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Il valore della solitudine
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E-book434 pagine6 ore

Il valore della solitudine

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Info su questo ebook

La solitudine ha tanti volti e significati differenti. Manuel Cifone, in modo approfondito e con una ricercata documentazione, analizza le sue molteplici sfaccettature, a partire dal concetto di solitudine all’interno di una prospettiva sociologica e filosofica, tramite anche i pensieri di alcuni noti filosofi come Kant, Epicuro, Rousseau, Schopenhauer e Kierkegaard, per passare attraverso le dimensioni positive o negative di questo sentimento che da sempre ha accompagnato l’uomo nella sua vita, fino alla cosiddetta “solitudine indotta” da emarginazione, falsità, bullismo, per soffermarsi infine anche sull’energia positiva, rigenerativa o creativa della solitudine, che diventa necessaria per esempio ai fini dell’ascesi spirituale. Il viaggio che compiremo leggendo queste pagine sarà utile per capire come l’uomo sia spesso proteso nel ricercare al di fuori di sé i significati delle cose, non rendendosi conto che l’oggetto da ricercare è in realtà contenuto nella fonte originaria interiore. Talvolta è proprio tramite la solitudine che si riesce a entrare in intimità con noi stessi e comunicare così con il mondo che ci circonda.
 
LinguaItaliano
Data di uscita29 lug 2017
ISBN9788856784367
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    Anteprima del libro

    Il valore della solitudine - Manuel Cifone

    Albatros

    Nuove Voci

    Ebook

    © 2017 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma

    www.gruppoalbatrosilfilo.it

    ISBN 978-88-567-8436-7

    I edizione elettronica luglio 2017

    Introduzione

    La presente opera si propone di indagare il concetto di solitudine, nelle sue molteplici sfaccettature. Da sempre l’uomo è accompagnato da questo sentimento, che può configurarsi come dimensione del tutto negativa o positiva, a seconda di come viene vissuta dal singolo soggetto che ne fa esperienza.

    Inizialmente mi soffermerò sul concetto di solitudine all’interno di una prospettiva sociologica e filosofica, mettendo particolarmente in luce la visione, a tal proposito, di alcuni filosofi (tra i quali Kant, Epicuro, Rousseau, Schopenhauer e Kierkegaard). Ci si chiede se la condizione di solitudine sia una conquista o una condanna per l’individuo, vedremo cioè quali sono gli stati psichici prodotti dall’isolamento e se questo coincida con la solitudine o sia una cosa di diverso in rapporto alla solitudine comunemente intesa.

    Ci soffermeremo brevemente sulla solitudine indotta da altri, come nel caso dell’emarginazione, e sulla falsità delle relazioni sociali al giorno d’oggi, che possono provocare degli stati di isolamento, causati in gran parte dall’eccessiva importanza che viene attribuita alle tecnologie digitali della contemporaneità. Vedremo come la solitudine possa anche essere un momento di sprigionamento di energia creativa (come nel caso di filosofi, letterati e artisti di ogni sorta) o una condizione necessaria ai fini dell’ascesi spirituale. Questo sarà utile per capire come l’uomo sia spesso proteso nel ricercare al di fuori di sé i significati delle cose, non rendendosi conto che l’oggetto da ricercare è in realtà contenuto nella fonte originaria interiore.

    Nella seconda parte invece indagheremo il concetto di solitudine e, nello specifico, la tematica dello smarrimento dell’Essere, nell’ambito della filosofia esistenzialista francese e tedesca (con particolare riguardo a Heidegger, Sartre e Jaspers). I suoi temi sono, appunto, l’insensatezza, il vuoto e lo spaesamento che investono l’uomo moderno, gettandolo in una condizione di solitudine, che si esplica sia nella dimensione privata, che verso la morte. L’individuo è gettato in un mondo in cui non riesce più ad intraprendere legami con gli altri, vissuti come estranei ed ostili. L’uomo si trova in preda all’angoscia e alla disperazione a causa di un libero arbitrio che gli pone dinanzi infinite possibilità decisionali, condizione che lo getta in un continuo stato di spaesamento.

    Riprenderemo in seguito la tematica della solitudine correlata alla spiritualità e al monachesimo propriamente detto. Inquadreremo cioè la tematica della solitudine intesa come momento di ascesi spirituale, entrando nel mondo dell’eremo certosino (esteriore ed interiore), per poi inquadrare da un punto di vista filosofico la solitudine nella vita religiosa, che è una scelta per l’eternità. Infine un ultimo capitolo sarà dedicato al fenomeno dei nuovi eremiti viventi nel contesto della contemporaneità, ove il lettore potrà trovare interessanti interviste legate a storie incredibili e ricche di significati etici. Seguirà poi una breve sezione dedicata ad aforismi e poesie, legati al concetto di solitudine.

    Ma perché dunque la solitudine andrebbe a costituire un valore? Il lettore potrebbe a un certo punto pensare che alcune delle seguenti riflessioni sulla solitudine siano del tutto negative, ma in realtà lo scopo del libro è tutt’altro che questo: anche le esperienze di isolamento più estreme e dolorose, infatti, possono essere trasformate in qualcosa di positivo per il soggetto che le vive. Da sentimenti di rabbia, angoscia, senso di vuoto e dolore – tipici degli stati depressivi o ansiogeni – si può passare con un po’ di impegno ad una rivalutazione dell’esperienza stessa di solitudine, convertendola in un qualcosa di prezioso in vista della conoscenza di se stessi e per la propria interiorità.

    La solitudine può diventare un momento utile per la cura di sé, per la riscoperta di valori etici e, perché no, spirituali. Essere in relazione con se stessi può costituire un momento di riscoperta delle proprie potenzialità ed attitudini, giungendo a nuove consapevolezze su quella che è la nostra identità e sulle scelte che dovremo compiere per progettare al meglio il nostro futuro.

    Le conclusioni saranno dunque utili per approdare a nuove consapevolezze ed interpretazioni, volte a rieducare le persone alla solitudine, assumendola cioè sia come strumento che renda possibile la realizzazione di un vero incontro con il proprio sé, sia come condizione in grado di far germogliare le emozioni che viviamo nella quotidianità sia come dimensione di quel silenzio da rivalorizzare e intendere come atto preparatorio al comunicare con gli altri.

    Si tratta di entrare nella prospettiva di una solitudine feconda, in cui la relazione con l’altro è imprescindibile, poiché non possiamo conoscere noi stessi se non attraverso gli altri: al contrario l’isolamento (che è la solitudine nella sua forma negativa), condurrebbe nell’estremo individualismo, nell’autosufficienza, nella totale separazione dall’altro visto come diverso da sé.

    La mente, ad ogni modo, deve saper ritrovare da sé lo spazio della propria autenticità: solo così l’individuo potrà star bene con se stesso e, di riflesso, con gli altri. Come scrive Susanna Tamaro: "la solitudine è il più straordinario mezzo per entrare in intimità con noi stessi e, paradossalmente, la solitudine è anche il miglior mezzo per imparare a comunicare; solo conoscendomi, cioè conoscendo la mia interiorità, posso parlare all’interiorità dell’altro".

    Parte Prima

    La solitudine: una prospettiva filosofica e psico-sociale

    Capitolo 1

    Lo stare in solitudine:

    una condanna o una conquista?

    Nella solitudine il solitario divora se stesso,

    nella moltitudine lo divorano i molti.

    Ora scegli.

    F.W. Nietzsche

    (Umano troppo umano )

    La mente in sé stessa alberga, e in sé può trasformare

    nel ciel l’inferno e nell’inferno il cielo.

    J. Milton

    (Il Paradiso Perduto)

    Nella storia dell’umanità la solitudine è sempre stata interpretata in modo ambivalente: una condanna o una forma di libertà per l’anima. Che si veda in positivo o in negativo la solitudine è una condizione in cui l’individuo medita su di sé e su quella che è la sua posizione nella società. Che la solitudine sia un luogo di angoscia o di benessere, di smarrimento o di ritrovamento di se stessi, di emarginazione o di scelta volontaria, l’essere umano dovrà sempre averci a che fare.

    Vediamo di seguito il lato negativo della solitudine e come esso può incidere sulla psiche di chi ne fa esperienza. Passeremo in seguito alla solitudine da intendersi come conquista e riscoperta di sé.

    Lo star da soli come condanna

    Il concetto di condanna ci riconduce direttamente al gergo religioso, facendoci vedere l’essere umano come creatura macchiata dal peccato e dal senso di colpa. In questo senso un uomo potrebbe ritrovarsi ad essere da solo a causa di un’emarginazione da parte della società in cui vive. La società potrebbe allontanarlo a causa di alcune sue malefatte verso il prossimo, oppure perché semplicemente il soggetto non si adatta a ciò che la società gli impone di essere quotidianamente, diventando così oggetto di scherno e repulsione. Ma in questo caso stiamo parlando di un respingimento che l’uomo stesso riceve su di sé da parte di una collettività che non lo accetta più. E se fosse l’individuo invece a scegliere di abbandonare gli altri? Volontariamente potrebbe decidere di rompere tutti i legami, tutte le catene, che lo tengono ancorato a una società che non gli appartiene più (nei casi estremi si può anche scegliere di vivere in completo eremitaggio).

    Ma torniamo al concetto di condanna. Nei due casi esplicati la società può decidere di respingere un individuo o viceversa, ma ci chiediamo piuttosto come l’uomo viva dentro di sé questa condizione. Se starà male con se stesso è chiaro che vivrà questa condizione come una punizione, o come un castigo appunto. In questo caso i suoi sentimenti prevalenti saranno molto negativi, tra di essi: rabbia, angoscia, vergogna, senso di vuoto, dolore, malinconia e ansia. Che cosa si intende con star male con se stessi? Significa semplicemente non volersi bene, non accettare alcune parti di sé o, peggio ancora, non avere la capacità di perdonarsi per aver compiuto alcune azioni. Potremmo dire che l’incapacità di perdonarsi è direttamente proporzionale alla vergogna e alla rabbia che abbiamo nei confronti di noi stessi.

    Ma non si vuole qui intraprendere un’argomentazione così complessa, riprenderemo in seguito i risvolti psicologici che scaturiscono dalla condizione di solitudine. Pertanto mi limiterò solo ad elencare e a fornire una breve analisi dei suddetti stati psichici, emergenti dalla condizione di solitudine.

    I sentimenti del condannato alla solitudine

    I quattro sentimenti principali con cui si deve confrontare chi vive male la propria solitudine sono i seguenti:

    Rabbia: l’oggetto che provoca la frustrazione in questo caso è la società stessa. La collettività che emargina il soggetto o dalla quale esso stesso si vuole distaccare viene vissuta come il nemico dal quale difendersi per conservare se stessi, o addirittura, come il bersaglio da colpire o su cui vendicarsi (ne sono un esempio gli psicopatici). Che ci sia o meno l’intenzione di attaccare od aggredire la collettività l’individuo rimasto solo è in collera con una società alla quale non riesce a conformarsi. Il suo avversario è l’altro da sé, ovvero il prossimo, con il quale non riesce a stabilire un legame amichevole o di fiducia. Come direbbe Sartre "L’inferno è il convivere con gli altri", ed è esattamente così che la pensa chi è deluso dal prossimo e vive nella paura del giudizio altrui: egli prova, perciò, amarezza e timore alla sola idea di averci a che fare. O forse semplicemente l’inferno è dentro di noi e lo proiettiamo sugli altri, percependoli come demoni pronti in ogni momento a farci del male;

    Angoscia: Lo spirito dell’individuo che vive in solitudine può essere oppresso da una profonda inquietudine, una paura che non lo abbandona mai, sia per il fatto di essere da solo e quindi privo di riferimenti che siano altro da sé, sia per la difficoltà a mettersi in relazione con il prossimo, idea che può creargli stati d’ansia e percezione (anche immotivata) di pericolo, nel momento in cui il soggetto esce dalla sua zona di comfort per confrontarsi con la collettività che lo circonda. L’angoscia può anche essere non rivolta ad alcun oggetto in particolare, ma alla vita in sé, nella quale abbiamo libero arbitrio e, dunque, la possibilità di scegliere ciò che vogliamo per noi stessi senza che ci venga imposto da qualcuno. Per Kierkegaard la vita si traduce in una serie infinita di possibilità. La libertà dell’uomo si esplica, infatti, in una molteplicità di scelte che egli stesso può compiere. Ma poter scegliere tutto, avere un’infinità di possibilità, significa anche non avere nulla di certo. L’infinito allora può portare al nulla. L’angoscia nasce proprio quando si prende coscienza di questa possibilità del nulla, l’uomo si trova cioè a combattere di fronte al niente. L’angoscia, allora, non ha un oggetto a cui rivolgersi, ma diventa solitudine nell’infinito. Kierkegaard la definisce come "un senso di vertigine suscitato dalla libertà";

    Vergogna: il soggetto si vergogna di se stesso, ossia prova un profondo e amaro turbamento interiore per qualcosa che può aver detto o fatto. Egli può facilmente diventare preda di sensi di colpa e pensieri ossessivi, nonché di inutili paranoie, ripensando in continuazione a come avrebbe potuto evitare certe parole o comportamenti. Oltre a ciò si aggiunge la paura del giudizio degli altri e perciò colui che si vergogna li evita volontariamente. Tutto questo andrà certamente a scapito della sua autostima. Se la solitudine non viene gestita in modo ottimale questo sentimento di riprovazione e disonore verso di sé può diventare così forte da togliere all’individuo la capacità di perdonarsi e di prendersi cura di sé, arrivando perfino a farsi del male e, in definitiva, all’ideazione suicidaria. Un’interpretazione originale e diversa della vergogna la conduce ancora una volta Sartre, affermando che il sentimento di vergogna non è in realtà dovuto a qualche colpa che ho commesso, bensì al fatto che mi riconosco in un oggetto, elemento di un progetto esistenziale che non è il mio. Mi vergogno cioè quando appare un altro che, con la sua presenza, mi riduce ad oggetto e mi sfrutta;

    Senso di Vuoto: L’individuo solitario, che vive in modo negativo la sua condizione, può sentirsi fragile e smarrito, senza più alcun punto di riferimento, arrivando perfino a perdere se stesso (il suo temperamento, le sue convinzioni, il normale svolgimento delle sue attività quotidiane ecc.). La sensazione cronica di vuoto e la conseguente noia possono renderlo inattivo e fargli perdere vivacità, riducendolo ad una condizione di piattezza emotiva e generale apatia. La percezione che prova è quella di sentirsi prigioniero di una bolla e, per questo, dissociato dal resto della realtà; in questo caso sono presenti anche scarsi contenuti ideativi e difficoltà di concentrazione e di memoria (la sensazione della testa vuota o testa staccata dal corpo);

    Dolore: collegato al sentimento d’angoscia, il dolore può essere essenzialmente dovuto o alla perdita di una persona cara o ad una tristezza profonda causata da esperienze di vita negative o traumatiche (ne sono esempio la solitudine del vedovo o, in generale, di chi vive stati di depressione). La Klein interpreta la solitudine come un sentimento che si configura sempre in stretta relazione con il dolore. Nell’analisi che ci fornisce Enzo Morpurgo "il sentimento di solitudine per la Klein può avere origini e caratteristiche diverse, perché può essere il segnale di processi di scissione massicci, tipici della posizione schizoparanoide che svuotano il sé o di angosce depressive; nel secondo caso si presenta come angoscia di separazione che accompagna una malinconia invincibile, perché è collegata ai primitivi sentimenti di colpa per aver attaccato l’oggetto buono"¹. E ancora"vi è infine una terza situazione ed è quella in cui la solitudine contrassegna un processo maturativo, di rinuncia all’idealizzazione di sé e dell’oggetto; che è caratterizzata da sentimenti penosi di perdita. In ogni caso dunque la solitudine nell’ottica della Klein è un sentimento di tipo doloroso"²;

    Malinconia: per malinconia si intende generalmente uno stato d’animo di costante scoramento e impotenza, che va dalla semplice e scostante sensazione malinconica a una forma anche grave di depressione (più spesso detta melanconia o melancolia, o più raramente melencolia). In merito alla malinconia si sono espressi molti filosofi e artisti. Mozart affermava: "ogni tanto ho qualche crisi di malinconia, ma le supero con la massima facilità grazie alle lettere, quelle che scrivo e quelle che ricevo: mi ridanno coraggio; stia comunque certo che non mi succede mai senza una ragione; spesso mi chiedo se vale la pena di vivere, non sono né caldo né freddo e non trovo piacere in nulla". La malinconia non è da confondere con la nostalgia, che è piuttosto uno stato d’animo corrispondente al desiderio pungente o al rimpianto malinconico di quanto è trascorso o lontano;

    Ansia: per ansia si intende un’affannosa agitazione interiore provocata da bramosia o da incertezza. In psichiatria viene definita come senso di apprensione simile all’angoscia. In generale secondo gli studiosi l’ansia è un’eredità dei nostri antenati preistorici, ai quali essa era indispensabile per prevedere e prevenire i pericoli di un mondo decisamente ostile. Oggi l’ansia si presenta con mille sfaccettature. Dalla paura di oggetti o animali a quella di trovarsi in determinate situazioni sociali, dagli attacchi di panico ai pensieri ossessivi e compulsivi. Emile Cioran afferma che "l’ansioso si aggrappa a tutto quel che può rafforzare, stimolare il suo malessere provvidenziale: volerlo guarirlo significa comprometterne l’equilibrio, dato che l’ansia è il fondamento della sua esistenza e della sua prosperità. E ancora tutto è niente è, l’una e l’altra formula arrecano uguale serenità; l’ansioso, per sua disgrazia, rimane a mezza strada, tremebondo e perplesso, sempre alla mercé di una sfumatura, incapace di insediarsi nella sicurezza dell’essere o dell’assenza di essere". L’ansia a volte può essere dovuta a preoccupazioni, che siano realmente motivate o meno. La preoccupazione, in certi casi, può essere correlata alla paura che abbiamo del giudizio degli altri per qualcosa che possiamo aver detto o fatto. Se non adeguatamente gestita l’ansia può diventare panico e bloccarci sia a livello fisico che psicologico.

    La solitudine come luogo del nulla e della perdita di se stessi

    Da ciò che abbiamo detto si evince che l’essere con se stessi può diventare l’esperienza più negativa dell’esistenza umana, se non abbiamo la capacità di accettarci e di amarci per ciò che siamo. La condizione dell’individuo rimasto solo che odia se stesso è proprio questa: una tremenda condanna per la sua anima o, addirittura, il suo fallimento più grande agli occhi di se stesso e degli altri. La sensazione per l’uomo che vive questa condizione può essere assimilabile a quella di un inferno personale, che lo tiene costantemente imprigionato all’interno di un girone dove, a tormentarlo, saranno i suoi demoni peggiori (rimorsi, rimpianti, sensi di colpa, vergogna, paure, preoccupazioni). I suoi nemici peggiori potrebbero ben presto divenire il senso di vuoto, lo smarrimento, la noia (peraltro già citati nella precedente analisi). Il sentimento di vuotezza o di noia cronica a volte può diventare anche una componente ossessiva e contribuire allo sviluppo di patologie come la depressione o gli attacchi di panico. Schopenhauer asseriva che "la vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente fra noia e dolore, con intervalli fugaci, e per di più illusori, di piacere e gioia". La visione esistenziale dell’uomo solo e depresso sarà sostanzialmente questa. Non vi sono più motivi per essere felici e spensierati, ma solo la disperazione per una vita arida e colma di dispiaceri. Una vita, cioè, indegna di essere vissuta, angosciante in ogni suo aspetto e, infine, dominata dal nulla, dal vuoto di giornate senza scopo e senza significato. L’angoscia del nulla sarà il leitmotiv della vita dell’uomo solo e infelice. Un nulla che si farà sempre più pesante all’interno della sua quotidianità, accompagnato da sprazzi di nostalgia e di dispiacere per una vita che avrebbe potuto essere decisamente migliore e più appagante di quella che in realtà è. A tal riguardo mi sembra emblematica la poesia Noia di Giuseppe Ungaretti. La poesia recita come segue:

    Anche questa notte passerà

    Questa solitudine in giro

    titubante ombra dei fili tranviari

    sull’umido asfalto

    Guardo le teste dei brumisti

    nel mezzo sonno

    tentennare

    Ungaretti sceglie come argomento centrale della poesia la condizione esistenziale della noia; questa nasce dall’idea della solitudine che c’è intorno, nell’ombra dei fili dei tram che attraversano uno spazio vuoto e si stagliano sull’umido asfalto. L’immagine della noia per il poeta, si concretizza nella figura dei brumisti, vetturini di piazza, che vacillano nel sonno.

    Stefan Zweig direbbe: "niente al mondo è in grado di esercitare una tale pressione sull’anima umana come il nulla. A tal proposito è interessante notare come qualcosa, dunque, di così astratto e apparentemente inconsistente come il nulla, sembra invece possedere una massa effettiva, in grado di gravare in maniera pesante sul soggetto che ne fa esperienza. Chi nella sua vita non ha percepito la presenza di fondo del nulla, come se fosse alla base dell’esistenza e della realtà che esperiamo quotidianamente? Forse dobbiamo dar ragione a Piergiorgio Odifreddi, quando fa giustamente notare che gli sviluppi recenti della fisica hanno reso completamente obsoleto tanto l’horror vacui, secondo cui la natura aborriva il vuoto e il nulla, quanto l’ex nihilo nihil fit, secondo cui dal nulla non si può creare nulla; in realtà, a livello sia microscopico che macroscopico, il vuoto e il nulla possono oggi essere considerati come la naturale culla dell’esistenza e l’essenza ultima della realtà, in pieno accordo con il nichilismo mistico. Non solo il punto di partenza, quindi, ma anche un punto di arrivo (come può esserlo in certe culture). Non solo una potenza distruttrice, ma anche un’energia" creatrice, dalla quale si può originare l’azione e, dunque, la materia. Il senso di vuoto esistenziale, infatti, può anche far sorgere impulsi di creatività in chi lo esperisce. Emblematica in questo senso è la categoria degli artisti, che dalla noia e dall’angoscia per l’esistenza, hanno tratto ispirazione per realizzare opere d’arte o poesie che ancora oggi ammiriamo e contempliamo.

    L’uomo solo, pertanto, può scegliere se farsi sopraffare dal suo smarrimento esistenziale o trasformarlo a suo piacimento per rendersi creatore di qualcosa. Ripopolare il nulla a volte sembra difficile; per chi vive la solitudine come una condanna questo nulla si riempirà di schemi di pensiero ridondanti e disfattisti, prosciugando di energie la sfera della volontà dell’individuo che, anziché pensare in modo pragmatico a come agire per togliersi dalla sua misera condizione, verrà dominato senza sosta da emozioni e pensieri negativi. In questo modo l’individuo non sarà libero di esprimersi in tutte le sue potenzialità e di compiere scelte in vista della sua auto-realizzazione; egli sarà come congelato in un luogo dell’anima freddo e desolato, in una stanza buia, senza una via d’uscita. Interessante la visione del Nulla per Schopenhauer, per il quale il nulla, ossia l’assenza totale di mondo, il vuoto in quanto assenza totale di desiderio del mondo, è il punto di vista da cui guardare il pieno, il fenomeno, il mondo stesso, che in questa prospettiva si fa nulla, diviene il vero e solo nulla commisurabile. Il vero nulla è questo mondo, un cieco, assurdo prodotto di una cieca assurda volontà che il mondo tiene prigioniero. Egli stesso afferma che se questo nulla ci fa paura è perché siamo pieni di Volontà di vivere, ne siamo prigionieri: "quel che si ribella contro codesto dissolvimento nel nulla, la nostra natura, è anch’essa nient’altro che volontà di vivere. Volontà di vivere siamo noi stessi, volontà di vivere è il nostro mondo. L’aver noi tanto orrore del nulla, non è se non un’altra manifestazione del come avidamente vogliamo la vita, e niente siamo se non questa volontà, e niente conosciamo se non Lei".

    La differenza tra solitudine e isolamento

    Molte persone erroneamente abbinano la solitudine all’isolamento, ma queste due condizioni non sono affatto equivalenti. Potremmo dire che si può essere soli ma non isolati, mentre quando si è isolati si è sempre soli. Per chiarire meglio questa tesi è interessante la posizione al riguardo di Eugenio Borgna, il quale afferma che "nella solitudine, cioè, si continua ad essere aperti al mondo delle persone e delle cose e, anzi, al desiderio, alla nostalgia, di mantenersi in antitesi all’isolamento, che si definisce meglio come solitudine negativa, e in cui si è chiusi in se stessi: perduti al mondo e alla trascendenza del mondo"³. L’isolamento, dunque, corrisponde alla solitudine negativa, ossia un tipo di solitudine in cui i contatti con l’esterno sono quasi assenti o del tutto nulli. L’isolamento, perciò, è la condizione di chi, per propria libera scelta (che può avere motivazioni varie, tra cui anche un bisogno di concentrazione, un desiderio di solitudine spirituale) o costretto da cause esterne, o anche per egoismo, per misantropia, vive in solitudine, appartato dagli altri; di chi è privo di amici, di appoggi, di persone che l’aiutino e l’assistano; o anche di chi, pur vivendo in mezzo agli altri, si sente spiritualmente isolato, abbandonato a sé, senza calore di affetti. Secondo la dottoressa Maria Marcella Cingolani "con l’isolamento si sceglie di escludere l’Altro, di innalzare un muro tra se stessi e gli altri". E ancora: "Questa modalità consente di preservare un’immagine di sé integra, un’immagine ideale non sfiorata dal confronto che potrebbe intaccarla, svilirla, renderla vulnerabile; si potrebbe definire l’isolamento come una sorta di autoerotismo, un costante soddisfacimento nei confronti di una immagine di sé fantasmaticamente idealizzata". L’isolamento possiamo distinguerlo in tre tipi, che chiameremo patologico, egoistico e forzato. Nel primo tipo il soggetto vive un vero e proprio disagio psichico (che lo porta ad essere solo), mentre nel secondo è consapevolmente artefice della sua condizione. A tal proposito ancora Borgna ci fornisce un’analisi originale, suggerendo che "è necessario distinguere una condizione di isolamento causata dalla malattia, dalla depressione ad esempio, o dalla dissolvenza di significative relazioni sociali, da quella causata da conflittuali grovigli personali, egoistici e narcisisti, che non hanno a che fare con una qualche sofferenza psichica ma, invece, con aridità di cuore e con deserti emozionali, confreddezza transferale e con incapacità, o impossibilità, a rivivere gioie e dolori, tristezze e inquietudini, degli altri-da-noi⁴. Il terzo caso è quello dell’isolamento carcerario o del ricovero psichiatrico. In tutti e tre i casi l’individuo solo è anche isolato, ha perso cioè i contatti con la realtà esterna e non li desidera nemmeno più: vive nel suo mondo. Più avanti, all’interno di un quadro psicologico, analizzeremo i casi dell’autismo e della depressione, contrapponendoli a quelli del narcisista e dello schizoide; ci soffermeremo altresì sull’isolamento forzato, in una prospettiva sociologica. Potremo avere così un quadro più chiaro sui tipi di isolamento" di cui abbiamo parlato e sulle loro differenze.

    L’emarginazione

    Vittorino Andreoli afferma che "la solitudine è un sentimento molto diffuso nel mondo giovanile. Non è la stessa cosa che rimanere isolati su di una montagna: vuol dire non essere percepiti, non avere un senso in mezzo alla gente, sentirsi soli tra tante persone. Si ritrova solo colui a cui nessuno attribuisce un significato, colui che vive ma è inutile. Alcune persone, infatti, si ritrovano da sole perché ritenute inutili" dagli altri, oppure per altre forme di emarginazione. Esistono infatti forme di emarginazione gravi, in quanto prodotte dal pregiudizio, dall’ignoranza, dall’azione attiva di gruppi e persone verso altri gruppi e altre persone. Esse sono:

    il pregiudizio sull’origine delle persone (o razzismo );

    il rifiuto verso gli aderenti a religioni o confessioni diverse dalla propria;

    la discriminazione verso l’appartenenza ad un sesso o verso scelte di relazione affettiva (principalmente verso gli omosessuali );

    la discriminazione verso i transessuali ;

    il disconoscimento verso le persone diversamente abili;

    il timore che produce distanza verso gli ammalati;

    il disprezzo verso altri gruppi sociali, quali ad esempio i nomadi, i nativi e i bastardelli.

    Questi ed altri atteggiamenti da parte del soggetto discriminante possono provocare sensazioni di esclusione e condizioni di isolamento in coloro che li subiscono. Si crea così una frattura della società, che spesso si divide tra coloro che pretendono di essere i migliori (per razza, sesso, religione ecc.) e gli individui che vengono messi ai margini (il termine emarginazione, infatti, significa essere messi ai margini, ossia essere collocati ai punti estremi e più lontani dal centro. Secondo Mario A. Toscano la sociologia di Emile Durkheim illustra che l’isolamento e l’anomia sono sintomi di una caduta della comunità morale: si può dire che essere-ai-margini rappresenta l’esito più grave della perdita di efficacia della normazione, che resta non un guasto settoriale (tanto meno soggettivo), ma il segno di una malattia totius substantiae delle società differenziate"⁵. Ma l’esito ancora più grave credo sia da ricercare nella reazione che tali discriminazioni suscitano nell’animo dell’individuo che le riceve. Il fatto di essere escluso dalla società può far sorgere nel soggetto stati psichici di rabbia, vergogna, paura e, infine, depressione. L’individuo potrebbe sentirsi sbagliato, potrebbe credere che gli altri abbiano ragione e che sarebbe stato meglio non nascere. Una poesia, a mio avviso, che può far cogliere lo stato d’animo di persone rigettate e abbandonate dalla società è quella di Adina Verì, che recita come segue:

    Mi hanno dato una lunga pena da scontare,

    un lungo carcere senza un motivo.

    In questa prigione non viene nessuno:

    è sgradevole per una persona cristiana

    e felice stare con una bimba disabile.

    In questo carcere non bussa nessuno

    Per la paura di essere contagiati dalla nostra croce.

    Siamo una madre e una figlia chiuse

    Nella prigione dell’emarginazione.

    Solo il sole ogni tanto ci viene a trovare

    Dalla finestra con un suo spiraglio.

    Nella profonda, cieca e paurosa

    emarginazione devo attaccarmi alla

    forza, anche se appare pallida e fioca.

    Solo il silenzio di queste mura ci

    fanno compagnia, figlia mia.

    Dalla poesia emerge un’atroce sofferenza da parte di una madre vittima dell’emarginazione quotidiana che subisce a causa della disabilità della figlia. Solo alla fine, seppur accompagnata da un profondo velo di tristezza, emerge la volontà della donna di essere forte, nonostante tutto. Come afferma Carlo Cristini "la forzata solitudine, l’isolamento, l’emarginazione possono diventare un ostacolo alla realizzazione di sé, trasformarsi nella alienazione dei desideri e delle esigenze affettive, scuotere il fantasma dell’incapacità di vivere, di provvedere autonomamente alle varie necessità, sollecitare l’angoscia dell’abbandono e facilitare la comparsa di disturbi depressivi"⁷. Solo con la forza d’animo si può uscire da questa condizione, quella forza che anche se appare pallida e fioca l’emarginato deve saper trovare. L’essere emarginati può allora diventare un’occasione per riscoprire il proprio essere speciali e la propria unicità, di fronte a un mondo che appare sempre più conformato e superficiale, un mondo che pensa solo all’esteriorità e non ai valori del singolo, un mondo dove l’essere normali – o l’essere ritenuti tali a tutti i costi – è diventata la vera malattia.

    L’isolamento nell’era digitale

    Lungi dal voler intraprendere un’analisi articolata della storia della contemporaneità in ambito tecnologico e digitale, vorrei fare una semplice riflessione, alla luce della tematica che stiamo trattando. La tecnologia digitale è ormai onnipresente e caratterizza fortemente la nostra vita. Basti pensare agli smartphone o ai tablet, che abbiamo sempre a portata di mano in ogni momento della giornata. Come afferma lo psichiatra Manfred Spitzer "le comodità garantiteci dalle nostre condizioni di vita sono chiare a tutti; molto più difficili da comprendere sono i loro effetti collaterali: dalle fobie alla sedentarietà, dalla solitudine allo straniamento fino alle patologie delle età evolute"⁸. L’eccessivo uso delle tecnologie, infatti, può portare l’individuo a dissociarsi dalla realtà e a vivere – in casi estremi – in uno stato di vera e propria alienazione in rapporto alla realtà esterna.

    Sempre Spitzer parla di demenza digitale, per indicare il complesso di disturbi delle funzioni mentali, causati dall’abuso degli strumenti digitali. Nella sua opera Demenza Digitale afferma che "demenza non significa solo mancanza di memoria; e nel caso della demenza digitale non si tratta solo del fatto che soprattutto tra i giovani questa caratteristica sembra sempre più diffusa, come hanno indicato per la prima volta nel 2007 gli scienziati coreani; il problema riguarda soprattutto il rendimento mentale, il pensiero, la capacità critica e di orientarsi nella giungla delle informazioni"⁹. Dunque da strumento utile per migliorare le nostre conoscenze il digitale mostra l’altro lato della medaglia, ossia un mezzo che indebolisce ed altera le nostre facoltà mentali, conducendoci addirittura ad una forma di demenza. Per non parlare dei deficit sociali che possono scaturire dall’uso smodato dei social network. Ancora Spitzer, in merito all’ossessione per i social network aggiunge: "Va fatto notare che sono proprio i social network ad accrescere l’isolamento sociale e la superficialità dei contatti, anziché migliorarli o approfondirli¹⁰. Secondo Carlo Mazzucchelli, infatti, grazie alle nuove tecnologie sono aumentate le opportunità di comunicazione e relazione sociale, di conoscenza e memoria, di informazione e partecipazione; al tempo stesso è aumentato il rischio di appiattimento e di omologazione, di frammentazione e di individualismo, di superficialità nell’accesso alle conoscenze e nella sperimentazione di nuove relazioni sociali¹¹. Ed ecco che il social network, da mezzo utile per intraprendere nuove relazioni, diventa invece una gabbia dorata" dove non serve necessariamente il contatto

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