Dopo il Coronavirus: Vademecum per la rinascita economica dei territori
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Anteprima del libro
Dopo il Coronavirus - Mariano Mariani
PrimoContatto@bluoberon.it
PREMESSA
Quanto successo a partire dei primi giorni del 2020 ha cambiato il mondo. L’Italia è una delle Nazioni più colpite dalla pandemia con il triste primato di contagiati e morti per COVID-19.
Questo lavoro intende concentrare l’attenzione non sulle questioni medico-sanitarie della pandemia, quanto sul realismo e la concretezza delle possibili soluzioni di tipo economico-produttivo, per uscire dalla crisi e riprenderci in mano il nostro futuro.
Non interessano le polemiche e le sterili contrapposizioni tra le forze politiche, ma una chiara visione per la definizione rigorosa, ancorché spiegata in chiave divulgativa, delle prospettive e delle conseguenti azioni che possano concretamente contribuire al rilancio dello sviluppo e del benessere dei territori italiani.
L’obiettivo di questo saggio è quello di fornire un contributo di idee per portare al centro del dibattito pubblico il tema di un nuovo progetto di sviluppo del nostro Paese. Un insieme integrato di proposte alla portata soprattutto degli operatori economici, realizzabili nel concreto e al riparo da promesse populiste.
Quanto verificatosi a causa della pandemia ci consegna un fondamentale lascito metodologico, imprescindibile anche per le finalità che questo lavoro vuole conseguire. Esiste uno stretto collegamento tra la scienza e la tecnica, da un lato, e la politica, dall’altro. La capacità di contrastare la diffusione del virus è stata possibile proprio riscoprendo il valore della competenza e della conoscenza, della scienza, messi al servizio delle scelte della politica. È questa una conquista di civiltà. Dopo la pandemia, se di questo stretto collegamento sapremo fare tesoro, potremo costruire un mondo migliore. Se le scelte di natura politica non fossero sorrette da un’adeguata analisi scientifica e dai possibili conseguenti obiettivi tecnici alternativi, tali scelte si tradurrebbero in interventi casuali e questo avrebbe anche come conseguenza il fatto che non si potrebbero appurare correttamente né le responsabilità di chi le ha fatte, né mai scartare le idee e le esperienze sbagliate. È quindi fondamentale, sul piano scientifico, avere sempre presente un modello stabile di riferimento in base al quale misurare l’efficacia degli interventi realizzati.
Stride al proposito il fatto che, con riferimento agli aspetti sanitari della pandemia, ci si sia precipitati a ricercare il necessario e indispensabile supporto degli scienziati e degli esperti nelle scienze mediche, e tutte le misure adottate siano state il frutto di precisi protocolli definiti dagli esperti, mentre con riferimento agli aspetti economici, indispensabili ora per uscire dalla grave crisi depressiva, non si prenda minimamente in considerazione l’esigenza del supporto degli scienziati sociali.
Mentre il binomio scienza-interventi
è stato decisivo per affrontare e contrastare la efficacemente la diffusione del virus, non altrettanto si può dire al proposito di come si stia affrontando l’altra emergenza: quella economica e sociale. Ecco che allora fioccano soluzioni acritiche e semplicistiche, quelle politicamente dominanti
, orientate a rivendicare indebitamenti ad libitum sul modello del QE o degli euro-bond come panacea di tutti i mali. Sono certamente strumenti utili per far fronte nell’immediato all’emergenza economica, ma inefficaci nel medio-lungo periodo se non ricondotti all’esigenza di ripensare completamente il modello di sviluppo.
È privo di senso che per certe questioni la politica pensi di bastare a se stessa, mentre per altre questioni serva competenza e professionalità. Si tratta di un grave errore perché per uscire da questa situazione non bastano solo gli scienziati medici, servono anche gli scienziati sociali.
Questa pandemia ha precise cause economiche e antropologiche, fortemente legate ai sistemi di governo nazionali e sovra-nazionali, al mancato controllo delle nascite, al ruolo delle élites industriali e finanziarie che governano la globalizzazione, ma è anche legata ai modelli di consumo superficiali ed irresponsabili di una parte significativa della popolazione mondiale.
Ad oggi, purtroppo, questo non è stato ancora ben capito ed il risultato è che la politica, quasi fatalisticamente, continui a diffondere messaggi rassicuranti - andrà tutto bene
– ma non faccia niente di rilevante per definire il difficile percorso di ricostruzione economico e sociale. Un percorso che dovrà avere una prima essenziale distinzione tra azioni di breve e di medio-lungo periodo. Un conto sono, infatti, le indispensabili esigenze di liquidità da introdurre nel sistema economico per gestire, nel breve, una delicata fase di transizione, con l’obiettivo di tutelare il nostro sistema produttivo e salvaguardare il reddito di tutte le categorie dei lavoratori duramente colpiti dalla pandemia. Altro conto è la costruzione di una prospettiva di medio-lungo periodo finalizzata ad individuare nuove strade
per lo sviluppo locale dei territori italiani ed europei, nuovi percorsi per guardare oltre le criticità e rispondere in modo nuovo ad un mondo profondamente cambiato dopo la pandemia.
Questo lavoro intende concentrarsi sulla prospettiva di medio-lungo per la quale è privo di senso confidare acriticamente sulle iniezioni di risorse sul modello del QE, già sperimentato in Europa, o degli euro-bond come panacea di tutti i mali.
Oggi l’Italia, anche per i tragici insegnamenti dovuti alla pandemia, è chiamata a ripensare completamente l’organizzazione della propria struttura statuale, a ridefinire totalmente i rapporti istituzionali interni con le proprie Regioni e quelli esterni con l’Unione europea e con il resto del mondo. Nessuna azione concreta potrà fare a meno di una visione teorica
d’insieme; ogni buona pratica ha sempre assoluta necessità di un riferimento scientifico. Ed è in questa direzione che ci sorregge la scienza economica e i nuovi paradigmi dello sviluppo locale. Potranno essere solo i territori e le comunità che li abitano i veri protagonisti della rinascita economica.
Il drammatico shock, determinato dal COVID-19, se affrontato da classi dirigenti lungimiranti si potrebbe tradurre in opportunità sotto il profilo delle riforme e della prospettiva dello sviluppo. Ma le risposte corrette al post Coronavirus sono articolate e complesse e, per essere correttamente impostate, presuppongono in primo luogo una indispensabile riflessione scientifica sugli errori del passato - su tutta la questione meridionale
del nostro Paese - e, in secondo luogo, una puntuale comprensione delle dinamiche della globalizzazione e delle criticità che la stanno accompagnando, acuite oggi dalla pandemia.
Da questi presupposti si è partiti con questo lavoro per delineare le linee guida per l’elaborazione e attuazione di un nuovo modello dello sviluppo e della crescita per il rilancio dei territori del nostro Paese.
I territori potranno essere i veri protagonisti della rinascita se saranno adeguatamente accompagnati da un supporto politico e istituzionale riformato per assicurare il massimo sostegno. È un percorso di ridefinizione radicale del modello di sviluppo per realizzare oggi quello che in oltre settant’anni, dal Dopoguerra ai giorni nostri, non si è riusciti a fare e che forse, oggi, anche per le conseguenze drammatiche del COVID-19, si potrebbe realizzare se le classi dirigenti sapranno essere lungimiranti e cogliere la straordinarietà di questo momento, oltre la crisi.
C’è però l’esigenza di capire come e perché, ancora prima del COVID-19, molti territori italiani ed europei non fossero riusciti ad intraprendere la strada dello sviluppo, tanto che uno degli obiettivi centrali delle politiche europee, come recepite dal Trattato di Lisbona, sia ancora oggi quello della coesione economica, sociale e territoriale, a dimostrazione dell’esistenza di forti sperequazioni che caratterizzano la situazione del Continente europeo..
Dove si è sbagliato nel passato? Quali sono stati i fondamentali errori commessi che ci consegnano, tanto al livello nazionale, che europeo, una situazione di profonde differenze tra territorio ricchi e territorio poveri?
A questa esigenza di comprensione, si aggiunge l’ulteriore esigenza di rispondere ad alcuni interrogativi che risultano oggi essenziali per capire il futuro del mondo dopo il Coronavirus. Si tratta di questioni che, anche in prospettiva, a livello globale, continueranno ad influenzare il destino
dei territori. Queste dinamiche vanno correttamente comprese perché dalle stesse bisogna ripartire per isolare i temi più importanti intorno ai quali imperniare un ragionamento che contenga i presupposti fondamentali e le azioni che dovranno caratterizzare il nuovo modello di sviluppo del nostro Paese.
L’onda lunga della globalizzazione continuerà a mettere in concorrenza i territori, le imprese e i lavoratori. E i territori più deboli continueranno ad essere sotto scacco
per effetto di queste logiche che tenderanno anche ad inasprirsi in futuro per effetto delle forti motivazioni e i conseguenti vantaggi competitivi che i territori più forti sapranno costruire per recuperare la devastazione economica generata dalla pandemia.
Dobbiamo prendere atto, inoltre, che molte delle attività economiche tradizionali, anche quelle che hanno caratterizzato la storia industriale del nostro Paese, è il caso dei settori dell’industria pesante come il minerario, il metallurgico, la chimica di base, la petrolchimica, tenderanno sempre più a de-localizzarsi nei territori ricchi delle materie prime coinvolte, di energia a basso costo e disponibilità di un gigantesco esercito di lavoratori con tenori di vita molto più bassi dei nostri e spesso senza alcuna tutela. Di fronte a questi scenari, l’Italia sarà sempre perdente nella corsa al ribasso delle condizioni di lavoro rispetto alla competitività di questi Paesi emergenti.
L’altra faccia della medaglia è quella che vede le popolazioni dei territori più poveri a livello mondiale - quelle che non hanno o non riescono a sfruttare (o viene impedito loro di sfruttare) le proprie ricchezze naturali - imboccare quella che per loro è l’unica via d’uscita: quella dell’abbandono delle loro terre natìe. Sono territori spesso anche colpiti da guerre civili, e oggi sono quelli in maggiore sofferenza per le conseguenze ancora in atto delle crisi emergenziali di tipo sanitario. Sono i territori dai quali, ancora prima della pandemia, anche per effetto dei cambiamenti climatici, cresceva in modo preoccupante l’emigrazione dalle aree rurali verso le aree urbane, le megalopoli, alla ricerca di un futuro migliore. Era già un fenomeno globale, in atto ben prima della pandemia, interrottosi durante la stessa, ma a forte rischio di ripresa esponenziale già nel breve periodo con effetti sempre più drammatici di destabilizzazione degli equilibri internazionali tra gli Stati, soprattutto nel nostro Continente europeo. Non sono fenomeni lontani da ciò che succede anche nelle nostre Regioni più povere del Sud Italia dove, con gli opportuni distinguo, lo spopolamento delle aree interne è conseguenza delle stesse motivazioni di fondo dello sradicamento
, così come la crescente emigrazione da questi territori delle migliori intelligenze, dei giovani più qualificati, che, restando, non riuscirebbero più a trovare alcuno sbocco per le loro prospettive di formazione, di lavoro e di inserimento sociale.
Nel costruire qualsiasi