La sfida delle aree interne: Si riparte solo se ci siamo tutti e tutte
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La Strategia Nazionale per le Aree interne del Paese costituisce una delle linee strategiche di intervento dei Fondi Strutturali e di Investimento Europei del ciclo di programmazione 2014-2020, definite nell'ambito dell’Accordo di Partenariato.
Si tratta di una strategia importante per lo sviluppo rurale e locale del Paese che dovrebbe essere in grado di fornire efficaci soluzioni per la crescita economica e sociale delle aree meno sviluppate e competitive e rappresenta un’azione diretta al sostegno della competitività territoriale sostenibile, al fine di contrastare il declino demografico che caratterizza talune aree del Paese, definite come quelle aree più lontane dai poli di servizio essenziale primario e avanzato dei centri urbani.
Il volume attua una ricognizione per monitorare lo stato di attuazione concreto delle azioni e degli interventi finanziati.
a ogni singola strategia di area estrapola le criticità ed evidenzia quelle che sono state dichiarate come le "possibili soluzioni" rispetto ai risultati attesi.
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Anteprima del libro
La sfida delle aree interne - Ivana Veronese
© Arcadia edizioni
I edizione, settembre 2021
Isbn 9788832104455
È vietata la copia e la pubblicazione,
totale o parziale, del materiale
se non a fronte di esplicita autorizzazione scritta
dell’editore e con citazione esplicita della fonte.
Tutti i diritti riservati.
Nel testo sono riportati alcuni interventi del Convegno tenutosi il 04/02/2021
Questo lavoro è stato reso possibile grazie alla collaborazione di Francesca Cantini e Luigi Veltro
Tutti abbiamo nei nostri ricordi da bambini, un luogo magico, dove si andava per le vacanze, quando si raggiungevano i nonni, dove si ritrovavano gli amici e ci si aggiornava di quanto accaduto in un anno, dove si sognavano evasioni da fare nell’età dell’adolescenza. Normalmente si trattava di luoghi sperduti, in mezzo alla natura, difficili da raggiungere, per strade non molto battute, dove qualche volta nemmeno arrivava il segnale della televisione ma certo i ricordi scolastici non condizionavano le nostre giornate.
Erano luoghi, per l’appunto, che ci portavano fuori dalla normale realtà fatta di impegni, di traffico, di convivenze e di vicinanze.
Restiamo legati a quei luoghi nel ricordo, proprio perché rappresentavano una parentesi nella nostra vita ordinaria. Sì, perché in questi luoghi che esistono davvero e che oggi potremmo senza molta fatica ascrivere alla categoria delle aree interne
di ordinario non c’è quasi niente.
E bene lo sa il 21% della popolazione italiana che vive in luoghi lontano dalle reti di collegamento, poco servite da strutture pubbliche o sociosanitarie, con il segnale del telefono che un po’ va e un po’ viene, con gli ospedali – se mai ce ne fosse bisogno – difficili da raggiungere.
Eppure, se tante volte pensiamo che l’Europa per ripartire deve essere più unita, se affermiamo che l’Italia nuova deve far conto anche di una presenza attiva del Mezzogiorno, dobbiamo allo stesso modo ragionare così: per ripartire ci dobbiamo essere tutti/e, ma proprio tutti/e, tutti/e.
Non ci può essere il 50% del territorio del Paese, che appartiene alle aree interne, che viene abbandonato a sé stesso dove l’economia e la socialità sono ad un livello più basso. Non si può avere un’Italia concentrata soltanto nei capoluoghi, nelle città, lungo le autostrade, nelle zone più facilmente raggiungibili.
Lasciamo allora nella memoria di ognuno i posti fantastici che abbiamo conosciuto nell’età dell’innocenza ed impegniamoci invece, tutti assieme, a ragionare su taluni limiti che nelle aree interne è più facile incontrare e sulle grandi potenzialità che avrebbe ridisegnare una strategia, utilizzare le opportunità, rendere protagoniste anche le comunità che in queste aree risiedono dell’entusiasmante gioco
di disegnare il futuro.
Introduzione
Ivana Veronese
Segretaria Confederale UIL
La Strategia Nazionale per le Aree interne del Paese costituisce una delle linee strategiche di intervento dei Fondi Strutturali e di Investimento Europei del ciclo di programmazione 2014-2020, definite nell’ambito dell’Accordo di Partenariato.
È, infatti, un allegato dell’Accordo di Partenariato, all’interno del quale è parte integrante degli obiettivi tematici da realizzare in osservanza alle indicazioni del Quadro Strategico Comune Europeo (QSC).
Si tratta di una strategia importante per lo sviluppo rurale e locale del Paese che dovrebbe essere in grado di fornire efficaci soluzioni per la crescita economica e sociale delle aree meno sviluppate e competitive e rappresenta un’azione diretta al sostegno della competitività territoriale sostenibile, al fine di contrastare il declino demografico che caratterizza talune aree del Paese, definite come quelle aree più lontane dai poli di servizio essenziale primario e avanzato dei centri urbani.
È una strategia che coinvolge il 50,1% dei Comuni e il 21,2 % della popolazione italiana ed è sostenuta sia dai fondi europei (FESR, FSE e FEASR) che nazionali (Fondo Sviluppo e Coesione) per la coesione con il cofinanziamento di progetti di sviluppo locale.
Con questa strategia l’Italia si propone di creare nuove possibilità di reddito e di assicurare agli abitanti maggiore accessibilità ai servizi essenziali, con riferimento prioritariamente ai servizi di trasporto pubblico locale, di istruzione e sociosanitari, e opportunità di lavoro.
A distanza di sette anni dall’avvio della Strategia a che punto siamo?
Come UIL, abbiamo voluto fare una ricognizione per monitorare lo stato di attuazione concreto delle azioni e degli interventi finanziati. Da ogni singola strategia di area abbiamo estrapolato le criticità ed evidenziato quelle che sono state dichiarate come le possibili soluzioni
rispetto ai risultati attesi.
Abbiamo raggruppato le criticità delle 72 Strategie in quattro macro-voci di intervento: Scuola, Sanità, Mobilità/Accessibilità e Sviluppo Locale.
Ne esce uno spaccato che denota gli stessi problemi da nord a sud. La criticità più evidente sembra essere l’invecchiamento della popolazione con tutti i problemi che ne conseguono: pochi bambini, carenza di scuole, pendolarismo di studenti e insegnanti, scarsa offerta formativa e alto abbandono scolastico da una parte, ma anche aumento di patologie croniche, assenza di servizi territoriali sociosanitari, tempi alti di attesa emergenza/urgenza dall’altra.
Il sistema del trasporto pubblico risulta obsoleto e inadeguato ai bisogni della popolazione di queste Aree: andare a scuola, al lavoro e perfino in ospedale significa dipendere da un’organizzazione della mobilità che di fatto risulta essere molto poco organizzata.
Lo sviluppo locale è orfano di una politica che negli anni è stata miope e poco lungimirante, costringendo le aziende e i lavoratori a migrare verso aree più organizzate e favorevoli alla crescita e al progresso.
È evidente che esiste, in questa ampia parte del Paese, un forte potenziale di sviluppo che la costruzione di una strategia nazionale, robusta, partecipata e continuativa, nel tempo, può consentire di liberare.
L’obiettivo della strategia, attraverso investimenti, crescita, lavoro e inclusione sociale è quello di innalzare il benessere e la qualità della vita delle persone che vivono in tali aree.
I processi di sostegno alla crescita e allo sviluppo di queste aree dipendono da fattori come la governance, la buona amministrazione, l’efficienza, l’efficacia, la razionalizzazione e la consapevolezza delle potenzialità e delle peculiarità di questi territori.
La ricerca di un processo politico semplificato ed efficace è decisiva, in un contesto complesso come quello attuale, dove non tutto accade attorno ai centri urbani.
Certo, ci troviamo di fronte ad un bivio: come riformiamo la Carta delle Autonomie (Testo Unico degli Enti Locali) e come riorganizziamo la pubblica amministrazione.
Siamo all’inizio concreto dei progetti del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza dove le aree interne costituiscono un asse importante di investimento, anche se le risorse finanziarie impegnate non sono adeguate alla sfida che abbiamo davanti.
Si tratta di oltre 1,1 miliardi di euro di cui 830 milioni di euro per il potenziamento dei servizi e delle infrastrutture sociali e dei servizi sanitari di prossimità e 300 milioni di euro per il miglioramento dell’accessibilità e della sicurezza delle strade.
Inoltre, siamo alla vigilia dell’avvio della nuova programmazione delle risorse europee e nazionali della coesione 2021-27 e, di conseguenza, siamo di fronte a scelte che dovremo fare in riferimento alle politiche territoriali di sviluppo finanziate dal nuovo obiettivo di policy Un’Europa più vicina ai cittadini
.
Come UIL, al tavolo di preparazione dell’Accordo di Partenariato, in merito alla strategia per le aree interne, abbiamo avanzato proposte concrete ponendo il tema del lavoro, dei servizi pubblici e delle infrastrutture come assi prioritari di investimento a partire dalla digitalizzazione e metanizzazione di queste zone.
Sullo sfondo resta fondamentale prevedere una fiscalità differenziata (Zone Franche Montane), unitamente a misure di incentivazione per l’autoimpiego e per l’autoimprenditorialità.
Ma è necessario anche un diverso approccio nel coinvolgimento degli attori sociali in quanto in queste aree è importante introdurre strumenti innovativi di programmazione negoziata dal basso, con il coinvolgimento del partenariato inteso come modello partecipativo, rendendolo metodo condiviso, efficace e pienamente integrato con il coinvolgimento delle forze economiche e sociali e delle organizzazioni della società civile in una pianificazione strategica, orientata allo sviluppo integrato.
Una partecipazione, concreta e reale, per creare un clima di impegno comune, di responsabilità e di fiducia.
Il tema, dunque, è avere una chiara visione del Paese.
Ricordiamo che senza una spesa ordinaria di qualità, legata quindi a stanziamenti annuali nel bilancio del Paese, i fondi europei e nazionali per la coesione non possono risolvere tutti i problemi.
Crediamo che questa pubblicazione, che mettiamo a disposizione di tutte le nostre strutture, testimoni come la conoscenza della realtà sia fondamentale affinché le risorse, sempre purtroppo poche, siano spese bene.
Riordino socioeconomico, istituzionale, ammodernamento della macchina amministrativa, governance, visione a tuttotondo di un Paese: da qui si riparte.
E noi siamo pronti a fare la nostra parte.
Intervento
Dott. Francesco Monaco
già Coordinatore Comitato Tecnico delle Areee Interne – Ministero per il Sud e la Coesione Territoriale
Grazie innanzitutto per l’invito che ho molto gradito; ringrazio molto la segretaria Veronese ed il collega Luigi Veltro.
Con Luigi nei tavoli del partenariato ci conosciamo si può dire da quando avevamo i calzoncini corti… ci siamo confrontati, molto spesso in questi anni, con altri amici della CISL, della CGIL, della Confindustria e con il resto del partenariato su tutti i principali temi della coesione territoriale in Italia.
Vi dico subito che qualche volta abbiamo anche animatamente discusso, non è che sono state sempre, come si dice, rose e viole… ma insomma nel 90% dei casi ci siamo sempre trovati d’accordo sulle varie posizioni da sostenere a livello di comitati di sorveglianza e abbiamo sempre lavorato bene insieme.
L’altra cosa che volevo dire in premessa è un apprezzamento per questa discussione che avete organizzato. Una discussione fondata su dati e fatti, che è cosa sempre molto costruttiva a prescindere dalle posizioni che ciascuno di noi può legittimamente coltivare sul tema.
Ho apprezzato la prima approfondita relazione della Dr.ssa Cantini, corredata da tante informazioni, e poi quella di Luigi altrettanto ricca, anche di proposte.
Su una cosa, intanto, non mi dichiaro d’accordo: la SNAI e le aree interne non sono un tema di nicchia. Lo potevano essere sei\sette anni fa quando è partita la strategia nazionale. Oggi ritengo sia ormai entrata nell’agenda politica ed in quella di tutti gli operatori istituzionali e del partenariato economico e sociale, della società civile, del mondo anche accademico, del mondo dell’associazionismo di cittadinanza o in altre forme diciamo di aggregazione sociale. Forse solo i partiti non sono riusciti ancora a focalizzare la questione con una loro proposta. In generale si può osservare che la discussione sulla strategia delle aree interne
ormai si arricchisce ogni giorno di studi, ricerche, analisi, prese di posizioni e, se permettete, questo mi sembra un elemento molto vitale di questa politica.
Vorrei affrontare nel mio intervento tre questioni che riguardano la Strategia: il metodo adottato, lo stato di attuazione, le prospettive.
La SNAI è nata agli inizi del 2012 sulla scia del documento Metodi e strumenti per un uso efficace dei fondi strutturali
adottato dal Governo Monti (con F. Barca, Ministro della coesione territoriale) che si proponeva di promuovere in Italia la riforma della politica di coesione per il periodo 2014-2021, secondo le prescrizioni del Rapporto Barca-Hubner. Il testo indicava tra le priorità di intervento del futuro le aree interne
, sostenendo un metodo nuovo di programmazione e attuazione.
La prima fase ha riguardato la conoscenza delle aree interne: con una batteria di 140 indicatori socioeconomici appositamente elaborati abbiamo poi proceduto a definire una mappa organizzata per poli di servizio (cioè i Comuni dove sono presenti le scuole, le ferrovie e gli ospedali) e aree classificate sulla base delle distanze di percorrenza per raggiungere questi poli. Da qui la classificazione in aree di cintura, intermedie, periferiche e ultra-periferiche.
A questa prima fase è seguita una fase di istruttoria pubblica, che ha consentito di identificare le aree-pilota in tutto il territorio su cui praticare la Strategia, poiché nel frattempo la SNAI era entrata nell’Accordo di Partenariato 2014-2020 sotto forma di sperimentazione
dell’intervento integrato sulle aree interne.
La selezione delle aree con il metodo dell’istruzione pubblica e aperta è stato un processo entusiasmante: migliaia di Sindaci, imprenditori, artigiani, agricoltori, presidi, famiglie, studenti, associazioni, medici, farmacisti incontrati in giro per l’Italia dalla Val d’Aosta alla Sardegna per parlare di problemi, bisogni, aspirazioni e desideri delle persone che vivono nelle aree interne
.
L’istruttoria, condotta da un Comitato tecnico interministeriale, con la partecipazione di ANCI e UPI, e le Regioni, ha generato le 72 aree della sperimentazione SNAI che oggi conosciamo.
Vorrei qui rispondere ad un rilievo mosso da Luigi nel suo intervento, secondo il quale il Sindacato non sia stato abbastanza coinvolto nell’istruttoria. È vero, il coinvolgimento del Sindacato è stato in quella fase un po’ rarefatto e certamente poco approfondito. Non che siano mancati incontri e scambi di valutazioni ma certamente si poteva e doveva fare di più. Se può valere come spiegazione di questa mancanza
, avendo fatto parte fin dall’inizio del Comitato tecnico e avendo partecipato a tutta la fase istruttoria, posso dirvi che all’epoca eravamo così assorbiti dal confronto territoriale (in fondo era la prima volta da decenni che lo Stato – in senso lato – non tornava sui luoghi per decidere le sue politiche di intervento) che davvero non bastava il tempo per affrontare un confronto ai livelli alti
del partenariato economico e sociale. E se non abbiamo incontrato il Sindacato, come organizzazione, in verità sul territorio abbiamo invece incontrato migliaia di sindacalisti: delle aziende in crisi che incrociavamo, degli addetti del turismo e della agricoltura, della scuola, dei trasporti e della Sanità.
Oggi che la Strategia è più matura, la fase di sperimentazione in via di conclusione ed il Governo Conte II ha deciso di trasformare la SNAI in una politica strutturale
per tutte le aree interne del Paese credo che quel limite debba essere superato.
Dobbiamo colmare la mancanza
e ritessere il filo del dialogo e del confronto con il Sindacato e le altre parti sociali per portare questa politica ai livelli dei grandi piani strategici a cui l’Italia si prepara su impulso dell’Europa e come reazione alla distruzione provocata dalla pandemia in corso.
Ma per tornare al metodo, SNAI si