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La saga di Rocai. La cavalcata delle leggende
La saga di Rocai. La cavalcata delle leggende
La saga di Rocai. La cavalcata delle leggende
E-book854 pagine11 ore

La saga di Rocai. La cavalcata delle leggende

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Info su questo ebook

La cavalcata delle leggende è il terzo e ultimo capitolo della Saga di Rocai. Molti anni sono passati dagli orrori di Dir Feredas. Il Rothindel, indebolito e sull'orlo della guerra civile, si trova alle prese con un vecchio nemico da tempo dimenticato, intenzionato ad avere sangue e vendetta. Rocai, accompagnato dai valorosi guerrieri del nord, ancora una volta deve sorgere ed essere un faro di speranza per la sua gente. Mentre la terra trema e il Valhalla cade a pezzi, il destino spinge Rocai lontano dal regno, in terre ostili e straniere, nel tentativo disperato di salvare la sua gente. La guerra è tornata. Gli eserciti marciano. L'Abisso attende. Il fato si compie. È giunto il tempo della leggenda.
LinguaItaliano
Data di uscita12 lug 2021
ISBN9791220345996
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    Anteprima del libro

    La saga di Rocai. La cavalcata delle leggende - Matteo Sanesi

    Ringraziamenti

    La cavalcata delle leggende è il terzo e ultimo capitolo della Saga di Rocai. La storia prende le mosse a una certa distanza temporale dagli eventi del secondo atto, La solitudine del re.

    È difficile descrivere lo stato d’animo con cui mi sono cimentato nella scrittura di quest’ultima, grande opera. Le pagine sembravano riempirsi da sole, con personaggi vecchi e nuovi che, del tutto a loro agio in un mondo ormai consolidato, si muovono e si comportano secondo la loro natura, come veri e propri esseri viventi. Troviamo ancora una volta Rocai e il suo inesauribile coraggio, Aurial e la sua infinita boria, Sif e il suo immenso cinismo, Fedryen e la sua enorme astuzia, per non parlare di nuovi alleati e di potenti nemici che entrano in gioco proprio sul più bello, sul finale di una storia incredibile.

    La cavalcata delle leggende, più che un libro, è una rimpatriata: il Rothindel torna alla carica ancora una volta per segnare la fine di un’era, uno spettacolo così incredibile da rivaleggiare con le gesta leggendarie di Freyrdom, di Radiros, di Mor e, dopo gli eventi di Dir Feredas, persino di Rocai stesso. E le rimpatriate, si sa, sono eventi gioiosi, ma anche malinconici, perché nel ritrovare un amico si sa già che lo dovremo perdere.

    La Saga di Rocai è proprio questo per me, e spero che lo sia anche per te: un’avventura meravigliosa, non una fine ma un inizio, che suscita emozioni contrastanti e che proprio per questo ci dona uno scopo, un significato nuovo ed emozionante.

    Come sempre ringrazio la mia famiglia, sostenitrice assidua della mia carriera da scrittore. Ringrazio Damiano Salvadori, ancora una volta artefice della meravigliosa copertina che ritrae Malpharus e Rocai, cavallo e cavaliere, mentre si lanciano verso il destino.

    Questa sarà forse l’ultima volta che ci vediamo, caro lettore o cara lettrice.

    Ma non disperare, e porta sempre con te il ricordo del Rothindel. Come ci insegnano i miti del nord, le leggende diventano grandi se molte persone le conoscono e le raccontano. Fintanto che sentirai sul volto il soffio di Daimnir, fintanto che alzerai un calice nel nome di Eityr Rowe, fintanto che ricorderai gli insegnamenti del dromari, la leggenda vivrà insieme a te.

    Che i rami di Yggdrasil possano offrirti riparo nel tuo percorso.

    Matteo Sanesi

    Prologo

    Esiste un luogo ai confini dell'immaginabile.

    Una immensa distesa di traboccante nulla, che si estende per quanto può osare lo sguardo.

    I mortali non conoscono il nome di un simile candore, né riescono a figurarsi nella mente una purezza così tangibile.

    E infatti, questo posto non è stato concepito per occhi mortali. Il mare d'argento al limitare dell'esistenza è noto solo agli dei, e solo essi possono accedervi.

    In verità, non hanno molti motivi per recarsi qui. Da anni e anni, ormai, questo luogo non riceve visite. Ma in un banale giorno di fine inverno, un giorno qualunque, forse meno importante di tanti altri, una figura vi si aggirava.

    La sua pesante armatura da signore della guerra, bianca e lustra, sfregava con un'insolita armonia, in mezzo alla pace del nulla. L'uomo brandiva una lancia che sembrava poter imbrigliare il potere della tempesta, e reggeva in mano un libro animato da forze divine, in perpetuo movimento.

    I suoi capelli vibravano sotto i colpi di un vento etereo, e i suoi occhi, completamente azzurri, erano fissi verso l'immenso.

    Camminava su un terreno che si confondeva con lo sfondo di quel paesaggio immaginario, apparentemente senza meta. Ad un tratto, giunse dinanzi a un braciere piuttosto basso, che scaturiva fiamme di colore verde e che emanava un odore di fresco, di primavera.

    Si arrestò, mettendosi in attesa.

    Sul lato opposto del piccolo braciere, sopraggiunse un altro uomo. Indossava ampi abiti di foggia orientale, più decorati di quelli del più potente dei visir, ricamati con finimenti d'oro e ricoperti di illustrazioni di leggende e battaglie, già combattute, vinte e dimenticate da centinaia d'anni.

    Aveva dei lunghissimi capelli neri, lisci e morbidi, che arrivavano a toccare la parte bassa del petto.

    Il suo volto era in parte celato da un turbante, che sembrava fatto di corteccia, costellata di fiori e vita primigenia; sembrava che pulsasse di vita propria.

    Le sue gambe poggiavano su possenti fasci di nubi, che celavano i suoi piedi in una nebbia azzurra, carica di rugiada; ogni passo che muoveva, lasciava dietro di sé una scia di erba e di fiori, che subito cresceva rigogliosa e si spegneva.

    Le sue spalle erano coperte di fogliame e arbusti, e la sua cintura aveva una fibbia a forma di sole raggiante, che emanava calore come se avesse rubato l'intensità dell'astro.

    Le sue mani erano salde e possenti; nella destra, reggeva un sinuoso bastone ricavato dal ramo di un albero. La testa del bastone fioriva continuamente, popolandosi di rami e coprendosi di fogliame; la base, invece, appassiva e si inceneriva incessantemente. La struttura stessa di quel curioso oggetto pareva ruotare su se stessa, e ricordava molto da vicino il ciclo della vita.

    Ma la mano dell'uomo era sempre perfettamente ferma sull'impugnatura, al centro, nonostante questa sorta di moto perpetuo.

    Sotto i lunghi capelli e il turbante, spuntavano degli occhi completamente verdi, che ricordavano le cavalcate d'agosto. Aveva un naso dalla forma perfetta, e labbra con sopra tatuaggi tribali astratti. Era bellissimo d'aspetto; ma il volto, florido e scolpito, tradiva uno stato d'animo tutt'altro che sereno.

    -Radijyd-, disse brevemente il primo venuto, facendo un breve cenno con la testa.

    -Salute, Odino-, rispose quello, continuando a incedere, finché non fu arrivato dinanzi al braciere. Appena si fermò, dalla terra uscirono delle radici, che avvolsero le sue gambe.

    -Mi hai convocato?-, chiese il signore del Rothindel.

    -Sì. E credo che tu sia già a conoscenza del perché.

    -Gli eventi di Dir Feredas.

    -Ti sei dovuto rivolgere a degli esseri umani per portare avanti un tuo progetto. Sai benissimo che questo è proibito.

    -Avresti preferito batterti con le orde di morti di mio fratello Rumroc, dio dell'Oriente?

    -No. Avrei preferito che tu fossi in grado di tenere a bada gli abitanti del Valhalla. Hai messo in pericolo tutti noi.

    -L'ho fatto? La questione è stata risolta entro i confini del mio regno.

    Odino alzò la sua gigantesca alabarda, in direzione di Radijyd.

    -E non dimenticare, orientale… il tuo demone schifoso, Ramadjfelamuth, ha portato la morte a due passi da Rothin. Se non sono venuto a reclamare la tua testa, è soltanto perché non abbiamo bisogno di un'altra guerra fra dei.

    Il dio della vita incrociò le braccia, con aria indignata.

    -Quel mostro non era più sotto il mio controllo.

    -Tu l'hai bandito sulla terra dei mortali, Radijyd. E se vorrai portare avanti le tue accuse, la tua testa sarà la prima a cospargersi del sangue degli innocenti. O vuoi ancora trovarti faccia a faccia con Cernunnos?

    -Cernunnos? Il dio dei druidi di Feldmora? Quel pacifista indegno della sua posizione? Non ho paura né di lui, né di Gofannon, né del pantheon di quel popolo.

    -Non mi interessa di chi hai paura. Ciò che mi interessa è che tu porti rispetto a me e alla mia casa. Delega le guerre ai mortali, se ritieni che sia per una buona causa; altrimenti, torna nel tuo palazzo fra le nuvole, meditando sui tuoi errori.

    Radijyd piantò con forza il suo bastone per terra. Subito, dei rampicanti avvolsero il braciere, spegnendo il fuoco fatuo.

    -Sei spavaldo, Odino. Troppo spavaldo. Guardami; nonostante la mia gloria, sono inferiore a te anche per statura e forza. C'è stato un tempo in cui temevi il mio arrivo.

    -Quel tempo non c'è mai stato, e lo sai.

    -Se non c'è mai stato, ci sarà.

    Radijyd strattonò il bastone, e il braciere spento si spezzò di colpo, riducendosi in frantumi.

    -Hai portato avanti una guerra contro te stesso, protettore del nord. Hai avuto fortuna di averla combattuta in inverno, mentre Daimnir, col suo soffio, offuscava la vista degli eserciti nemici, e ne intorpidiva le membra. Ma ricordati le mie parole, signore del Valhalla. La guerra arriverà. La guerra arriverà, e ti porterà via tutto quel che hai… tutto quel che hai costruito con fatica. Le guglie del tuo castello sprofonderanno nei ghiacci.

    -Le tue illazioni non mi toccano, sbruffone.

    -Sbruffone? Pensavo che il sovrano di un popolo così rude si servisse di ben altri insulti.

    -A che serve insultare? Ti insulti da solo, col tuo atteggiamento gonfio di disperazione. Nel nord, i problemi si risolvono in ben altro modo. Agire, non parlare; questo differenzia la mia gente dalla tua.

    Radijyd si alterò visibilmente.

    -Arriverà il tuo momento-, rispose seccamente, mantenendo un aspetto calmo.

    -Arriverà anche il tuo, dio della vita. Prega che non sia per mano mia o dei miei fratelli, perché non mostreremo clemenza.

    Odino si voltò, e si incamminò nella direzione dalla quale era venuto, a lenti passi.

    -Non mi aspettavo altro che questo, da un vigliacco… andarsene, dando le spalle-, gli disse Radijyd alle spalle.

    -Ma sono un dio clemente. Altri, al mio posto, adesso ti avrebbero attaccato alla schiena.

    -Allora altri, al tuo posto, adesso si starebbero rivoltando agonizzanti in una pozza di sangue divino-, rispose il re degli dei del nord, continuando ad allontanarsi. Poco dopo, scomparve alla vista.

    Radijyd era rimasto fermo, e guardava fisso verso il candore infinito.

    -Pagherai anche questa, Odino. Il tuo popolo soffrirà per ciò che ha fatto al mio regno. Ma non ora… col tempo. Col tempo, arriverà la giusta punizione. Cosa speri di ottenere, stanco vecchio? Un regno capeggiato da una donna, moglie di un thane che non approvavi. I rothin… così deboli, così fragili. Le rovine delle loro città saranno ammantate da soffice erba, dimenticate.

    Afferrando saldamente il suo bastone, si voltò, e si allontanò a sua volta, portando via con sé la rigogliosa natura che scaturiva dal nulla al suo passaggio.

    E quel luogo ai confini dell'immaginabile, come innumerevoli volte prima di quella, tornò a sprofondare nel silenzio, per chissà quanto ancora.

    Capitolo 1

    Il sole dell'estate salutava ormai il mondo, sciogliendo i ghiacci accumulati sui picchi più impervi dei monti all'orizzonte.

    Faceva caldo. Le fronde degli alberi si agitavano al soffiare gentile della brezza proveniente da est.

    Un viandante si aggirava per le vie dimenticate del bosco. Era coperto di indumenti sgualciti, di un colore marrone sbiadito; sembrava quasi una bruma che avesse indossato abiti a caso, sottratti dalle vittime della palude.

    I suoi pesanti stivali mordevano la terra, arrancando. Una lunga veste copriva in gran parte i pantaloni da cavalleggero, e si strascicava alle sue spalle, impregnandosi di polvere.

    Intorno al volto aveva delle fasce, e un voluminoso cappuccio gli copriva la testa nella sua interezza. Impossibile riconoscerlo, così bardato; di lui si poteva solo intuire che si trattava di un uomo abbastanza magro, nonostante l'abbondanza di abiti. Dei guanti di pelle gli coprivano le mani, che reggevano saldamente uno smunto bastone da viaggio, dall'aria poco resistente.

    Da quanto camminava, ormai? Non lo sapeva. Non ricordava come fosse arrivato lì. Non riusciva a capire nemmeno che giorno fosse… o che anno fosse. Si guardò intorno; non c'era nessuno accanto. Alzò la testa. Non si scorgeva nemmeno il fumo del camino di una casa di qualche paese. Si accorse, però, che il giorno stava morendo. Il sole, sempre vigoroso, era più basso, e la sua luce aveva assunto tinte rosse.

    Doveva trovare riparo. Ma dove?

    Continuando a camminare, si inoltrò quasi senza pensarci nel fitto del bosco. Qualcosa brillava in mezzo agli alberi.

    Un bivacco; qualcuno aveva appena acceso il fuoco per la notte, che aveva iniziato ad alzarsi timidamente verso il cielo.

    Un uomo si era seduto su un masso, e armeggiava con delle pentole piene d'acqua e alcune spezie essiccate. Si voltò, appena sentì il fruscio fra le frasche.

    Era un uomo pallido, magro, che portava una tunica di mille colori ormai sbiadita e consumata. Aveva in testa un povero cappello, occhi spiritati incavati, e un naso dalla forma irregolare. La sua bocca, in un primo momento perplessa, si produsse in un sorriso inquietante.

    -Benvenuti! Benvenuti!-, cominciò a gridare, con voce roca.

    Il viandante si guardò intorno.

    -Benvenuti? Ma… qui ci sono solo io-, rispose quello, con un tono di voce profondo in modo innaturale, che quasi lo spaventò.

    -Uno, due, che differenza fa. C'è posto per tutti, al mio desco. Certo, non si mangerà come alla mensa di un re, ma d'altronde, cosa ce ne facciamo noi della mensa di un re? Mangi bene per qualche anno, mentre il popolo si mangia te? No, no, grazie; preferisco la mia minestra. Almeno so chi la fa, so come viene fatta, e mi fido di mangiarla-, disse l'uomo al falò, battendosi il petto con la mano destra.

    Il viandante sbuffò divertito. Gli parve di aver incontrato personaggi simili a quel buffo omuncolo, nei suoi viaggi, e perciò non provò più di tanto smarrimento davanti a quelle parole sconclusionate.

    -Più che giusto, amico mio. Accetterò la tua offerta e mi unirò a te per la cena.

    -Quando mai ti ho offerto di cenare con me? Ho solo detto che c'è posto al mio desco.

    -Allora, mi siederò vicino a te e ti guarderò mangiare.

    L'uomo si sedette sulla roccia.

    -Il mio nome è Pusil-, disse il buffo omino, mentre pestava le sue erbe in un ciottolo.

    -E tu, amico trovato, chi sei?

    -Nessuno di importante. Un uomo, come tanti ne hai trovati nella vita, e come tanti ne troverai-, rispose lui, scrollando le spalle.

    -Ah! Non hai un nome, eh? Te ne darò io uno, come si fa agli animali da compagnia. Mi sembra appropriato, visto che mi stai tenendo compagnia. Ti chiamerò… Batuffolo, va bene?

    -Preferirei qualcosa di più… umano.

    -Che ne dici di Skoll? Come il grande lupo. Tanto domani avrai già un altro nome, ma nessuno sarà più bello di questo. Solo Pusil dà i nomi migliori, ricordatelo!

    -Skoll… perché no. D'altronde, il nome è una maschera, e quella si può levare e togliere quando si vuole.

    -Più che giusto!

    La pentola con la minestra sfrigolava sul fuoco.

    -Da dove vieni, Pusil?-, chiese il viandante.

    -Ah… dal nord. Un posto che si chiama Dir Feredas. Niente di che, niente di che.

    -Perché te ne sei andato?

    -Per via di… motivi. Già, motivi. Motivi molto, molto seri. Ma non mi pento della mia scelta; ultimamente, sono successe diverse cose brutte, nel Rothindel.

    -Cosa è successo?

    -Devi sapere, Skoll, che venti anni fa, l'esercito di Rothin espugnò Dir Feredas, mettendo fine al regno di terrore di Kevardren Balemar. Ma qualcosa andò storto. Beh, ci si poteva immaginare… come può andare tutto sempre bene? Dopo la morte del thane, sua moglie Nidavel assunse il potere, e scacciò il Campione del Nord con l'accusa di regicidio. Allo stesso tempo, perse anche uno dei capitani più validi del regno, un certo Sturduson.

    -Come fai ad essere così informato?

    -Oh, si parla tanto, in giro. Ho percorso Feldmora, le Steppe Nomadiche, le Borland e il Regno d'Oriente, e dappertutto si parlava degli orribili eventi del nord. Credo sia anche un modo per dimenticare dei propri problemi, mio buon Skoll.

    -Vero, vero. Continua, ti prego.

    -Nidavel si rivelò una sovrana dal temperamento focoso, proprio come suo marito. La legge la obbligava a riaccompagnarsi, ma ogni uomo che le si avvicinava, restava al suo fianco per qualche mese, o qualche anno, e prima del matrimonio, scompariva. Le malelingue dicono che la theann li uccidesse, trovando così il modo di poter regnare da sola. Sai com'è, il thane la picchiava, a quanto pare. Nemmeno io mi troverei un altro uomo, per quanto bello e bravo a letto, se avessi vissuto quel che ha vissuto lei.

    -Ne deduco che la gente del nord è in ginocchio.

    -Tutt'altro! La theann è riuscita ad evitare la rovina totale, e anche per questo, il popolo la tollera al potere. Ad oggi, molti mormorano per via dell'allontanamento del Campione del Nord… e quelli che mormorano più forte, di solito, si uniscono al Maglio di Freyrdom, una setta di ribelli che sta diventando sempre più potente. Sappi, Skoll, che il fatto che le cose vadano meglio non vuol dire che vadano bene. Voglio dire, gli Skarrvar sono stati annientati. La gente è comunque allo stremo.

    -Ah, sì, mi pareva di aver sentito qualcosa riguardo uno sterminio. Una tragedia.

    -E dire che era anche la mia gente! Ma in questi venti anni, la theann è riuscita a radunare i discendenti degli Skarrvar che vivevano ai quattro angoli del regno, e a ripopolare le terre di Dir Feredas, ripopolando anche la città stessa. Il castello è stato ricostruito in una guisa più modesta, anche se i sotterranei, tenebrosi e inquietanti, non sono ancora stati esplorati. Vai a sapere perché! Comunque sia… uno degli altri re, l'Aranei, da sempre osteggia Nidavel, aiutato da Sif, la vecchia compagna del generale condannato a morte. Potrai capire il desiderio di vendetta.

    Pusil tolse la pentola dal fuoco, e versò un po' di minestra in una ciotola. La porse al viandante.

    -Grazie-, disse quello.

    -Comunque, come stavo dicendo, la situazione non è per niente buona. Per fortuna Vanil, il Rowe dei colchirei, è riuscito a stabilire una sostanziale pace fra i regni. Per qualche tempo, i selvgrimm si sono addirittura dissociati dal Rothindel! Ma non c'era bisogno di altra guerra… soprattutto perché il regno d'Oriente, storico nemico dei nordici, sta riprendendo vigore ormai da tempo. Chissà cosa ci riserverà il futuro.

    -Già, anche io ho avuto contatti col nord. Gente fiera, a volte orgogliosa fino all'eccesso. Mi piacerebbe vivere fra loro.

    -Ah! Se pensi che noi nordici siamo fieri e orgogliosi, dovresti vivere qualche settimana a Helgirth, a sud dei Valichi dell'Ethelrod.

    -Che posto è?

    -Non lo conosci? Beh, del resto non conosci nemmeno te stesso. Si tratta di un popolo che si trova più o meno a sud del Regno d'Oriente. Immagina la furia e la foga del Rothindel, ma amplificate all'infinito e moltiplicate per centomila. Ecco, quello che ottieni è la gente di Helgirth!

    -Innalziamo i calici ad essi, allora.

    I due uomini brindarono cozzando le ciotole, e bevvero la minestra. Il viandante si abbassò le fasce per trangugiarla, mentre Pusil lo osservava meravigliato.

    -Sei uno strano uomo. E se lo dico io, puoi fidarti-, disse.

    -Dici? Può darsi. Ma, dimmi… dove siamo, qui?

    -In un bosco.

    -Intendo, in che regno.

    -Mah… Feldmora? Le sponde di Drimforth? I Boschi Pallidi di Shun'koras? Forse, dietro quella collina, c'è Rothin. Non ci è dato saperlo, dico bene?

    -Dici bene. Mi piace parlare con te.

    -Anche a me, Skoll! Anche a me! E mi sarebbe piaciuto sapere il tuo nome, sai. Conoscere il nome di quelli che uccido mi mette sempre allegria.

    Il viandante si fece serio, e pose per terra la ciotola. Guardava dritto dinanzi a sé, verso il fuoco.

    -Perché non stai gridando? Forse non sai di cosa sono capace-, disse Pusil, torcendo il collo in modo innaturale, mentre un rivolo di saliva gli bagnava il mento ispido.

    Si alzò in piedi, togliendosi il cappello.

    -Dimmi, Skoll, vuoi vedere uno spettacolo di magia?

    Il viandante si pulì gli stivali dalla polvere, poi si alzò in piedi.

    -Lo vedrei volentieri, amico mio. Ma devo proprio andare.

    -Oh, sì, te ne andrai. Niente di personale, sia chiaro! Ma le voci… loro vogliono qualcosa che io non ho… forse ce l'hai tu, in mezzo alle viscere?

    -Ne dubito-, rispose con calma il forestiero, senza far cenno di volersi difendere, o mostrando di aver paura.

    -Non senti la tristezza che si nasconde fra le ombre del crepuscolo, Skoll?-, chiese Pusil, con uno sguardo insanguinato.

    -Mi spiace, non sento niente.

    Il buffone indietreggiò. Si tastò il petto, infastidito. Per la prima volta nella vita, avvertiva un senso di impotenza, di confusione, nei confronti di quell'uomo.

    -Skoll, Skoll, ma dimmi, dimmi, chi sei tu?-, chiese Pusil, perplesso.

    Il viandante sospirò. Lentamente, si disfece le bende intorno al volto, e si abbassò il cappuccio.

    Pusil, senza dire una parola, indietreggiò ancora, con gli occhi dilatati e la bocca aperta. Improvvisamente si voltò, e cominciò a correre, strappandosi le vesti a morsi con una ferocia inaudita. Già seminudo, scomparve nel folto.

    -Skoll, Skoll, ma dimmi, dimmi, chi sei tu?-, si udì gridare ancora qualche volta, in mezzo alla macchia.

    -Il thane! L'Aranei! Le Steppe, le Steppe! Campioni di Valoria, deserto del Sarathstra!-, continuava a gridare, finché la sua voce si spense, in lontananza.

    Simpatico ometto. Spero di poterlo incontrare di nuovo, pensò il viandante. Si coprì nuovamente il volto, raccolse il suo bastone, e si incamminò verso il sentiero erboso, assorto in chissà quali pensieri.

    Capitolo 2

    La venuta del sole, al mattino, era accolta in tutto il mondo come un nuovo inizio. Tranne che a Boldr.

    Lì, il tanfo dei cadaveri in decomposizione si era già librato nelle viscere della notte, ore prima.

    Il sangue e il vomito che si mescolavano al fango putrido delle strade contorte erano una realtà più presente di quella fastidiosa palla luminosa, in cielo. E la vita dei mendicanti e degli assassini si interrompeva, fra imprecazioni e sospiri, fino alla notte dopo.

    Il giorno rivelava le nefandezze della capitale dei Selvgrimm, senza però riuscire a penetrare nella tenebra che avvolgeva i Bassifondi.

    Il modesto castello del re fu colpito dai primi raggi. Alla finestra del piano superiore, circondata da legno e pulciose pelli, si era affacciato un uomo. Egli non odiava il nuovo giorno. Si sentiva vuoto, non gli importava.

    Aveva lunghi capelli biondi e una barba abbastanza curata. Portava una collana di anelli di ferro cavi, e degli spallacci di pelliccia d'orso. Indossava un'armatura da schivata, molto leggera, e una tabarda grezza, bianca e rossa.

    Aveva le sopracciglia aggrottate, e lo sguardo di un uomo vissuto. Gli occhi tersi non erano ancora incavati dalla vecchiaia, e il suo fisico longilineo ricordava il corpo di un agile guerriero.

    Sospirò, e tirò su col naso.

    -A cosa pensi, Aurial?-, chiese una voce di donna alle sue spalle.

    -Al passato-, rispose lui.

    I suoi occhi si intorbidirono, come se nelle sue pupille stessero transitando tutti gli eventi che lo avevano segnato, come una piuma intrisa d'inchiostro su una pergamena nuova.

    Rivide Rocai, mentre se ne andava verso Feldmora. La loro separazione era stata così improvvisa, così sbrigativa, che gli aveva provocato un senso di vuoto durato anni. Ma la theann era una sprovveduta. Il Campione del nord aveva continuato a tornare nel Rothindel, celandosi nelle ombre di Boldr. Portava sempre novità, parlava delle sue avventure in terre straniere. Negli ultimi anni, però, era scomparso. Senza nemmeno salutare.

    Sif e Fedryen avevano partecipato di quel dolore. La mercenaria aveva pianto giorno e notte, per la morte di Snarri. Si era sacrificato affinché Rocai potesse vivere ma, nel profondo degli occhi rassegnati del capitano, si scorgeva la sofferenza indicibile di un rifiuto, di un amore non pienamente corrisposto, a cui finalmente sottrarsi con la dignità di una morte onorevole. Eppure, Sif aveva pianto, e non aveva più voluto uomini al suo fianco.

    Fedryen aveva incassato meglio il colpo. Era sempre presente quando Windroc tornava in gran segreto, e i due passavano insieme più tempo possibile. La ragazza si era rabbuiata negli ultimi tempi, però, dopo l'inspiegabile scomparsa di lui.

    Aurial guardò verso il basso, verso le catapecchie informi della sua città.

    Pensò a Nidavel, la theann, e alle sue strampalate idee. L'Aranei seguiva sempre assiduamente il progresso del regno, correggendo e aiutando la sovrana, affinché il Rothindel sopravvivesse. Il re dei Selvgrimm aveva modi rudi, certo, ma lo faceva a fin di bene. Lei, però, si comportava come se lui la osteggiasse in modo sterile e improduttivo, attirandogli addosso l'ostilità del popolo.

    Poco gli importava. La gente non sapeva cosa fosse meglio per sé. Aurial odiava Rothin per la loro ignavia, per aver cacciato il Campione. Il giudizio di quella gente valeva meno dello sterco di montone. Ma l'Aranei era un re, e aveva un debito d'onore verso i Selvgrimm, verso i Colchirei… e anche verso gli Skarrvar. Aveva presieduto alla restaurazione di Dir Feredas, e i nuovi abitanti, i nuovi Skarrvar, si stavano lentamente rimettendo in piedi. Non era ancora stato eletto un Kevardren, e il regno veniva temporaneamente gestito dal Rowe, Vanil.

    Aurial si sentiva preoccupato. Il Rothindel faceva fatica a tornare all'antico splendore, nonostante l'esercito fosse stato per la maggior parte ricostituito. Appena oltre i valichi ad est, il Regno d'Oriente era tornato a splendere, sotto la guida di un sovrano saggio.

    L'Aranei non riusciva a immaginare una situazione più drammatica di questa. A chi chiedere aiuto, se l'Oriente avesse nuovamente attaccato?

    A Feldmora? No; nessuna alleanza coi mercanti finiva bene.

    Ai nomadi, nemici giurati del nord? O all'Isola dell'Ovest, anch'essa ostile?

    I Falsavi erano estinti, e le Borland erano diventate terre di briganti. Nessuno sarebbe venuto in aiuto del Rothindel. Nessuno.

    -Il passato fa solo male-, ponderò la voce alle spalle del re.

    Aurial si voltò. Davanti a lui stava una donna adulta, ancora bella, dallo sguardo serio e indomito. Indossava un corpetto di pelle e ferro, pantaloni rinforzati, e stivali imbottiti. Ai suoi fianchi, pendevano due asce adorne, che splendevano come di luce propria.

    -Il passato serve a capire gli errori, Sif-, ribatté l'Aranei.

    -E a che conclusione ti ha portato riflettere sugli errori?

    -Al punto di partenza.

    -Forse perché tu non hai mai ammesso i tuoi errori.

    -Non ne ho mai commessi.

    Sif sbuffò divertita. Aurial si portò davanti a un piccolo tavolo di quercia, afferrò una caraffa ammaccata, e riempì un calice con un liquido denso, dal colore scuro e dall'odore intollerabile. Bevve il contenuto in un solo sorso. Poi si piegò in avanti e tossì.

    -Bruciabudella delle steppe… della migliore qualità-, disse, quando si fu ripreso.

    -Immagino quello di qualità peggiore-, rispose la ragazza. Sospirò.

    -Ne vuoi un po'?

    -Ci tengo al mio fegato.

    -Sai che non è vero. Ti hanno vista bere un barile di idromele.

    -Avevo sete. Insomma, Aranei, cosa c'è all'ordine del giorno?

    -Il Rowe deve parlarci di una cosa importante. Sarebbe dovuta venire anche la theann, ma è troppo impegnata a Rothin. Probabilmente deve decidere la tonalità di rosa per le tendine del baldacchino reale.

    -E perché devo esserci anche io?

    -Perché sei la mia consigliera-, rispose l'Aranei, sorridendo.

    -Sai che non sono una buona consigliera.

    -Io so che scompari molto spesso. La guerriera che è in te non è morta, e continua a spronare il tuo cavallo a combattere guerre lontane, fuori dal regno. Eppure… ogni tanto, i portoni di Boldr si aprono, e tu ti fai strada in mezzo ai poveracci per tornare qui da me. Mi sono sempre chiesto il perché. Ormai sono venti anni.

    Sif incrociò le braccia, e si mise a sedere sul letto. Le sue asce mandarono uno stridio metallico.

    -La mia vita prosegue come sempre. Hai detto bene: sono sempre una mercenaria. La migliore. Ma mi sono accorta che la mia ragione di vita non è questa. Come una bamboccia sciocca e illusa, sono caduta nella trappola dell'amore.

    Gli occhi della guerriera si riempirono di lacrime.

    -La mia vita doveva essere con lui…

    Si afferrò i capelli con entrambe le mani, puntellando i gomiti sulle cosce.

    -E lui adesso non c'è più…

    Aurial si sedette vicino a lei, e la abbracciò.

    -E adesso mi ritrovo a disprezzare ogni uomo. Senza offesa.

    -Oh, mi hai sempre disprezzato. Non è nuova.

    -Non riesco più ad avere un amante. Le mie passioni sono morte con lui. Per questo viaggio, per questo ritorno qui. Spero che, un giorno, dietro una collina, possa comparire lui. E, se questo non è possibile, che la guerra o la noia mi portino da lui, ovunque sia.

    -Perché, Sif? Perché l'hai rifiutato quando era lì, quando voleva solo te?

    -Non ha mai voluto solo me.

    -Smetti di mentire a te stessa. Ho visto come ti guardava. Ho sentito il suo cuore drenarsi di vita, quando hai baciato Rocai davanti a lui. Quando l'hai rifiutato nonostante i tuoi sentimenti, nonostante ti avesse salvato la vita, rischiando la paralisi nella guerra contro il Maglio, a Hersir.

    -Smettila. Mi fai soffrire.

    -Non credo tu sappia con chi stai parlando, ragazza mia. Ti sembro il tipo in grado di consolare qualcuno? O, piuttosto, sono quello che ti sbatte la realtà in faccia, fino a farti sanguinare il naso?

    -Non lo so.

    -Cosa?

    -Non so perché io l'abbia rifiutato. Avevo paura. La libertà di correre sul mio destriero mi sembrava troppo grande, per darla via così. Eppure, quello stesso vento che mi sferza quando cavalco, ora ha il suo profumo.

    -Se ti può consolare, anche io ho perduto molte donne, che sarebbero potute diventare la mia unica ragione di vita.

    -Molte? E come hai affrontato la cosa?

    -Ci si abitua. Vai avanti. Sai che troverai qualcun'altra. Ma mai, mai una donna è stata in grado di farmi tanto male, quanto perdere Radiros prima, e Rocai poi.

    -Siamo diversi.

    -Siamo guerrieri.

    Sif osservò il volto serio e inciso di Aurial. Non avrebbe mai pensato di vederlo così: un uomo adulto, responsabile. Sì, mi sembri il tipo in grado di consolare qualcuno, pensò la ragazza.

    Qualcuno bussò alla porta. Una guardia entrò.

    -Mio signore, è arrivato l'ambasciatore del Rowe. Dice che…

    Il soldato si arrestò, incerto. L'Aranei lo guardava dritto negli occhi, emettendo un rumore gutturale, come se un calderone gli borbottasse nella gola.

    -Dice che dovreste andare…

    Aurial digrignò i denti.

    -Ha… ha detto…

    La guardia indietreggiò. All'improvviso, l'Aranei cominciò ad abbaiare con rabbia. L'uomo, terrorizzato, inciampò su se stesso, e fuggì lungo il corridoio.

    No… sei sempre il solito, pensò Sif, che ormai non si stupiva più per quel genere di cose.

    -Che scocciatura! E io che speravo che Vanil potesse venire qui. Chissà dove vuole portarci, stavolta!-, sbuffò il re dei Selvgrimm, alzandosi in piedi e porgendo la mano a Sif.

    -Sai che non ama venire in città.

    -Come si fa a non amare Boldr? Certo, non ti conviene girare con oro ben in vista. O con un cavallo. Tantomeno una corona. Non dovresti nemmeno avere un mantello, altrimenti potrebbero strappartelo. E non devi guardare in faccia la gente. E non devi lasciare la via principale. Ma per il resto, questo posto è il paradiso!

    I due guerrieri uscirono rapidamente dalla stanza, percorsero il corridoio, e scesero le scale, dirigendosi verso la sala del trono. Lì, un omuncolo cicciottello e basso stava ammirando, con un certo disgusto, gli arazzi appesi alle pareti. Il castello era fatiscente, quasi in rovina; ma era in questo stato da più di trent'anni, e non era mai crollato, quasi per miracolo.

    -I miei ossequi, Aranei-, disse, con pomposità, l'ambasciatore. Si produsse in un profondo inchino.

    -I tuoi ossequi anche a te, persona-, rispose Aurial. L'inviato rimase interdetto per qualche secondo, non riuscendo a comprendere il contenuto di quel messaggio.

    -E questa dev'essere la sua signora!-, disse, simulando gioia e inchinandosi dinanzi a Sif.

    -No, sono la regina dei nomadi, in combutta con l'Aranei per rovesciare il nord-, rispose lei, con tranquillità.

    -Ehi, Aurial, quand'è che andiamo a uccidere il Rowe?

    -Appena l'ambasciatore ci dice dov'è, mia cara. Allora, dove ci sta aspettando il vecchio Vanil?

    L'omino grassoccio indietreggiò, sudando visibilmente. Sembrava preoccupato, confuso, e spaventato.

    -Ma… ma voi…-, balbettò.

    -Animo, animo, barilotto, stavamo scherzando!-, disse il re dei Selvgrimm, dandogli una pacca sulla spalla.

    -Cosa deve dirci Vanil? Andiamo, parla!

    -Dice… dice che i suoi esploratori hanno novità. Non so di che genere. Tutto questo avrebbe potuto accennarvelo la guardia che ho inviato ai vostri alloggi, ma è corsa via dicendo che avete cominciato ad abbaiargli contro…

    -Io? Un re… abbaiare? Ma è ridicolo, a malapena miagolo! Che tempi, che tempi!

    Aurial, fingendo indignazione, si portò con rabbia davanti a una parete, e si mise a braccia conserte.

    -Andiamo, chiedigli scusa-, disse Sif all'ambasciatore.

    -Scusate…-, mormorò quello, no riuscendo bene a capire cosa stesse accadendo.

    -Ti perdonerò, per stavolta. Dunque, dove dobbiamo andare?-, riprese il re dei Selvgrimm.

    -Appena fuori le porte della città.

    -Quale città?

    -Questa…

    -Sicuro?

    L'Aranei si avvicinò a quell'uomo, guardandolo come se volesse ucciderlo da un momento all'altro. Quello cadde per terra, poi si tirò in piedi rapidamente, bofonchiò qualcosa come Con permesso..., e se ne andò a grandi passi.

    -Fai spesso così?-, chiese Sif, divertita.

    -Sempre, quando devo fare qualcosa che non ho voglia di fare. Ed essendo un re, ciò capita fin troppo spesso. Su, che aspettiamo? Andiamo!

    I due guerrieri percorsero la via principale della città. Aurial camminava tranquillo, nessuno osava accostarglisi. La mercenaria, invece, teneva la sua borsa ben stretta, e stringeva saldamente le asce con le braccia. Tutti quelli che le passavano accanto allungavano le mani, tentando di rubarle qualcosa.

    -Che fastidio! Perché a te non fanno niente?!.-, chiese, in difficoltà.

    -Me lo stai chiedendo davvero? Sono l'Aranei. Sono il capo di questi briganti, e non si deruba il capo.

    -E sei anche il capo dei Bassifondi?

    -No. Ma quella è un'altra storia.

    Uscirono dalle grandi porte di Boldr, circondate da una lurida e marcescente palizzata.

    Davanti a loro, circondato da quattro cavalieri reali dei colchirei, stava Vanil.

    Aveva lo sguardo saggio, ma sempre giovanile; i suoi lineamenti non erano cambiati, e la corona gli poggiava saldamente in testa. La portava con assoluta dignità, come se da sempre l'avesse indossata.

    -Salute, Aranei. Ciao, Sif!-, disse il Rowe, sorridendo.

    La ragazza abbracciò Vanil.

    -Sai che esistono i messaggeri?-, chiese l'Aranei, stringendo la mano al re.

    -Sì. Ma si tratta di una cosa della massima importanza, e ci tenevo a venire di persona. Sono venuto parecchie volte anche per cose minori, è vero, ma a palazzo ci si annoia, e amo viaggiare.

    -Ti capisco. Anche se la palude a sud non è il massimo. Come vanno le operazioni di bonifica?

    -Potrebbero andare meglio. Ma venite, venite. Guardia reale, attendete qui!

    Gli uomini a cavallo si portarono una mano al petto, poi incrociarono le alabarde, e rimasero immobili.

    Vanil fece cenno ad Aurial e Sif di seguirlo. Il suo mantello di color zaffiro si stava sporcando sul fango sporco, ma nonostante il terreno accidentato, il Rowe si muoveva agilmente.

    -Dove ci stai portando?-, chiese la mercenaria, sostenendo il passo del re.

    -Vedete quella radura, vicino alle mura di Boldr? Lì ci sono i miei esploratori. Hanno portato notizie dall'est.

    -Buone nuove?

    -Temo di no. Non volevo che nessuno ci sentisse; per questo adopero tanta segretezza.

    -Non ce n'era bisogno. I Selvgrimm non si curano di questioni politiche, avremmo potuto parlare nella piazza principale e nessuno avrebbe detto niente-, osservò l'Aranei.

    -Avete anche una piazza principale?-, chiese Vanil, sorpreso.

    -Sì, ci pascoliamo i porci.

    -Ah, ecco.

    I tre guerrieri arrivarono in una fitta macchia di alberi, poco estesa. Un uomo e una donna stavano in piedi, a braccia conserte. Indossavano dei completi da caccia di colore verde, con sotto una cotta di maglia. Avevano spade ricurve al fianco, e dei cappucci tirati giù, lungo la schiena.

    -Ci siamo tutti. Qui nessuno può vederci o sentirci. Avanti, rendete l'Aranei e la sua consigliera partecipi di quanto avete visto; poi, porteremo il messaggio a Rothin-, disse il Rowe, con aria preoccupata.

    -Il vento dei valichi d'Oriente ci ha portati qui-, cominciò a parlare l'uomo.

    -Vento di guerra. Come saprete, ultimamente è molto difficile avvicinarsi ad Alj'adrain. Ci sono molti avamposti, molti villaggi, quasi come se il Sarathstra avesse smesso di frustare le dune-, continuò la ragazza.

    -Com'è possibile? Cos'è cambiato in questo tempo?-, chiese Aurial, pensoso.

    -Il deserto fra Rothin e Alj'adrain non è più tale. Un'ampia fascia di sabbia è stata rimpiazzata da coltivazioni e roccaforti. Le tempeste furiose ci sono ancora, più a sud. Ma il passaggio per la capitale non è mai stato così impraticabile. Noi due siamo sopravvissuti, ma la nostra squadra si è sacrificata per questo. Eravamo in nove.

    -Continua-, disse Vanil, camminando avanti e indietro, sotto le fronde di un albero.

    -Ci siamo travestiti. Abbiamo superato i posti di blocco. Beh, la maggior parte di noi. E la capitale era… era…

    La donna si portò una mano alla bocca. L'uomo riprese a parlare.

    -Una fortezza, pronta per la guerra. La reggia del Gran Re è tornata agli antichi splendori. Le armate erano radunate diligentemente nelle caserme, appena fuori dalla città. Ma non è questa, la cosa peggiore. La cosa peggiore erano gli occhi degli orientali. Non avevano la sofferenza di un tempo, non ardevano d'odio per il Gran Re, come quando regnava Mathrayyidi. No, erano pieni di speranza e orgoglio. Le strade stesse della città erano pulite, praticabili. La gente è tornata a vivere. Proprio in quel momento, un uomo col turbante e la veste regale stava tenendo un'arringa al popolo. Li stava incitando alla guerra, a vendicare l'onore macchiato.

    -Sangue di Nimrod-, imprecò a bassa voce Sif.

    -La guerra… perché? Chiese Aurial.

    -Ci odiano, mio re. Da sempre. In venti anni, il rancore che provano verso di noi non è che aumentato. E il nostro regno non è pronto.

    -Questo lascialo decidere a me-, rispose seccato l'Aranei.

    -Urge parlarne con la theann-, propose Vanil.

    -Quella donna non è in grado di prendere alcuna decisione-, disse stizzita Sif.

    -Può darsi, ma attraverso lei, tutto il popolo potrà sapere-, rispose il Rowe.

    -Vogliamo davvero questo?

    -Di sicuro, è meglio che comportarsi come Svalror-, intervenne Aurial.

    -C'è altro?

    Gli esploratori si guardarono negli occhi. L'uomo parlò.

    -Non abbiamo potuto vedere altro. Siamo stati scoperti poco dopo; una guardia ci ha fermato, e ha avuto dubbi riguardo il nostro accento in lingua orientale. Un massacro.

    -Quando arriverà la guerra?

    -Presto, temo. Molto presto. Ma…

    L'esploratore si arrestò. Cadde in avanti, senza vita. Aveva una freccia conficcata nella schiena.

    -Vanil! Attento!-, gridò Sif. Da dietro un albero, spuntò un assassino, che brandiva un pugnale. La ragazza deflesse un colpo che avrebbe ucciso il Rowe, e affondò entrambe le asce nel collo dell'uomo, che morì in un gorgoglio di sangue.

    L'Aranei, nel frattempo, si era lanciato in avanti, e aveva sgozzato l'arciere che aveva scagliato la freccia.

    L'esploratrice superstite, in preda al dolore per la morte del compagno, si guardò intorno con attenzione, freneticamente.

    -Là! Un altro, fra i cespugli!

    Sif si catapultò in avanti, gettando a terra un guerriero che si celava fra le frasche. A cavalcioni su di lui, portò le sue asce all'altezza delle spalle dell'uomo.

    -Prova a muoverti, e le tue braccia rimarranno a terra-, lo minacciò.

    -Sciocchi. Il Maglio non si preoccupa di voi feccia-, rispose quella.

    -Il Maglio di Freyrdom? Ancora?!-, esclamò Aurial, stizzito.

    -Cosa volete ancora da noi? Il vostro Falso Profeta se n'è andato! Non ci serve una guerra civile adesso!

    -Il Falso Profeta? Lui era solo una parte del nostro progetto. La theann governa senza un thane, sputando in faccia alle tradizioni e agli dei. E nonostante anni di ricerca, ancora non abbiamo trovato il vero erede del Campione del Nord. Non capisci, uomo? Forse quell'erede non c'è nemmeno! Gli dei ci hanno voltato le spalle, dopo l'uccisione del Kevardren. Ed è tutta colpa vostra!

    -Cani invasati-, rispose l'Aranei, sprezzante. Si voltò.

    In lontananza, qualcuno stava correndo via.

    -Ce n'era un altro!-, gridò il re.

    -Bisogna fermarlo. Il Maglio non deve sapere gli affari del Rothindel. Non deve sfruttare queste tensioni a suo favore!

    L'esploratrice mise mano al suo arco, mirò, e scoccò un dardo. Esso si andò a conficcare per terra, appena dietro l'uomo in fuga.

    -Dannazione. È troppo lontano-, disse, rassegnata.

    Vanil sbuffò, le strappò di mano l'arma, e si mise in posizione. Mirò molto in alto, e lasciò partire una freccia, che descrisse una parabola lunga, prima di andarsi a piantare nella testa del fuggiasco. Il cultista cadde a terra senza un suono.

    -No!-, gridò il seguace del Maglio superstite.

    -Dove hai imparato a tirare con l'arco?-, chiese Aurial meravigliato.

    -Tutto merito di Andrafil. Ma venite, abbiamo bisogno di altre risposte da parte di questo omuncolo.

    -Non avrete niente da me. Minacciatemi pure; non posso tornare dagli altri, mi ucciderebbero per aver fallito. Sono già morto in ogni caso.

    L'Aranei mise mano a Jornu e Balor, le sue leggendarie lame. Issò con rabbia l'uomo in piedi, sbattendolo violentemente contro un tronco d'albero, e lo sventrò con una precisione chirurgica.

    Il sangue scorreva a fiotti, mentre la testa di quell'uomo si accasciava di lato. Aveva un sorriso stampato nel volto, come di chi ha appena conquistato un'amara vittoria. La sua espressione vittoriosa scomparve presto, appena si accorse di non star morendo.

    -Chiama i tuoi uomini, Vanil, che scortino quest'uomo alle infermerie di Boldr e che gli venga prestato il primo soccorso. Subito-, disse Aurial. Poi si avvicinò al cultista.

    -Ti piace? È una tecnica che chiamiamo Danza del macellaio. Se ho fatto bene i miei calcoli, c'è abbastanza tempo per fermare l'emorragia e consentirti di vivere. Ma, ahimè, perderai l'uso delle braccia. O delle gambe, non ho mai capito da cosa dipende. Ma non ti serviranno, visto che trascorrerai il resto della tua patetica vita in una prigione, non sei d'accordo?

    Il Cultista, inorridito, cercò di agitarsi per scappare; ma le forze lo avevano abbandonato. Sopraggiunse la scorta a cavallo di Vanil. Due dei guerrieri portarono via quell'uomo.

    -No! Maledetto bastardo! Dirò tutto! Arriverà la guerra, mi sentite? La guerra! E i vostri re non vogliono dirvelo!-, gridava il cultista, con voce sempre più debole, mentre lo portavano via.

    -Non dategli retta, è diventato pazzo per il dolore! Oppure dategli retta se volete, che differenza fa? La prossima volta ci penserai bene prima di uccidere un fratello del Rothindel dinanzi a me, figlio di puttana-, gridò Aurial. Poi si voltò e tornò verso Sif, con uno sguardo sereno, come se niente fosse successo.

    -Hai le spade intrise di sangue-, lo informò la mercenaria.

    L'Aranei, che stava per rinfoderarle, le guardò bene. Scosse il capo con approvazione, poi andò a pulirle sul mantello di un cultista morto.

    -Era uno dei migliori-, disse Vanil, inginocchiandosi davanti all'esploratore morto. L'esploratrice aveva fatto lo stesso, adagiando la testa sul suo petto freddo.

    -Che gli vengano tributati i massimi onori. È un eroe, e possiamo solo sperare che Odino sia clemente con lui, concedendogli un aldilà radioso, nella fortezza eterna-, ordinò Aurial ai due uomini di scorta che erano rimasti.

    -I corpi di questi… invasati, che vengano gettati nelle acque putride della palude.

    I due guerrieri presero congedo.

    -E adesso?-, chiese Sif, incrociando le braccia.

    -Adesso dobbiamo portare il messaggio alla theann-, propose Vanil.

    -Credi che possa servire?-, chiese l'Aranei, facendosi serio.

    -Non lo so. Ma ho visto di cosa è capace, e non vorrei che ci facesse passare per dei cospiratori.

    -Già, ne sarebbe capacissima. Quella donna è un demone dell'Abisso.

    -Se solo Rocai fosse qui-, disse Sif, quasi senza pensarci. Si rese conto subito dopo di aver detto qualcosa che non aveva molto senso, in quel frangente; ma, osservando i volti dei suoi compagni, si avvide che pensavano la stessa cosa.

    -Beh, è da parecchio che non vado a Rothin. Sarà meglio degnare quel branco di idioti di una visita. Ti unisci a noi?-, chiese Aurial all'esploratrice colchirea.

    -No, vi ringrazio. Ho una missione da compiere: accertarmi che i nomadi non approfittino di questi tempi difficili per colpirci. Mi dirigerò a ovest.

    -Molto bene. Che Odino ti accompagni.

    -Andiamo, allora. Ho lasciato il mio cavallo in custodia alle guardie di Boldr-, disse Vanil.

    -Davvero? Non credo che lo rivedrai tanto presto, allora-, disse Sif, divertita.

    Il Rowe ci mise qualche secondo a realizzare che aveva dato il suo magnifico purosangue alle mani peggiori di tutto il nord.

    -Non preoccuparti, puoi avere uno dei miei. L'importante, ora, è che tutti sappiano a cosa andiamo incontro-, concluse Aurial.

    -E a cosa andiamo incontro?-, chiese la mercenaria.

    -A niente di buono. Come sempre-, intervenne Vanil, sospirando.

    L'esploratrice si diresse a sud; evidentemente, aveva lasciato il suo cavallo poco lontano, e contava di ritrovarlo, sperando che il Maglio non gli avesse fatto qualcosa.

    I tre guerrieri, invece, camminarono in silenzio verso il portone di Boldr. Il Rowe attese all'esterno che Sif e l'Aranei uscissero coi cavalli; poi, seguiti da un drappello di soldati Selvgrimm, partirono subito alla volta di Rothin.

    La Catena di Daimnir, in lontananza, risuonò come uno strumento cavo, producendo un suono lugubre, che ricordava i corni da guerra.

    Il nord sembrava presagire la tempesta di sangue che si sarebbe abbattuta sul popolo. Nessuno poteva sapere se il Rothindel sarebbe stato pronto.

    Capitolo 3

    -Come sta Senza-nome?-, chiese Sif, mentre ondeggiava delicatamente sulla schiena del suo cavallo bianco.

    -Come sempre. Si fa in quattro per Hersir, ma ancora non ha deciso che nome prendere. Dice che non si sentirà un vero nordico prima di aver adempiuto a qualcosa di veramente importante-, rispose Vanil, stringendosi nelle spalle.

    -E cos'è veramente importante per lui?

    -Non lo sa ancora.

    Si udì un suono lamentoso levarsi da dietro le colline del Landras.

    -Lupi. Fortunatamente, siamo già quasi a Rothin-, disse Aurial, stringendo le redini del suo cavallo.

    Gettò uno sguardo verso l'orizzonte, senza riuscire a discernere niente oltre le macchie di alberi. In quei vent'anni, il Landras, la terra di Rocai, era tornata a vivere. Le tracce degli incendi e delle razzie erano scomparse, i villaggi erano stati ricostruiti, i boschi ripopolati, sebbene a volta da animali tutt'altro che amichevoli. Persino Breidh, giù al passo per l'Oriente, era stato ricostruito, dotato di difese ulteriori.

    Ricordò che c'era una caserma, poco lontano da quel villaggio. C'era un capitano lì, di nome Masdral, che si era distinto nella guerra contro Mathrayyidi grazie al suo valore.

    Le mura di Rothin risplendevano come di luce propria, sotto il sole morente. Le guglie della reggia dei thane ostruivano a tratti i raggi luminosi, e in quel momento, si riuscivano a vedere le grandi mura e la collina del castello.

    Aurial, Sif e Vanil, scortati dai guerrieri Selvgrimm, arrivarono davanti al portone della città.

    -Identificatevi!-, gridò una guardia sopra il cancello.

    -Chiedi a tua madre di venire qui, lei mi riconoscerà di sicuro-, gli rispose l'Aranei di rimando.

    -È il re-, bofonchiò qualcun altro sugli spalti.

    Il portone si aprì.

    La città era frenetica, e la vita scorreva tranquilla. La gente camminava per le vie, indaffarata, portando con sé figli o strumenti, passeggiando.

    Nessuno sembrò notare la presenza di Aurial e del suo seguito.

    I cavalli si trascinarono pesantemente su per il declivio. Una volta arrivati in cima, i cavalieri smontarono, e affidarono i loro animali allo stalliere.

    -Speriamo che sia ancora sveglia, e non stia facendo i suoi bagni di bellezza-, mormorò l'Aranei.

    -Non hai una grande opinione della theann, vero?-, gli chiese Vanil, scuotendo gli stivali sulla soglia.

    -Non ho una grande opinione di quasi nessuno, al mondo.

    -Nemmeno di me?

    -Tu? Mettiamola così: se un orso ti stesse sbranando e io avessi con me arco e frecce, attenderei pazientemente che finisse di mangiarti, poi lo abbatterei, e commemorerei il tuo nome con un banchetto.

    -Eloquente.

    Sif precedeva i due uomini lungo il corridoio per la sala del trono. Aveva un'espressione preoccupata. Primo, perché anche lei disprezzava infinitamente la theann; secondo, perché il colloquio che si sarebbe tenuto di lì a poco non avrebbe cambiato nulla; terzo, perché sentiva una gran voglia di cavalcare ancora, di andare via lontano, ma sapeva che non sarebbe servito.

    Un uomo smunto e dall'aria goffa si parò davanti ai visitatori.

    -Edor! Sei vivo!-, gridò l'Aranei, congiungendo le mani e portandosele al mento.

    -Non… non dovrei, sire?-, rispose quello.

    -Sì, sì, dovresti. Forza, annunciaci alla padrona.

    Il servitore si inchinò, ed entrò nella sala del trono.

    -Ah, se ti capita davanti quel pagliaccio imbalsamato del suo consigliere, porgigli i miei più irriverenti saluti!-, gridò ancora il re dei Selvgrimm.

    Vanil lo guardò con sguardo di ammonizione. Lui, per tutta risposta, si strinse nelle spalle. Sif sorrise.

    -Ho sentito. Avanti-, disse una voce femminile, da dentro.

    Il Rowe aprì la porta. La sala del trono era rimasta perlopiù immutata. Alcuni vecchi arazzi erano stati rimpiazzati da nuovi drappi, e le armi splendevano, prive di incrostazioni e ruggine. Molte guardie si celavano ai quattro angoli della stanza, e i tavoli erano disposti a festa, con pane fresco e fragrante appoggiati nei piatti.

    Sul trono del thane sedeva Nidavel. Indossava una veste semitrasparente, per niente adatta a una governante, che faceva indovinare le forme sottostanti. La donna si avviava verso i cinquant'anni ormai, ma era ancora bella e desiderabile; cosa rara, nel nord.

    Accanto a lei, seduto su una sedia ben più povera, stava un ragazzotto tutto impettito, dal volto indiscutibilmente piacente e seducente, ma dai modi di fare di chi vuole apparire più importante di quanto realmente non sia.

    Il tipico atteggiamento che, di fronte a gente dello stampo di Aurial e Sif, non sarebbe durato due minuti.

    Il ragazzo indossava un abito cerimoniale, da gran ciambellano; era blu con fasce e finimenti neri, e aveva una sciarpa di pizzo azzurro.

    -Benvenuti-, disse la theann, alzandosi in piedi.

    Vanil si inginocchiò quasi fino a terra. L'Aranei e Sif incrociarono le braccia, rimanendo immobili e fissandola negli occhi.

    -La vostra regina vi ha salutato-, continuò il ragazzotto vicino al trono. Aveva abbondanti capelli castani e occhi verdi come lo smeraldo.

    -Sarebbe bene ricambiare il saluto.

    Aurial si voltò verso di lui.

    -Oh, mi sembrava di aver visto delle strisce di bava lungo il pavimento. Come te la passi, Ssydrug?-, chiese il re, con vivo interesse.

    -Non c'è male. Ho udito le ingiurie ai miei danni, pronunciate da voi nel corridoio. Ma farò finta di niente, in nome della nostra amicizia.

    L'Aranei sospirò annoiato. Si avviò lentamente verso il trono, sotto gli occhi dei presenti, che stavano in silenzio.

    Portò il volto a pochi centimetri da quello del consigliere.

    -Sei un pagliaccio imbalsamato, e ti porgo i miei più irriverenti saluti-, disse il re, scandendo bene le parole. Poi si voltò, tornando verso Vanil.

    Ssydrug lo osservava con rabbia impotente.

    -Guarda, Aurial, credo che al mollusco stia crescendo la spina dorsale. Ti sta sfidando con lo sguardo. Ehi, mollusco, che ne dici di un duello fra me e te? Ti consento persino di scegliere che arma usare. Va bene un paletto di legno, o è troppo avanzato?-, disse Sif, divertita.

    -Adesso basta. Se avete qualcosa da dirmi, farete bene a dirmelo. O devo pensare che siete venuti qua solo per insultare il mio caro consigliere?-, fece la theann.

    -Ogni momento è buono per insultare il tuo amante, Nidavel. Ma stavolta siamo qui per un fine più nobile, strano a dirsi. Avanti, Vanil, a te l'onore di esporre il problema.

    Il Rowe fu tirato in mezzo all'improvviso. Balbettò qualcosa di sconnesso, poi cominciò a parlare.

    -Mia signora, alcuni dei miei esploratori sono stati abbastanza fortunati da tornare dal fronte orientale. Gli uomini del Gran Re si stanno preparando alla guerra, ora come venti anni or sono. Non possiamo contare sull'aiuto di alleati; abbiamo soltanto il nostro spirito e il nostro acciaio. Come se non bastasse, uno dei due esploratori superstiti è stato ucciso in un'imboscata del Maglio di Freyrdom, tutt'altro che estinto. La situazione è vaga, sappiamo soltanto che ha il potenziale di essere molto grave, e siamo giunti sperando di udire un parere illuminato.

    Aurial si era diretto verso le tavole, e mangiava pezzi di pane uno dopo l'altro, occasionalmente riempiendo boccali di idromele. Ssydrug non aveva nemmeno ascoltato l'esposizione di Vanil, e si era messo a guardare Sif. La osservava con uno sguardo ammiccante, con un sorrisetto pronunciato a metà. Lei, per tutta risposta, socchiuse le palpebre, come se si stesse concentrando su un nemico da uccidere, e tirò su il labbro, come un animale feroce. Il consigliere interruppe il contatto visivo all'istante.

    Nel frattempo, la theann era rimasta in silenzio.

    -Andiamo nella sala dei ricevimenti, al piano di sopra.

    Il piano superiore del castello appariva più pulito, ora; le famiglie di ragni erano state scacciate, e c'erano più bracieri, e quindi più luce. Gli alloggi del thane, comunque, rimanevano ermeticamente chiusi a chiave.

    La stanza dei ricevimenti era stata decorata, e ora sembrava davvero adempiere al suo compito di seconda sala del trono. Lo sgabuzzino di Silsimibaum, sul lato destro, era socchiuso, e si intravedeva che era stato riadattato a latrina reale.

    Metto anche questa sul tuo conto, strega, pensò Aurial, con rabbia.

    Nidavel si sedette sul seggio regale. Tutti gli altri si disposero intorno alla tavola dalla forma rotondeggiante, sulla quale era srotolata una mappa del nord e dei regni confinanti.

    Vanil si avventò su quel pezzo di carta. Lo stratega che era in lui stava già macchinando qualcosa.

    -I nomadi a ovest non ci aiuteranno mai. Non costituiscono un popolo unitario, e hanno motivi per odiarci. Feldmora, la terra dei mercanti e dei druidi, è troppo gravosa come alleata, e ci perderemmo nelle più noiose burocrazie che esistano ancora prima dell'arrivo della guerra. Le Borland sono allo sbando, i Falsavi sono stati annientati anni addietro, l'Isola dell'Ovest nutre profondo rancore verso di noi dopo gli eventi di Tor-daal-, cominciò a parlare il Rowe, con sguardo attento e concentrato.

    -Cos'è successo a Tor-daal?-, chiese Sif a Aurial, in un bisbiglio.

    -Mio padre me ne ha parlato, qualche volta. Si tratta di una guerra, che lui combatté personalmente. Ma questa è un'altra storia-, rispose l'Aranei.

    -L'unica che potrebbe aiutarci è Helgirth, ma non ne trarrebbe alcun vantaggio; anzi, probabilmente si schiererebbe con l'Oriente. Valoria e Shun'koras sono troppo lontane dal conflitto per avere anche il minimo interesse nei nostri affari, e lo stesso discorso vale per le terre al di là dei nomadi. È incredibile come intorno a noi ci sia solo terra bruciata. Forse dovremmo…

    Vanil fu interrotto da un perentorio gesto della mano della theann.

    -Il nord da sempre è un regno di conquistatori. Ci siamo fatti tanti nemici, troppi. E prima di muovermi in qualsiasi direzione, ho bisogno di essere sicura che le mie fonti siano attendibili, dal momento che dovrò affidarmi al solo esercito del Rothindel-, disse la donna.

    -Non essere sciocca, Nidavel. Per quanto tu mi odi e io odi te, non verremmo mai qui per raccontarti fandonie. Anzi, ci stiamo tutti preoccupando per il futuro di questo dannato paese-, intervenne Aurial.

    -Ti sconsiglio di parlare così alla tua regina!-, disse Ssydrug, alzandosi in piedi, impettito.

    -Rimettiti a sedere, maiale, o non ti rimarranno le gambe per camminare-, sibilò Sif, scuotendo le asce.

    Il consigliere si gettò prontamente sulla sedia.

    -Come posso affidarmi a gente che tratta così i miei sottoposti?-, continuò la theann.

    -Il tuo sottoposto mi ha appena dato del tu, alzando la voce contro un re. Sai bene che sarebbe mio diritto squartarlo come un animale qui e ora. Ma non mi va di sporcarmi del suo sangue marcio, e inoltre, come ho detto, siamo qui per un fine più nobile-, rispose l'Aranei.

    -Nidavel. Tuo marito, a suo tempo, davanti all'evidenza preferì comportarsi da bambino capriccioso. Se il capitano Sturduson non fosse intervenuto quel giorno, a rimediare alla catastrofe, probabilmente oggi il Rothindel sarebbe una provincia orientale-, cominciò Vanil.

    Sif sospirò amareggiata.

    -Scusa, guerriera, non volevo nominarlo per farti stare male. Era un eroe, che ha ovviato laddove il nostro thane ha mancato. Fatto sta, mia signora, che adesso abbiamo l'occasione di organizzare una difesa contro qualunque minaccia possa provenire dai valichi.

    La theann si portò una mano alla bocca. Aveva su di sé lo sguardo spento e rabbioso di Sif; la mercenaria, in presenza della regina, non faceva che pensare a modi di fargliela pagare, a come ucciderla nel momento più propizio.

    -Sta bene. Mio marito il thane, pace all'anima sua, commise degli errori, è vero. Non è bene che vengano ripetuti. Cosa proponi, Vanil?

    -Non sappiamo la grandezza dell'esercito orientale. Sappiamo che sono tanti, e che c'è un gran vociferare di vendetta contro il nord. Invierò altri esploratori, che tengano d'occhio il valico dall'alto; sia questo che si affaccia su Rothin, sia quello a sud, vicino al villaggio di Breidh. Con un buon sistema di comunicazione, potremo prevedere le loro mosse con largo anticipo, qualora decidessero di muovere a sud. Nel frattempo, raduna i tuoi uomini; che una parte raggiunga il Landras, e l'altra rimanga a difesa di questa città. Io mi dirigerò a Hersir, e darò disposizioni agli esploratori.

    -Sta bene. Che altro?

    -Crediamo che il popolo debba sapere cosa sta succedendo. È inevitabile, visto che l'esercito si stanzierà qui. Sarà meglio informarlo prima possibile, cercando di mantenere la tranquillità pubblica.

    -Il popolo non è in grado di capire queste cose-, intervenne Ssydrug, sprezzante.

    -Nemmeno tu, eppure ora il tuo grasso sedere poggia in mezzo ai capi del Rothindel-, aggiunse prontamente Sif, troncando ogni possibile risposta.

    Aurial rise divertito.

    -Mi sembra giusto. Ci sono altre questioni?-, chiese la theann, ignorando i due consiglieri.

    -Non che vogliamo farti sapere-, rispose l'Aranei.

    Vanil lo guardò sconcertato.

    -Bene. Allora possiamo andare, direi. Rowe, affido a te gli spostamenti di spionaggio verso l'Oriente. Parla col capitano della guardia, giù nella sala del trono; dagli le istruzioni che ritieni necessarie per la divisione delle truppe. Lui provvederà al resto. Io mi occuperò di informare il popolo; stasera, in piazza, parlerò alla gente.

    Sif, Aurial e Vanil si alzarono in piedi.

    -Un momento. Aranei, dovresti rimanere qui ancora un po'. Non preoccuparti, non voglio tenderti un agguato. Non ci sono guardie qui, né nessun altro. Ma ci sono importanti questioni private di cui parlare.

    Il re dei Selvgrimm annuì. Quando si trattava di questioni legate alla sicurezza del regno, la voglia di scherzare passava anche a lui.

    -Andiamo, Vanil, ti accompagno. Ci vediamo di sotto, Aurial-, disse Sif, portando il braccio intorno alla vita del Rowe, e uscendo dalla stanza.

    Ssydrug era rimasto seduto, in silenzio. Aveva lo sguardo di un tonno appena pescato.

    -Ehi, babbeo, la theann ha detto a me di rimanere. Puoi andare. Anzi, devi andare-, disse l'Aranei.

    Il consigliere, indignato, guardò verso la sua regina. Lei scosse la testa, e indicò la porta.

    Il ragazzotto si alzò e, con portamento risentito, uscì dalla stanza.

    -Se cammini così, tutti penseranno che hai un bastone lungo la schiena! O peggio!-, gli gridò il re dei Selvgrimm.

    La porta si chiuse alle spalle di quell'omuncolo insignificante.

    -Allora, theann, di cosa mi vuoi parlare? Di come affrontare la situazione del Maglio? Negoziare la resa all'Oriente? Oppure vuoi davvero soltanto uccidermi?-, chiese Aurial, sbadigliando.

    -Niente di tutto questo. Ti chiedo soltanto di andare a vedere cosa c'è in quello sgabuzzino-, rispose lei, indicando lo stanzino di Silsimibaum.

    L'Aranei si alzò, e andò a vedere. Non entrò del tutto nella cella: temeva qualche scherzo da parte di Nidavel, e si limitò a gettare un'occhiata all'interno.

    Appariva come un ambiente più pulito, anche se comunque piuttosto polveroso. Si vedeva che non veniva usato spesso, e le pesanti pietre della parete erano state risistemate di fresco. L'indignazione che Aurial aveva provato nel sapere trasformato l'ambiente del vecchio folle si era un po' smorzata, vedendo il risultato.

    -Non vedo niente di strano, qui dentro. Avevi paura che ci fosse un topo o cose simili?-, chiese il re dei Selvgrimm. Si voltò.

    Dietro di lui, Nidavel si era completamente spogliata dei suoi abiti. Completamente nuda, si era seduta sul bordo della tavola, con le gambe aperte.

    Il vestito era stato gettato poco lontano. La donna aveva lo sguardo di qualcuno che non riuscisse più a controllarsi, e si stava passando una mano nei capelli. Nonostante l'età, il suo corpo era ancora desiderabile.

    L'Aranei rimase immobile. Non era certo la prima volta che gli capitava una cosa simile, ma mai aveva pensato di trovarsi in quella situazione con la theann.

    -Sei un maledetto scorbutico, ma so che anche tu hai dei… bisogni-, disse Nidavel, con voce suadente.

    -Vieni qui. Prendimi ora. Il popolo sa che ci odiamo, e non saprà mai di questo momento.

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