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I segreti tecnologici degli antichi romani
I segreti tecnologici degli antichi romani
I segreti tecnologici degli antichi romani
E-book406 pagine7 ore

I segreti tecnologici degli antichi romani

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Info su questo ebook

Dal foro romano alle terme, dallo star system al mercato globale: un viaggio nella società più moderna della storia

Un viaggio nel passato che è un ritorno al futuro per capire che siamo moderni come gli antichi romani 

La tecnologia non è un’invenzione dei tempi moderni, ma accompagna la vita dell’uomo da sempre. Nella sua accezione antica, indicava il “saper fare”, ovvero la capacità di trovare soluzioni tecniche per migliorare le condizioni di vita della collettività. E proprio questa capacità è stata la chiave del successo intramontabile di Roma. Storie, curiosità, gossip e aneddoti ci conducono alla scoperta di una mentalità moderna, pratica e lungimirante che è penetrata nel nostro DNA. Sbirciando i segreti con cui i romani hanno progettato la città, gestito l’Impero e organizzato il tempo libero, ovvero svelando la più grande “invenzione” di questa intramontabile civiltà – il suo sistema di vita – si tocca con mano che il modus vivendi di gran parte della società contemporanea è una versione aggiornata di quello degli antichi romani e che, in sostanza, siamo moderni come loro. Ma ci si accorge anche che, per alcuni aspetti, erano molto più avanti di noi e potrebbero ancora ispirarci per migliorare il nostro futuro. 

Tutto questo c’era già nell’Antica Roma: seguiteci nei luoghi che hanno cambiato il futuro! 

Le viae come moderne autostrade 
Globalizzazione e cosmopolitismo
Il Foro romano: centro della vita politica
Tra welfare e consenso: la politica del panem et circenses
Lo struscio al Foro e gli affari degli altri 
Cultura del cibo e l’arte di mangiare bene
Le insulae: i condomini della plebe
Quando le donne scesero in piazza

...e molto altro ancora
Giulia Fiore Coltellacci
È nata a Roma nel 1982. È giornalista pubblicista e ha collaborato con la RAI scrivendo e conducendo trasmissioni radiofoniche dedicate alla cultura. Ha pubblicato Rome sweet Rome. Roma è come un millefoglie e, per la Newton Compton, 365 giornate indimenticabili da vivere a Roma, I libri che ci aiutano a vivere felici e I segreti tecnologici degli antichi romani.
LinguaItaliano
Data di uscita9 nov 2016
ISBN9788854199682
I segreti tecnologici degli antichi romani

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    Anteprima del libro

    I segreti tecnologici degli antichi romani - Giulia Fiore Coltellacci

    Introduzione

    Roma, sovrana della terra e dea dei popoli,

    che nulla raggiunge e nulla nemmeno sfiora…

    Marziale

    La cosa più incredibile e affascinante che si scopre avventurandosi in un viaggio nella storia dell’antica Roma è che di antico non c’è proprio niente. A ben guardare, anche le rovine che disegnano lo skyline della capitale non sono reperti archeologici di un passato remoto, ma la più viva testimonianza della modernità dei nostri antenati, di quello spirito pratico e concreto – qualità non di un singolo uomo ma di un intero popolo – che ha decretato il successo intramontabile di questa civiltà. Le tracce dell’antica Roma, poi, non vanno cercate solo nelle aree archeologiche, ma anche nella nostra vita quotidiana, nelle abitudini, nella mentalità, nelle pratiche sociali, nella cultura, nella politica e perfino nei malcostumi. Da questo punto di vista, anche i monumenti diventano degli straordinari manifesti pubblicitari del "roman way of life", quello stile di vita che all’epoca conquistò quasi tutto il mondo allora conosciuto e di cui noi siamo figli legittimi. Se per creare un impero sconfinato, infatti, c’è voluta la forza di un esercito imbattibile, per mantenerlo stabile così a lungo c’è voluta la grandezza di un ingenium fuori dal comune, la capacità di conquistare e sottomettere non solo attraverso la politica economica e militare, l’hard power, ma anche e soprattutto attraverso la diffusione della propria cultura e del proprio stile di vita, il soft power. E il successo intramontabile di questa intuizione è riconfermato dal fatto che ancora oggi, in sostanza, il modus vivendi di gran parte della società contemporanea è una versione aggiornata di quello degli antichi Romani. In questo senso, Roma è ancora il caput mundi, visto che mezzo mundi (anche senza saperlo) vive della sua eredità.

    Curiosando nel modo in cui i Romani progettarono l’Urbe, gestirono l’impero e organizzarono il tempo libero, ovvero curiosando nel modo in cui pensarono il loro sistema di vita, ci accorgeremo non solo che noi oggi siamo moderni come gli antichi Romani, eredi legittimi della loro mentalità e cultura, ma che, nonostante le innumerevoli contraddizioni di una società complessa in continuo cambiamento, per alcuni aspetti loro erano molto più avanti di noi e potrebbero ancora ispirarci per migliorare il nostro futuro, suggerendo perfino qualche soluzione a questioni di stretta attualità come welfare, sanità pubblica, istruzione, giustizia, diritti civili, integrazione, razzismo, femminismo, abusi di potere, benessere sociale. Soffiata via la patina dei polverosi stereotipi e dei roboanti fatti storici, messi per una volta in secondo piano i grandi eventi e le epiche battaglie, saranno i piccoli episodi di vita pubblica e privata, i personaggi più o meno famosi pizzicati nei loro risvolti più inaspettati, e i tanti resti archeologici calati nella loro realtà quotidiana, a rivelarci che, in sostanza, la vita nell’antica Roma non era poi così diversa da quella di ogni grande capitale contemporanea.

    Ci divertiremo a scoprire che Roma era una metropoli multirazziale e vivace, già all’epoca le sue strade erano sporche e caotiche, c’era il blocco del traffico, la raccolta dell’organico e la piaga dei venditori ambulanti e abusivi, regolarmente sanzionati. Ma era già una città d’arte dove i ricchi erano obbligati per legge a sovvenzionare opere pubbliche, preservare e valorizzare il patrimonio artistico e culturale a vantaggio della collettività che così veniva educata alla bellezza e cresceva nella bellezza. Senso estetico e funzionalità non erano mai disgiunti e perfino le infrastrutture erano opere d’arte, comprese le fogne, gli acquedotti e pure i bagni pubblici. Le viae erano autostrade ante litteram disseminate di autogrill e motel, i ricchi possedevano splendide case in città dotate di tutti i comfort (acqua diretta, termoautonomo, toilette, palestra) e lussuose seconde case per le vacanze al mare o in campagna. Nella capitale già esistevano i grattacieli e i giardini verticali, gli affitti (e pure i subaffitti) erano alle stelle e la speculazione edilizia un’abitudine. Il barbiere era il luogo deputato per i pettegolezzi, i portici quello per lo struscio, il mercato per la spesa e le tabernae per lo shopping, mentre per il sesso a pagamento erano previsti quartieri a luci rosse.

    Ci renderemo conto, con soddisfazione, che i Romani avevano intuito che l’integrazione era l’unico modo per gestire la globalizzazione, che la meritocrazia era un investimento, che il mercato globale necessitava di una moneta unica e di un unico corpus di leggi. Puntando su un concetto di welfare che mirava, non senza un evidente tornaconto, a garantire benessere ai cittadini, avevano previsto buoni pasto, medico della mutua, istruzione pubblica e soprattutto divertimenti gratuiti (e Circo Massimo e Colosseo non avevano nulla da invidiare, per capienza e servizi, ai moderni stadi). La cultura era intesa come un bene di prima necessità e quindi era accessibile a tutti: la città era dotata di musei sotto i portici, disseminata di numerose librerie ed enormi e fornite biblioteche gratuite si trovavano perfino nel tempio del benessere, le terme. Antesignane delle moderne Spa, dove tra percorsi terapeutici, bagni caldi, freddi, massaggi e attività sportiva si facevano public relation, le terme non erano un lusso da concedersi di tanto in tanto ma una sana abitudine quotidiana per tutti, praticamente a costo zero. Anche perché forse qualcuno lo ignora, ma i nostri antenati erano fissati con le cure estetiche, proprio come noi: si depilavano e si tingevano i capelli bianchi (uomini compresi), le donne si truccavano, usavano le extension, le creme solari e anche quelle antirughe. Si ha notizia perfino di un intervento di liposuzione! Le signore, poi, già avevano la mania dei gioielli vistosi e delle scarpe, indossavano il bikini e pure il push up. Le matrone erano molto emancipate, in tutti i sensi, proto-femministe e in alcuni casi anche scandalosamente attiviste. I matrimoni d’interesse erano la regola e il divorzio era breve. Non mancavano la corruzione in politica, le campagne elettorali all’insegna della diffamazione, il clientelismo, la ricchezza come status symbol, i processi spettacolo, i sexygate, i grandi investitori e gli squali della finanza, ma c’era anche la cultura dell’otium e, soprattutto, quella della buon cibo.

    Seguendo i Romani a tavola, scopriremo che amavano la cucina multietnica, pasteggiavano a vin brulé, ostriche e foie gras, i cuochi erano dei veri masterchef, il vino era un business, c’erano già i sommelier e pure i cocktail, il fast food non è un’invenzione americana, lo street food era un’abitudine, gli sprechi alimentari si combattevano con un doggy bag ante litteram, mangiavano i french toast e una simil-cheesecake.

    Finiremo anche con lo smascherare le debolezze dei grandi personaggi storici, e allora scopriremo, tra l’altro, che Giulio Cesare, valoroso condottiero, uomo politico di straordinaria lungimiranza e tombeur des femmes (e des hommes) si depilava (ma d’altra parte era un divo, il divo Giulio), che Augusto e Livia erano una couple power alla Bill e Hillary Clinton (sexygate compreso), che il triumviro Crasso era uno speculatore edilizio senza scrupoli e ricco sfondato, che Cicerone oltre ad essere un grande oratore era uno scaltro uomo d’affari, abile con le parole quanto con i soldi, e che l’implacabile e severo Catone il Censore era golosissimo.

    Muovendoci tra aneddoti, abitudini quotidiane, fatti di cronaca, personaggi storici e gossip, raccontati con dovizia di particolari dagli stessi contemporanei, e concedendoci alcune passeggiate archeologiche nei luoghi che hanno cambiato il futuro, si compone un colorato puzzle di curiosità che consente al passato di farsi vita vivente e vissuta, alla storia di diventare quanto mai attuale. Così l’aneddoto si trasforma in conoscenza per scoprire alla fine che questo viaggio nel passato è un ritorno al futuro. Conoscere Roma vuol dire conoscere noi stessi. Perché Roma non è mai stata solo una città, ma un sogno, un’idea, un sistema, un mondo e un modo di vivere. Eterno.

    L’arte di costruire una città

    s.p.q.r.: sono Pratici Questi Romani

    Da piccolo villaggio di pastori sulle rive del Tevere, Roma riuscì nell’impresa di trasformarsi nella Città Eterna, una potenza internazionale, caput mundi di un impero vasto e longevo, un unicum nella storia, e il suo sistema di vita – il sistema Roma– è ancora vivo nella società contemporanea. Cosa ha reso possibile questa incredibile impresa? «I Romani posero ogni cura in tre cose soprattutto, che furono invece trascurate dai Greci, cioè nell’aprire strade, nel costruire acquedotti e nel disporre nel sottosuolo le cloache». Come aveva già intuito e scritto nel i secolo a.C. lo storico Strabone nella sua Geografia, una delle armi vincenti di questo popolo fu proprio una straordinaria praticità unita a un’esemplare capacità organizzativa e a un grande senso dello Stato. L’esercito rese possibile l’enorme espansione dei confini, ma anche la formidabile perizia di ingegneri altamente qualificati permise la stabilità dell’impero, garantendone la solidità dalle fondamenta, proprio in senso letterale. Disseminando i territori conquistati di infrastrutture come strade, ponti, acquedotti e fogne, i Romani diffusero ovunque lo stile di vita dell’Urbe. E il modo di progettare e organizzare Roma divenne il modo di progettare e organizzare l’impero.

    È nell’architettura e nell’urbanistica che la produzione artistica romana ha dato il meglio di sé: come il fine estetico non era mai separato da quello pratico, allo stesso modo le opere architettoniche e urbanistiche rispondevano non solo all’esigenza politico-militare di organizzare in modo razionale i territori conquistati, ma dovevano anche e soprattutto assecondare i bisogni della popolazione. Era una forma modernissima di welfare urbano che concepiva la città come bene comune, un insieme di servizi e spazi pubblici pensati per i cittadini e per il loro benessere.

    La città doveva essere il più possibile a misura d’uomo, pertanto i suoi spazi e i suoi edifici erano funzionali al modus vivendi della collettività. Potremmo dire che la vita quotidiana ha influenzato la concezione urbanistica e viceversa, e che l’organizzazione dell’Urbe è l’espressione del pensiero romano. Roma era una Res publica (e poi un impero) fondata sul lavoro ed è partendo da questo presupposto che fu ideato il suo centro, ovvero il Foro. Metà giornata, quella dedicata al lavoro, ovvero al negotium, si trascorreva qui e qui hanno trovato posto tutti gli spazi utili allo svolgimento degli affari riguardanti la politica, l’economia, la religione e la vita sociale. L’altra metà della giornata era riservata allo svago e al benessere fisico e mentale, e anche l’otium, inteso come riposo dagli affari, aveva i suoi spazi: le terme per la salute fisica, le biblioteche per quella mentale, il circo, il teatro e l’anfiteatro per i divertimenti. Lo spazio creato per lo svago, vissuto intensamente dalla comunità che trascorreva più tempo per strada che in casa, come sosteneva Vitruvio nel De Architectura, doveva essere comodo, funzionale e piacevole da vedere perché la gente vi si recasse volentieri. Una concezione estremamente civile che riguardava la città tutta e che oggi sembra ancora non essere stata compresa fino in fondo. Il colpo di genio, poi, fu l’intuizione di esportare il modello urbanistico dell’Urbe in tutti i territori dell’impero in modo da diffondere ovunque la cultura e lo stile di vita romano. Tutte le più grandi città fondate dai Romani avevano il Foro, le terme e gli spazi del divertimento, proprio come la capitale.

    Interpretare il tessuto urbanistico e architettonico di Roma dal punto di vista della vita quotidiana consente di dare risalto alla grande modernità di questo popolo che aveva già compreso come la gestione dello spazio urbano sia determinante nell’influenzare la qualità di vita dei suoi abitanti.

    tutte le strade…

    «Strade? Dove andiamo noi non ci servono strade!». L’unico errore di un film praticamente perfetto come Ritorno al futuro è quest’affermazione, ovvero la convinzione – comune anche a tanta letteratura fantascientifica – che nel futuro (il 2015 nella pellicola di Robert Zemeckis) le strade sarebbero state inutili perché l’uomo avrebbe viaggiato a bordo di automobili volanti. Siamo arrivati nel tanto atteso futuro, il 2015 è alle nostre spalle, ma le strade ci servono ancora. Considerando che in gran parte d’Europa i moderni tracciati seguono le grandi arterie romane, possiamo ben dire che i nostri antenati hanno costruito la strada per il futuro e che a volte la vera fantascienza è semplicemente la lungimiranza.

    «Tutte le strade portano a Roma», ma potremmo anche dire che «le strade hanno portato Roma ovunque», in senso letterale e figurato. La nevralgica rete viaria che collegava l’Urbe a tutto l’impero è una delle testimonianze più efficaci e durature del genio ingegneristico e strategico di questo popolo. Se paragonate ad altre più complesse invenzioni tecniche, possono sembrare quasi banali nella loro semplicità ed è invece proprio attraverso di esse che Roma ha potuto diventare il caput mundi, centro nevralgico di gran parte del mondo allora conosciuto. La strada verso la prima grande globalizzazione della storia è stata aperta proprio grazie alle strade, che hanno innescato una rivoluzione dei trasporti paragonabile a quella che secoli dopo avverrà con la ferrovia.

    Ecco che entra subito in gioco una delle migliori qualità dei Romani: la praticità. Nate con lo scopo prettamente militare di consentire rapidi spostamenti all’esercito per espandere i confini verso l’area del Mediterraneo e del Nord Europa, le strade si rivelarono fondamentali anche per agevolare l’amministrazione e il controllo di tutti i territori conquistati che, nel momento della massima espansione, arrivarono a toccare tre continenti. Con una rete viaria che copriva una superficie di circa 80.000 chilometri, Roma rese più piccolo e gestibile il suo vasto impero proprio mentre lo ingrandiva a dismisura. Ne trasse vantaggio anche il commercio e la libera circolazione delle merci consentì a sua volta la libera circolazione di idee, culture e conoscenze, rendendo possibile integrare civiltà ed etnie diverse con un’unica lingua, un’unica moneta, un unico corpus di leggi e uno stesso stile di vita. Senza quella rete di strade, che teneva connesso tutto l’impero, la civiltà occidentale non avrebbe percorso il cammino che l’ha portata dov’è oggi.

    Una curiosità

    Tutte le strade portano a Roma

    Il famosissimo detto non è solo un modo di dire. Lo ha dimostrato recentemente Moovel Lab, un gruppo di ricerca tedesco che si occupa di studiare la mobilità e i trasporti attraverso complicatissimi calcoli e algoritmi. I ricercatori sono riusciti a visualizzare e riportare su una mappa tutte le principali strade che da circa 500.000 punti di partenza in Europa portano a Roma.

    le viae come moderne autostrade

    Con il termine via si intendevano principalmente le strade extraurbane che si diramavano da Roma per raggiungere i punti più remoti e strategici dell’impero. Generalmente prendevano il nome dalla località a cui giungevano, come la Tuscolana o la Tiburtina; dal console che le realizzava, per l’Appia e l’Aurelia; o dallo scopo per le quali erano costruite nel caso della Salaria, nata per garantire il commercio del sale. L’unica eccezione di viae urbane erano la Via Sacra e la Via Lata.

    Il tragitto di queste autostrade ante litteram era studiato con la massima cura e l’obiettivo era raggiungere la destinazione in tempi brevi e con il minimo di disagi. Il percorso era il più possibile rettilineo e gli ostacoli venivano superati senza troppi problemi adattandosi alla natura con l’ingenium: se c’era un fiume, si costruivano i ponti e se c’era una collina si realizzava un traforo, ma all’occorrenza gli ingegneri erano perfettamente in grado di rimuovere del tutto l’ostacolo, facendo sempre in modo di rispettare il paesaggio per deturparlo il meno possibile. La larghezza delle viae consentiva il transito di due carri negli opposti sensi di marcia e la pavimentazione era costruita con una stratificazione di ciottoli che garantiva stabilità e drenaggio. Le arterie più importanti venivano addirittura lastricate con pietre poligonali – il famoso basolato – che, non lasciando nessun interstizio, rendevano la corsa più veloce e il manto stradale idrorepellente, in modo che i mezzi di trasporto non si impantanassero in caso di pioggia o neve. Ai lati delle viae erano previsti marciapiedi, alberi ombrosi, pietre per sedersi e fontane per dissetarsi.

    Le strade dovevano durare nel tempo e quindi venivano realizzate in maniera estremamente scrupolosa, non si potevano perdere tempo e sesterzi a rattopparle… Secoli dopo i lastroni di pietra della via Appia sono ancora lì, mentre le strade di oggi sono perennemente piene di buche. L’efficienza del sistema autostradale era garantito da un’accurata manutenzione la cui supervisione competeva al prefectus vehicolorum che, come dovrebbe fare la nostra anas, controllava il buon funzionamento del servizio stradale grazie a squadre di curiosi il cui compito era viaggiare per riferire eventuali disservizi.

    Mettersi in viaggio all’epoca era sicuramente un’avventura ma non si faceva all’avventura: velocità era la parola d’ordine ed era fondamentale evitare di perdersi. La Tabula Peutingeriana, l’unica mappa dell’impero giunta fino a noi attraverso una copia medievale, conferma che i Romani si servivano già di cartine stradali. Su questa grande mappa erano riportate le principali vie dell’impero ed erano segnalati fiumi, foreste, montagne ma anche le città che si incontravano lungo il cammino e le stazioni di posta dove fermarsi. Per consentire spostamenti rapidi, poi, un romano doveva anche sapere quanto mancava all’arrivo e a questo servivano le pietre miliari, una sorta di antico contachilometri consistente in colonne circolari poste ai lati della strada a mille passi di distanza una dall’altra. Come e più dettagliate dei moderni cartelli stradali, riportavano il numero di miglia percorse dalla città di partenza, la distanza da Roma, la distanza dal punto d’arrivo e altre informazioni pratiche, come il nome del magistrato addetto alla manutenzione. In qualità di curator viarum, amministratore delle strade, Augusto fece erigere all’interno del Foro romano il miliarium aureum, una grande colonna in bronzo dorato che, considerata il punto d’inizio di tutte le strade dell’impero, riportava sulla superficie le distanze tra Roma e le principali città. Un frammento della base è ancora visibile al Foro romano, vicino al Tempio di Saturno.

    Per quanto i tempi di percorrenza fossero piuttosto rapidi per l’epoca e le strade ben progettate, i viaggi erano comunque lunghi, faticosi e rischiosi. Se per arginare il pericolo dei briganti erano previste le stationes – stazioni di polizia stradale con il compito di vigilare sulla sicurezza delle strade – per rendere più confortevoli e veloci i lunghi tragitti, si adottarono diverse soluzioni pratiche, a cominciare dall’organizzazione di un’efficiente rete di punti di sosta. A intervalli più o meno regolari, le viae romane offrivano qualcosa di simile alle nostre aree di servizio. La mutatio – una stazione di posta per il cambio dei cavalli – era una vera e propria officina per la manutenzione dei mezzi di trasporto dove, come all’autogrill, ci si poteva anche rifocillare mangiando qualcosa. La mutatio era usata soprattutto dai corrieri, i cursores, ovvero i postini di Stato.

    Giulio Cesare aveva già intuito quanto la velocità fosse determinante nella trasmissione delle informazioni e quanto una capillare ed efficiente rete stradale avrebbe accelerato la diffusione delle notizie, ma fu Augusto a organizzare un moderno servizio postale, il cursus publicus. Pony express è l’espressione più corretta per definire il servizio postale imperiale, visto che i corrieri si spostavano veloci e rapidi cavalcando cavalli di piccola taglia, poco più grandi dei pony. I Pony express torneranno in servizio secoli dopo nel Nord America, percorrendo strade polverose e molto meno organizzate di quelle romane. Il cursus publicus prevedeva un servizio di posta celere recapitata a cavallo, il cursus celer o velox, e uno di posta ordinaria, il cursus tardus o clabularius, riservato alle merci e per il quale ci si serviva dei carri. I privati cittadini, che non potevano usufruire di questo servizio, ricorrevano a postini-schiavi, i tabellarii, che recapitavano la posta in città a tariffe stabilite, mentre per le altre destinazioni dovevano affidare le missive ai viaggiatori in partenza.

    Per far riposare i cursores erano previste, ogni 40-50 chilometri, corrispondenti a un giorno di viaggio, le mansiones, stazioni di sosta gestite dal governo dove i postini imperiali potevano mangiare, rilassarsi alle terme, pernottare e provvedere alla manutenzione dei veicoli. Statio e mansio, quindi, erano riservate esclusivamente ai funzionari pubblici che, insieme ai mercanti e ai soldati, erano i più assidui frequentatori delle viae. Per usufruire di questo benefit bisognava esibire l’apposito diploma, un documento di riconoscimento che dava diritto ai servizi gratuiti, un privilegio che innescò un consistente traffico di vendita sottobanco. Gli altri viaggiatori potevano approfittare del servizio ma solo dietro pagamento e se trovavano posto, altrimenti ripiegavano sulle cauponae, motel spesso mal frequentati con un ristorante dove consumare pasti rapidi, camere per riposarsi e stalle in cui parcheggiare la vettura.

    Una curiosità

    Un Grand Hotel a cinque stelle

    Durante gli scavi per la realizzazione dell’autostrada Napoli-Salerno, in località Murecine, appena fuori Pompei, è stato rivenuto un prezioso esempio di architettura ricettiva che per dimensioni e decorazioni non ha confronti. Si tratta di un vero e proprio Grand Hotel di lusso, un hospitium del i secolo d.C. destinato ad accogliere i ricchi uomini d’affari diretti a Pompei, notoriamente zona di grande valenza commerciale. La struttura era dotata di tutti i comfort: lussuose stanze da letto per il riposo, ampi triclinia per banchetti allietati da musica e giochi d’acqua, spaziose cucine (per grandi mangiate) e, soprattutto, super attrezzati bagni termali, tutto predisposto per accogliere e intrattenere i facoltosi ospiti in viaggio d’affari, consentendo loro un rigenerante otium in un esclusivo centro wellness prima di dedicarsi al negotium, il business, diremmo oggi. I proprietari di questo hospitium a cinque stelle, i Sulpicii, non avevano badato a spese, investendo notevoli capitali nella costruzione dell’edificio a più piani e soprattutto nella realizzazione dell’apparato decorativo che ricopriva le pareti di tutti gli ambienti. Il ciclo di affreschi, considerato uno dei capolavori della pittura romana di iv stile, era concepito come un racconto a episodi con riferimenti alla mitologia e all’arte, un unico impianto decorativo per stuzzicare la fantasia degli ospiti. Parzialmente sopravvissuto al terremoto del 62 d.C. e, soprattutto, alla famosa eruzione del 79 d.C., oggi il Grand Hotel Sulpicii giace interrato sotto l’autostrada, mentre (fortunatamente) la suggestiva decorazione parietale, insieme agli altri preziosi reperti rinvenuti nell’hospitium, è stata messa in salvo.

    Quattro passi nei luoghi che hanno cambiato il futuro

    La prima autostrada

    «Le strade vennero tracciate ben dritte attraverso le campagne, senza curve e la loro pavimentazione era fatta di pietre squadrate, in fondo di sabbia compatta. Ogni avvallamento veniva riempito. I torrenti e fossati che attraversavano la strada venivano valicati da ponti; i due lati erano alla stessa altezza e correvano paralleli. Dappertutto l’opera si presentava omogenea e bella a vedersi». Per verificare l’attendibilità delle parole di Plutarco, basta una passeggiata sull’Appia antica, il primo e più eclatante esempio di autostrada dell’antica Roma. Considerata già dai contemporanei la Regina Viarum, a distanza di secoli quella che oggi è soprattutto un’incantevole passeggiata archeologica disseminata di rovine evocative, si riconferma anche un capolavoro di ingegneria nonché una delle più straordinarie e longeve testimonianze dell’efficiente rete viaria dell’impero.

    La sua pavimentazione è stata progettata con una tecnica così perfetta e all’avanguardia che l’antico basolato è ancora intatto in alcuni tratti e si possono distinguere perfino i solchi scavati dalle ruote dei carri che potevano percorrerla nei due sensi di marcia grazie alla sua larghezza, mentre i marciapiedi che correvano lungo i lati sono stati inglobati dalle successive costruzioni.

    Iniziata nel 312 a.C. dal console Appio Claudio, cui si deve anche la realizzazione del primo acquedotto, l’Appia collegava l’Urbe a Capua e in seguito fu prolungata fino a Brindisi, proponendosi come la principale via di comunicazione con il Sud e, soprattutto, con l’Oriente. Procedeva dritta come una moderna autostrada in modo da raggiungere la meta nel minor tempo possibile. Cento metri circa dopo Porta San Sebastiano, inserita nel muro di cinta, si trova una copia della prima colonna miliaria che segnalava il primo miglio di strada percorso (l’originale è sulla balaustra della scalinata che sale verso il Campidoglio).

    Il primo tratto della Regina Viarum è caratterizzato dalla presenza di sepolture di vario genere. Dal momento che era vietato seppellire i morti all’interno della città, le tombe si trovavano ai bordi delle viae e, visto il prestigio della strada, la sepoltura sull’Appia divenne presto una moda, uno status symbol. Agli inizi del iii secolo a.C., il capostipite degli Scipioni, una delle più prestigiose e aristocratiche famiglie romane di età repubblicana, scelse l’Appia, nel tratto che precede Porta San Sebastiano (che all’epoca era esterno alle mura), per costruire la monumentale tomba di famiglia. La motivazione era prettamente ideologica: dimostrare l’appoggio alla politica espansionistica di Roma verso l’Oriente nonché la propria predilezione per la cultura ellenistica. Ma non erano solo i ricchi a voler essere sepolti lungo l’Appia e infatti, continuando la passeggiata, si incontrano sepolture più economiche. Oltre al Colombario di Pomponio Hylas presso Porta Latina e a quello di Vigna Codini, decisamente curioso è il Colombario dei Liberti di Augusto e Livia che è stato inglobato, e può succedere solo a Roma, nella sala di un ristorante. Nelle nicchie erano conservate le ceneri degli schiavi che l’imperatore aveva liberato, un personale altamente qualificato alle dipendenze di Livia di cui facevano parte medici, levatrici, sarte, un pasticcere e anche un pittore.

    Poco interessati a motivazioni politiche o di prestigio, quanto piuttosto condizionati da necessità pratiche, sfruttando la natura geologica del terreno che consentiva di scavare sottoterra, anche i cristiani scelsero l’Appia per seppellire di nascosto i propri defunti in enormi necropoli sotterranee, le catacombe. Poco prima delle Catacombe di San Sebastiano, quelle di San Callisto sono le più grandi di Roma: quattro livelli di gallerie e venti chilometri di cunicoli dove trovarono sepoltura anche i primi vescovi della Chiesa paleocristiana. Devono il nome a Callisto, banchiere, diacono, papa e infine santo, al quale era stata affidata la gestione di questo cimitero nel iii secolo d.C. Uno dei monumenti più famosi e rappresentativi della Regina Viarum è proprio un sepolcro: il mausoleo di Cecilia Metella, figlia del console e generale Quinto Metello Cretico e moglie di Marco Licinio Crasso, generale di Cesare in Gallia e figlio del famigerato protagonista del triumvirato insieme a Cesare e Pompeo. Parlando di Crasso e di sepolture, proprio lungo l’Appia, coprendo l’intero tratto da Capua a Roma, il triumviro fece crocifiggere i ribelli al termine della famosa rivolta degli schiavi capeggiata da Spartaco. Poco prima dell’affascinante tomba di Cecilia Metella, dall’inconfondibile forma cilindrica, s’incontra un’altra fastosa sepoltura: il mausoleo di Romolo, il figlio dell’imperatore Massenzio morto da bambino. L’edificio a due piani, preceduto da un colonnato e coperto da una cupola che lo rendeva simile al Pantheon, fa parte del complesso residenziale imperiale. All’inizio del iv secolo d.C., Massenzio aveva costruito sull’Appia una lussuosa villa dotata di tutti i

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