze per gli ospiti e persino una piscina al coperto, sembrava più un hotel che una casa. Era a tutti gli effetti un complesso residenziale, un luogo dove i Guardiani scapoli del clan vivevano e lavoravano, una sorta di comando centrale.

    Mentre ci avvicinavamo, battei le palpebre e borbottai sottovoce una parolaccia che mi valse uno sguardo di disapprovazione da parte di Morris. Sei gargoyle in pietra che quella mattina non c’erano, ora erano appollaiati sul bordo del tetto. Ospiti. Grandioso.

    Tolsi i piedi dal cruscotto e recuperai la borsa. Persino con le ali piegate e il capo chino, quelle figure curve che si stagliavano contro il cielo stellato erano uno spettacolo formidabile.

    Nella forma che assumevano per riposare, i Guardiani erano praticamente indistruttibili. Il fuoco non li bruciava. Bisturi e martelli non scalfivano il loro guscio di pietra. La gente aveva cercato di danneggiarli con ogni genere di arma, da quando l’esistenza dei Guardiani era diventata di dominio pubblico. E così facevano i demoni da... be’, da sempre, ma i Guardiani erano vulnerabili solo quando assumevano sembianze umane.

    Nell’istante in cui l’auto si fermò di fronte al vasto portico, io saltai giù e mi fiondai su per le scale, fermandomi in scivolata davanti alla porta d’ingresso. Nell’angolo in alto a sinistra una piccola telecamera si spostò per inquadrarmi. La lucina era rossa. In una delle enormi stanze e dei tunnel che si trovavano sotto l’edificio, Geoff controllava i monitor del sistema di sicurezza. E in quel momento si divertiva a farmi aspettare.

    Gli feci la linguaccia.

    La luce diventò verde un attimo dopo.

    Quando sentii la serratura scattare alzai gli occhi al cielo, sbuffando, poi aprii la porta e lasciai cadere a terra la borsa nell’ingresso. Mi incamminai verso le scale, ma ci ripensai, feci dietro front e mi precipitai in cucina. Con mio enorme sollievo non c’era nessuno. Tirai fuori dal frigo un rotolo di impasto per biscotti, ne staccai un bel pezzo e andai al piano di sopra. La casa era silenziosa come un cimitero. A quell’ora del giorno molti erano

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