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La saga di Rocai - La solitudine del re
La saga di Rocai - La solitudine del re
La saga di Rocai - La solitudine del re
E-book636 pagine8 ore

La saga di Rocai - La solitudine del re

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Info su questo ebook

La solitudine del re è il secondo capitolo della Saga di Rocai, e viene dopo La guerra per Rothin. I caduti del Rothindel riposano sotto un candido manto di neve mentre il sole si staglia su un cielo sanguinante. Rocai, ormai un vero guerriero e non più un ragazzo innocente, si prende carico di stabilire un contatto con Kevardren Balemar, re degli skarrvar, che da tempo è misteriosamente scomparso. Seguito da compagni vecchi e nuovi, Rocai si ritrova a fare i conti con un terribile segreto, che lo spinge alle estremità più affascinanti e spaventose del Rothindel. Una nuova minaccia emerge dalle foreste mentre il mondo sprofonda in una notte senza fine, e Rocai riceve la visita di una vecchia conoscenza. Forse laggiù, sui monti di Daimnir, il giovane guerriero potrà trovare se stesso...
LinguaItaliano
Data di uscita12 lug 2021
ISBN9791220346009
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    Anteprima del libro

    La saga di Rocai - La solitudine del re - Matteo Sanesi

    Prologo

    Il primo sole d'inverno illuminò timidamente la valle.

    La neve aveva già ammantato del suo candore tutto il Rothindel, come se Freyja, la dea della vita, avesse voluto abbracciare un'ultima volta i suoi figli, prima dell'arrivo del gelo nordico.

    Per ogni popolo la stagione invernale segnava la fine momentanea delle ostilità, delle contese; ognuno si piegava ossequiosamente, in silenzio, dinanzi alla furia gelida degli dei.

    Ma per i nordici era diverso. Il vento del nord, per loro, portava adesso anche la possente voce di Daimnir, il dio dei ghiacci. Solenne sul suo trono, costantemente avvolto da tormente e tempeste di neve, egli si levava in questo periodo dell'anno e soffiava sul mondo, affinché la potenza del nord fosse chiara a tutti. Mentre il Midgard dormiva, i guerrieri rothin, a loro agio fra i ghiacci, si muovevano sul campo di battaglia meglio di chiunque altro. Era il tempo delle conquiste.

    In mezzo alla grande valle, il ragazzo rabbrividì quando il vento lo accarezzò. In piedi, in mezzo al campo appena arato, egli si rivolse verso sud, verso le terre di Feldmora, laggiù all'orizzonte. Era un miracolo che, anche con il freddo, la terra riuscisse a dare i suoi frutti a sostegno dei barbari, quasi che Freyja volesse prendersi una rivalsa sul dio del gelo.

    -Daimnir ha tardato a levarsi, quest'anno-, disse una voce alle sue spalle. Il giovane si voltò. Un vecchio se ne stava appoggiato stancamente su un bastone piuttosto rozzo, dinanzi all'ingresso di una vecchia casa di legno e paglia. Il suo sguardo era quello di un uomo vissuto, scavato dalla fatica dei suoi anni. Pochi capelli rimanevano sulla testa canuta, ma gli occhi non riuscivano a nascondere un profondo orgoglio.

    -È vero, padre-, rispose il ragazzo inspirando profondamente. I suoi capelli castani si agitarono al secondo assalto del vento, e dovette socchiudere gli occhi, verdi come l'erba, sferzati senza ritegno dal gelo.

    -Ma quest'inverno non sarà come gli altri, per i rothin.

    -Credi che il lutto impedirà al nostro popolo di battersi, figlio mio?

    -Lo credo, padre-, disse il ragazzo, dirigendosi verso l'anziano.

    -Un grande male si è abbattuto su di noi. Perché non possiamo aiutare i nostri fratelli?

    Il vecchio si mise in bocca una pipa, e cominciò a fumare placidamente.

    -Ordini del re-, rispose semplicemente.

    -Non capisco, padre. Cosa penseranno gli altri... tutti gli altri, di noi? Dovremmo parlarne al re. Dovremmo rischiare, anche se questo potrebbe...

    -Rischiare?-, lo interruppe l'anziano, improvvisamente scosso a quelle parole.

    -Tu non sai cosa succede laggiù, nel suo castello. Da due anni, l'ombra avvolge le antiche pietre di quel bastione. Da due anni, paghiamo i tributi a un re che nessuno vede da lungo tempo. Da due anni, si pensa che il re sia morto per colpa di una terribile malattia. Da due anni...

    Si arrestò, e indicò verso nord.

    -Da due anni, nessuno è mai uscito da quel portone.

    Il ragazzo si voltò verso quella direzione, e vide all'orizzonte, in mezzo alle basse case dei paesani, la sagoma di un terribile gigante.

    -Lo vedi, figlio mio? Prega di non entrare mai là dentro. A maggior ragione, prega di non trovarti mai faccia a faccia con lui. Tieni la testa bassa, e spera per il meglio. Questo è tutto ciò che possiamo fare.

    Le parole del vecchio dovettero sembrare i vaneggi un folle, al giovane. Ma il ponte levatoio non si era mai abbassato negli ultimi due anni, e i tributi venivano versati sbrigativamente a dei lugubri funzionari, sconosciuti alla popolazione.

    Nonostante fosse giorno, il castello del re era avvolto da un'oscurità intensa, quasi penetrante. Qualunque cosa si sarebbe potuta celare nel buio, semplicemente appoggiandosi alle spesse mura. Ma nessuno aveva il coraggio di avvicinarsi al fossato che circondava il bastione, apparentemente senza fondo.

    Immense sale vuote riempivano la reggia. Le voci echeggiavano ignorate, per i corridoi. O meglio, l'avrebbero fatto... se qualcuno fosse stato tanto stolto da introdursi là dentro, e gridare al buio.

    Tutto sembrava sospeso nel tempo. Si avvertiva soltanto la solitudine e il dolore, in quel luogo; così intensi, da poter indurre il più forte degli uomini a piegarsi sulle ginocchia, e a chiedere scusa ai suoi stessi, terribili ricordi.

    Dietro ad un'enorme porta di mogano, la sala del trono. Difficile era discernere qualunque cosa, in quell'ambiente desolato. Qualunque cosa, tranne il trono stesso, scarsamente illuminato da una piccola finestra.

    Sembrava quasi che la poca luce si battesse con le tenebre, per andare a colpire il seggio del re. Le fodere di tessuto pregiato erano squarciate, ridotte a brandelli; il marmo dei braccioli era crepato in più punti. In alto, le consunte insegne di quel popolo glorioso, raffiguranti un cinghiale e un toro, simbolo della potenza e della forza fisica. In cima al trono stesso, una testa di toro in porfido nero osservava con sguardo minaccioso chiunque si avvicinasse, accompagnata da due teste di cinghiale realizzate in argento.

    In mezzo alla sala, una lunga tavola arrivava fino all'ingresso, e si perdeva nel buio. Le sedie, scomposte, sembravano essere state abbandonate in fretta.

    Seduta sul trono, una pesante armatura d'acciaio. Questa era molto semplice, priva di rifiniture; sull'elmo, però, era poggiata la corona d'oro del re. Diverse ragnatele la coprivano ignobilmente, e la polvere si era posata su tutta la superficie della corazza.

    Il silenzio regnava indisturbato. Un silenzio assordante, che somigliava al grido di qualcuno, o qualcosa, celato in fondo all'oscurità.

    Ad un tratto, la stanza si illuminò brevemente.

    L'armatura sussultò. Il pesante elmo regale si alzò leggermente. Due occhi verdi, penetranti, si accesero all'interno della visiera. Le grandi mani si portarono al volto, e lentamente, scostarono le ragnatele. Un lungo sospiro risuonò per la sala, e l'armatura si issò in piedi.

    L'uomo al suo interno era il re. Lo stesso re che nessuno aveva mai visto per lungo tempo. Un re vecchio, divorato dalla malattia, che tuttavia, riusciva a sorreggere il peso di una corazza da schivata.

    Quanto tempo aveva trascorso nel sonno stavolta? Forse un mese. Il tempo non aveva significato, nel buio.

    Si diresse verso la finestra, e osservò angosciato lo spettacolo della quotidianità, che si svolgeva nella paura, distante dalle mura del castello.

    Il re si sentì improvvisamente stanco. Alla sua mente ritornarono i volti delle persone che avevano condiviso con lui la sua lunghissima vita. Sua moglie, che non aveva mai amato davvero, ma che si era dimostrata una persona degna di stare al fianco di un re. I suoi vecchi amici che, uno dopo l'altro, se n'erano andati nella foga della battaglia, col sorriso. Solo lui, adesso, non riusciva a sorridere.

    Il re si considerava un uomo di cultura, un poeta e un filosofo. A volte aveva dibattuto con Eityr Rowe, unico uomo che pareva ormai apprezzarlo. Ma pur sempre un uomo debole.

    Ma nemmeno questo riuscì a distrarlo dai suoi pensieri. Le sua labbra rimasero immobili sotto la folta barba bianca, in mezzo al buio.

    L'uomo si appoggiò al ripiano di roccia antistante la finestra. Chiuse gli occhi, e alzò la mano destra, facendo schioccare le dita.

    Quel lieve suono fu amplificato all'infinito, fra le sale vuote. Il silenzio, turbato, sembrò sdegnarsi dinanzi a quell'oltraggio ma, ossequioso nei confronti del re, attese pazientemente che il rumore cessasse e si disperdesse per i meandri solitari del castello.

    Improvvisamente, un fruscìo alle spalle del re. Un paio di occhi rossi si illuminarono nel buio, e cominciarono ad avvicinarsi a lui.

    Una miriade di altre luci si accesero in mezzo all'oscurità, terribili occhi che fissavano il re, quasi meravigliati.

    L'uomo si voltò, cercando di discernere le forme di quelle apparizioni. Ma fu inutile; la luce non le colpì.

    Il re tese una mano verso quelle luci rosse, ma la ritrasse subito dopo, provando un forte sconforto.

    -Amici...-, disse infine, con un tono di voce grave e profondo.

    -Mi dispiace... per tutto.

    Nessuna risposta. Quelle figure vuote continuavano ad oltraggiarlo col loro sguardo accusatorio.

    -Avete tutte le ragioni per essere adirati con me. Ma sapete bene che non dovete temere niente, ormai. La mia dannazione non ha a che rivedere con voi.

    Silenzio.

    -Vi chiedo perdono. Vi prego.

    Il pesante respiro del re era l'unico suono che si poteva udire, in mezzo al dolore.

    -Parlatemi!-, gridò improvvisamente, con tono perentorio.

    -Non mi merito questo... non mi merito anche questo...-, disse, cambiando tono all'improvviso. Si portò una mano agli occhi, quasi a schermarsi da quegli sguardi.

    Miriadi di voci cominciarono a riempire la sua mente; ma nessuno stava parlando.

    Erano ricordi. Ricordi soffocati nel silenzio.

    Ma il silenzio è un debole guardiano. Quando il peso della memoria si fece insostenibile, quando i volti dei suoi compagni diventarono troppo nitidi nella mente del re, egli semplicemente schioccò le dita di nuovo.

    Era nuovamente solo.

    Si portò dinanzi al grande tavolo in mezzo alla stanza. Cercò di distogliere la mente dalle immagini strazianti, e si concentrò sugli eventi recenti.

    Era giunta voce che la guerra avesse preso una piega inaspettata. Una guerra a cui lui non aveva partecipato... fino a quel momento. Di rado le novità giungevano al castello. Sapeva soltanto che il Rothindel aveva respinto gli assalitori d'Oriente, e che l'inizio dell'inverno coincideva con la fine delle ostilità. Per questa volta, Daimnir avrebbe assistito a dei nordici che, invece di conquistare nuove terre, si leccavano le ferite, come cuccioli spaventati.

    -Il mio popolo non subirà più la tirannia-, disse a bassa voce il sovrano, quasi stesse facendo una promessa a se stesso. Si chinò a raccogliere dei pezzi di carta logori, che giacevano sul pavimento da chissà quanto. Si ricordò che, prima che tutto cambiasse, li usava per comporre le sue poesie, che solo di recente aveva rimaneggiato.

    -Alabastros!-, esclamò.

    Nell'oscurità si accesero un paio di occhi rossi.

    -Dai disposizioni. Sai cosa fare.

    Il re si voltò ad incrociare quello sguardo inquietante, ma il buio era già tornato a regnare.

    Nell'oscurità, nel silenzio, nel dolore, osservando quei miseri pezzi di carta, riuscì a leggere qualche parola di ciò che scriveva egli stesso, quando le immagini della memoria non l'assalivano:

    Nessun terremoto smuove la pietra. Nessun morto suscita il compianto. Nel castello del re non c'è più nessuno; solo ricordi e solitudine.

    Capitolo 1

    Chi può dire di aver conosciuto a fondo il regno del nord, senza aver mai visto la Catena di Daimnir?

    Una serie sterminata di montagne perlopiù innevate, in un intricato gioco di sentieri e valichi, si snodava nell'entroterra del Rothindel, a perdita d'occhio. I picchi perennemente bianchi erano valsi a questo mucchio di roccia il suo nome, Jottergeibr, cioé Soffio dei Giganti, in riferimento ai leggendari giganti del gelo che abitavano la zona ai tempi dell'eroe Sigfrido.

    In questa valle, chiamata Catena di Daimnir dai più sprovveduti e poco avvezzi alla difficile lingua rothin, lo sguardo si abbandonava nei giochi di ghiacci rilucenti e aurore periodiche e maestose, tanto che si pensava che una strega ammaliatrice fosse l'artefice di un tale spettacolo.

    Per la sua particolare posizione, ogni popolo del nord toccava almeno una parte di quei monti, presso i quali erano situate le più importanti miniere di ferro e oro del regno dei barbari.

    -Siamo arrivati-, disse una voce. Seguì un'eco, che riverberò fra le pareti ghiacciate, e portò quelle parole lontano, verso gli dei. Un cavaliere in armatura d'argento apparve in mezzo alla neve, quasi invisibile. Il suo cavallo, spossato, si muoveva lentamente, ma il suo padrone non pareva curarsene, mentre il suo respiro si condensava fuori dalla bocca.

    Alle sue spalle emerse un gruppo di persone, perlopiù guerrieri del nord, diretti verso chissà quale meta.

    Fra di loro spiccavano un uomo dall'aspetto agile che, a giudicare dal portamento, poteva essere scambiato per un re; e un ragazzo con gli occhi bendati, rivestito di una maestosa armatura, che cavalcava un animale infernale. Al passaggio di quella bestia, nubi di zolfo imbrattavano la via, e la neve si scioglieva sotto i suoi zoccoli infuocati.

    -Arrivati?-, chiese l'uomo dal portamento reale.

    -E dove? La nostra meta è ben lontana, capitano.

    -Lo è-, asserì il cavaliere in armatura d'argento.

    -Ma ho apportato una lieve correzione al nostro percorso. Rocai non è mai stato qui, e ogni nordico che si rispetti deve potersi vantare di aver visto coi propri occhi il Jottergeibr.

    E infatti, il ragazzo bendato aveva la bocca spalancata, come se fosse sorpreso da tanto spettacolo, pur avendo gli occhi ostruiti. I suoi compagni di viaggio, guerrieri navigati, mal sopportavano la presenza di un personaggio simile. C'era chi diceva che quel ragazzo avesse dato la propria vista a Rumroc, dio dei morti, in cambio di quel cavallo, il più veloce del mondo; altri, ritenevano che gli occhi del giovane fossero gli stessi dell'animale, e chiunque avesse incrociato lo sguardo del cavaliere infernale avrebbe visto la propria morte.

    -Cosa te ne pare, ragazzo?-, chiese quello che sarebbe potuto essere stato scambiato per un sovrano.

    -È... è bellissimo, Aurial-, rispose quello, mentre volgeva rapidamente la testa all'intorno e sembrava rapito dallo spettacolo delle montagne di cristallo, nonostante la benda.

    -Beh, forse, dopo tutto, hai avuto una buona idea, Sturduson!-, disse il re, rivolgendosi al capitano.

    -Sono contento che apprezziate i miei sforzi, Aranei.

    -Apprezzare te? Bah! Sei ancora molto lontano da quel traguardo.

    La compagnia, rallentata dalla neve profonda, non si addentrò nella selva rocciosa dei monti, e si portò sulla strada, a tratti visibile sotto il manto bianco.

    -Il magiscalco vive qui?-, chiese il ragazzo.

    -Di lui si sa solo che vive fra queste montagne, campione del nord. Potrebbe essere dalla parte opposta, o nascosto in un anfratto nelle viscere della terra-, rispose il capitano.

    -Che personaggio singolare.

    -Che personaggio inutile-, intervenne con disprezzo Aurial.

    -Potrebbe dare il suo contributo, con tutti i problemi che abbiamo. Mentre eravamo occupati a difendere la nostra città da un mostro orribile e il suo seguito di morti redivivi, lui era lì nel suo buco lurido a grattarsi la schiena. Che dire, proprio un personaggio!

    Il re dei Selvgrimm si portò una mano al petto, e tossì improvvisamente. Le ferite erano ancora aperte e ben presenti.

    -Io credo che il magiscalco sia una delle figure più importanti del nostro regno-, valutò un soldato dalle retrovie.

    -Io credo che tu debba stare in silenzio-, rispose l'Aranei.

    -Ma io...

    -Osi anche controbattere? Idiota. Prendi il tuo elmo.

    Confuso, quell'uomo rovistò fra la sua roba e tirò fuori un elmo di acciaio lucente.

    -Adesso indossalo al contrario.

    -Ma così rischio di finire in un crepaccio!

    -Tanto meglio. Forza. Ti dirò io quando toglierlo. La prossima volta ci penserai due volte, prima di discutere con un re.

    Qualcuno rise, mentre l'uomo si infilava l'elmo con la visiera dietro la nuca, e mentre gli zoccoli dei cavalli finalmente tornavano a calpestare la terra brulla del sentiero.

    Rocai si portò vicino a Sturduson.

    -Cos'hai, capitano? Ti vedo preoccupato.

    -Non è niente, erede magiscalco-, rispose quello, accennando un sorriso.

    -Solo che... sono un po' in apprensione. Chissà cos'è successo al Kevardren.

    -Lo scopriremo presto... ammesso che ci voglia ricevere.

    -Noi no, tu sì. Un campione del nord vale più di mille ambasciatori. Lui è un uomo d'onore, e ti farà passare.

    -Spero sia così... anche se non sono effettivamente un campione.

    -Lo sei per decisione di Radiros. Credo ci sia più onore in un destino come il tuo, che nell'essere eletto casualmente dalla volontà divina.

    La compagnia si trovava ora vicina ad uno strapiombo. Aurial smontò da cavallo e si avvicinò al bordo.

    -Dannazione. Non si vede il fondo.

    -Più avanti c'è un ponte. Dall'altra parte c'è il mio villaggio, Baroaf-, disse Snarri.

    -E, più avanti, la capitale degli Skarrvar, la gloriosa Dir Feredas.

    -Nome inusuale, per una città nordica-, constatò Rocai.

    -Nel nostro dialetto, significa La Splendente-, spiegò Sturduson.

    -Ma da tempo, ormai, il suo splendore si è perduto nella memoria di pochi nostalgici.

    -Potremo gettare di sotto quell'idiota con l'elmo al contrario per vedere quanto è profondo-, valutò Aurial.

    Quell'uomo, al sentire quelle parole, fece indietreggiare il suo cavallo.

    -Suvvia, Aranei, siate clemente coi miei uomini-, disse Snarri, sorridendo.

    Si udì un rumore di ruote in lontananza.

    In capo a qualche minuto, un carro comparve da dietro la curva. Su di esso due uomini, dall'aria apparentemente molto felice, conversavano fra di loro. Erano vestiti in modo povero, e indossavano perlopiù rozzi capi di cuoio grossolanamente lavorato. Sul lato del carro c'era dipinto, in modo molto approssimativo, un toro, circondato da rami.

    -Salve gente!-, disse uno di essi, scoppiando a ridere subito dopo.

    -Perdonate il mio amico-, disse l'altro, limitandosi a un largo sorriso.

    -Siamo due mercanti diretti verso la nostra patria, Feldmora. Il mio nome è Ian, e questo è mio fratello Lor. Dove siete diretti, nordici?

    -A Rothin-, disse Aurial.

    Snarri lo squadrò con fare interrogativo, ma il re dei selvgrimm gli fece segno di tacere.

    -Rothin, eh? Beh, vi aspetta ancora molta strada da fare! E anche a noi! A proposito...-, riprese Ian, scendendo dal carro.

    -Sono preoccupato per il carro. Fa rumori strani da qualche tempo, e non vorrei che facesse brutti scherzi vicino a uno di questi strapiombi! Noi non ci intendiamo di queste cose, ma forse tu, ragazzo bendato, puoi darci una mano.

    -Farò quel che posso-, rispose il magiscalco, che aveva una certa confidenza con queste situazioni, visto il suo passato a Breidh.

    Rocai si tolse la benda, smontò da cavallo e si avvicinò ai due uomini.

    All'improvviso, l'Aranei lo spinse di lato, si avvicinò fulmineo a Lor, e lo gettò a terra con un colpo d'elsa; poi sbatté Ian con forza sul lato del carro, spade alla gola.

    -Aurial! Sei impazzito?!-, chiese Windroc, confuso.

    -E tu, ragazzo, sei cieco? Questi non sono mercanti.

    Ian si mise a ridere.

    -Come l'hai capito, schifoso?-, disse, riferito al re dei selvgrimm.

    -Prima di tutto, le insegne sul vostro carro. Da quando Feldmora vanta, sul proprio vessillo, un toro circondato da rami di faggio? E i vostri cavalli. Due purosangue da guerra non sono l'ideale per trainare un carro.

    Rocai si sentì uno stupido ad aver creduto alle parole di due così evidenti impostori. Lo stesso imbarazzo provò Snarri, che ora era smontato, e puntava la sua arma al collo dell'altro mercante, Lor.

    -Questa non è la direzione per Rothin. Inoltre, vi siete subito rivolti a Rocai, senza essere intimoriti dal suo cavallo infernale. E per finire... mercanti in terre Skarrvar, mentre il Kevardren non concede udienza nemmeno agli altri popoli del Rothindel? Seriamente credevate di potercela dare a bere?

    -Il Falso Profeta ci aveva creduto!-, esclamò Ian.

    -Di chi stai parlando, folle?

    -Di lui!

    Il mercante indicò verso Windroc.

    -TU! Tu non sei degno di essere chiamato campione, ragazzino!

    L'erede magiscalco, sentendosi tirato in causa, si voltò verso quell'uomo. Scostò Aurial, e si trovò faccia a faccia con l'impostore.

    Il falso mercante estrasse un pugnale dal mantello, ma Rocai lo evitò con facilità, glielo strappò di mano, e glielo portò al collo.

    -Cosa siete venuti a fare qui, vigliacchi?

    -Uccidimi. Non lo saprai.

    -D'accordo.

    Il piccolo pugnale cominciò a penetrare nel collo di Ian. Le prime gocce di sangue cominciarono a scendere lentamente verso il petto dell'uomo, mentre Aurial lo puntellava al carro.

    -No, fermo! Ti dirò tutto, se ci risparmierai!

    -Un uomo fedele, vedo-, osservò Snarri, sorridendo. Lor cercò di approfittarne per liberarsi dalla stretta del capitano, ma Sturduson semplicemente gli sferrò un potente calcio, che subito lo ridusse a più miti consigli.

    -Noi siamo... mercenari.

    -Per chi lavorate?-, incalzò Rocai.

    -Tutto quel che sappiamo è che siamo stati ingaggiati da un gruppo di uomini che si fa chiamare Il Maglio di Freyrdom.

    -Il Maglio di Freyrdom?!-, ripeté l'Aranei, sorpreso.

    -Li conosci?-, gli chiese Windroc.

    -Sono dei pazzi maniaci, che vogliono riportare il regno del nord al suo antico splendore attraverso azioni violente. Non mi stupirei se avessero guadagnato potere e proseliti, dopo la guerra rovinosa con l'oriente. Perché vi avevano affidato l'incarico di uccidere il campione del nord? Parla, criminale.

    -Ritengono che... che una delle cause della corruzione del nostro paese sia la troppa libertà, che gli uomini si prendono nei confronti degli dei e dei loro decreti. E tu, un campione del nord senza alcuna qualità divina, ne sei la prova!

    Ian sputò sugli abiti di Rocai. Per tutta risposta, lui lo colpì con violenza all'orecchio, e gli fece perdere l'equilibrio. L'uomo cadde a terra

    -Voglio altre risposte.

    -Non so niente.

    Il ragazzo estrasse Bðnngrind dal fodero, e si avvicinò all'uomo.

    -Giuro che non so niente! La loro misera paga non vale le nostre vite. Lasciateci andare, vi prego!

    -Com'è Baroaf?-, chiese all'improvviso Sturduson all'altro mercante, Lor.

    -...Cosa?

    -Siete arrivati da dietro la collina. Avrete incrociato un villaggio. In che condizioni era?

    -Non abbiamo visto nessun villaggio.

    Un violento calcio all'altezza del mento riempì di sangue la bocca di quell'uomo.

    -Lo giuro, è la verità! C'è un bivio, più avanti. Veniamo dalla foresta; non abbiamo attraversato il ponte. Succedono cose strane, presso gli Skarrvar! Non sappiamo niente!

    -Basta così-, disse Aurial, rinfoderando Jornu e Balor.

    -Uomini, saccheggiate il loro carro. Tu, laggiù; rimettiti a posto l'elmo.

    I guerrieri del nord, rimasti fino a quel momento ad osservare, smontarono, e si avvicinarono al carro.

    -Non c'è niente, qui dentro-, disse uno dei portatori di scudo.

    -Non avete niente che possiamo rubarvi? Dannazione, che peccato. Sarebbe stato il colmo, per della feccia come voi-, concluse l'Aranei.

    -Ci... ci lascerete andare?-, chiese Ian.

    -Ho detto che avreste avuta salva la vita, questo sì-, disse Rocai, sorridendo macabramente.

    -Vi legheremo al ventre dei vostri cavalli, poi daremo loro da bere. La loro pancia si gonfierà, e voi ne rimarrete schiacciati. Avrete salva la vita se riuscirete a non morire in questo modo!

    -No... no!!

    I due mercanti si alzarono in piedi e corsero via, veloci come il vento.

    -Vai, Malpharus, cavallo di fuliggine, portatore di morte! Travolgili coi tuoi zoccoli!-, gridò il ragazzo, facendo cenno al suo animale di stare fermo.

    I due uomini gridarono di terrore, e cominciarono a correre con maggior vigore.

    Tutti i presenti si misero a ridere.

    -Davvero essere legato a un cavallo ti può uccidere?-, chiese Aurial.

    -Non ne ho idea. Credo sia una forma di tortura orientale. Ma serve un cammello e una duna di sabbia-, rispose Rocai, sorridendo.

    -Li lasciamo andare così?-, intervenne Snarri.

    -Conosco il Maglio di Freyrdom. Uccideranno quei due prima ancora che possano spiegare cosa è successo. Forza, in marcia-, rispose l'Aranei.

    Il gruppo si appropriò dei due cavalli dei mercanti, e ripartì, costeggiando lo strapiombo.

    Il guerriero che aveva avuto fino a quel momento l'elmo al contrario rabbrividì, al pensiero che sarebbe potuto cadere di sotto in qualunque momento, con la vista impedita.

    In pochi minuti, giunsero ad un bivio. Da una parte una rigogliosa foresta, dall'altra, un ponte in rovina sul crepaccio. Si potevano ancora sentire le grida spaventate dei due uomini provenire dal bosco.

    -Baroaf è laggiù-, disse freddamente il capitano.

    -Non preoccupatevi; il ponte reggerà.

    Il ponte, a tratti crepato ma di solida pietra, si rivelò in grado di garantire il transito al gruppo di nordici. I suoi pilastri si perdevano nel buio sottostante.

    -Manifattura Skarrvar. La migliore-, dovette ammettere Aurial, non senza una nota di disprezzo per quella gente e il suo re, che da sempre lo aveva osteggiato.

    Un misero cartello di legno, con sopra scritto Baroaf, accolse i guerrieri. Il piccolo villaggio, nascosto dapprima da una sporgenza rocciosa, era comparso improvvisamente dinanzi ai nordici.

    Poche case di pietra, disposte intorno alla modesta via maestra, parevano disabitate da sempre. Snarri osservò per qualche secondo quella desolazione, confuso.

    -Cosa... che è successo qui?!-, disse alla fine.

    -Esploratori, rapporto.

    Due uomini smontarono da cavallo e si diressero verso la città fantasma, che per estensione ricordava la piccola Breidh. Il paesaggio intorno era però non quello di una foresta verdeggiante, ma quello di un villaggio di montagna, scavato a fatica e strappato dalle braccia di Daimnir. La brutalità con cui si presentava Baroaf, però, non stonava affatto con la tempra dei nordici, uomini duri più di quelle rocce. La montagna sono io, inamovibile e fredda, impietosa al calore del sole, erano soliti ripetere gli Skarrvar, avvezzi ad una vita dura, ma comunque molto progrediti in diversi campi, molto più dei Selvgrimm.

    Dopo pochi minuti, gli esploratori tornarono da Snarri.

    -Tutte le porte sono sbarrate, capitano.

    -Allora andiamo a vedere chi c'è dentro-, rispose lui.

    Sturduson smontò da cavallo, e si avvicinò esitante a una delle case di pietra. Al suo seguito c'era Aurial.

    -Questa un tempo era casa mia, Aranei.

    -La porta non si apre, capitano. E le assi che la coprono... non sono un buon segno.

    Rocai, intanto, si era diretto verso l'edificio più grande, forse la casa del capo villaggio, sperando di trovare qualcosa di utile.

    Il capitano sfondò la porta con un calcio. Il legno marcio, rinforzato da assi, cedette al primo colpo.

    Un odore di morte investì Snarri.

    Laggiù, nella penombra, riusciva a scorgere delle figure sedute intorno a un tavolo, immobili. Le loro gole, recise di netto, avevano smesso di sgorgare sangue da tempo.

    Il capitano notò un cadavere più piccolo, che stringeva in mano un giocattolo di pezza.

    -NO!-, gridò Sturduson, sentendo mancare le proprie gambe.

    -No! No!!

    -Capitano! Cosa...-, fede per dire Aurial.

    -Non la bambina... non la bambina!-, gridò Snarri, portandosi le mani ai capelli, col terrore sul volto.

    L'Aranei lo tirò in piedi di forza, e gli tirò un forte schiaffo.

    -Di cosa stai parlando?! Non c'è nessuna bambina lì dentro!

    Titubante, Sturduson si affacciò.

    Non c'era più nessun tavolo. Nessuna figura col collo reciso. Nessuna bambina.

    -Ho visto... ho visto delle cose-, spiegò il comandante Skarrvar, portandosi le mani agli occhi.

    -E come hai fatto? Non si vede niente. Aspetta.

    Aurial tirò fuori una piccola candela, e la accese con un paio di pietre focaie.

    Fece per entrare in quella casa abbandonata.

    Si accorse che la fiamma non emanava alcuna luce.

    Sconcertato, si ritrasse. All'esterno, la candela riprese ad illuminare l'ambiente intorno.

    -Snarri...

    -Aranei.

    -Cosa diamine succede in questo posto, per la barba di Rumroc?

    -Non lo so. Ma quando mi sono affacciato lì dentro, ho sentito... qualcosa. Come se tutta la malinconia del mondo si fosse riversata su di me.

    -Ho provato lo stesso, capitano. E la candela... la candela getta un'ombra nera.

    -Speriamo che Rocai abbia più fortuna.

    Il ragazzo, poco distante, aveva assistito a quella scena, ed era piuttosto esitante ad entrare in quella casa. Sferrò un calcio alla porta, che si aprì subito.

    -Aurial, dammi la candela.

    L'erede magiscalco non fu investito dal tanfo che aveva spiazzato Snarri, e la luce della candela si comportava normalmente. Il ragazzo avvertì però un senso opprimente di angoscia, come se le stesse mura di quella casa soffrissero per qualcosa.

    All'interno, pochi mobili erano disposti a casaccio in giro per l'abitazione. Non c'era nessuno.

    Lentamente, Rocai si fece largo in mezzo a tutta quella rovina. Alcune sedie giacevano per terra, incrinate, come se ci fosse stata una colluttazione lì, tempo prima. Windroc si premurò di guardare in ogni angolo, sia per trovare tracce, spiegazioni, sia per accertarsi che non ci fossero dei ragni nascosti lì dentro. La sua aracnofobia aveva più potere su di lui che la sua stessa forza di volontà.

    Non trovò nessuna quelle orribili bestie a otto zampe.

    Trovò invece una rampa di scale.

    -Questa era la casa del capo villaggio, il vecchio Nereum Cobbs-, commentò Snarri da fuori.

    -Dovrebbe esserci il suo registro personale, da qualche parte. Trovato niente?

    -Per ora no. Ci sono dei gradini, qui. Vedo cosa trovo di sopra-, fece eco il campione del nord.

    Una modesta stanza, con un camino mai acceso e una scrivania. Un grosso libro giaceva, dimenticato, sopra il legno marcio di quel tavolo da lavoro.

    Windroc si sedette lentamente, e cominciò a sfogliare il registro alla fioca luce della candela.

    Le notizie e gli avvenimenti più importanti delle giornate venivano riassunti in poche, brevi righe; sopra, venivano scritti il giorno e la data. Nel nord, i giorni della settimana erano chiamati in onore delle divinità, e terminavano in -dom, per rendere onore a Freyrdom, il primo eroe del nord: il primo giorno è il vanirdom, dal nome dei Vanir, come si usavano chiamare alcuni dei; poi c'è il muspelldom, dal nome dei giganti del fuoco, acerrimi nemici dei giganti del ghiaccio e perciò alleati degli dei; yggdom, dal nome del grande albero della vita; freyjdom, dal nome della dea della terra; skolldom, dal nome del grande lupo che insegue il sole; ymirdom, dal nome del grande gigante di fuoco e ghiaccio che originò il mondo; infine, baldom, dal nome di uno dei figli di Odino, Baldr. I mesi, invece, venivano indicati col nome della stagione: primo inverno, secondo inverno, terzo inverno, prima estate, seconda estate, terza estate, prima primavera, e così via. Ai guerrieri del nord non serviva a niente trovare nomi che suonassero bene anche ai mesi dell'anno; a loro bastava sapere quando potevano attaccare, e quando potevano fare baldoria.

    La data veniva riportata insieme alle iniziali d. F., ovvero dopo Freyrdom. Tale era la considerazione che il nord conferiva alla mitica figura del campione.

    Rocai cominciò a leggere.

    Primo autunno, 20 vanirdom, 657 dF

    Un'abbondante pioggia ha investito il villaggio. Il ponte è saldo e non cederà, e i nostri campi, più a ovest, ne trarranno grande beneficio.

    Primo autunno, 21 muspelldom, 657 dF

    Regnar ha finito la sua stalla. La pioggia ha avuto effetti più che positivi, e la carestia che da tempo ci attanagliava è finita.

    Primo autunno, 22 yggdom, 657 dF

    Pare che una missiva giungerà presto da parte del Kevardren. Che si sia ricordato dell'esistenza del piccolo villaggio di Baroaf? Che voglia più tributi, adesso che la nostra gente è riuscita a riprendersi dalla terribile siccità?

    Primo autunno, 23 freyjdom, 657 dF

    Un uomo è giunto presso di noi. Era... strano. Non riesco a ricordare il suo volto... eppure se n'è andato da pochi minuti. Non ha parlato, ci ha solo affidato un editto. Non dobbiamo assolutamente prendere parte alla guerra fra il nord e l'Oriente, per ordine del Kevardren Pena la morte. Ma perché? Perché non dovremmo aiutare i nostri compagni?

    Primo autunno, 24 skolldom, 657 dF

    Sta succedendo qualcosa, nel villaggio. Qualcosa di terribile. Quell'uomo ha portato con sé un odore... un odore di morte. Anche gli altri lo sentono. I cavalli non smettono di scalpitare, come se volessero fuggire.

    Primo autunno, 27 vanirdom, 657 dF

    Abbiamo dovuto sopprimere i cavalli. Non riuscivamo più a dormire. DOVEVAMO farlo. E io mi sto giustificando con un registro...

    Secondo autunno, 15 skolldom, 657 dF

    Va tutto bene. VA TUTTO BENE.

    Secondo autunno, …

    Sono rimasto solo io. Ci sono stati diversi... molti suicidi. Gli altri non hanno resistito a questo sensazione di vuoto, e se ne sono andati. Io resto qui, ho detto loro. Ma gliel'ho detto davvero? Non ricordo. Sono giorni che non mi alzo da questa sedia. La morte sta tendendo le sue orribili, nodose mani su di me. Ma per quanto la sento vicina, essa non è mai su di me. Cosa mi succede? Io resto qui. Perché non me ne sono andato? E perché non riesco ad andarmene ora, via... via da questa vita?

    Io resto qui.

    Secondo autunno

    Sento l'oscurità avvolgersi intorno a me. Il dolore che permea questa casa mi è ormai familiare.

    Aiutatemi, vi prego.

    Aiutatemi, prima che l'om---

    Rocai non riuscì a leggere di più. La luce della candela era diventata sempre più opaca, ma la fiamma non era meno viva di prima. Spaventato, Windroc fece per alzarsi, ed andarsene da quel luogo a sua volta, prima di essere sopraffatto dal vuoto che lo circondava, e che pareva circondare anche i ruderi di pietra di quel paese.

    -Cosa... fai... qui?-, disse una voce, quasi un'eco, alle sue spalle.

    Il campione del nord si voltò. Non vide nessuno.

    -Quella... è... la mia... scrivania.

    Mentre si sforzava di scorgere chi ci fosse nell'ombra sempre più nera, Rocai portò la mano all'elsa della sua lama.

    -Chi sei?-, chiese, rivolto al buio.

    Dall'oscurità emerse la figura di un uomo, pallido e magro. I suoi occhi erano incavati, come se da tempo fosse stato privato del sonno. Le sue pupille erano avvolte da un alone rosso, vivo come le fiamme di Malpharus, e brillavano nell'oscurità. La bocca, nera come quella di un morto, faceva una grandissima fatica ad emettere suoni.

    -Il... capovillaggio. Nereum... Cobbs.

    -Dove sono finiti tutti, Cobbs? Cos'è successo, in questo luogo?

    -Il crepaccio... è... la tomba... di molti.

    -Si sono suicidati? Che ne è stato della famiglia Sturduson?

    Il vecchio pallido dallo sguardo senza vita si portò una mano sulla fronte, come se provasse una grande fatica nel ricordare.

    -Suicidati... sì. Ma non... gli Sturduson. Sono... a nord. Tu... chi sei...?

    -Io sono il campione del nord.

    Cobbs emise un grido straziante, assordante. Dalla sua bocca contratta uscì del liquido verdastro.

    -TU!-, gridò con rabbia.

    -Questo... è tutta... opera tua... RADIROS!

    -Io non...-, fece in tempo a dire l'erede magiscalco. Con una forza e una velocità impressionanti, Nereum staccò un'asse dalla parete e si avventò su Rocai, gettandolo a terra.

    Il ragazzo si tirò in piedi, e riuscì a malapena a schermarsi da quell'uomo, che cercò di colpirlo con quel pezzo di legno alla nuca.

    L'asse, infrangendosi contro Bðnngrind, andò in frantumi. Il capovillaggio si mise furiosamente a cercare un'altra arma.

    -Io non sono Radiros!-, gridò Windroc. Intanto, Snarri e Aurial erano accorsi a vedere cosa stesse accadendo, allarmati dal grido dell'uomo pallido.

    -Nereum...-, mormorò il capitano.

    Cobbs si voltò ad osservarlo, riconoscendone la voce.

    -Figliolo... sei diventato... grande...-, disse, con voce cantilenante.

    Rocai penetrò la gamba dell'uomo con la sua spada, e questo subito si accasciò a terra, senza emettere un suono.

    Il campione del nord gli si accostò.

    -Cos'è accaduto, qui? Cos'è questo senso di... di angoscia? Chi era l'uomo che vi ha portato la missiva?

    -Nobile da parte tua... voler rimediare al passato, Radiros-, disse Nereum, ignorando la domanda. Nel parlare, altro liquido verde gli uscì dalla bocca.

    -Veleno d'aspide-, valutò l'Aranei, avvicinandosi con la candela dalla luce sempre più nera.

    Cobbs riprese a parlare.

    -Ma è troppo... tardi. Il Kevardren... lui ha fatto... qualcosa. Qualcosa di terribile... tutti se ne sono andati.

    -Ho letto il registro. Mi hai detto che la famiglia di Snarri è ancora viva. Aurial, cerca di ravvivare un po' la fiamma della candela-, disse Rocai.

    -Aurial... l'Aranei...? Tutto questo... è anche... colpa tua...

    -Colpa mia? Cosa stai farneticando?-, chiese il re dei Selvgrimm, perplesso.

    -Regnar ha... finito la sua stalla...

    La gamba ferita dell'uomo, da cui non era sgorgato il sangue, cominciò ad avvizzire sotto gli occhi dei presenti.

    -Forse lui... è in un posto migliore... almeno lui...

    Entrambe le gambe dell'uomo cominciarono a creparsi. Windroc prese la testa canuta del vecchio con la mano destra.

    -Ascoltami, Nereum. Dov'è il Kevardren?

    -Dir... Feredas...

    Le gambe dell'uomo si sgretolarono, fino a ridursi a polvere sottile.

    -Come sei... diventato grande... Snarri. E io... me ne sono andato... da tempo...

    Cobbs tese una mano verso il capitano. Questa si trasformò in polvere finissima.

    -Fermaci, campione... del nord. Fermaci... tutti. Non permettere... che il Kevardren...

    Il volto del capovillaggio divenne sabbia nera, che scivolò via dalle mani di Rocai.

    I tre uomini osservarono quella polvere infilarsi fra le fessure del legno tarlato, e l'uomo che un tempo fu Nereum Cobbs, capovillaggio di Baroaf, se ne andò nel silenzio.

    I tre uomini uscirono dalla casa del vecchio in silenzio, con non poche difficoltà, nel buio più totale. All'esterno, il senso d'angoscia che avevano provato fino a quel momento cessò di tormentarli.

    -E adesso?-, chiese Aurial, spaesato, mentre volgeva gli occhi all'intorno.

    -Adesso... dobbiamo trovare Balemar, e scoprire cosa sta succedendo qui.-, rispose Windroc.

    -Magiscalco... Nereum ha detto che la mia famiglia è viva, non è così?-, chiese Snarri.

    -Sì.

    -Io devo trovarla. Ma il bene del popolo viene prima del mio.

    -L'ultimo che ho sentito parlare così adesso riposa su un drakkar-, intervenne l'Aranei in modo asciutto, richiamando alla memoria dei presenti l'orrore della guerra per Rothin.

    -Che il drakkar sia anche il mio destino, allora-, rispose risoluto il capitano.

    -Datemi solo un momento.

    Sturduson fece cenno agli uomini di proseguire, e si gettò in ginocchio, sguardo fisso dinanzi a sé, rivolto alla desolazione delle case vuote, piene solo dei ricordi del passato.

    Più avanti, Rocai poteva scorgere un'ampia valle, in cui si intravedeva una modesta abitazione di legno e paglia. Un bastone piuttosto rozzo, insanguinato all'altezza del manico, stava dinanzi alla porta d'ingresso.

    -Ne avrà per molto?-, chiese l'Aranei a uno dei guerrieri-, indicando verso il capitano immobile.

    -Sta benedicendo i resti del villaggio nel nome della roccia, perché di roccia è la tempra degli Skarrvar.

    -Bah! Vi sento sempre parlare di quanto voi Skarrvar siate saldi come le montagne... e intanto ve la date a gambe appena arriva un ambasciatore un po' strano. Che dire, un coraggio da roc.

    -Andiamo, Aurial, sarà stato difficile anche per te perdere i tuoi cari-, intervenne Rocai.

    -Se sono morti in guerra, è perché i loro avversari erano più abili. Stimo le azioni in guerra degli uni e degli altri, ma è evidente chi ha dimostrato più bravura in battaglia.

    -Sei sempre così senza cuore?

    -Dannazione, che razza di domanda è, sbarbatello? Mi conosci, ormai. Se avessi un cuore, me lo strapperei e lo lancerei addosso ai miei nemici per usarlo come diversivo, mentre le mie lame mietono le loro vittime.

    -Beh, in effetti, Usare un cuore come diversivo non è una brutta idea. Credo che lo farò, la prossima volta che ne avrò bisogno.

    -E poi, per Snarri è diverso, Rocai. Io ho visto alcuni dei miei fratelli morire, e di altri ho visto il corpo al termine della battaglia. Lui sa solo che la sua famiglia è fuggita da qui. Credo sia preferibile la certezza della morte, che il dubbio della vita.

    -Parole profonde, potente Aranei!

    -Colpa di questo luogo maledetto. Puzza.

    -Sicuro che sia il luogo?

    -Se non è il luogo, è il tuo cavallo. Gli fai mai un bagno?

    -Credo che non gli farebbe bene. Sai, essendo fatto di fuoco, zolfo e tutto il resto.

    Malpharus dava segni di impazienza. Anche lui avvertiva il senso opprimente di tristezza che avvolgeva quel luogo. Rocai gli si portò all'orecchio e mormorò qualcosa in modo dolce, riuscendo in parte a calmarlo.

    Snarri si alzò in piedi lentamente, rimontò a cavallo, e diede ordine agli uomini di riprendere la marcia.

    Il villaggio di Baroaf scomparve lentamente alle spalle del gruppo.

    Per qualche tempo, nessuno parlò. I portatori di scudo Skarrvar condividevano lo stato d'animo del capitano, e avevano paura per ciò che potevano trovare, una volta giunti alla capitale del regno, Dir Feredas. Non aiutava il fatto che, fin dove si estendeva la vista, non si vedeva nessuno, nemmeno un viandante.

    -Se trovassimo almeno un mercante o due da depredare-, mormorò Aurial.

    -Qui non se ne accorgerebbe nessuno.

    -Mi chiedo perché Cobbs mi abbia attaccato appena gli ho detto che sono il campione del nord... e perché abbia continuato a chiamarmi Radiros-, disse Rocai, sovrappensiero.

    -Che fosse affiliato anche lui al Maglio di Freyrdom?

    -Lo escludo-, rispose Snarri.

    -Lui, insieme a tutto il resto della mia gente, è sempre stato un uomo semplice, lontano dalle contese. Si preoccupava solo quando c'era una carestia, e tornava di buonumore quando veniva la pioggia. Purtroppo, il terreno roccioso della Catena di Daimnir non è l'ideale per le coltivazioni.

    -Speriamo che il Kevardren possa darci le risposte che cerchiamo-, concluse Rocai.

    -Sempre che sia ancora vivo.

    -Su questo non c'è dubbio, sbarbatello-, disse Aurial.

    -Ha cercato di uccidermi, ricordi? L'assassino portava il suo marchio. A meno che Balemar non sia morto nel corso dell'ultimo anno, è lui che troveremo a Dir Feredas... ammesso che troveremo qualcuno, lì.

    Il sole, ancora una volta sfuggito miracolosamente alle fauci di Sköll, stava adesso morendo oltre le montagne di Daimnir, sfiancato dalla lunga corsa e dalle molte ferite inferte dal grande lupo.

    Snarri diede ordine agli uomini di preparare il bivacco per la notte a ridosso di una parete di roccia, facilmente difendibile dai portatori di scudo in caso di necessità.

    -Voi due, primo turno di guardia. Quattro ore. Tu veglierai per mezz'ora da solo, poi sveglierai me e il magiscalco. Portatori di scudo, dormite con un occhio aperto. Arcieri, dormirete qui vicino a me. Per la gloria del Rothindel-, ordinò sbrigativamente il capitano.

    -Ma come, mi fai fare il turno di guardia?-, chiese Rocai scherzosamente.

    -Solo perché è da molto che non parliamo, magiscalco. Valdra deve ancora restituirmi il bastone dall'ultima volta.

    -Quale bastone?-, chiese Aurial.

    -Valdra aveva chiesto al capitano, ancora indebolito per il veleno, di andare con lei. Lui le ha offerto il suo bastone, invece-, spiegò Windroc.

    -Un'occasione sprecata. Ma avrai modo di rifarti, pavone imbellettato. Lei tornerà a chiederti qualcosa, non dubitare.

    L'Aranei si voltò.

    -Parlando di ragazze che vogliono qualcosa-, mormorò.

    Com'era tradizione nel nord, le donne combattenti scendevano in campo esclusivamente con arco e frecce; e così, gli arcieri del capitano contavano molte giovani donne.

    -Non mi ero accorto di loro-, ammise Aurial con una nota di malinconia. Le ragazze, spogliatesi dell'armatura d'ordinanza e dell'ingombrante elmo, si presentavano ora in tutta la loro puerile bellezza. Dopo essersi accorte dello sguardo del re dei Selvgrimm, avevano cominciato a bisbigliare e ridacchiare fra loro.

    -Sto perdendo il mio fiuto.

    -Cosa sei, un cane?-, chiese Rocai.

    -Sono solo sveglio a differenza tua, sbarbatello. Sempre lì a fissarti con la tua Fedryen, come se non esistessero altre.

    Windroc sospirò.

    -Scusa, ragazzino, non volevo farti pensare a lei. Allora, resoconto della giornata?

    -Abbiamo visto un uomo diventare polvere, pochi minuti fa-, disse l'erede magiscalco.

    -Puoi parlarci di Baroaf, Snarri?

    Il capitano annuì, e si mise ad osservare attentamente il fuoco. Provò un certo sollievo nel vedere la fiamma ardere in tutto il suo splendore.

    -Non c'è molto da dire. Un paese di poche anime, che vivono... vivevano in poche case. A volte una siccità, niente di più. Vivevo in quella casa con la mia famiglia, e... per un istante ho visto i loro cadaveri intorno a un tavolo, compreso quello di una bambina che, spesso, veniva a giocare da noi.

    -Ecco perché hai lanciato quel grido. Mi hai fatto venire un colpo-, intervenne l'Aranei.

    -Chiedo scusa, mio re. Non avrei mai sperato di poter sedere di nuovo intorno a un bivacco con voi. Ma ancora meno avrei sperato di poter essere qui non solo con un re, ma anche con un ragazzo che è il campione del nord e il magiscalco, tutto insieme.

    L'orgoglio che accendeva gli occhi di Snarri, pensò Rocai, doveva essere lo stesso che il ragazzo aveva provato tempo fa, quando condivise la fredda notte d'Oriente con Aurial e Radiros.

    -Ad ogni modo, un giorno lasciai la mia amante e la mia casa non per i campi, come avrebbe voluto la mia famiglia, ma per la carriera militare. Una volta provai a tornare, ma imbattutomi in un villaggio più a est, mi pregarono di andarmene, per il mio bene. I loro sguardi stravolti valevano più di mille parole, e tornai sui miei passi.

    -E sono anni che non vedi il Kevardren-, aggiunse Windroc.

    -Esatto. Lo conobbi tempo fa, al suo stesso castello, il Forkevaldr, fortezza dei fantasmi. Un nome molto suggestivo, per una costruzione così vecchia che si dice

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