SVILUPPO LOCALE: il ruolo della partecipazione e della comunicazione
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SVILUPPO LOCALE - Rossella Di Federico
Amorosi
Presentazione,
di Rossella Di Federico
I testi che compongono il presente volume Sviluppo locale: il ruolo della partecipazione e della comunicazione
, sono frutto di un percorso di ricerca, ancora in itinere. Sebbene i saggi proposti siano molti diversi tra loro, rispetto ai contesti di riferimento, tuttavia risultano strettamente collegati dalla volontà degli autori e del curatore del testo di analizzare le diverse forme
dello sviluppo locale. In particolare, il contributo di Marusca Miscia individua nella leadership l’elemento cruciale per il raggiungimento di obiettivi di sviluppo locale che siano di successo. E’ approfondito il concetto di costruzione sociale dell’innovazione
descrittivo delle dinamiche che sono alla base dei nuovi processi di sviluppo. Esse presuppongono, come vedremo, una componente dialogica/comunicativa che è ineluttabile affinché le risorse di un territorio possano intercettare le opportunità che provengono dall’esterno. Questo compito di raccordo, tra ambiente interno ed esterno, deve essere svolto da un facilitator (così come è avvenuto nel Sangro Aventino in Abruzzo, caso di studio affrontato nella ricerca), al di sopra delle parti, che sia in grado di valorizzare il capitale sociale locale ed agganciare i saperi endogeni taciti e codificati (reti corte) ai circuiti globali della conoscenza (reti lunghe). Nel testo di Fabiana di Domenicantonio, la comparazione di due comunità, quella di Sauris in Friuli e di Navelli in Abruzzo, evidenzia come soltanto attraverso la presenza di una forte identità del sistema locale il prodotto tipico di un’area possa diventare veicolo di sviluppo. Infatti, la mancanza di identità nella comunità locale non consente di implementare strategie condivise di crescita. Oltre all’identità, è importante per lo sviluppo anche l’apertura del territorio verso l’esterno. A tal proposito, la comunicazione (continua e non occasionale) assume un ruolo cruciale per far conoscere una specificità locale al consumatore globale ed attivare, quindi, un circuito virtuoso tra industria, agricoltura, cultura, tradizione e turismo. Il terzo contributo, di Roberta Carbonetti, propone un’esperienza di pianificazione strategica partecipata applicata al comune di san Benedetto del Tronto, nelle Marche. Lo studio ci porta a riflettere sull’importanza del concetto di cittadinanza attiva dei vari attori sociali locali (pubblici e privati) di una comunità. Secondo tale concetto l’individuazione di un percorso di sviluppo deve avvenire non solo sulla base di dati ed analisi di un territorio, ma anche e soprattutto in considerazione della rappresentazione che gli attori sociali (in primis i cittadini) hanno del loro territorio e della loro percezione sui problemi prioritari da risolvere. Il quarto ed ultimo saggio, di Adriano Amoroso, offre un’analisi approfondita del concetto di comunicazione che è alla base del nuovo modo di intendere oggi lo sviluppo locale. Partendo da un’attenta distinzione tra le diverse tipologie di comunicazione, la ricerca fa il punto sulle peculiarità e sui cambiamenti della comunicazione istituzionale, a partire dal 2004 fino ai nostri giorni, mettendo a confronto i sistemi di comunicazione pubblica in Europa (con particolare attenzione all’Italia) e negli Stati Uniti, al fine di cogliere i loro punti di contatto e di differenza, specialmente in relazione alla gestione delle catastrofi naturali.
Attualmente, l’orientamento prevalente nelle politiche di sviluppo è quello di privilegiare la dimensione territoriale (local placed). Ciò rappresenta una novità, relativamente recente, che porta con sé una serie di trasformazioni culturali e strutturali nel modo di intendere le politiche di sviluppo locale. Dimensione territoriale significa: sviluppo endogeno, generato dalle risorse locali; qualità dello sviluppo sostenibile, misurabile non solo con indicatori di crescita economica; sviluppo come progetto politico di lungo periodo, condiviso dagli attori di un dato contesto locale; capacità di generare capitale sociale, reti di fiducia e reciprocità, legami sociali, regole condivise (Mutti, 1998).
Il territorio non può essere pensato come un semplice settore
di policy (urbanistica) né semplicemente come fattore produttivo. Il territorio deve essere il frutto di una costruzione sociale (Minardi, 2012). Il risultato della sedimentazione, nel lungo periodo, di pratiche sociali, politiche ed economiche, consolidate in un dato luogo, espressione della cultura locale in grado di costruire legami all’interno e all’esterno (Federici e Minardi, 2007; Minardi, Maretti, Salvatore, Piscitelli, 2008).
Lo sviluppo economico di una regione è il risultato non solo della disponibilità di fattori produttivi, ma anche delle sue risorse istituzionali e culturali, coerenti con il contesto produttivo.
Nell’ambito dell’economia della conoscenza (Rullani, 2004), i processi di globalizzazione e di europeizzazione stanno modificando le dinamiche di costruzione sociale del territorio e l’idea stessa di politica e di sviluppo ereditate dal fordismo. Si afferma sempre di più un orientamento eco-sistemico alle politiche di sviluppo che porta con sé l’idea di una pluralità di modi di fare sviluppo locale, che non possono essere meccanicamente esportabili, ed un importante passaggio da un sistema a piramide, di tipo verticistico, ad un sistema a rete, di tipo partecipativo del modo di regolazione, inteso come processo con cui si formano le regole di convivenza sociale.
A seguito della globalizzazione dei mercati, delle economie e dei modelli di consumo, la competizione non è più tra singole imprese, ma tra sistemi locali e regionali. Occorre, pertanto, conoscere le risorse di cui è dotato un territorio e attivare processi di messa in rete per la costruzione di progetti di sviluppo locale condivisi. E’ importante favorire lo sviluppo di una rappresentanza degli interessi dei territori che non sia corporativa e settoriale. Ma chi svolge il lavoro di mettere in rete? In questo nuovo contesto socio-economico, il lavoro del policy making sta cambiando, l’autorevolezza non dipende più dal ruolo, ma richiede nuove competenze come la capacità di individuare obiettivi di sviluppo consapevoli ed espliciti; la capacità di ascolto e di lettura del territorio; la gestione creativa dei conflitti; il sapere esperto; la creatività nel problem setting & solving; l’abilità comunicativa, la capacità di valutazione. Soltanto attraverso l’affermarsi di queste nuove
competenze è possibile riappropriarsi dell’idea della politica come progetto di sviluppo condiviso e di lungo periodo.
Relativamente alla governance multilivello dello sviluppo locale, assistiamo ad un cambiamento tra le politiche europee 2007-2013 e quelle 2014-2020. Le politiche 2007-2013 prevedono elementi innovativi come l’eliminazione del criterio (top down) della zonizzazione (area obiettivo), il potenziamento della cooperazione interregionale; l’acquisizione dell’approccio Leader (bottom up) per le politiche integrate di sviluppo locale (sulla base della necessità di definire politiche di sviluppo che rispondono ai nuovi obiettivi strategici quali: la convergenza, la competitività, l’occupazione e la cooperazione). In tal senso, le Regioni assumono un ruolo proattivo e di indirizzo politico. Le politiche UE 2014-2020 comportano un salto di qualità rispetto alle precedenti. Avranno come oggetto dei fondi strutturali le Regioni intese non più in senso amministrativo, bensì in senso funzionale sulla base di progetti strategici di sviluppo di vasta area (ad es. la Macro-Regione Adriatico-Ionica). Tutto ciò spingerà i territori ad attivarsi per la realizzazione di progetti di sviluppo condivisi per aree estese, di tipo funzionale, e per la creazione di una regia di programmazione dello sviluppo regionale che sia all’altezza della sfida.
Ovviamente, non poche sono le resistenze a questo nuovo approccio integrato
allo sviluppo locale. Ad esempio, le associazioni di rappresentanza degli interessi, i governi nazionali e regionali organizzati per ministeri ed assessorati, continuano ad essere tradizionalmente legati alle politiche settoriali. Nel nuovo contesto, numerose sono le criticità da superare. Primo fra tutti va citato l’individualismo amministrativo del singolo comune o ente (Putnam, 2004); in secondo luogo, la visione politica campanilistica, di difesa dell’identità locale, che ha da sempre contraddistinto il nostro Paese. In terzo luogo, la mancanza di una visione strategica e di lungo periodo delle èlite politiche italiane, nazionali e locali, che da sempre hanno guardato al brevissimo periodo attraverso attività di amministrazione ordinaria. Alla luce di queste ultime considerazioni, le prime azioni strategiche sulle quali investire dovrebbero essere quelle di un rinnovamento delle classi dirigenti e di un forte investimento nella formazione. Infatti, trasformare significa innanzitutto formare le risorse umane. A tal proposito, scriveva Schumpeter: non sarà mai il padrone delle diligenze a volere la ferrovia
(Schumpeter 1946).
1. Lo sviluppo locale: le origini della riflessione analitica
L’attenzione al tema dello sviluppo locale è divenuta, in Italia, particolarmente accentuata a partire dalla seconda metà degli Anni „70 e all’inizio degli Anni „80 con l’emergere del cosiddetto sviluppo periferico (Paci, 1980) collegato alla elevata presenza, specialmente nel Centro-Nord Est del Paese, di piccole e medie imprese e di modelli di industrializzazione diversi rispetto a quelli del passato (Becattini, 1975; Bagnasco, 1977; Fuà e Zacchia, 1983; Trigilia 2002). L’attenzione degli economisti e dei sociologi fu attratta, in particolare, dalla necessità di spiegare l’apparente paradosso della combinazione piccola impresa ed efficienza economica dal momento che essa turbava
l’ipotesi teorica delle economie di scala. Emergeva, dunque, l’esigenza di capire in quali condizioni anche la piccola impresa riuscisse a svincolarsi dai problemi di soglia dimensionale nell’accesso a risorse strategiche per il raggiungimento dell’efficienza economica e della competitività. Di qui l’attenzione a modelli di organizzazione della produzione differenti da quello basato sulla grande impresa fordista
e a forme organizzative che introducevano variabili sociali e territoriali accanto a quelle strettamente economiche: il territorio diveniva, in altri termini, il luogo di produzione di conoscenze specifiche (conoscenze contestuali) e di meccanismi di interazione sociale (reti di relazioni interpersonali, valori, fiducia, reciprocità). In particolare, l’attenzione veniva portata all’interazione economia – società – territorio e a forme di organizzazione produttiva basate sulle seguenti tre sfere di analisi: quella strettamente economica delle relazioni tra imprese, quella strettamente sociale connessa alle condizioni determinate dalla struttura e dalla coesione sociale, quella dell’organizzazione del territorio e della "governance" istituzionale. Il modello organizzativo della produzione che più di tutti ha contribuito alla diffusione degli studi sullo sviluppo locale è