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Giza: La caduta del dogma
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E-book714 pagine19 ore

Giza: La caduta del dogma

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Info su questo ebook

“Finalmente un testo scientifico, rigoroso, che mette al muro l’egittologia tradizionale. Un libro che merita grande diffusione”. [Mauro Biglino]

Esiste una bibliografia infinita sull’Antico Egitto, ma nessuno ha mai confrontato le tesi, generalmente agli antipodi, di egittologi e di studiosi indipendenti. Lo fanno gli autori di questo libro: partendo dalla versione ufficiale della storiografia, la si analizza sotto ogni punto di vista, al fine di verificarne l’attendibilità.

La successione delle piramidi, la loro datazione e l’attribuzione ai faraoni è veritiera? La Grande Piramide è davvero stata costruita da Cheope? È possibile che un tale maestoso monumento sia stato eretto in soli venti anni?

A queste e molte altre domande siamo riusciti a dare una risposta. I documenti consultati hanno permesso di proporre stimolanti constatazioni e di risolvere molti quesiti irrisolti su argomenti basilari, come lo studio dei testi degli storici, delle Stele, della IV Dinastia, delle piramidi satellite, della Sfinge, dell’origine delle piramidi egizie, delle esplorazioni all’interno delle piramidi, dell’impareggiabile lavoro di Gantembrink, delle simulazioni proposte dagli egittologi, dei lavori degli studiosi indipendenti.

Con questo libro scoprirai:
  • il lavoro del colonnello Vyse per l’attribuzione della Grande Piramide di Giza al faraone Cheops
  • il mistero su una sillaba presente sulla tredicesima riga nella Stele del Sogno, elemento fondamentale per la datazione della Sfinge e soprattutto per la sua attribuzione al faraone Chefren
  • lo studio dei fattori tempo e fattibilità, elementi imprescindibili in un’analisi di veridicità delle teorie costruttive asserite dall’egittologia
  • …e molto altro ancora
Acquista la tua copia e scopri il segreto che si cela dietro la costruzione delle piramidi!
LinguaItaliano
EditoreOne Books
Data di uscita21 apr 2021
ISBN9788833801797
Giza: La caduta del dogma

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    Anteprima del libro

    Giza - Antonio De'Flumeri

    1

    Le grandi piramidi

    FARAONI E PIRAMIDI

    C’è un esercizio molto semplice, ma in grado di rivelare incredibili sorprese. Per metterlo in pratica non serve studiare e nemmeno viaggiare. È sufficiente collegarsi a internet, accedere a un motore di ricerca e, nella sezione immagini, digitare in sequenza tre ricerche: piramide di Cheope, piramide di Djedefra, piramide di Chefren.

    Il passo successivo è quello di salvare la foto che si preferisce di ognuno dei monumenti ricercati e infine porle una di fianco all’altra nello stesso ordine.

    Il risultato sarà qualcosa di molto simile a questa immagine:

    Fig. 1 - A partire dall’immagine in alto a sinistra: Piramide di Cheope, Piramide di Djedefre e Piramide di Chefren.

    Fig. 1 - A partire dall’immagine in alto a sinistra: Piramide di Cheope, Piramide di Djedefre e Piramide di Chefren.

    Anche volendo, risulta davvero arduo farsene una ragione.

    Djedefra fu il diretto successore di Cheope, nonché il predecessore di Chefren. Essi rappresentano quindi una linea ininterrotta di tre faraoni eppure, guardando quelle che dovrebbero essere le loro opere, è impensabile supporre che queste possano essere state edificate in sequenza.

    Fu proprio questo improbabile confronto il colpevole di tutto, il motivo per cui oltre vent’anni fa ci innamorammo perdutamente delle piramidi e della storia dell’Antico Egitto. Tuttavia, dopo tutto questo tempo, dopo tutti i nostri studi, questa foto sortisce in noi lo stesso dubbio: è andata veramente così?

    Per tentare di rispondere a questa e tantissime altre domande, dobbiamo prima fare molti passi indietro e addentrarci nei meandri della civiltà egizia, dei suoi faraoni e delle sue piramidi.

    Le Dinastie

    In questa opera ci occuperemo sostanzialmente solo delle piramidi risalenti all’Antico Regno e, in particolare, alla IV Dinastia. Quando si parla di Antico Regno, si fa riferimento al periodo della storia Egizia che va dalla III alla VI Dinastia, in un intervallo temporale compreso all’incirca tra il 2700 e il 2150 a.C. L’egittologia afferma che le piramidi di tale epoca si dividono in due grandi gruppi: quelle attribuite ai faraoni della III e IV Dinastia (2700-2500 a.C.) e quelle identificate con i sovrani della V e VI Dinastia (2500-2150 a.C.). Le prime, più antiche, presentano dimensioni maggiori e particolarità costruttive che mettono in risalto una perfezione di gran lunga superiore rispetto alle seconde che, di contro, sebbene edificate con un livello qualitativo più scadente, contengono al loro interno ricche iscrizioni geroglifiche, ovvero ciò che è passato alla storia come i celebri Testi delle Piramidi, assenti nelle prime a eccezione di alcune iscrizioni in quella di Zoser, comunemente ritenuta la prima piramide eretta in Egitto. Per meglio inquadrare il periodo storico e la sequenza costruttiva dei monumenti, faremo un breve cenno alla genesi delle piramidi, così come viene promulgata dall’egittologia e come è possibile leggere su qualsiasi libro di storia.

    Vediamo quindi la successione dei faraoni dell’Antico Regno e le costruzioni a essi attribuite, tenendo sempre presente che l’esatta datazione delle dinastie egizie, dei singoli faraoni e dei monumenti loro associati è tuttora oggetto di dibattiti tra gli studiosi, come brillantemente espresso dall’autorevole voce di I. E. S. Edwards (egittologo inglese, 1909-1996, forse il massimo esperto sulle piramidi) nel suo libro Le piramidi d’Egitto:

    «Uno dei primi problemi che sorgono alla mente di chi guarda un monumento antico è la sua età. Risolvere questo problema in termini di anni precedenti l’era cristiana è, nel caso di monumenti egizi, spesso difficile e talvolta impossibile, perché la nostra conoscenza della cronologia egizia, specie nei primi periodi, è ancora assai incompleta. Noi conosciamo, a grandi linee, il susseguirsi degli eventi, e spesso le loro relazioni, ma, tranne rari casi, un’esatta cronologia sarà impossibile finché non si scoprirà materiale differente da quello trovato finora e databile con maggiore precisione. Per convenienza, e perché un secolo di studi ne ha dimostrato la fondamentale esattezza, il primo metodo di raggruppare i sovrani egizi in 31 dinastie, che ci proviene dalla Aigypthiaká di Manetone, è stato universalmente adottato dagli storici moderni, in mancanza di una datazione più esatta»¹.

    Fra tutte le cronologie esistenti ne abbiamo selezionata una, per avere datazioni coerenti tra loro e funzionali a un riepilogo storico. La nostra scelta, dovuta non tanto al ritenerla la migliore ma piuttosto alla chiarezza e completezza dei dati forniti, è ricaduta sul lavoro del Metropolitan Museum of Art di New York. È comunque importante comprendere che l’eventuale imprecisione delle sue datazioni, o la discordanza con altre cronologie, risulterebbero irrilevanti ai fini di questo scritto.

    Nella lista che seguirà, per ogni faraone le date indicate si riferiscono ai presunti anni di regno.

    III DINASTIA (ca. 2649-2575 a.C.)

    Zanakht (2649-2630 a.C.)

    La Terza Dinastia ha inizio con il faraone Zanakht, al quale pare non sia attribuita alcuna piramide.

    Zoser (2630-2611 a.C.)

    Fece costruire la prima piramide della storia, a Saqqara, con l’intento di creare una tomba mai ideata precedentemente, per la precisione una piramide a gradoni. Fino a quel momento era infatti consuetudine scavare le tombe direttamente nel terreno e poi ricoprire il sepolcro con una pietra, per creare quelle che comunemente venivano chiamate Mastabe. La struttura finale di Zoser fu ottenuta sovrapponendo uno sull’altro alcuni tumuli a forma tronco-piramidale di dimensioni via via minori. Al proprio interno sono state ritrovate iscrizioni, un vero unicum fra le piramidi della III e IV Dinastia.

    Sekhemkhet (2611-2605 a.C.)

    Successore di Zoser, si tramanda che costruì la propria piramide a Saqqara. Le condizioni attuali di tale piramide hanno convinto alcuni studiosi a ritenerla mai effettivamente completata.

    Khaba (2605-2599 a.C.)

    Anche per Khaba, e addirittura più che per gli altri faraoni, le date risultano alquanto incerte. Questo perché persino nei documenti antichi non vi è chiarezza in merito al suo regno. Fu il successore di Sekhemkhet e fece innalzare la propria piramide a metà strada tra Saqqara e Giza. Il monumento presentava dimensioni molto ridotte e ne rimangono solo rovine.

    Huni (2599-2575 a.C.)

    Secondo la tradizione, almeno un altro faraone è ascrivibile alla III Dinastia: si tratta di Huni. Per molto tempo gli è stato attribuito l’inizio della costruzione della piramide di Meidum, ma oggi il suo successore – Snefru, primo faraone della IV Dinastia – viene indicato come l’unico costruttore di tale monumento. Pertanto, al faraone Huni non è associata alcuna piramide.

    IV DINASTIA (ca. 2575-2465 a.C.)

    Snefru (2575-2551 a.C.)

    A Meidum si trova quella che viene considerata la prima piramide della IV Dinastia che, come appena visto, fu eretta da Snefru. Il monumento, progettato inizialmente a gradoni, per ragioni ignote venne in seguito dotato di un rivestimento di calcare, ottenendo così una vera e propria piramide a base quadrata con pareti lisce. In origine avrebbe dovuto raggiungere le dimensioni di 147 metri di base e 93,5 metri di altezza, con un angolo di inclinazione delle pareti di 52°, ma tale scelta condusse a un fallimento poiché l’involucro esterno crollò sotto il peso quasi verticale delle lastre di rivestimento, restituendo così la conformazione a gradoni visibile ancora oggi.

    L’egittologia ritiene che Snefru costruì anche una seconda piramide, a Dahshur.

    Progettata anch’essa con una pendenza di 52°, si ipotizza che quando la piramide di Meidum crollò, i costruttori cambiarono in corso d’opera l’angolo di inclinazione, portandolo a 43°, riducendo così le dimensioni del progetto originale, ma assicurandone la tenuta. Da allora è passata alla storia come la Piramide Romboidale – o inclinata – di Dahshur.

    Snefru si cimentò anche nella costruzione di una terza piramide. Denominata Piramide Rossa di Dahshur, per il colore delle pietre utilizzate, presenta 220 metri di base, 104 metri di altezza e pendenza di 43°22’.

    Cheope (2551-2528 a.C.)

    A Cheope, successore e figlio di Snefru, si attribuisce la costruzione della Grande Piramide di Giza. Con i suoi 146 metri di altezza, 230 metri di base e inclinazione di 52°, è ancora oggi il più imponente monumento in pietra mai costruito dall’uomo.

    Djedefra (2528-2520 a.C.)

    Il successore e figlio di Cheope, Djedefra, scelse Abu Rawash – circa venti chilometri a ovest della piana di Giza – come luogo di costruzione della propria piramide, dalla pianta insolitamente rettangolare. Il monumento è ora in rovina.

    Chefren (2520-2494 a.C.)

    A Chefren, probabile figlio di Cheope nonché fratellastro di Djedefra, si deve la seconda piramide di Giza. Solo leggermente più piccola di quella del padre – 215 metri di base e 143,5 metri di altezza – è oggi riconoscibile per le pietre di rivestimento ancora presenti sul suo vertice.

    Nebka II (2494-2490 a.C.)

    Di questo presunto faraone non si conosce niente e anche la sua esistenza risulta incerta, tanto che nella maggioranza delle cronologie dell’Antico Egitto il suo nome non compare neanche.

    Micerino (2490-2472 a.C.)

    Micerino costruì la terza piramide di Giza che, con i suoi 108 metri di base e i 67 di altezza, sembra piccola solo a confronto delle altre due vicine.

    Shepseskaf (2472-2467 a.C.)

    Shepseskaf fu l’ultimo faraone della IV Dinastia, ma non è chiaro quale delle piramidi rimaste incompiute, o oggigiorno in rovina, gli appartenesse. Sembra probabile che, a differenza dei suoi predecessori, questo sovrano non fece innalzare alcuna piramide. È invece certo che a Saqqara costruì la cosiddetta Mastabat el-Fara’un, che segnò un ritorno alla mastaba.

    Thamphthis (2467-2465 a.C.)

    La sua esistenza è ancora oggi da dimostrare.

    V DINASTIA (ca. 2465-2323 a.C.)

    Userkaf (2465-2458 a.C.)

    La sua piramide, della quale rimangono pochi resti, fu edificata a Saqqara.

    Sahure (2458-2446 a.C.)

    Figlio di Userkaf, per la costruzione della propria piramide si spostò, per primo, ad Abusir. Monumento di dimensioni ridotte – 78 metri di base, 47 metri di altezza, 50° di inclinazione – è ormai in rovina.

    Neferirkare (2446-2438 a.C.)

    Fratello di Sahure, edificò anch’egli la propria piramide ad Abusir. Il progetto iniziale prevedeva una piramide a gradoni con un’altezza di 52 metri, ma successivamente si optò per una classica forma piramidale, aumentandone le dimensioni fino a 72 metri di altezza. Piramide ormai in rovina.

    Shepseskare (2438-2431 a.C.)

    Non risulta alcun monumento a lui attribuito.

    Neferefre (2431-2420 a.C.)

    A questo faraone viene attribuita la costruzione di una piramide incompleta, ubicata ad Abusir.

    Niuserre (2420-2389 a.C.)

    Edificò la propria piramide ad Abusir, tra quelle di Sahure e Neferirkare. La costruzione prevedeva base di 79 metri, altezza di 52 metri e inclinazione di 52°. Piramide ormai in rovina.

    Menkauhor (2389-2381 a.C.)

    Non risulta alcun monumento a lui attribuito.

    Isesi (2381-2353 a.C.)

    Non risulta alcun monumento a lui attribuito.

    Unis (2353-2323 a.C.)

    Unis fece innalzare la propria piramide a Saqqara, con le misure di 57 metri di base e 43 metri di altezza. Questo faraone e la sua piramide segnarono un cambiamento epocale. Nel 1880, infatti, l’egittologo francese Gaston Maspero (1846-1916), sui muri delle camere e dei corridoi interni della piramide, scoprì delle iscrizioni geroglifiche passate alla storia come i celebri Testi delle Piramidi.

    VI DINASTIA (ca. 2323-2150 a.C.)

    Teti (2323-2291 a.C.)

    La piramide di Teti, costruita a Saqqara, misurava 78 metri di base e 52 metri di altezza. Monumento ormai in rovina.

    Userkare (2291-2289 a.C.)

    Non risulta alcun monumento a lui attribuito.

    Pepi I (2289-2255 a.C.)

    La piramide di Pepi I, a Saqqara, pare avesse misure del tutto simili a quella di Teti, 78 metri di base e 52 metri di altezza. Presenta al proprio interno i cosiddetti Testi delle Piramidi. Monumento ormai in rovina.

    Merenre I (2255-2246 a.C.)

    La piramide di Merenre I, edificata a Saqqara, si suppone che avesse originariamente le stesse misure di quelle di Teti e Pepi I, 78 metri di base e 52 metri di altezza. Presenta al proprio interno i cosiddetti Testi delle Piramidi. Monumento ormai in rovina.

    Pepi II (2246-2152 a.C.)

    Edificata a Saqqara, la piramide di Pepi II è ora in rovina. Presenta al proprio interno i Testi delle Piramidi.

    Merenre II (2152-2152 a.C.)

    Non si hanno notizie in merito a una piramide a lui attribuita.

    Netjerkare Siptah (2152-2150 a.C.)

    Di questo faraone non si hanno notizie certe e nemmeno in merito all’eventuale esistenza di una piramide a lui attribuita.

    Davvero tombe?

    Questa la carrellata di faraoni e piramidi stabilita dall’egittologia, secondo la quale le piramidi egizie sono considerate tombe, all’interno della logica un faraone-una piramide, accettata da tutti gli organi ufficiali. Quindi, per deduzione, è diventato scontato supporre che ogni piramide avesse custodito al proprio interno il corpo di un faraone.

    Analizzeremo ora quanto rinvenuto nelle piramidi – omettendo monumenti o faraoni dei quali non si hanno notizie certe – per comprovare o smentire tale tesi.

    III DINASTIA

    Zoser

    In varie epoche tra il 1821 e il 1933, nelle numerose camere della piramide di Zoser furono scoperti resti di sepolture. Oggi, in base alle analisi, si ritiene che tali spoglie siano tumulazioni abusive e di epoca molto più tarda. Del resto non si spiegherebbe un numero così elevato di corpi nella tomba reale di un unico faraone.

    Sekhemkhet

    Nella piramide di Sekhemkhet fu rinvenuto, nel 1954, un sarcofago di alabastro rimasto sigillato fin dalla sua sistemazione all’interno del monumento. Questo è un dato certo in quanto al momento della scoperta l’interno della piramide risultò inviolato. Una volta tolti i sigilli, che ne avevano garantito la chiusura per millenni, il sarcofago risultò desolatamente vuoto.

    Khaba

    Nella piramide di Khaba fu trovata una camera, denominata sepolcrale, priva però di sarcofago e di qualsiasi resto umano.

    IV DINASTIA

    Snefru – Piramide di Meidum

    Nella prima piramide di Snefru, quella di Meidum, fu ritrovata una singola camera, definita sepolcrale, priva però di sarcofago.

    Snefru – Piramide Romboidale (Dahshur)

    Nella seconda piramide di Snefru, quella inclinata di Dahshur, furono scoperte due camere ritenute sepolcrali, entrambe vuote e prive di sarcofago.

    Snefru – Piramide Rossa (Dahshur)

    Sempre a Dahshur, all’interno della cosiddetta Piramide Rossa – la terza attribuita a Snefru – furono rinvenute tre camere definite sepolcrali. Anche in questo caso le stanze sono risultate completamente vuote e prive di qualsiasi sarcofago.

    Cheope

    Nella Grande Piramide, furono scoperte tre camere, tutte prive di qualsivoglia resto umano. Solamente nella cosiddetta Camera del Re è stato ritrovato un sarcofago in granito, anch’esso vuoto.

    Djedefra

    Nella piramide di Djedefra fu trovata una camera, definita sepolcrale, priva di sarcofago e di eventuali corpi.

    Chefren

    All’interno della piramide di Chefren fu rinvenuta una camera che conteneva un sarcofago di granito, risultato vuoto, e sul pavimento il relativo coperchio ritrovato rotto.

    Micerino

    Nella più piccola delle tre piramidi di Giza, sono presenti tre vani. In uno di essi fu ritrovato un sarcofago in basalto finemente lavorato, vuoto, perso in mare nel 1838 durante il trasporto verso il British Museum di Londra. All’interno di un’altra delle stanze furono inoltre rinvenuti una mummia e un frammento di legno con l’iscrizione Menkaura [Micerino, N.d.A.]. I metodi di datazione al carbonio hanno però rivelato che il legno è databile a non prima del 660 a.C. e che i resti della mummia appartengono all’era cristiana e rappresentano quindi una sepoltura abusiva.

    V DINASTIA

    Passiamo velocemente alla V Dinastia: nella piramide di Userkaf, a Saqqara, sono state rinvenute solamente delle sepolture abusive; quella di Sàhure, ad Abusir, è risultata vuota, così come quella di Neferikare sempre ad Abusir; nella piramide di Neuserra, ancora ad Abusir, furono trovate due camere, entrambe vuote. Infine, all’interno di quella di Unas, a Saqqara, fu ritrovato un sarcofago di basalto e granito, completamente vuoto.

    VI DINASTIA

    Ci sono poi le piramidi della VI Dinastia, quelle di Teti, Pepi I, Merenra e Pepi II: in tutte furono rinvenuti sarcofagi di basalto e granito, sempre vuoti. Solo nella piramide di Merenra fu trovata una mummia, anche questa risultata però sepoltura più tarda e abusiva.

    Eppure…

    Tutte queste piramidi, ma nessun corpo di faraone e nessun oggetto prezioso o corredo funerario ritrovati.

    Eppure qualcosa non torna, perché i tesori e le mummie li abbiamo visti. Tutti noi. Com’è possibile se non è mai stato rinvenuto alcun resto di faraone all’interno delle piramidi?

    Per una volta il colpevole ha un nome.

    Il concetto di sepoltura egizia, ai giorni nostri, è infatti legato soprattutto al ritrovamento, avvenuto negli anni Venti del secolo scorso, del sarcofago, della mummia e dello stupefacente tesoro funebre appartenuti al faraone Tutankhamon. Cinema, documentari e copertine patinate hanno così inculcato nell’immaginario collettivo un format universale di tomba egizia, completamente avulsa dall’epoca storica di riferimento. Quando la storiografia afferma che le piramidi sono tombe, il nostro cervello crea infatti un sillogismo, rifacendosi a quanto visto e letto riguardo al Faraone Bambino, e automaticamente genera l’immagine di camere colme di tesori, sarcofagi, mummie e ricchi arredi funebri.

    Tutankhamon però non ha nulla a che vedere con i faraoni dell’Antico Regno poiché appartiene alla XVIII Dinastia, databile intorno al 1300 a.C. È vissuto quindi in un altro periodo storico – oltre 1200 anni dopo le presunte costruzione delle piramidi di Giza – fu seppellito nella Valle dei Re, presso Luxor, distante centinaia di chilometri dall’ubicazione delle maggiori piramidi dell’Antico Regno e, soprattutto, la sua sepoltura è una tomba interrata, che nulla ha a che spartire con le piramidi.

    Indiscutibilmente ci troviamo così nella bizzarra situazione in cui, nonostante alcun corpo di faraone sia mai stato rinvenuto all’interno delle piramidi dell’Antico Regno, l’egittologia persiste nel considerarle indiscriminatamente tombe, ritenendo assurda e priva di alcun fondamento ogni obiezione in merito. Senza il supporto di prove, da dove deriva una certezza così ferrea?

    La risposta ufficiale è che i corpi di tutti i faraoni siano stati trafugati dai ladri di tombe che, sistematicamente, avrebbero ogni volta violato il monumento in cerca di facili tesori e ricchezze.

    La tesi dei furti, però, è concretamente confutabile. Infatti, quando anche per l’egittologia moderna si è finalmente presentata l’occasione di penetrare per la prima volta all’interno di piramidi inviolate, la realtà ha inequivocabilmente dimostrato che la teoria delle piramidi come tombe non fosse supportata dalle scoperte archeologiche. Lo abbiamo appena appurato, ad esempio, per quanto riguarda la piramide di Sekhemkhet, rimasta sicuramente chiusa fino al giorno della sua scoperta e il cui sarcofago fu rinvenuto ancora sigillato e vuoto. Lo vedremo ancor di più in seguito, affrontando dettagliatamente il singolare evolversi delle esplorazioni all’interno della Grande Piramide.

    FONTI STORICHE

    L’evoluzione delle piramidi teorizzata dall’egittologia segue un percorso quantomeno atipico. Le uniche opere degne di tale nome sono infatti espressione della sola IV Dinastia, mentre nella III, come nella V e nelle successive, si trovano costruzioni che si discostano anche in maniera macroscopica dalle eccellenze raggiunte dai monumenti attribuiti a partire da Snefru fino a Micerino. Viste le enormi differenze con quanto realizzato sia prima che dopo, ci siamo chiesti come sia stato possibile assegnare tali piramidi ai faraoni della IV Dinastia. Nello specifico la nostra attenzione si è concentrata sulle tre della piana di Giza e, inevitabilmente, soprattutto su quella che ne incarna la massima espressione, ovvero la Grande Piramide.

    Alla fine del XVIII secolo, con la nascita dell’egittologia, i testi che ci accingiamo ad analizzare vennero comparati con le scoperte archeologiche che via via si succedettero in terra di Egitto. Questo nuovo ramo della scienza inizialmente si basò soprattutto sulle affermazioni di Erodoto, raccolte duemila anni dopo i presunti eventi, a cui in seguito vennero affiancate le testimonianze di altri storici, nonché i lavori di appassionati, avventurieri e archeologi. Nei due secoli successivi, in merito alla IV Dinastia, l’egittologia è giunta a conclusioni comunemente accettate, divulgate e insegnate in ogni ambito scolastico e accademico.

    Concentrandoci sul monumento principale della piana di Giza e riepiloghiamo brevemente quanto afferma la storiografia:

    •La Grande Piramide fu fatta edificare da Cheope

    •La Grande Piramide fu costruita da schiavi (Nozione solo recentemente rigettata)

    •La costruzione della Grande Piramide si basò sull’utilizzo di rampe

    •Per il trasporto delle pietre lungo le rampe si utilizzarono slitte

    •La Grande Piramide è la tomba di Cheope

    •La durata complessiva dei lavori fu di circa vent’anni

    •Cheope regnò per poco più di vent’anni.

    Diamo perciò voce agli storici, per verificare quanto di quello stabilito dall’egittologia derivi dai loro racconti.

    Erodoto

    Cheope, Chefren e Micerino sono universalmente riconosciuti come i costruttori delle tre piramidi di Giza. Tale attribuzione risale al V secolo a.C., in seguito agli scritti dello storico greco Erodoto (484-425 a.C.) relativi alle testimonianze dei sacerdoti egizi raccolte in terra d’Egitto e riportate nel Libro II delle Storie. Vediamo nel dettaglio cosa scrisse (Storie, Volume Primo, Libri I-IV, Libro II, pp. 124-127).

    Dopo aver esaminato la conformazione geografica dell’Egitto, Erodoto passa in rassegna i monumenti più significativi di quest’area, associandoli ai sovrani che li avrebbero realizzati. Parlando di Cheope, faraone della IV Dinastia, vissuto intorno al 2500 a.C., lo storiografo dice che governò in modo molto autoritario imponendo al popolo di lavorare per lui.

    «[…] dopo di questi [Snefru, N.d.A.] Cheope col suo regno ridusse il paese alla più estrema miseria: infatti, dopo aver fatto chiudere tutti i templi, dapprima impedì i sacrifici, poi comandò che tutti gli Egiziani lavorassero per lui».

    Cheope, continua Erodoto, realizzò, nell’arco di dieci anni, una strada – di circa 900 metri di lunghezza, 18 di larghezza e 14 di altezza massima – utile al trascinamento delle pietre necessarie per la piramide che voleva far costruire.

    «[…] Lavorarono a 100.000 uomini per volta continuamente, ciascun gruppo per tre mesi. Così passarono per il popolo dieci anni di stenti nella costruzione della strada lungo la quale trascinavano le pietre, strada che è opera certo non di molto inferiore alla piramide, per quanto a me sembra. Ha infatti una lunghezza di 5 stadi, una larghezza di 10 orge e un’altezza, nel punto più alto, di 8 orge […]».

    Cheope oltre alla strada fece costruire le sue camere sepolcrali sotterranee.

    «Dieci furono dunque gli anni impiegati per la costruzione di questa e delle stanze sotterranee sull’altura su cui sorgono le piramidi, che Cheope fece costruire come sue tombe in un’isola, dopo avervi introdotto acqua con un canale derivato dal Nilo».

    La piramide, eretta nei vent’anni seguenti, presentava dimensioni pari a 236 metri sia per la base che per l’altezza ed era edificata con pietre non inferiori a nove metri di lunghezza.

    «Per la piramide stessa dicono che passarono venti anni finché non fu costruita; ogni faccia da ogni lato misura 8 pletri, ed è quadrangolare e di uguale altezza, di pietra levigata e connessa nel modo più perfetto; nessuna delle pietre è più piccola di trenta piedi».

    Erodoto descrive inoltre la conformazione della piramide e gli strumenti utilizzati per la sua costruzione.

    «Questa piramide fu costruita a gradinate che alcuni chiamano ripiani, altri gradini: dopo che l’ebbero costruita in tal forma, elevarono le pietre rimanenti con macchine formate da travi corte, alzandole da terra sul primo ordine dei gradini. Dopo che la pietra era stata portata sopra questo, veniva collocata sopra un’altra macchina posta sul primo gradino, e da questa era tratta sul secondo ordine e posta su un’altra macchina: infatti quanti erano gli ordini di gradini, altrettanti erano anche le macchine – oppure anche trasportavano la stessa macchina, che era una sola e facile a trasportarsi, su ogni ordine, ogni qual volta toglievano la pietra: diciamo pure sia nell’una sia nell’altra maniera, dal momento che circolano entrambe le versioni. Furono quindi ultimate prima di tutto le parti più alte della piramide, poi completarono quelle più vicine a queste, ed infine per ultime le parti vicine al suolo e più basse».

    Aggiunge un ulteriore lasso temporale necessario per l’approvvigionamento delle pietre e per la creazione della camera sotterranea alla piramide.

    «Giacché lavoravano bensì alla costruzione per il tempo suddetto, ma altro e non poco tempo, a quanto io credo, fu quello durante il quale tagliarono le pietre e le trasportarono e fecero lo scavo sotterraneo».

    Riferisce la durata del regno di Cheope: «Dicevano gli Egiziani che questo Cheope regnò per cinquanta anni…».

    Indica il luogo di sepoltura dello stesso faraone.

    «Infatti non ci sono in essa [La Piramide di Chefren, N.d.A.] vani sotterranei, né ad essa giunge un canale dal Nilo come all’altra [Piramide di Cheope, N.d.A.] (il Nilo scorre infatti attraverso un canale artificiale e circonda nella parte interna l’isola in cui dicono giaccia lo stesso Cheope)».

    Considerazioni su Erodoto

    Storici, libri di testo e documentari fanno risalire le tesi della storiografia ufficiale per la maggior parte a Erodoto. Riprendendo però gli scritti appena visti e analizzandoli attentamente, emerge un quadro generale ben differente.

    Attribuzione della piramide

    Erodoto attribuisce la costruzione della piramide a Cheope.

    Manodopera utilizzata

    Erodoto non parla mai di schiavi, ma di Egiziani: «Cheope, […] poi comandò che tutti gli Egiziani lavorassero per lui».

    Rampa

    L’unico riferimento di Erodoto è a una strada necessaria soltanto per trasportare in situ le pietre, tant’è che ne quantifica l’altezza massima in 14 metri:

    «Così passarono per il popolo dieci anni di stenti nella costruzione della strada lungo la quale trascinavano le pietre, strada che è opera certo non di molto inferiore alla piramide, per quanto a me sembra. Ha infatti una lunghezza di 5 stadi, una larghezza di 10 orge e un’altezza, nel punto più alto, di 8 orge […]».

    Luogo di sepoltura

    Erodoto non parla mai della piramide come tomba del faraone, ma addirittura ci informa che il luogo adibito alla sua sepoltura sia collocato in camere sotterranee su di un’isola artificiale situata sulle acque del Nilo:

    «[…] che Cheope fece costruire come sue tombe in un’isola, dopo avervi introdotto acqua con un canale derivato dal Nilo. […] il Nilo scorre infatti attraverso un canale artificiale e circonda nella parte interna l’isola in cui dicono giaccia lo stesso Cheope».

    Durata dei lavori

    Erodoto afferma che occorsero vent’anni per edificare la piramide, ma ne aggiunge ben dieci per la costruzione della strada e delle camere sotterranee:

    «Dieci furono dunque gli anni impiegati per la costruzione di questa e delle stanze sotterranee sull’altura su cui sorgono le piramidi».

    In aggiunta ipotizza un tempo ulteriore per la lavorazione e il trasporto delle pietre:

    «Giacché lavoravano bensì alla costruzione per il tempo suddetto, ma altro e non poco tempo, a quanto io credo, fu quello durante il quale tagliarono le pietre e le trasportarono e fecero lo scavo sotterraneo».

    Slitte

    Erodoto non fa mai accenno a slitte, ma menziona eventuali macchinari fatti di legni corti atti a sollevare le sole pietre del rivestimento da un livello all’altro:

    «Questa piramide fu costruita a gradinate che alcuni chiamano ripiani, altri gradini: dopo che l’ebbero costruita in tal forma, elevarono le pietre rimanenti con macchine formate da travi corte, alzandole da terra sul primo ordine dei gradini».

    Durata del regno di Cheope

    Erodoto sostiene che il regno di Cheope durò cinquant’anni: «Dicevano gli Egiziani che questo Cheope regnò per cinquanta anni».

    È evidente che molte affermazioni attribuite dalla storiografia a Erodoto, in realtà non sono mai state scritte dallo storico greco. Sembra quasi che l’egittologia, una volta teorizzate le proprie conclusioni, abbia avuto la necessità di vederle avvallate da una fonte storicamente autorevole, riconosciuta soprattutto in Erodoto. Un esempio può essere quello relativo alla durata totale dei lavori – comprensivi di tutte le fasi di lavorazione – trasporto ed edificazione, indicata senza ombra di dubbio in vent’anni. Ebbene, prendendo solamente la riga di Erodoto «Per la piramide stessa dicono che passarono vent’anni finché non fu costruita» il discorso sembrerebbe tornare. Il problema è che Erodoto ci dice ben altro. Infatti ai venti anni appena citati, sono da aggiungere – come appena visto – dieci anni per la costruzione della strada e delle camere sotterranee, nonché un numero indefinito di anni per la preparazione e il trasporto delle pietre.

    Con questa semplice considerazione si giunge a una netta incoerenza con la tesi ufficiale. Contraddizione che diventa addirittura macroscopica nel momento in cui la durata del regno di Cheope è fissata dagli egittologi in poco più di vent’anni.

    Proseguendo con un secondo esempio, Erodoto riporta l’attribuzione della piramide a Cheope, ma afferma esplicitamente che non sia la sua tomba e non ne indica lo scopo. Nonostante queste precise informazioni, la Grande Piramide è universalmente riconosciuta come la tomba di Cheope indicandone soprattutto in Erodoto la fonte di tale informazione.

    Sembrerebbe che Erodoto sia stato letto alquanto superficialmente o addirittura travisato, volutamente o meno. Ciò risulta palese prendendo spunto dal cambio di rotta avvenuto negli ultimi anni in riferimento alla manodopera utilizzata per erigere il monumento. Fino a qualche anno fa, infatti, la storiografia attribuiva la costruzione della piramide a schiavi, facendo risalire tale informazione a Erodoto. Come abbiamo visto, però, lo storico greco non ha mai parlato di schiavi, bensì di sudditi egizi impiegati come operai, ed è palese come non ci fosse la benché minima possibilità di errore interpretativo: «Cheope […] poi comandò che tutti gli Egiziani lavorassero per lui».

    Eppure è successo.

    Soltanto di recente, in seguito ad alcuni ritrovamenti archeologici nella piana di Giza e soprattutto grazie all’incalzare di studi indipendenti che palesavano l’errore, anche l’egittologia si è vista costretta ad accogliere tale tesi. Ma nonostante questo cambio di rotta, la storiografia non ha ammesso l’errore di interpretazione, accusando bensì lo stesso Erodoto di essere inaffidabile nei suoi resoconti e incolpandolo quindi di un errore mai commesso.

    Una volta che questa nuova verità ha preso corpo, abbiamo infatti assistito a un crescente discredito nei confronti dello storico greco.

    «Lo storico greco visitò la piramide nel V secolo a.C., 2000 anni dopo il regno di Cheope. Erodoto afferma che Cheope aveva ridotto in schiavitù 100.000 egiziani per costruire la grande piramide. Scrisse perfino di avere visto un’iscrizione che elencava quanto costasse sfamare tutti questi schiavi. Ma è un trucco. Nessuno era in grado di leggere gli antichi geroglifici all’epoca, per cui le sue informazioni sono solo chiacchiere. Erodoto diede credito a miti e leggende accumulati per 2000 anni»².

    Non solo, ma illustri studiosi non risparmiano critiche assai pesanti sul suo operato.

    Secondo il dott. Steven P. Harvey, egittologo…

    «Erodoto forse è meno affidabile di un blogger di Internet, nel senso che non abbiamo una chiara indicazione di quali siano le sue fonti»³.

    Ann Macy Roth, docente della N.Y. University, ha affermato:

    «I turisti greci che venivano in Egitto volevano ascoltare storie interessanti, un po’ come chi guarda la Tv oggi. Volevano storie di buoni e di cattivi, una specie di soap opera. Storie altrettanto fittizie»⁴.

    La sensazione è che l’egittologia stia cominciando a denigrare volutamente le informazioni di Erodoto e addirittura la sua persona, al fine di utilizzarlo come capro espiatorio per tutte le contraddizioni che stanno sempre più emergendo. Alla luce di quanto sta accadendo ci si aspetterebbe però un dietrofront totale sulle nozioni fornite dallo storico greco, ma, come vedremo, non tutto viene scartato, soprattutto vengono tenute in considerazione l’attribuzione della Grande Piramide a Cheope e la durata dei lavori, informazioni che portano a confermare le certezze dell’egittologia.

    Questo nuovo approccio nei confronti di Erodoto sembra inoltre fondamentale al fine di poter screditare le altre indicazioni che lo storico greco ha fornito e che appaiono ben più scomode da giustificare per la storiografia ufficiale rispetto al semplice dato riguardante la tipologia di manodopera impiegata nella costruzione delle piramidi. Ci riferiamo, per esempio, alla questione delle rampe, agli anni di regno di Cheope, al luogo della sua sepoltura e, addirittura, alle informazioni relative all’origine della storia egizia.

    Diodoro Siculo

    Un altro storico autorevole fu il greco siceliota Diodoro Siculo (90-27 a.C.), che visitò l’Egitto nel I secolo a.C. Anch’egli ebbe modo di raccogliere le tradizioni dei sacerdoti egizi dell’epoca, riassumendo queste notizie nella sua opera, Bibliotheca Historica (Biblioteca Storica Di Diodoro Siculo, volgarizzata dal Cav. Compagnoni, Tomo Primo, da pagina 122).

    Come accaduto per Erodoto, anche Diodoro Siculo ci fornisce importanti informazioni sulle tre piramidi di Giza. Individua Cheope come il costruttore della maggiore tra le piramidi di Giza, attribuendogli un regno di cinquant’anni.

    «L’ottavo re di questa serie fu Chemmi, o Chembes, nativo di Menfi, il quale regnò cinquant’anni, e che delle tre piramidi, che sono una delle sette meraviglie del mondo, fabbricò la maggiore».

    Diodoro è stupito dalla maestosità della Grande Piramide e ne indica anche una possibile data di costruzione.

    «Sono esse situate verso la Libia, distanti da Menfi centoventi stadi, e dal Nilo quarantacinque. La grandezza dell’opera, e il lavoro manuale mettono un giusto stupore in chiunque le contempla. Perciocché ogni lato della maggiore, essendo essa di figura quadrata, contiene alla base la lunghezza di sette plettri, ed è alta più di sei; e a poco a poco restringendosi sino alla cima finisce in sei cubiti. Essa è tutta di saldo marmo, difficile da lavorarsi, e perciò di durata perpetua. E di vero non essendo meno di mille anni, e alcuni ne contano più di tre mila quattrocento, da quell’epoca sino a noi, le pietre conservano ancora il pristino loro adagiamento, e tutta la struttura rimane intatta come fu da principio».

    Fornisce indicazioni sui metodi di costruzione e solleva dubbi sull’esistenza di rampe e utilizzo di macchinari, al punto da arrivare a formulare e riferire due soluzioni costruttive alternative a quello che ai suoi occhi risultava un problema fondamentale ma irrisolvibile.

    «Dicono, che queste pietre fossero portate per assai grande distanza dall’Arabia, e che tutta l’opera si facesse coll’aiuto di elevazioni di terra, non essendosi ancora a quel tempo inventate le macchine. E quello, che fa maggior meraviglia si è, che siffatta costruzione si eseguì in luogo, il quale è da ogni parte tanto sabbioso, che non resta il minimo vestigio né della terra, che allora s’innalzò in vece d’armatura, né del marmo ivi tagliato e pulito: onde non par di vedere, un’opera a poco a poco fatta da uomini, ma che tutta quella mole sia stata buttata di getto sulle circostanti arene dalla potentissima mano di un Dio. Alcuni Egizi parlano di queste piramidi con mostruosi concetti, e cercano di spargere intorno alle medesime non so quali favole. Dicono, per esempio, che l’elevazione di terra fatte in vece d’armatura, essendo composte di sale e di nitro, fu mandata ivi l’acqua del fiume, che liquefece quelle sostanze, e le fece sparire, mentre restò solamente la salda mole dell’opera».

    Indica il numero di persone coinvolte e la durata dei lavori:

    «[…] piuttosto è da credere, che quella moltitudine d’uomini, che costruì quei grandi innalzamenti di terra, poscia disfacendoli ne riportassero la materia al luogo, d’onde l’avevano tolta: giacché altronde si dice, che vi fossero impiegate trecentosessanta mila persone, e che tutta l’opera fosse appena compiuta in vent’anni».

    Riporta indicazioni inerenti Chefren e la piramide a lui attribuita:

    «Successore di Ceti fu Cefri suo fratello, e regnò cinquantasei anni. Altri però gli danno per successore, non il fratello, ma Cabri, suo figliuolo. Ma ciò, in che tutti concordano, si è, che il successore suo emulandone le opere, fece innalzare l’altra piramide, simile alla prima per l’artifizio della costruzione, ma inferiore d’assai nella grandezza: perciocché il lato di ogni sua base non ha che uno stadio di estensione. Nella maggiore è scolpita la somma della spesa in erbaggi, e rafani, ascendente a più di mille seicento talenti. La minore non ha iscrizioni, e in un sol lato ha una scala scavata a scalpello per ascendere alla vetta».

    Dà informazioni sul luogo di sepoltura, sia di Chefren che del suo predecessore [Cheope, N.d.A.], escludendo che essi fossero all’interno delle rispettive piramidi.

    «Quantunque poi l’una e l’altra fossero da que’ re destinate per loro sepoltura; accadde però, che né l’uno, né l’altro vi fosse deposto, perciocché la plebe a cagione delle penose fatiche sofferte, e dalla crudeltà e violenza, con cui fu trattata da que’ re, avendoli in odio e bestemmiandoli, giurava che ne avrebbe tolti i cadaveri, quando vi fossero stati portati dentro, e li avrebbero fatti in pezzi, e ignominiosamente dispersi. Laonde l’uno e l’altro morendo ordinarono ai loro amici, che li seppellissero in qualche ignoto sito».

    Considerazioni su Diodoro Siculo

    In Diodoro Siculo vengono riscontrate similitudini con gli scritti di

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