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Il poltergeist: analisi di un linguaggio
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E-book647 pagine9 ore

Il poltergeist: analisi di un linguaggio

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Info su questo ebook

"Il poltergeist non è uno spettro, né un alieno calato da chissà dove. Il poltergeist è l'uomo stesso, lo specchio di una sua realtà interiore cui raramente gli è dato trovarsi di fronte".
Partendo da quest'assunto fondamentale l'autore fa l'analisi di uno dei più strani fenomeni che, pur raramente, capita in alcuni ambienti, domestici o altro. Interpreta la sua manifestazione — di carattere sostanzialmente paranormale — come un linguaggio pre-verbale, di origine inconscia. L'interpretazione è dedotta dai diversi, distinti comportamenti caratteristici del poltergeist che, classificati e confrontati reciprocamente, offrono un quadro organicamente strutturato del fenomeno, quadro che mostra gli stessi elementi di base dei linguaggi, almeno di quelli legati alle emozioni e all'istinto come il sogno, il gioco, il mito.
È un particolare codice espressivo che manifesta la voglia di significare un non-detto che crea tensione nell'individuo e/o nel gruppo, una voglia che si esprime con impossibili irruzioni cinetiche e visionarie. L'effetto fisico della manifestazione è il motivo per cui, insieme ad apporti di aree disciplinari quali psicanalisi, teoria dei giochi, antropologia culturale, ne vengono utilizzati altri come la meccanica quantistica e la logica formale, suscettibili di fornire una comprensione della natura ibrida — fisica e psichica insieme — del poltergeist.
La sintesi dell'indagine è quella di un fenomeno in cui si riflette tutto il complesso dell'esperienza umana presa nei diversi aspetti della psicologia individuale, della relazionalità sociale e culturale, della ricerca multidisciplinare della conoscenza.
LinguaItaliano
Data di uscita25 nov 2015
ISBN9788827226636
Il poltergeist: analisi di un linguaggio
Autore

Pier Luigi Aiazzi

Insegnante, psicologo, laureato in filosofia a Firenze, ha pubblicato articoli scientifici divulgativi su Scienza Test, Scienza 2000, Quasar, articoli di argomento psicologico su Syntesis e Psyche, di argomento parapsicologico sul Giornale dei Misteri e sui Quaderni di parapsicologia. Sullo stesso argomento ha tenuto conferenze e partecipato come relatore ai convegni del Centro di Studi Parapsicologici di Bologna (Giornata Parapsicologica Bolognese). Collabora attualmente alle attività dello stesso centro.

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    Anteprima del libro

    Il poltergeist - Pier Luigi Aiazzi

    Pier Luigi Aiazzi

    Il poltergeist

    Analisi di un linguaggio

    Finito di stampare

    ISBN 978-88-272-2663-6

    © Copyright 2015 by Edizioni Mediterranee, Via Flaminia 109 – 00196 Roma - Versione digitale realizzata da Volume Edizioni S.r.l.

    A mio padre,

    al cui duro lavoro debbo le conoscenze

    che mi hanno permesso di condurre questa ricerca.

    A Lisa,

    il cui affetto e l’interesse per l’argomento

    mi sono stati di costante sostegno.

    Indice

    Premessa

    Capitolo primo. Preludio mitologico con scherzo

    1. Il briccone divino

    2. Mito e intrusione nel quotidiano

    3. L’amico Fritz: scherzo andante, sostenuto ma non troppo

    Capitolo secondo. Un po’ di scienza per un povero Diavolo

    1. Capricci e furberie attorno a un portento

    2. Luci e ombre di una crociata

    3. Fascino e avversione per una pratica antichissima

    4. Maghi veri e maghi finti: vecchia ruggine

    5. Voglia di credere e di non credere

    6. Aggiungi un trucco a tavola

    7. Normalità e para-normalità: altalena con sofferenza

    Capitolo terzo. Tre variazioni sul tema del caos

    1. La strega dei Bell: scherzo pesante, sostenuto assai

    2. " Loquor et taceo ": tarantella erudita con anatema e paradosso continuo

    3. Caos mirato con brio: prova a capirci qualcosa

    Capitolo quarto. Unità modulari di un linguaggio particolare. Forme non strutturate

    1. Tra filosofia e psicanalisi. Qualche concetto utile

    2. Andante colloquiale con garbo

    3. Il canto del giullare

    4. Fallismo, oralità, fecalità: il volto scurrile dell’ homunculus

    5. Baccanale

    Capitolo quinto. Introduzione a una struttura binaria del poltergeist

    1. Io/noi siamo due: l’Angelo e il Demone

    2. Canone inverso

    3. Doppia inversione con canone incrociato

    4. Braccio di ferro ben temperato

    5. Sfida, sberleffo, minaccia: tenzone in crescendo

    6. Vade retro con aspersorio

    Capitolo sesto. Il gioco speculare del folletto

    1. Tanto rumore per nulla

    2. Ecoprassia con scherzo e variazioni

    3. Il pupazzo stravagante: siparietto d’ingresso per un fantasma

    Capitolo settimo. Uomini e fantasmi: divagazioni sceniche sulla morte e l’eternità

    1. Voci, passi, sospiri dall’altra sponda

    2. Il regista pasticcione. Un’analogia

    3. Il fantasma che si voltò

    4. Il fantasma che inciampò

    5. Canto e disincanto sul tema dell’eternità

    Capitolo ottavo. L’elusività: sberleffo e fuga garbati, ma non sempre

    1. Restituzione, pentimento, riordino

    2. Elusività e inversione modale: carattere intersistemico della fuga

    Capitolo nono. Piccolo intermezzo quantistico sull’atemporalità e la dialettica dell’apparire/sparire

    1. Tallonare l’ombra

    2. Uomini e particelle: il gioco a nascondino nella materia

    3. Un interferometro e due folletti: cronaca di un duello

    4. Un originale sapere-agire

    5. Psi e non-località: affinità strutturali

    Capitolo decimo. Poltergeisteimittis

    1. Uomini e teoremi: nascondino e zuffa tra i numeri

    2. Lamento funebre per un diavoletto perdente

    3. Fantasmi e particelle: simmetrie e divergenze nella fuga

    4. Ancora sulla dimostrazione: il gioco delle parti

    Capitolo undicesimo. L’istinto, la parola, il gioco

    1. Fort/da : il piccolo Ernst e il piccolo Demone

    2. Dispettosità ed essenza del gioco

    3. Una corrispondenza di classificazioni

    4. Ilinx-Paidia : quando il Demone s’infuria

    5. Istinto e armonia: l’ homunculus tra lo scurrile e il sublime

    6. Agon : il tira-e-molla

    7. Mimicry : la marionetta oltre lo specchio

    8. Tra l’Ombra e lo specchio: fuga cromatica sul tema dell’Altro

    9. La faccia di Medusa

    10. Il fantasma e l’anima del significato

    Capitolo dodicesimo. Filosofia del gioco, filosofia del poltergeist

    1. Frizzi, lazzi, facezie

    2. Ilinx , Mimicry , Agon , Alea : ebbrezza e intermittenza ludica

    3. Gioco/giocatore: contrappunto variato a due voci

    4. Semantica e sintassi del poltergeist

    5. Sintassi e intermittenza ludica

    6. Semantica generativa del poltergeist

    Capitolo tredicesimo. Il caso di Milano: un’analisi

    1. Poltergeist e sogno: ultime considerazioni

    2. Due cuori contro: antico lamento

    3. Poltergeist di una notte di mezza estate

    Bibliografia

    Premessa

    Proporre a un comune lettore – non specificatamente interessato all’argomento – un lavoro sul poltergeist, si rivela subito un’impresa difficile. C’è da parlare di oggetti che si spostano da soli, di figure che si materializzano, di voci che sembrano provenire dal nulla. Una persona qualunque, che ne oda o legga un resoconto, ha quasi sempre lo stesso pensiero: Queste cose non possono accadere, sono solo balle o suggestioni di cui è impossibile non ridere. Diciamo per ora che per chi – famiglia o ambiente di lavoro – si trova nell’opposta posizione di averne diretta, drammatica esperienza corrisponde un pensiero assai meno divertito: Per carità, non lo raccontiamo a nessuno, altrimenti ci prendono per matti. Questo almeno nei primi momenti, fin quando la disperazione per l’improvvisa, inaudita schizofrenia degli eventi, nonché per i danni prodotti, porta a chiedere gli aiuti più disparati: al prete, alla polizia, ai vicini, ai parenti, e poi ancora ai medium, agli esorcisti di mestiere ecc.

    C’è qualche motivo per chiedersi se sia fondata l’opinione dell’esistenza oggettiva di un fenomeno così controverso e sporadico, per svolgere un’indagine sulla sua possibile realtà? Uno è senz’altro l’ampio numero e la reciproca coerenza delle descrizioni che quasi nessuno conosce. Un altro, egualmente importante, è la possibilità – dato che causa diretta del suo accadere appare un puro processo mentale – dell’apporto scientifico enorme che offre un fenomeno sostanzialmente implicante il verificarsi di un contatto diretto tra mente e materia. Sul piano psicologico, poi, la conoscenza che il fenomeno può veramente incrementare è quella della parte più latente dell’essere umano, l’inconscio, i cui processi profondi sembrano proprio all’origine di effetti così estremi. Ci sarebbe infine, in rapporto alla società e alla cultura, la prospettiva di capire meglio la natura di istituzioni fondamentali quali la religione e il mito nei cui confronti il poltergeist rivela un rapporto potenzialmente esplicativo di molti loro aspetti. La presente ricerca assume pertanto la possibilità che tali bizzarri accadimenti abbiano una logica e un senso in rapporto alle nostre ordinarie conoscenze scientifiche, più in generale che abbiano una logica e un senso in rapporto a quel complicato contesto di eventi che chiamiamo realtà.

    Al lettore interessato suggeriamo, di fronte alle sue descrizioni così apparentemente assurde, una sospensione – anche solo provvisoria – di ogni prevenzione o istintivo rifiuto. Per fornirgli un modello adeguato gli propongo un’ispirazione illustre: l’atteggiamento neutro di epoché (sospensione di giudizio) che, con varie sfumature, filosofi antichi quali i greci della scepsi, o esponenti di un pensiero a noi più vicino come Husserl e Heidegger, assunsero per cogliere quello che ritenevano un certo significato essenziale della realtà. Ci tengo a far presente che chi non è capace di una simile, pur momentanea, apertura è perfettamente inutile che legga questo libro. Preso – tipica reazione dello scettico a oltranza – dalla preoccupazione di confutare mentalmente, uno per uno, i vari riferimenti episodici, è assai improbabile che abbia qualche possibilità di cogliere organicamente l’insieme dell’argomento, di seguire costruttivamente il filo logico che ne collega le parti.

    Il nodo della difficoltà è che il fenomeno trattato appare, nei casi estremi, la frantumazione totale di ogni sensatezza, di ogni visione abitudinaria della realtà. In un certo senso il poltergeist è uno schiaffo affibbiato a chi istintivamente necessita di un mondo uniforme, appiattito nelle regole, ed è indubbio che inquadrare con distacco e obbiettività la natura del fenomeno, collocarne il significato nel complesso dell’esperienza umana non è facile. Suggerisco soltanto, per incoraggiare il lettore diffidente, di considerarne attentamente, oltre l’abbondante mole di relazioni che ne attestano l’esistenza, le componenti strutturali che ne fanno un comportamento ricorrente e specifico, i modelli scientifici che ne giustificano l’esistenza. Avrà modo nel corso dell’analisi di valutare quanto tali indicatori formino del fenomeno un quadro coerente, oggettivamente credibile.

    Un aspetto innovativo di questa ricerca, che ritengo di fargli presente ancora a titolo di invito alla lettura, è il criterio molto interdisciplinare, basato sul confronto di vari livelli interpretativi già usati separatamente in passato per valutare singoli aspetti del fenomeno. È un criterio quello dell’interdisciplinarietà che è fondamentale per avere una visione coerente e organicamente integrata della sua complessità e varietà di effetti, un criterio che, personalmente, ritengo non sia stato finora impiegato in modo adeguato. Per fare qualche esempio la sua realtà presenta aspetti mitologici, psicologici, antropologici e anche filosofici, che sono tutti da esaminare e confrontare reciprocamente. E ancora, per quanto a prima vista possa sembrare un’inutile ridondanza cerebrale, serve il confronto con elementi teorici tratti dalla fisica, dalla neurologia, dalla logica formale. L’indagine inizierà proprio dal primo di tali livelli, quello mitologico. Il motivo della precedenza è che il mito, come metafora cristallizzata delle paure e delle aspirazioni collettive degli uomini, appare un linguaggio basato sulle stesse matrici simboliche che generano e rendono operativo il poltergeist. In tale rapporto la sua analisi è anche importante perché, nello sviluppo dell’indagine, il lettore si renda subito conto dell’arcaicità e della pregnanza affettiva della rete di simboli/significati che attivano il poltergeist, del come possono orientarne l’espressione in stretto collegamento con le tradizioni delle diverse culture.

    Ma l’ampiezza dei riferimenti è la necessità di una scelta motivabile con un concetto ancor più elementare: il poltergeist non è né uno spettro, né un alieno calato da chissà dove (indipendentemente dalla possibilità che assuma queste e altre identità). Il poltergeist è l’uomo stesso, lo specchio di una sua realtà interiore cui raramente gli è dato trovarsi di fronte. Quando tiriamo in ballo il fattore umano – la possibilità di un contatto diretto del suo essere mente, pensiero con l’opposta dimensione dell’essere fisico – la molteplicità e l’integrazione dei livelli di indagine sono un impegno dovuto. È il processo che fa sì che nella manifestazione del poltergeist, come nel suo studio, venga a convergere tutta la complessità dell’esperienza umana vista nei diversi aspetti psicologici, culturali, storici, di ricerca multidisciplinare della conoscenza. Conciliare le due necessità, l’ampiezza e la molteplicità del lavoro interpretativo e la specificità di delineazione del fenomeno, è stata la direttiva centrale, e certamente più ardua, di questo lavoro.

    Al termine dell’impegno sento di dovere diversi ringraziamenti; alcuni rivolti a persone con cui non ho mai scambiato una sola opinione di argomento parapsicologico, senza la cui presenza però dubito che sarei mai arrivato alla stesura di questo libro. Ringrazio al riguardo Maurizio Giorgetti, Paola Arcangioli, Roberto Risoli, Elisabetta Zaccarelli, Rita Moschi. Non posso dimenticare provvidenziali Angeli custodi che hanno sopperito alle mie carenze in campo informatico: Leonardo Bonini e Gianna Megli. E neppure posso dimenticare chi mi ha dato valente sostegno, diciamo così spirituale, cioè Gisella Guasti e Libero Rossi, e ancora due preziosi consiglieri sul piano scientifico: Marco Landolfi per la fisica-matematica, Alida Cresti per la psicologia-psicanalisi. Non posso dimenticare inoltre due amici che – cavie temerarie – si sono offerti come primi lettori dell’opera: Liviana Lepri e Ilio Viviani. Un pensiero particolare non può non andare ai vecchi compagni della sezione E del liceo scientifico Leonardo Da Vinci di Firenze, una classe di discoli, ciononostante di pensatori, in cui sento di essermi in gran parte formato nonostante la vagabondite cronica che caratterizzava allora il mio rapporto con lo studio. Un caro ricordo va al dottor Francesco Racanelli di cui fui assistente in qualità di psicologo l’ultimo anno prima della morte. A tutti gli amici del centro parapsicologico di Bologna – particolarmente Ferdinando Bersani, Nerio Bonvicini, Bruno Severi – va un ringraziamento e un fervido augurio a continuare l’opera dei compianti Piero e Brunilde Cassoli, figure di riferimento sempre attuali un po’ di tutti i parapsicologi italiani.

    Capitolo primo

    Preludio mitologico con scherzo

    1. Il briccone divino

    O non ravviso bene la tua forma e il tuo

    sembiante, o tu sei quel maligno demone

    beffardo che ha nome Robin Goodfellow.

    Non sei tu forse colui che ai villaggi

    spaventa le ragazze; che screma il latte

    e a volte frucchia nella zangola del burro

    e la massaia invano s’affanna a rimestare;

    e talora la birra non lascia lievitare,

    e di notte fuorvia i pellegrini

    ridendo della loro disavventura?

    W. SHAKESPEARE, SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE

    Guardate, guardate! Ecco il briccone che passa!

    CORO DI UCCELLI DI UNA LEGGENDA INDIANA

    In tutte le mitologie, primitive e non, compare la strana figura di una proto-divinità, o proto-Demone, sistematicamente dedita alla scellerata abitudine di fare scherzi e dispetti al prossimo. È un’entità ambigua che, per un verso, sembra assumere in sé le peggiori qualità attribuibili a un membro di una comunità civile: trasgressivo, stupido, beffardo, insolente, mentitore, fraudolento, talvolta anche sadico, disgustosamente animalesco in gran parte dei suoi atteggiamenti. Per un altro, nonostante questa radicata anima di balordo, non disdegna di manifestare una sua delicata, quasi premurosa, sensibilità per le cose e gli esseri che lo circondano. In una delle manifestazioni culturali più tipiche, quella amerinda dei Winnegabo (etnia Sioux, tra il Wisconsin e il Nebraska), si rivolge agli esseri, animati e non, con termini affettuosi, quasi avessero dei loro sentimenti e una loro occulta capacità di percepire, cerca di intavolare con loro garbate quanto stravaganti conversazioni. Non manca talvolta di qualche spunto di generosità per cui può essere apportatore di benefici.

    In ambito antropologico è designato come il trickster, l’artefice di trucchi, e la sua incarnazione più rappresentativa è considerata quella appena accennata dei Winnegabo, che hanno un ciclo di leggende in cui compare come protagonista. Il nome che gli viene lì assegnato è Watchdjunkaga che letteralmente significa colui-che-giocadei-tiri, o, più genericamente, il briccone. Al personaggio dedicarono una pubblicazione congiunta un etnologo, Paul Radin, e due tra i padri della psicanalisi, Carl Gustav Jung e Karoly Kerenyi, pubblicazione cui ci riferiremo spesso in questa ricerca¹. Il motivo dell’attenzione dei due psicanalisti è legato alla facile deduzione che il grottesco personaggio appare la perfetta allegoria di una parte assai primitiva della personalità umana, parte per lo più latente e dominata dagli istinti, un’istanza psichica assai vicina a ciò che Freud, accettando una proposta di Groddeck, chiama l’Es.

    Un aspetto curioso del personaggio, messo in evidenza dai tre autori, è che proprio le sue doti peggiori, soprattutto la stupidità, che spesso lo rende pateticamente artefice e vittima dei suoi stessi inganni, e l’indecente abbandono agli istinti, paradossalmente gli conferiscono una straordinaria forza creatrice, una precaria virtù da eroe per caso, che lo inducono in qualche modo a collaborare costruttivamente al processo cosmogonico di questa o quella mitologia. Suo malgrado, con le sue intrusioni goffe e irruente, offre talvolta un aiuto determinante alla divinità principale (di carattere benefico e ordinatore) nella creazione del mondo. In sintesi un’estrosa entità con il ruolo ambivalente di costruttore e distruttore. Nella costa orientale degli Stati Uniti, pur con qualche variazione, il mito è (o forse era) diffuso in tutti i gruppi etnici affini ai Winnegabo. Presentano, ad esempio, caratteristiche analoghe il Corvo e il Coyote, che partecipano al processo creatore delle rispettive cosmogonie con la tipica strategia un po’ dispettosa, un po’ collaborativa cui abbiamo accennato.

    Nella cultura occidentale lo troviamo ampiamente diffuso nella religione, così come nel mito e nella letteratura. Secondo Jung, nella mitologia greca, caratteristiche di trickster sono polivalentemente riconoscibili in Hermes, in Dioniso, nella coppia Prometeo/Epimeteo (che originariamente costituivano una sola divinità)² e ancora in Kronos, oscura e crudele divinità detronizzata da Zeus. In una mitologia ancor più antica come quella egizia, tratti propri del briccone sono presenti in Thot, dio lunare esperto nell’arte dell’inganno, molto simile all’Hermes greco.

    Nelle religioni provenienti dall’area mediorientale potremmo, con un po’ di sforzo, associarlo al Satana del culto giudaico cristiano, o allo Shaitan di quello islamico. Occorrerebbe tuttavia tener conto della grossa deformazione culturale attuata rispetto al mito originario in queste religioni, deformazione consistente nell’assegnargli il ruolo di fonte assoluta del male che fa perdere del tutto al personaggio la particolare forza creatrice delle versioni più arcaiche.

    Il mitema compare inoltre in modo molto esteso nella fantasia e nel folklore popolare in cui si frammenta in una moltitudine di diavoletti, spiritelli, esseri fantastici che popolano i boschi, le acque, le cavità della terra. Alcune incarnano pure potenze della natura: il fuoco, il vento, certe forze ipoctonie imprigionate nella roccia o nelle profondità infere. Altri, come il nostro Monacello o Zirulicchio dell’Italia meridionale, o come il Duende spagnolo³, o, ancora, come il Domovoy russo, sono folletti domestici che conducono una loro vita crepuscolare concomitante alle vicissitudini della famiglia, sulle quali possono anche influire. Anche questi invisibili, furtivi coinquilini possono talvolta assumere un ruolo benefico, ma se si commette il minimo sgarro alle strane leggi che impone il loro rapporto, subito assumono il tipico comportamento dispettoso del trickster che è poi quello dominante. Quasi tutti hanno il vizio di rubacchiare e far sparire gli oggetti, di tormentare con dispettini infantili, di irridere i permalosi che si arrabbiano delle loro malefatte.

    Così l’Elfbore dello Yorkshire infastidisce i bambini facendo loro scomparire cibi e bevande⁴, il Duende spagnolo tormenta e spaventa i dormienti, gli Elfi della mitologia nordica possono essere ladri e arruffatori di capelli, oltreché apportatori di dolori fisici⁵, il Cluricaun irlandese saccheggia le cantine e girovaga la notte a dorso di animale⁶. Alcuni spiritelli commettono ancora bricconate che mostrano una fantasia ancor più sbrigliata. Così, alcuni, come i Wichtln dell’Europa centrale, hanno la strana idea, comune a molti loro simili, di solleticare i piedi dei dormienti e di annodare due a due le code delle mucche, o di intrecciarne la peluria⁷. Per citare un esempio nostrano, azioni simili compie un folletto delle campagne toscane attorno a Lucca, il Linchetto, che ha anche altre originali abitudini. Soprattutto sembra avercela (non è ben chiaro perché) con le vecchie cui, la notte, tocca, dopo averli scoperti, i piedi con le sue manine gelate, tira inoltre a terra le coperte dei dormienti sbeffeggiando anche lui i malcapitati⁸.

    Un’altra caratteristica che manifestano questi esserini è quella legata ad almeno un parametro di inversione che ha il modo di significare dell’inconscio rispetto a quello dell’io, processo riconosciuto un po’ da tutte le scuole psicanalitiche. Jung lo fissa nel termine – mutuato da Eraclito – di enantiodromia (corsa al contrario)⁹, Anna Freud parla di un rovesciamento nel contrario connaturato ai fondamentali meccanismi di difesa che l’io elabora sempre a livello inconscio, Lacan di un costante messaggio in forma invertita che procederebbe dall’inconscio verso la coscienza. È possibile, ad esempio, interpretare in tal senso certi comportamenti che Watchdjunkaga esibisce nella leggenda e che si mostrano come il più assoluto contrario di quello che per la coscienza è il buon senso. Lo scapestrato Eroe dei Winnegabo parla con i suoi stessi visceri, fa sì che le proprie mani litighino tra loro, brucia il proprio ano scambiandolo per un intruso, arriva a tramutarsi in donna e sposare il figlio di un capo indiano da cui partorisce dei figli, lui che è già normalmente sposato con una donna e padre di un figlio.

    Nella sciarada di spiritelli lo troviamo come rovesciamento di regole, convenzioni, protocolli, abitudini più elementari della vita quotidiana. In alcuni la vocazione è simbolizzata in qualche particolare corporeo che si trova rovesciato rispetto all’equivalente umano. Per portare ancora qualche esempio, un’innumerevole quantità di loro, come gli Obyda dei popoli altaici, i Kalanoro del Madagascar, l’ Ovda del bacino del Volga, i Bunyp dell’Australia, ha i piedi rivolti all’indietro. In altri, come i Ginaru dell’Africa occidentale, o gli Essitoq eschimesi l’inversione riguarda la bocca che anziché essere orizzontale è verticale. Altre inversioni si riferiscono a dei comportamenti che sono quelli più comuni e vitali dell’essere umano. Ad esempio ci sono spiriti femminili, come le Arayi dell’India che, anziché partorire, distruggono i feti¹⁰. Altri spiriti, sempre femminili, come i Grahi ancora dell’India, o i Ghellò greci, anziché i feti, uccidono direttamente i bambini. Un’inversione ancor più curiosa presenta il più attuale Groophus Birddel Minnesota, che si manifesta come un uccello che vola al contrario.

    Talvolta l’inversione simbolica assume forme più sottili applicandosi a comportamenti o abitudini molto locali, coinvolgendo così la matrice culturale che genera quel particolare folletto. È proprio il caso del Linchetto, che, dispettosità a parte, si distingue dai suoi screanzati compari per essere una personcina linda e pulita, anzi molto schizzinosa di versacci e turpiloqui. Se ne teniamo presente l’origine, quella dell’ambiente rurale toscano, ci troviamo di fronte alla curiosa constatazione che l’unico spiritello che manifesta costumi così castigati è proprio quello di una popolazione che ha un particolare gusto per la parolaccia e l’espressione scurrile.

    Ma il simbolismo viscerale viene poi recuperato in una nuova inversione modale, ossia nel gesto reattivo della prescrizione per allontanarlo. A tal uopo, per urtare di brutto il delicato galateo del Linchetto, la ricetta locale suggerisce l’espediente, diplomaticamente imperfetto, di ruttare e scoreggiare con generosità e senza ritegno. Per le permanenze più ostinate c’è poi una specie di trucco che ha un effetto tombale sul piccolo manigoldo. Occorre andare di notte, quando lui fa i dispetti, al gabinetto, mettersi a evacuare mangiando contemporaneamente pane e formaggio e nel frattempo recitare la filastrocca:

    "Me ne mangio pane e cacio

    e del Linchetto me n’incaco"¹¹.

    Da far presente poi la gamma di produzioni sonore che i folletti manifestano. La più frequente è quella del battere colpi, anche tremendi per intensità, e a tale scopo portano, elemento decorativo e funzionale inseparabile, la mazza. Tali sono il Klopfgeist tedesco (possiamo considerarlo una forma collaterale del poltergeist, ma deputato esclusivamente al battere colpi) e il Knocker inglese. A essi possiamo aggiungere una sciarada di folletti nostrani: il Mazzarot friulano con l’equivalente veneto, il Massariol, e ancora la moltitudine di loro compari disseminati lungo tutta la penisola, come il Mazapegul romagnolo, il Mazzapauriello del beneventano, giù giù fino al Mazzamuriddu siciliano. Uso della mazza a parte, tutti quanti mostrano, altro comportamento caratteristico, quello di produrre baccano, fracasso talvolta portato a livelli di vera insopportabilità.

    Quasi tutti poi mostrano un chiaro simbolismo fallico – e che non è solo quello del portare la mazza – che evidenzia la loro discendenza dalle antiche proto-divinità priapiche. Ad esempio il Mazapegul romagnolo, anziché le code dei cavalli, preferisce intrecciare i capelli delle ragazze e ha la sfacciataggine di alzare loro le sottane, oltreché infilarsi nel loro letto¹².

    Oltre i colpi gli spiritelli possono tuttavia produrre altri effetti sonori che hanno spesso un significato sinistro: urla, sibili, ruggiti e altri versi animaleschi. Per alcuni, come la Banshee irlandese, le urla annunciano la morte di un membro della casa.

    Su questo frequente legame col tema della morte val la pena fare qualche accenno ad alcune varianti in cui la vocazione al dispetto raggiunge livelli di notevole perfidia. I Pwcas, strana personificazione gallese dei fuochi fatui, attuano l’originale mascalzonata di attirare di notte i viandanti verso l’orlo di un precipizio per poi spegnersi di colpo e lasciare i malcapitati a sbrigarsela, soli e al buio¹³. Anche il Drac francese, prevalente abitatore del Rodano, ne combina di tutti i colori, ma il pezzo forte del suo repertorio è quello di trasformarsi in asino o in cavallo e di far salire, con studio, quanti più esseri umani possibile sulla sua groppa (la quale miracolosamente si allunga quanta più gente vi sale). Dopodiché il Drac parte di gran carriera con tutta l’infornata di improvvidi cavallerizzi e si getta tra i flutti annegandoli¹⁴.

    Per precisare meglio la diffusione universale della figura conviene fare un accenno alla sua comparizione (in parte già vista) in culture molto diverse dalla nostra. Un grande antropologo, Claude Lévi-Strauss, designandolo, per la sua mansione creatrice, come demiurgo ingannatore, ne parla in riferimento agli indios Toba e Matako dell’Amazzonia presso cui soggiornò e lo identifica in un personaggio dal nome, per noi quasi impronunciabile, di Tawkxwuax¹⁵. Nel Madagascar, l’abbiamo accennato, compare con il termine di Kalanoro, anche lui spirito acquatico con la brutta abitudine, simile al Drac francese, di ingaggiare con i passanti intense conversazioni e di tirarli, così distratti, verso un lago in cui li annegherà. In uno scherzo meno tragico, si diverte a leccare i capelli dei dormienti all’aperto che immancabilmente diverranno calvi¹⁶.

    In Brasile lo troviamo in un altro spirito acquatico, l’Oiarà, dominato, come per lo più i suoi simili, da una gran voglia di sbattere in acqua gli ignari passanti. Nella sua tipica strategia cerca di annegarli utilizzando il richiamo sessuale (nella versione femminile sono bellissime fanciulle), un espediente che ricorda un po’ quello delle Sirene dell’Odissea¹⁷. Presso i popoli altaici altrettanto perfidi appaiono gli Obyda il cui scherzo prediletto è di mettersi a fare il solletico a coloro che incontrano e a farli danzare sempre più in fretta fino a ucciderli per lo sforzo imposto¹⁸.

    Interrompiamo qui la lista che potrebbe divenire infinita per far presente un’altra loro caratteristica. Una possibile osservazione del lettore è che il proliferare di questi piccoli esseri riguarda soprattutto vecchie leggende e fantasie popolari del passato, che sia frutto di una cultura arcaica superata. In realtà il mito del trickster rifiorisce nel contesto del mondo attuale, coesistendo anche con l’efficientismo di certi ambienti ipertecnologicizzati. L’esempio più evidente sono i Gremlins, creature clandestine viventi all’interno degli aerei. Tali demonietti sono stati anche il tema di un film di Spielberg, ma in modo completamente stravolto dall’originale. In realtà la loro invenzione è dovuta soprattutto agli aviatori americani dell’ultima guerra che attribuivano loro vari guasti e interruzioni dei contatti radio. Nelle loro credenze i Gremlins avrebbero soprattutto lo sciagurato vizio di bere in volo il carburante degli aerei¹⁹.

    La lista di abitudini con cui abbiamo caratterizzato il personaggio non sarebbe tuttavia completa se non menzionassimo un’ultima qualità, per la verità un po’ inattesa, che mostra di possedere un gruppo alquanto consistente di questi esserini, i quali spiccano sulla restante masnada di scapestrati per una inopinata, quanto balzana, voglia di lavorare, di collaborare fattivamente alle quotidiane fatiche degli uomini. Ne fanno, ad esempio, parte operosi braccianti come i Brownies inglesi, ometti che aiutano nel lavoro dei campi, o i Pwcas gallesi che fabbricano il burro lavorando instancabilmente alla zangola. Ci sono poi gli Gnomi, diffusi tra Germania, Scandinavia, Galles e Scozia che sono eccellenti minatori, capaci di trovare metalli preziosi e fabbricare con quelli oggetti dalle portentose proprietà²⁰, e ancora i Leprechaun irlandesi che sono abili ciabattini. Ci troviamo così a un’opposizione costruttività/distruttività che raggiunge il suo acme in alcuni miti cosmogonici in cui la forma burlona e quella vagamente laboriosa del trickster si scindono in due opposte entità che assumono uno strano rapporto che potremmo definire di collaborazione/opposizione. Ad esempio, abbiamo visto come, nei gruppi amerindi della California centrale, una delle epifanie del trickster sia il Coyote. Ebbene, nella locale cosmogonia il suo aiutante/rivale è la Volpe argentata. Entrambi creano il mondo tramite un rapporto che inizialmente è di collaborazione: la Volpe Argentata addormenta il Coyote e nel sonno lo pettina, fa sorgere dai suoi piedi un’isola (in questo mito la sola condizione preesistente ai due spiriti è l’acqua), modella sulla stessa alberi, rocce, boschi. Ma la divergenza di nature finisce per portarli a un conflitto. Dopo la plasmazione dell’isola, i due si scontrano in vari modi e con caratteristiche strategiche pertinenti alle rispettive tendenze. Il Coyote compie le mascalzonate proprie della categoria, la Volpe ne neutralizza, uno a uno, gli effetti convertendoli in situazioni utili. Il Coyote compie il misfatto supremo introducendo nel mondo la morte e la Volpe Argentata gli restituisce pan per focaccia uccidendolo. Per evitare che torni in vita si mette a ripulire i luoghi da lui sporcati con l’urina, ma ne dimentica uno e il Coyote rinasce obbligando l’avversario a rendergli omaggio e rispetto²¹.

    L’opposizione delle due nature viene fuori da un breve elenco delle azioni di ciascuno. L’uno uccide, inganna, sporca, compie malestri, l’altro plasma, pettina, modella, pulisce, uccide chi ha osato introdurre il poco gradito evento della morte. Se nel primo rispunta l’immagine del nostro ben noto malfattore, è chiaro che nel secondo, la Volpe Argentata, dobbiamo individuare qualcosa di nuovo che, pur nello stesso mondo fatto tutto di spiriti, gli si oppone con un’opera di costruzione, elevando a un ruolo ancora più alto lo zelo costruttore dei Brownies inglesi o dei Pwcas gallesi. È una divaricazione questa degli spiriti operosi/dissolutori che compare anche in mitologie più evolute come quella greca in cui si evidenzia nell’antitesi, celebre per le digressioni di Nietzsche, tra Apollo e Dioniso. Nella mitologia greca tuttavia compare qualche incoerenza nel ruolo delle due figure, soprattutto della prima – di spirito positivo – che conviene esaminare. Apollo (Febo per i greci) è, infatti, un nume puntiglioso e scostante, maniaco della precisione, permalosissimo per le inesattezze.

    Una volta che gli viene la balzana idea di chiedere ai cittadini di Delo, come prezzo per far cessare una pestilenza, l’edificazione di un nuovo altare, uguale al precedente, ma di volume doppio, si infuria perché i costruttori hanno ingenuamente raddoppiato lo spigolo, così che la nuova ara ha in realtà un volume otto volte superiore. Nell’attenersi alle sue prescrizioni matematiche non si deve sgarrare né in più, né in meno, altrimenti è un affronto. Dioniso è invece il dio dell’ebbrezza e della dissoluzione (che però hanno, per essere oggetto di un’intensa ritualità, un loro valore spirituale), le sue sacerdotesse, menadi o baccanti, percorrono ululando la campagna con un grido caratteristico: evoè, evoè.

    Come inquadrare tale categoria di operosi spiriti? Se assumiamo, secondo un’elementare interpretazione, tutti gli altri come figure in qualche modo evocative del Caos, dovremmo attribuire alla schiera in oggetto quello contrario di una singolare propensione per l’organizzazione e l’Ordine. Il problema è che nell’inattesa dedizione dei secondi c’è per lo più qualcosa che non quadra in quanto alla sua reale applicazione. Questo nonostante, a certe condizioni, il frutto di tanto lavoro sia, almeno nella leggenda, reale. Il motivo della perplessità è che tali soggetti sono, come al solito, assai permalosi, chiedono sempre una qualche mercede per il lavoro svolto e se si sgarra nel compenso divengono di nuovo intrattabili. Per fare un paio di esempi, gli Gnomi sono bravi minatori, ma possono, se contrariati, provocare terremoti e follie suicide, i Leprechaun poi, fanno, sì, i ciabattini, ma tutto il loro impegno si limita a costruire sempre una sola scarpa in cui ripongono tesori che non debbono essere toccati. Nel finale della storia di Apollo e dei cittadini di Delo che hanno mal calcolato le misure dell’altare, il nume irato, senza neppure apprezzare l’esecuzione ad abundantiam del precetto, mette mano all’arco e scaglia le sue frecce che si manifestano come intensificazione della pestilenza, come sempre indiscriminata, perché il suo zelo per la precisione non si trasferisce affatto nell’atto punitivo. Il dio corrucciato non può sprecarsi a distinguere gli innocenti dai colpevoli, tira nel mucchio e chi prende, prende.

    Un accenno meritano infine le forme letterarie che assume il trickster. Secondo Kerenyi il tema compare particolarmente nel Satyricon di Petronio, nelle storie di Rabelais, nel Reineche Fuchs di Goethe. Anche tutta la letteratura picaresca, secondo lo stesso, ha per protagonista un’epifania dello stesso personaggio i cui riflessi si possono ancora cogliere in figure della letteratura moderna come il Felix Krull di Thomas Mann²². Secondo Roger Caillois, un teorico dei giochi su cui avremo modo di tornare ampiamente, individua un perfetto equivalente moderno del personaggio nel clown del circo. È un’immagine secondo lo stesso che appartiene alla mitologia di cui rappresenta nella kermesse del circo "l’eroe gaffeur, birbante o stupido a seconda dei casi, lo stesso che all’atto cosmogonico della creazione, imita goffamente i gesti dei demiurghi rendendone incerta e tortuosa l’opera²³. E lo capiamo subito dai tratti comportamentali in cui riconosciamo quelli del nostro eterno svitato: Il poveraccio è incorreggibile: presuntuoso e maldestro insieme, si ostina a imitare i suoi partner e non riesce che a provocare dei disastri di cui è vittima. Fa tutto a rovescio. Si tira addosso scherzi di ogni genere, bastonate e secchi d’acqua"²⁴. L’autore fa anche un confronto antropologico con un feticcio dei gruppi etnici Navajo del Nuovo Messico, presso cui è presente come Tonenili, il dio dell’acqua, che fa tutte le sciocchezze che conosciamo: scocca frecce immaginarie, gonfia altezzoso il petto, se la prende con una pelle di volpe che porta attaccata alla schiena e che scambia per una vera volpe, scimmiotta le azioni di Yebitchai, la divinità benefica antagonista.

    Per completare lo sguardo sull’aspetto letterario del briccone possiamo evidenziare come gran parte della commedia occidentale si basa su una storia che ruota attorno a una figura di millantatore, di furfante, di istrione, o comunque (se il personaggio vero e proprio manca) attorno a una serie di equivoci fraudolenti o di beffe che sembra aleggiare sulla storia come un ospite intrigante. Un’incarnazione particolarmente viva la troviamo nel Puck, Robin Goodfellow, il folletto del bosco del Sogno di una notte di mezza estate. È uno spiritello gabbamondo che combina i dispetti più disparati dell’ambiente domestico e perciò costituisce la disperazione delle massaie e degli operosi braccianti. Nella commedia shakespeariana getta i protagonisti della storia in un intricato labirinto di miraggi e follie, creando tra loro risse, odi, rancori, labirinto da cui tuttavia riusciranno come rigenerati.

    2. Mito e intrusione nel quotidiano

    Il mito si rivela quasi sempre la metafora di qualcosa di cui gli uomini intuiscono l’esistenza a un livello poco o punto accessibile della realtà, sia essa fisica o psichica. È il principio che può ora introdurci al punto più impegnativo della presente ricerca, alla possibilità, cioè, che il briccone sia qualcosa di più che una leggenda. Questo, ovviamente, non nel senso che si aggirino davvero per il mondo Demoni e folletti pronti a fare i malestri che abbiamo elencato, ma in quello che l’Es, la parte istintuale – per lo più inconscia – della personalità, di cui il briccone stesso può esser considerato l’allegoria migliore, attivi processi simbolici, dinamiche affettive inconsce in grado di produrre – quando superano una certa intensità e in soggetti particolari – effetti che vanno al di là del puro ambito mentale.

    Sul piano episodico il problema che ci poniamo riguarda il possibile rapporto del nostro soggetto mitologico con una classe di fenomeni che, almeno nelle descrizioni, sembrano una perfetta espressione della sua tormentata e bizzarra natura. È un tipo di evento certamente molto raro, ma di un’estensione così universale, così ampia, sia nello spazio che nel tempo, che lo rende disponibile in centinaia, se non migliaia di casi (tenuto conto dei meno appariscenti e di quelli verificatisi in aree geografiche meno accessibili). È anche il punto in cui conviene prevenire la possibile perplessità del lettore forse non troppo convinto dall’inizio tutto dedicato all’aspetto mitologico di un fenomeno che, in fondo, riteniamo interessi soprattutto per la sua credibilità scientifica. In realtà appare molto importante che lo stesso lettore si renda subito conto della complessità del mondo interiore fatto di simboli, di rituali, di credenze quale quello determinante la spinta emotiva che innesca il fenomeno. È solo il primo passo per rendersi conto del potenziale di conoscenza di cui il fenomeno può essere portatore, visto il suo legame con una realtà così profondamente radicata nella cultura e nelle contingenze della storia.

    C’è da dire che la scienza ufficiale dà al fenomeno (nonostante l’accettazione di molti e illustri studiosi, compresi premi Nobel) scarso o nessun credito, sia per il suo carattere sfuggente, sia per l’evidente difficoltà a giustificare la netta compromissione delle leggi naturali che comporta. Per tale motivo la sua indagine resta confinata in un’area particolare come la parapsicologia, nel cui ambito è etichettato con il termine tedesco di poltergeist (spirito chiassone, rumoroso), o anche con l’acronimo inglese di RSPK (Recurrent Spontaneous Psycho Kinesis).

    Sul piano specifico della casistica riferita gli effetti sono del genere più disparato, e hanno per lo più un carattere movimentato e convulso, caratteristica questa coerente con la tesi della loro origine legata, come vedremo, al trauma psicologico di un soggetto e/o di un gruppo. Si suppone che attraverso quel trauma il soggettogruppo si trovi inconsapevolmente a riattualizzare un sistema primitivo di credenze e di possibili eventi collegati che l’evoluzione culturale e storica hanno ormai espulso dal quotidiano vivere e operare della società. Sono principalmente animazioni cinetiche di oggetti del tutto spontanee: voli, urti, cadute, colpi battuti, anche molto forti, sparizioni e riapparizioni delle cose più svariate, disturbi agli impianti domestici, elettrici e di comunicazione, altre bizzarre manifestazioni come incendi – secondo ogni apparenza spontanei –, strani suoni, spesso di carattere imitativo, talvolta (ancor più raramente) addirittura voci e grottesche apparizioni di immagini. In casi estremi tali irruzioni assumono una forma talmente violenta e incontenibile da produrre autentiche devastazioni degli ambienti, senza ovviamente che il fastidioso ospite si renda – nonostante le continue ricerche e gli ininterrotti servizi di sorveglianza – in alcun modo visibile. È ovvio lo sgomento di coloro che ne restano coinvolti, soprattutto quando l’impossibilità logica dei fenomeni diviene, per la loro frequenza e intensità, così evidente da dare la classica sensazione che il mondo sia stato rivoltato come un calzino.

    Date le ovvie prevenzioni, accennate anche nella premessa, e per non costringere il lettore a una prematura rinuncia al buon senso, faremo subito presente almeno un elemento che ricolleghi il poltergeist a una categoria di eventi per vari aspetti affine, oggetto tanto della comune esperienza che di un particolare settore della ricerca scientifica. Se il poltergeist è sostanzialmente un’espressione dell’inconscio, della sua parte più latente e pressata dall’istinto, appare assai calzante immaginarlo (effetti fisici a parte) come qualcosa di molto affine al sogno.

    Ora, nessuno si meraviglia delle bizzarrie e delle stranezze che offre tale processo psichico. L’esperienza onirica è fatta così, accadono cose strane e impossibili. Merita dunque immaginare un episodio di poltergeist come un processo onirico che, per particolari fattori di, diciamo, criticità emotiva, riesce a travalicare un attimo i limiti della mente e riversare nella quotidiana, materiale realtà tutte le bizzarrie, le stravaganze, le stramberie che sono caratteristiche del sogno (torneremo più volte sul confronto). L’analogia con il sogno appare anche assai calzante in rapporto ai nostri riferimenti mitologici e ciò è ben visibile se consideriamo quelli di una cultura tribale che forse è (o era) la più primitiva tra le popolazioni del nostro pianeta, quella degli aborigeni australiani. Per loro gli alcheringa, i personaggi del mito, che per lo più sono dei totem (e tutti i nostri spiriti e demonietti appartengono a tale categoria), sono anche personaggi del sogno e designano l’era da cui provengono, l’alchera, con la strana perifrasi dell’era del sognare.

    C’è anche un processo psicologico che orientativamente può suggerirci come avvenga la dinamica inerente l’analogia onirica. Si tratta del fenomeno della proiezione, quel meccanismo per cui il soggetto espelle da sé e localizza in elementi della realtà esterna (persone o oggetti) parti di sé (desideri, sentimenti, impulsi) di cui non tollera la presenza all’interno del proprio apparato psichico. Il caso estremo di questo processo è l’allucinazione in cui il contenuto psichico rifiutato viene esteriorizzato con la trasformazione in immagine (o suono, o voce). Potremmo considerare il poltergeist come un processo che agisce lungo questa linea dell’esteriorizzazione proiettiva, che tuttavia attua il passo successivo di conferire al processo stesso – psicologicamente affine all’allucinazione – l’ulteriore capacità di assumere (detto semplificando) una sua corporeità, una sua capacità di oggettivarsi in effetti cinetici sulla materia.

    Ma se le incoerenze logiche del sogno sono il modello iniziale per spiegare le analoghe incoerenze del poltergeist dobbiamo accettare che tale tipo di evento sia privo di una qualche logica, che non sia regolato da un qualche ordine? Diciamo per adesso che i criteri di razionalità che vengono sospesi sono quelli applicabili all’ordinario mondo materiale basato sulla causalità fisica, nonché sulle funzioni separatorie dello spazio e del tempo, che il nuovo ordine è quello dei processi simbolici e delle dinamiche affettive proprie della parte più latente dell’apparato psichico. Un’immagine utile può essere quella di considerare i suoi episodi – i suoi processi proiettivi – come qualcosa di simile a tanti siparietti di teatro in cui lo sgraditissimo ospite esibisce sprazzi variegati di una logica paradossale molto affine a quella del sogno. Alcuni di tali siparietti sono blitz rapidi, microeventi fisici in cui la strana logica capovolta è mostrata con la breve animazione di un oggetto, o con qualche immagine o suono impossibile. Altre volte hanno un carattere un po’ più complesso, formano scene un po’ elaborate. Il vero protagonista è in ogni caso sempre l’elemento inconscio, quell’eterno, occulto coinquilino dei nostri pensieri la cui più tipica forma comunicativa appare molto simile a quella dei demoni e folletti che abbiamo descritto.

    Tuttavia è bene adesso, di fronte alla constatazione di così drastici, possibili effetti, riprendere un paio di domande poste nella premessa. Primo, vale la pena studiare un fenomeno così raro, così apparentemente lontano dai problemi della quotidianità e sulla cui esistenza la scienza, almeno quella più accademica, nutre notevoli dubbi? Il problema è correlato alla natura stessa dell’inconscio, alla possibilità, sostenuta dalle varie correnti psicanalitiche, che costituisca una sorta di luogo di sedimentazione delle esperienze dell’intera vita di una persona, il punto di raccolta del senso dell’interazione dell’individuo con tutto ciò che gli offre il mondo esterno. Se dunque il poltergeist è un fenomeno reale (e chi scrive ritiene di avere, assieme a molti altri ricercatori del settore, indizi più che sufficienti per ritenere ben fondata la possibilità) e costituisce un’espressione così schietta e diretta dell’inconscio, allora (e qui torniamo, per una via tutta deduttiva, all’implicito potenziale conoscitivo) il suo manifestarsi raccoglie tutta la complessità del mondo umano compreso nei suoi diversi aspetti psicologici, culturali, nelle sue problematiche di approccio scientifico alla realtà.

    Particolarmente sul piano scientifico il proporsi del poltergeist come contatto diretto tra due dimensioni così opposte come la mente e la materia impone alla ricerca un’integrazione di tutte le aree disciplinari – antropologiche, fisiche, logiche ecc. – ponendo così la possibilità di un importante contributo all’unificazione della conoscenza. Conviene pertanto indagare il fenomeno se non altro per valutare quanto si presti alla realizzazione di un obbiettivo così impegnativo.

    Punto secondo: l’attendibilità scientifica degli indizi. Quelli che abbiamo giustificano davvero la rischiosa assunzione di questa movimentata, diretta azione della psiche sulla materia? Diciamo che, per cominciare a comprendere la sostenibilità dell’ipotesi, occorre lavorare su due piani. Innanzitutto su quello parapsicologico stabilendo in modo chiaro quali sono, oltre quella enunciata, le caratteristiche che più contrastano con le conoscenze scientifiche attuali, vederne la possibile presenza in altre aree – per lo più di confine – della ricerca, considerare l’applicabilità delle leggi scientifiche operanti in queste aree al manifestarsi del poltergeist. Secondariamente, e indipendentemente da ciò, occorre vedere se in tutto il materiale – cinetico, immaginifico, simbolico – prodotto in simili manifestazioni vi sia un qualche ordine, una qualche strutturazione, se cioè sia possibile, dato il fattore umano che ne sta alla base, reperire nelle sue manifestazioni gli elementi articolatori di un linguaggio, di una qualche forma di comunicazione caratterizzata da una sua, pur strana e bizzarra, coerenza.

    Affronteremo il primo di tali problemi, quello del contrasto con certi principi fondamentali della scienza, in alcuni capitoli specifici e con rimandi alle varie parti del lavoro. Per quanto riguarda il secondo, l’individuazione nel fenomeno di un possibile linguaggio, diciamo che tutta la presente ricerca sarà un’analisi e una verifica di tale possibilità.

    Conviene ora riprendere l’indagine dal punto in cui abbiamo iniziato a considerare gli aspetti psicologici implicati nel tradurre la mitologia del briccone in possibili fenomeni di poltergeist. In effetti è una tesi già oggetto di qualche opinione illustre come quella di Jung che nel 1954 osservava: "Come accade in tutte le figure mitiche che corrispondono a esperienze interiori, dalle quali originariamente provengono, non stupisce osservare anche nell’ambito dell’esperienza parapsicologica fenomeni che mostrano tratti propri del briccone’. Sono manifestazioni dello spirito follettoche compaiono in ogni luogo e in ogni tempo, riferite da giovanetti che non hanno ancora raggiunto l’adolescenza. I tiri scherzosi o maligni di questo spirito sono universalmente noti; com’è nota la scarsa intelligenza, o addirittura la stupidità che contrassegna le sue comunicazioni"²⁵.

    Possiamo completare il collegamento osservando che qualche indizio ce l’offrono già alcuni episodi della casistica. In qualche caso, soprattutto dei più vecchi, vi è la notizia che l’occulta entità si presenta con l’identità di qualcuno degli spiritelli menzionati. Ad esempio, in un caso ottocentesco avvenuto in Russia vicino a Nijni Novgorod nell’ itzba di un mugik si udivano delle voci che dichiaravano esplicitamente di appartenere a un Domovoy, abbiamo visto, spiritello domestico del folklore russo²⁶. In un altro che afflisse una cameriera austriaca trasferitasi a Londra nel 1922 si allude a un suo Kobold accompagnatore, come autore dei fenomeni cui dette luogo in un albergo²⁷. In un episodio indiano avvenuto nel 1920 nel distretto di Tajore, e su cui torneremo, l’entità dichiarò il proprio nome di Rajamadan, un equivalente del dio locale Belly, o Bali, una protodivinità della dissoluzione simile (significativamente per noi) al Bacco-Dioniso occidentale²⁸. Un’identità abbastanza simile di folletto domestico forniva ancora l’occulto agente di un caso antico avvenuto nel castello di Hudemuhlen in un lungo periodo dal 1584 al 1588, folletto che dichiarava anche un suo nome: Hintzelmann²⁹.

    Ci sono poi altri effetti sonori del poltergeist che fanno pensare alle tipiche azioni dei diavoletti mitologici. Specificatamente, data la frequenza dei colpi, anche molto forti e battuti senza causa visibile, vengono alla mente tutti gli spiriti battitori che popolano la penisola, ma non solo (nel dizionario italiano-tedesco della Sansoni il termine poltergeist è definito spirito che batte colpi, restando in questo indistinto dal Klopfgeist). Anzi possiamo dire che quasi tutti gli occulti animatori della RSPK sono, chi più chi meno, degli spiriti battitori. Nella Baviera renana, a Bergzabern (1853), ne troviamo uno particolarmente pervicace in quest’azione che si manifestava nella casa di un sarto, tal Pietro Sanger³⁰.

    Merita a questo punto introdurre una caratteristica del personaggio alquanto curiosa finora trascurata e su cui torneremo, caratteristica che può aiutarci a dare un appropriato indirizzo alla nostra ricerca. È l’inclinazione a essere ricettivo e cooperante a tutto ciò che è ritmo, canto, danza, aria musicale, inclinazione emergente, sia nelle leggende che in casi specifici di poltergeist. Spesso se qualcuno, nei luoghi delle sue comparse, si mette a canticchiare un’aria, o a suonare uno strumentino, subito il misterioso ospite comincia a battere il tempo o a emettere misteriosamente gli stessi suoni, questo quasi avesse messo in funzione un qualche registratore (si badi bene, anche in epoche in cui non esistevano registratori). Viene fatto

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