Il comportamento magico: storia, etnologia, psicologia e psicopatologia del fenomeno sociale
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tra magia, religione e pensiero scientifico.
I “comportamenti magici” esprimono tradizioni, usi, costumi, ma anche pregiudizi delle popolazioni, e costituiscono, pertanto, vere e proprie tecniche di sopravvivenza dei popoli, ma anche stati patologici o più direttamente correlati e correlabili a quella che l’Etnologo Ernesto de Martino ha definito, nei suoi studi, “miseria psicologica” di certa gente del Mezzogiorno Italiano. Lo studio condotto propone un’interpretazione finale della magia che, a parere dei due autori del testo, è malattia e cura terapeutica ad un tempo, a seconda di
quale sia l’uso che, del comportamento magico, se ne voglia fare. I riferimenti scientifici, storico-filosofici, etnologici, sociologici e psicologici, agli autori presi in esame, sono plurimi e tutti degni di nota, perché trattasi di lavori prodotti da autorevoli studiosi e da ricercatori di primissimo piano, nelle loro discipline.
Il Comportamento Magico è, per questi motivi, un libro attuale, che si propone al lettore attraverso suggestioni originali e nuove. Da leggere e da conoscere per le svariate possibili chiavi ermeneutiche che suggerisce negli ambiti entro i quali dispiega la sua ricerca.
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Anteprima del libro
Il comportamento magico - Antonello Bellomo
Pagina di servizio
Autori: Antonello Bellomo e Antonietta Pistone
Titolo: Il Comportamento Magico
Sottotitolo: storia-etnologia, psicologia e psicopatologia del fenomeno sociale
Edizione: Settembre 2021
ISBN 978-88-8459-658-1
WIP Edizioni S.r.l.
Via Capaldi, 37/A – 70125 Bari
tel. 080.5576003
www.wipedizioni.it – info@wipedizioni.it
In copertina:
Newell Convers Wyeth
The Alchemist, 1937
Dipinto, olio su tela, cm 192,4 x 128,5
È vietata la riproduzione, anche parziale,
con qualsiasi mezzo effettuata,
senza l’autorizzazione degli Autori e dell’Editore.
Ringraziamo
Rossella Palmieri del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Foggia per aver contribuito attivamente alla ricerca del testo La Fine del Mondo di Ernesto de Martino.
Arcangela e tutti i responsabili della sezione prestiti della Biblioteca La Magna Capitana di Foggia, in particolar modo gli addetti ai fondi speciali che hanno consentito la disponibilità del fondo Carlo Gentile per alcuni libri particolarmente difficili da reperire.
Michele Trecca della libreria Ubik di Foggia che ci ha sempre seguito e affiancato nella ricerca dei libri da ordinare e da acquistare.
L’amico Enrico che ha consigliato la lettura di Carlos Castaneda.
Enzo e Giuseppe per i consigli, l’approvazione ed il sostegno, e per il libro di Alejandro Jodorowsky, e la sua Psicomagia, che ha aperto ulteriori prospettive alla ricerca.
Francesco Nigri, per Il Ramo d’Oro di Frazer, e Federica, Sara, Aiko, che, in qualche modo, hanno collaborato alla ricerca di alcuni testi che si sono poi rivelati fondamentali.
L’editore Stefano Ruocco che ha permesso la stampa di questo libro che, altrimenti, non avrebbe mai visto la luce.
Dediche
A mamma Anna con affetto e gratitudine
A chi ci ha creduto, a chi ci ha incoraggiati, a chi ci ha permesso di trovare il tempo, a chi ci ha fatto dono del suo
A chi ci ha saputo ascoltare, a chi ci leggerà, a chi apprezzerà il nostro lavoro, a chi ci ama in ogni caso, sempre, comunque e nonostante tutto…
Introduzione
Nel 1915, anno in cui Freud pubblicava la sua Metapsicologia, introducendo la prima topica¹, di conscio, preconscio e inconscio, l’antropologo ed etnologo scozzese James Frazer dava alle stampe un testo intitolato Il Ramo d’Oro². Nell’opera, che consta di circa ottocento pagine, l’autore si proponeva di rendere noti gli esiti delle sue ricerche e dei suoi studi sulla magia, sulle sue forme e sui suoi principi, con particolare riferimento alle culture ataviche, e al rapporto intrattenuto dai popoli primitivi con la natura in generale, alberi, fiori, piante, e animali.
La prima distinzione che Frazer propose, per comprendere il fenomeno magico, è di due tipi, e differenziava tra loro la magia cosiddetta per contagio, da quella per similarità. A parere dell’etnologo, difatti, la magia segue questi due principi fondamentali. Per il principio di similarità, il simile produce il simile. Perciò, ad esempio, per far piovere, è necessario generare umidità nell’aria, spruzzando acqua. Il secondo principio, che è quello del contagio, vuole, invece, che due cose o persone, che siano state almeno una volta in contatto tra loro, siano destinate a subire il contagio reciproco, anche nel corso del tempo e a distanza, come se avessero il potere di influenzarsi reciprocamente, per sempre. Dunque, due soggetti che si siano conosciuti molti anni prima possono ancora modificare reciprocamente i loro stati d’animo a distanza, anche dopo che sia trascorso molto tempo senza vedersi, e senza che sia stata stabilita tra loro una connessione diretta. Naturalmente, nella formulazione di questi due principi magici è del tutto assente la causalità, legge scientifica che viene negata dalla magia, e dalla possibilità di un suo intervento sulla realtà. Per l’interpretazione magica del mondo, non piove perché si addensano le nubi all’orizzonte, ma perché si produce, in qualche modo, umidità nell’atmosfera (legge della similarità). Allo stesso modo, si può interagire con un altro essere umano non perché venga stabilito con lui un contatto diretto, ma perché, avendolo già fatto molto tempo prima, i due spiriti sono legati tra loro in virtù di una forza psichica che consente questa trasmissione di stati d’animo anche a distanza (legge di contatto o del contagio). Dopo aver esaminato questi due principi della magia, per similarità e per contagio — o contatto — Frazer passa poi a discutere della magia simpatica. Essa agisce in senso positivo, sotto forma di incantesimi; e in senso negativo, come espressione di un tabù. Ma cosa è, precisamente, un tabù? «Alla base del tabù — scrive Freud — c’è una corrente positiva di desiderio. Perché non c’è bisogno di proibire ciò che nessuno desidera fare»³. Il tabù, dunque, è proprio ciò che si desidera fortemente nell’inconscio, e che per la sua energia pulsionale subisce l’interdizione della società umana diventando fonte di proibizione. Tutte le energie pulsionali che non possono trovare sfogo diretto nell’azione desiderata vengono, difatti, convertite nel loro opposto. E dunque, se la sessualità è uno degli istinti primordiali della natura animale, nel momento in cui tale istinto si deve di forza educare, e in alcuni casi reprimere per le nuove regole del buon vivere civile, l’energia che viene convertita nel suo contrario genera quello che è definito un tabù, perché si presenta come oggetto di interdizione sociale. Non è un caso che i più diffusi tabù, soprattutto nelle società primitive, ma anche in quelle attuali, siano legati proprio alla sessualità, con particolare riferimento al tabù dell’incesto, cioè del sesso consumato con chi è legato da rapporti di consanguineità. Tornando, però, alla magia simpatica di tipo positivo, si è detto che essa genera quello che nelle favole viene chiamato incantesimo e che costituisce, di fatto, l’intervento provvidenziale in favore di un’azione diretta al raggiungimento dello scopo. Quindi, l’intervento positivo determinato dall’incantesimo è tutto nel favorire l’azione per lo scopo. Al contrario, nella magia simpatica di tipo negativo siamo in presenza della proibizione di un’azione fortemente desiderata dall’inconscio che viene invece interdetta, perché si temono i suoi effetti dirompenti sul connettivo sociale. Questa interdizione dell’azione produce, come si è già detto, il tabù, che è sempre riferibile a una forte carica energetica di tipo pulsionale, che non può però, di fatto, essere lasciata libera di esprimersi, per i suoi effetti pericolosamente esplosivi sul tessuto collettivo. E dunque, secondo questo concetto viene, ad esempio, interdetto l’incesto, per evitare rischiosi accoppiamenti tra consanguinei che potrebbero causare deformazioni e difetti di natura genetica ai nascituri. La magia simpatica è detta anche omeopatica, perché il suo effetto è simile e riconducibile all’azione magica, intesa come causa che lo ha prodotto, sebbene tra l’atto magico e il suo effetto non esista alcuna connessione di tipo logico o razionale, leggibile pertanto in termini di causalità in senso stretto. Nelle società tribali primitive, ad esempio, quando il marito era in guerra, la moglie aveva il compito di comportarsi correttamente e di rimanere a lui fedele, per evitare di nuocere al suo uomo in battaglia. Stessa cosa accadeva quando gli uomini andavano a caccia. Se una moglie avesse tradito il marito nel periodo di tempo della sua assenza, questi sarebbe potuto rimanere vittima di un’azione di guerra, o essere ucciso da un animale, in una battuta di caccia. Si credeva, pertanto, che gli uomini che non tornavano a casa, dopo la caccia o una battaglia, fossero stati traditi dalla moglie. E si pensava che questo tradimento avesse generato la fragilità dell’uomo, causa del suo rimanere vittima dell’agguato mortale. La donna rimasta a casa custodiva simbolicamente la vita del suo uomo, proteggendola dal tradimento, e rendendola psichicamente invincibile attraverso il suo amore fedele. Nella magia contagiosa, o per contatto, si può agire su peli e su capelli, unghie e denti, per interferire con lo stato di salute dell’affatturato, procurando il bene o il male della vittima designata. È molto diffusa, non soltanto nelle società primitive, l’abitudine di coniare dei feticci, che riproducano le fattezze fisiche dell’affatturato, utilizzando anche un miscuglio di tutti questi elementi. La consuetudine vuole, poi, che ogni azione fatta al feticcio si riproduca sul corrispondente essere umano. Per estensione, la magia contagiosa ha i suoi effetti, positivi e negativi, anche sugli oggetti personali, o comunque adoperati dall’affatturato.
Nelle società primitive il mago era un’autorevole istituzione, e spesso la sua figura era assimilabile a quella del re saggio e del sacerdote. Ciò dice qualcosa sui rapporti tra magia e religione, che dovevano essere molto stretti, nonostante si pensi che la magia sia stata concepita prima della religione e, ovviamente, della scienza. Inoltre, la confusione dei ruoli di guida spirituale e politica, sommati nella stessa persona del mago, re, filosofo, e sacerdote sapiente, anche dalla scienza medica della guarigione, evidenzia come gli ambiti non fossero tra loro separati e distinti, ma fossero confusi, sia a livello istituzionale che di pensiero. Nel suo fare inferenze azzardate, la magia è considerata la sorella bastarda della scienza, che trae invece sempre conclusioni razionali secondo l’applicazione corretta del principio di causalità e delle regole di somiglianza, di contiguità e di contatto, cui però vengono applicati i principi della logica classica⁴, di identità, non contraddizione e terzo escluso. La magia poi, in forma pubblica e privata, divenne religione solo quando i maghi dovettero prendere atto della loro evidente incapacità a modificare, a loro piacere, gli eventi e gli accadimenti, naturali e storici che fossero. Il mago esperto delle cose della natura è, così, il divino sacerdote della religione praticata che, scoperta la sua impotenza sulle leggi della natura, si affida a Dio per poterle orientare a vantaggio suo e di tutta la comunità. Solo in un momento ancora successivo, la mentalità magica apre la strada alle scoperte scientifiche, rivaleggiando con la religione nell’interpretazione dei fenomeni naturali e degli eventi volontari. I maghi delle società tribali più antiche pensavano, infatti, di poter dominare gli elementi, come l’aria, l’acqua, il fuoco e la terra. Si credeva che questi saggi avessero il potere di scatenare i venti, o di acquietare le tempeste, di far piovere o di far cessare i temporali; di invocare l’arrivo del sole. Generalmente, le magie più diffuse erano quelle per similarità. Se si voleva la pioggia si spruzzava l’acqua. Il mago pioggiaiolo era una vera e propria autorità, che col tempo finì per acquisire anche un potere civile, politico e religioso insieme. Proprio perché si riteneva che chi avesse potere sulla natura fosse assimilabile a un Dio. E poiché gli elementi della natura avevano la capacità di dare la vita, ma anche di toglierla, contenendo lo spirito primordiale di tutte le cose create, il potere religioso venne assimilato a quello temporale, e i maghi divennero re e sacerdoti. Solo in un secondo momento, quando dal vitalismo naturalistico si passò al politeismo, la religione divenne più importante della concezione generale della magia. Anticamente, si credeva che i boschi fossero abitati da divinità, e che gli stessi alberi avessero essenza divina. Motivo per il quale i primi templi furono edificati nei boschi. E tuttavia le basiliche e i monasteri si trovano spesso all’interno di aree naturali boschive, abitate da spiriti divini. Quando terminò il naturalismo, l’albero da divinità divenne la casa degli spiriti divini. Il mago diventò sacerdote e si passò al politeismo, che rendeva antropomorfe le divinità. Il sacerdote, con i suoi riti religiosi, poteva ingraziarsi la benevolenza degli dei, che agivano sulla natura. L’antico mago divenne, perciò, un ciarlatano. Col monoteismo e, in epoca moderna, con l’ateismo religioso, quando l’umanità iniziò a riappropriarsi dei poteri divini, che erano stati precedentemente attribuiti alle divinità, la religione cedette il posto alla scienza, che iniziò a polemizzare con le reviviscenze magiche, che si facevano interpreti delle forze oscure della natura, non ancora indagate dalla mentalità razionale e positiva dell’epoca moderna, il cui principio cardine è quello della causalità, che interpreta i fenomeni della natura attraverso leggi che li misurino e li quantifichino, anche utilizzando lo strumento di misurazione quantitativo della matematica. Tra le espressioni della magia negativa rientrano, invece, il tabù legato al nome, alla persona, al re, alle cose e ai nodi che portano male. In particolar modo, si preferiva evitare la compagnia dei capi tribù a pranzo, in quanto non ci si riteneva all’altezza di poter condividere il pasto con la persona regale. L’anima veniva concepita come un ometto, vivente all’interno del corpo umano. Essa poteva fuggire dal corpo anche quando non venivano rispettati i tabù, come quello dell’impossibilità di consumare il pasto con un capo tribù, re e sacerdote. Erano considerati tabù gli stranieri, le vedove, le persone a lutto, alcuni cibi e bevande, le donne mestruate (ritenute impure), i guerrieri, gli omicidi, i cacciatori e i pescatori, gli oggetti in ferro, le armi taglienti, il sangue, i capelli, la testa, e gli anelli. Non si potevano pronunciare i nomi dei morti e dei parenti, quelli dei sovrani e delle divinità. I re non potevano vivere invecchiando, né dovevano morire di malattia, perché solo se fossero stati uccisi, per la successione al trono, nel vigore dei loro anni, avrebbero potuto trasmettere intatto il loro potere al regno che lasciavano dopo. Il naturalismo dei primitivi portava ad adorare molte divinità dei boschi, come Giove e Diana, ma anche alcuni alberi, come le querce, che erano ritenuti sacri. Anche il mito e il culto di Adone, re del sole, ha contenuti legati alla vegetazione e all’alternarsi delle stagioni: l’inverno, che rappresenta la morte, e l’addormentarsi della natura; e l’estate che è il suo risveglio e la rinascita del sole, che torna a rendere feconda la terra. Come Adone, nato da un albero di Mirra, fa con la sua sposa Ishtar. Il mito di Adone è diffuso in Grecia e in Siria, e anticipa la teologia Cattolica che, dopo la morte del carnevale, il Martedì Grasso, inizia, con il Mercoledì delle Ceneri, i riti della Quaresima, della Passione, della Morte e Resurrezione di Cristo, che culminano con la Santa Pasqua, per celebrare il risveglio della natura tutta, che torna a risplendere germogliando o fiorendo a nuova vita. Le feste dell’albero di Maggio o di San Giovanni, il 24 Giugno, aprono le porte alle belle stagioni della rinascita: la primavera e l’estate. Attis fu per la Frigia ciò che Adone fu per la Siria. In Egitto le due maggiori divinità arboree, e del culto della terra, del grano, e della fertilità, furono Iside, e il suo fratello e sposo Osiride. Il culto di quest’ultimo fu associato da molti a quello di Dioniso. Le coppie dei culti della vegetazione sono: Afrodite (Astarte) e Adone in Siria; Cibele e Attis in Frigia; Iside e Osiride in Egitto; Demetra (Cerere) e Persefone (Proserpina) in Grecia. Quest’ultimo mito parla di una madre — Demetra — che vede scomparire la figlia Persefone, attirata nel regno dei morti da Plutone, che decide di farne la sua sposa, mentre era intenta a raccogliere fiori, inghiottita da una voragine, che si era aperta nel terreno, sotto i suoi piedi. Solo l’intervento di Zeus permette a Persefone di ritornare in superficie, quando la terra si ricopre di fiori, in primavera, con l’impegno che almeno per un terzo dell’anno solare, in concomitanza con la stagione invernale, la giovane sarebbe tornata nel regno dei morti, per stare in compagnia del suo sposo Plutone. Demetra e Persefone restano, intanto, simbolo delle divinità del grano e della fertilità della terra, che produce frutti per alimentare e nutrire i propri figli.
Tornando al Ramo d’Oro, Frazer riferisce di un’antica leggenda del bosco di Aricia, vicino Roma, in cui il nuovo re sacerdote avrebbe dovuto spezzare un ramo di quercia — ma verosimilmente si tratta del vischio — in cui è nascosto lo spirito regale che dà o toglie la vita. Questo principio della dislocazione dell’anima è ispirato alla credenza che le anime dei viventi siano contenute nei vegetali, negli animali, o in altri esseri vivi o inanimati, distrutti i quali si provoca anche la morte del malcapitato, permettendo a chi si fosse reso protagonista di un tale gesto di assumere lo stesso potere del suo predecessore ormai defunto. Si ricordi, a questo proposito, l’abitudine al cannibalismo delle popolazioni precolombiane degli Incas, dei Maya e degli Aztechi, che erano soliti nutrirsi della carne dei corpi dei loro nemici, uccisi in battaglia, perché pensavano, in questo modo, di introiettarne forza e valore. Il loro cannibalismo, che portò al genocidio degli Indios nelle Americhe, da parte dei Conquistadores europei, aveva un profondo senso spirituale e religioso, che rimase del tutto ignoto ai Portoghesi e agli Spagnoli⁵. In conclusione Frazer ritiene che il valore beneaugurante del vischio sia dovuto proprio a questa antica credenza, che vede la pianta come espressione dello spirito del re del bosco di Aricia. Portare in dono il vischio vuol dire, perciò, augurare la benevolenza divina a chi lo riceve. Il fuoco, invece, ha il potere di purificare perché distrugge le forze del male e del maligno, come le stregonerie e i malefici. Motivo per il quale, anticamente, eretici e streghe venivano bruciati sul rogo, vivi se non pentiti, morti se avevano confessato la loro colpa. A ogni modo, anche per Frazer, nel corso del tempo, alla magia si sono andate sostituendo la religione prima, e la scienza poi. Ciò che la magia attribuisce al mago, la religione riconosce al sacerdote e a Dio. La