Riprendiamoci la vita: Il corpo, la felicità, la lotta, le relazioni
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Riprendiamoci la vita. Riprendiamo in mano la bellezza delle domande, la passione della ricerca, il fascino delle scelte. Cerchiamo insieme parole per dire la vita, il corpo, le relazioni, la felicità. Parole che dicano la speranza anche nella crisi. Questo libro ci prova, partendo da un'esperienza vissuta.
Cerca di parlare ai cuori, con intelligenza e arte.
Derio Olivero
Appassionato di arte, fotografia, montagna. Appassionato dei giovani. Varie esperienze alle spalle: docente di teologia, parroco, vicario generale per la diocesi di Fossano (CN). Dal 2017 è vescovo della diocesi di Pinerolo (TO).
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Riprendiamoci la vita - Derio Olivero
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Derio Olivero
Riprendiamoci la vita
Il corpo, la felicità, la lotta, le relazioni
Effatà Editrice logoPrefazione
Parlare ai cuori, con intelligenza e arte
Il mondo si è fatto piccolo. E fragile, bella scoperta.
Ed essere giovani in questo XXI secolo, in Occidente, in Italia, in una piccola cittadina del Nord Ovest non è come esserlo stati trent’anni fa. Ma dai!
Ma nemmeno come quindici anni fa. Figuriamoci proporre il Vangelo a giovani tirati su a social‐media e senza futuro, riempiti di parole stantie pronunciate da adulti che, spesso e volentieri, non fanno ciò che dicono.
E quelli che si lamentano sempre delle cose che non funzionano li trovi in ogni piola, ma anche sui giornali e in televisione e si spintonano e danno di gomito per fare l’elenco delle disgrazie. Una Enciclopedia Treccani delle cose che non vanno, con tanto di aggiornamenti annuali rilegati in pelle.
Molti hanno l’impressione di stare sul Titanic mentre sta affondando. E tutti a discutere su quale musica il quartetto d’archi dovrebbe suonare mentre si cola a picco. Così anche nella Chiesa, a volte. I nostalgici di una volta, quelli del papa di prima, del parroco di prima, dei giovani che non capiscono...
Brava gente che passa il tempo a imprecare contro l’oscurità.
Alcuni, invece, grazie a Dio, accendono un fiammifero.
Lo Spirito, tirato in causa da un vecchio e timido papa teologo, ha buttato in campo un nuovo papa venuto dai confini del mondo, piemontese nel DNA, diretto e tagliente, che ha saputo riprendere il timone della barca tirando qualche spintone a quelli che, sulla barca, stavano facendo i buchi nello scafo.
Ma prima, ben prima, e da tempo, da molto tempo, lo stesso Spirito suscita uomini e donne innamorati del Vangelo che, là dove vivono, raccontano del Nazareno, loro maestro.
Ne incontro tanti, girando l’Italia e l’Europa. Così pieni di Dio da farti stringere il cuore.
Liberi e veri, sani. Non eroi, ma persone vere.
Che fanno fruttare il talento. Lo investono e poi ne regalano i proventi.
Così molti hanno scoperto che i giovani di oggi sono come i giovani di cento anni fa, e di mille, e di sempre. Perché, con o senza tablet, il cuore è lo stesso e il desiderio di pienezza resta immutato, anche se sepolto, spesso, da mille problemi.
E il Vangelo canta ed esce per strada, prende per mano e conduce a Dio.
Ad alcuni è dato il dono di saper parlare ai cuori con intelligenza e arte.
A partire da una foto, da uno spunto, da una realtà che tutti sperimentiamo.
Don Derio, amico caro nell’evangelizzazione, regala a tutti queste riflessioni che per vent’anni hanno aiutato migliaia di giovani della sua amata Chiesa a scoprire Cristo e a farsene discepoli.
Fa dono del suo dono.
E a quanti, come me, cercano il Signore, regala sprazzi di inguaribile desiderio di Dio.
Paolo Curtaz
1.
Siamo carne e fiato
Il corpo
Torna, prendimi spesso amato spasimo,
torna quando del corpo la memoria
si ralluma, in quegli istanti prendimi:
quando riagita il sangue le remote
sue voglie e a labbra e carne si agglutìnano
i ricordi, e sulle mani ancora
la sensazione del toccare infuria,
torna più volte, prendimi la notte
quando il ricordo sulle labbra impende.
(Kostantinos Kavafis)
Con lieve cuore, con lievi mani,
la vita prendere, la vita lasciare.
(Cristina Campo)
Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!
(1 Cor 6,19–20)
Fotografia artistica a colori di un'onda che si infrange su una spiaggia di sassi.© Davide Dutto (Fossano).
Concretamente vivi
Una settimana fa, sfogliando un libro, m’imbatto in una lettera che mi sorprende. È la lettera di un grande economista, scritta ad un amico scienziato in occasione dei suoi ottant’anni. L’autore è di pochi anni più giovane. La lettera inizia così: «Un tempo si lasciava la terra con la morte, prima si stava su questa terra!». A prima vista mi è parso un inizio alquanto banale: si lascia la terra con la morte, prima si sta su questa terra. Banale proprio! Ma mi ha folgorato il seguito: «Adesso non è più così, si lascia la terra molto prima!».
Il nostro bravo economista dice più o meno così: un tempo si stava concretamente su questa terra, si respirava questa terra fino alla morte. La morte staccava la spina, ci portava via, ci strappava dalla terra, ci toglieva la possibilità di respirare i profumi, di ammirare i tramonti, di gustare i sapori... Ora non è più così. Ora si rischia di spegnere i sensi, di anestetizzare i sensi. E così, con i sensi addormentati, ci stacchiamo dalla terra prima ancora di morire. Moriamo a poco a poco.
E fa un esempio curioso: il tempo atmosferico. Noi il tempo atmosferico lo guardiamo dopo aver sentito le previsioni del tempo e allora, al mattino, abbiamo perso la bellissima sensazione di poter dire: «No, piove!», oppure: «Che meraviglia, c’è il sole». Perché, aprendo la finestra, sappiamo già cosa troviamo, non ci sorprende più né il sole né la pioggia. Abbiamo sentito le previsioni ieri sera e notiamo che oggi le previsioni si avverano. Non ci sorprendiamo, soltanto annotiamo.
Io, per esempio, stamattina, dato che ieri non ho visto le previsioni, ho aperto la finestra e sono rimasto meravigliato: dopo la brutta giornata di ieri, oggi un sole per me inaspettato! Una meraviglia. In questi momenti hai la sensazione che il tempo atmosferico ti parli, ti entri dentro.
In altre parole, il nostro economista dice: stiamo perdendo la cura dei sensi.
A prima vista sembra un’affermazione esagerata, fuori luogo. Ci viene da controbattere dicendo: questa è l’epoca del corpo. Verissimo! Basta sfogliare le riviste: palestra, chirurgia estetica, moda, trucco, sport. Vero: il corpo è al centro. Tutti facciamo sport, andiamo a camminare, andiamo in palestra, qualcuno ha fatto qualche modifica al viso o a qualche altra parte del corpo, qualcuno vorrebbe tanto farla, ma non ha i soldi. Il corpo! L’abbiamo messo al centro. E questo ci costa anche molta fatica. La cura del corpo è la nuova religione. Quante ore di fatica e di digiuno per tenere in forma il corpo! Noi moderni ridiamo di quei credenti che ancora fanno digiuno o penitenze in Quaresima. Eppure quanti, nella «nuova religione», fanno digiuni, pratiche sportive, esercizi quotidiani... Il corpo è diventato il comandamento supremo. Il primo comandamento è: «Cura il tuo corpo!» Un tempo il primo comandamento era: «Cura la tua anima», cioè cura il tuo carattere, combatti i vizi, migliora la volontà... Oggi sembra che i vizi siano un’inezia e la cellulite un peccato mortale!
Il primo comandamento è il tuo corpo... e quanti adolescenti piangono davanti allo specchio!
È giusta, giustissima la cura del corpo. Ma il rischio è il modo di intendere questo corpo. Spesso lo riduciamo a macchina, a oggetto. Una macchina in nostro potere, da far funzionare sempre al massimo. Così dimentichiamo che il corpo sono io. Il mio corpo non è una cosa che ho, ma sono io. È sufficiente pensare allo schiaffo. Se ricevi uno schiaffo provi un dolore tremendo, molto, molto più grande del dolore dovuto all’impatto della mano sulla guancia. Perché? Perché quello schiaffo non ha solo ferito la tua pelle, ma te stesso, la tua anima, la tua dignità, il tuo io profondo. Pensa alle carezze. Ci sono massaggiatori che possono accarezzare il tuo corpo in modo splendido, eppure non c’è paragone tra questi massaggi e la carezza della persona che ami. Questa carezza non tocca solo la pelle, ma te stesso, la tua anima, il tuo io profondo. Ti massaggia il cuore. Ecco: parlare di corpo oggi significa innanzitutto accorgerci che il corpo siamo noi. Persa questa certezza il corpo è solo una macchina da mettere in competizione con il corpo degli altri. Perché così si fa con le macchine. Basta pensare alle automobili: compro l’auto nuova e, dopo due mesi, mi arrabbio perché l’amico ha già il nuovo modello. Compro il computer e dopo un mese il mio amico ha la nuova versione. Così sono perennemente in competizione. Se il corpo è macchina saremo sempre in competizione con chi è più magro, più atletico, più in forma...
No. Il corpo sono io. E allora dobbiamo imparare ad ascoltarlo.
Partiamo dai sensi. Un filosofo francese sta proponendo belle riflessioni sulla pelle. Ci fa notare che l’uomo è l’animale che ha la pelle più sensibile di tutti. Tutti gli altri animali hanno piume, pellicce o corazze mentre l’uomo ha una pelle sottilissima, molto sensibile. Perché? Per sentire, per lasciar passare il mondo. La pelle, i sensi sono le porte da cui entra il mondo. Il mondo non va pensato, bensì incontrato. Questo vale per un bel tramonto, per la luna, per un fiore, per un amico. Non basta annotare nel cervello, non basta dire: «L’ho visto». Occorre lasciarlo entrare, lasciare che ti faccia vibrare, che ti parli. Questo intendeva il nostro amico economista. Forse ha ragione: abbiamo un po’ perso questa capacità, abbiamo anestetizzato i sensi. Occorre curare la capacità di «lasciar entrare in noi». Ad iniziare dal fatto che dobbiamo lasciare entrare l’altro, che è concreto. Se vuoi fare entrare una persona in casa tua gli devi aprire la porta. Non è sufficiente pensare, occorre concretamente aprire la porta. Lui entra, occupa uno spazio. Questo vale per tutte le relazioni. L’altro deve entrare in me. Altrimenti resta estraneo, distante. Spesso non incontriamo l’altro, ma l’idea che abbiamo di lui, il pregiudizio che portiamo in testa. Per lasciarlo veramente entrare nella nostra vita dobbiamo dargli tempo e spazio, perché lui è tempo e spazio. Lasciamo che si racconti, diamo tempo e spazio al suo racconto. Altrimenti non incontriamo lui, ma la nostra opinione su lui. Dare tempo e spazio perché gli altri entrino.
Ascoltare il corpo significa ascoltare le sue necessità. Ho bisogno di bere, di mangiare, di dormire, ho bisogno di un po’ di caldo, di un po’ di fresco, di un abbraccio. Queste necessità mi dicono che sono un povero, un bisognoso. Dunque ascoltare il corpo significa ringraziare: grazie per gli spaghetti di oggi, per il sole, per quella carezza. Meno male, perché io, senza tutto questo, muoio. Il corpo mi dice che sono povero, grato, umile. Hai bisogno di tutto, non fare il prepotente. Chiedi con dolcezza, da vero povero.
Le nostre necessità dicono anche l’inevitabile bisogno di mantenerci in cammino. Essere corporei non significa essere «fissi», già fatti, conclusi, bensì in cammino, in attesa, in cambiamento.
Essere corporei significa avere istinti. Ora, se guardiamo gli istinti ci rendiamo conto che siamo gli animali più mal messi, perché abbiamo istinti fragilissimi, molto più fragili di tutti gli altri animali. Se guardiamo gli istinti, noi siamo gli animali inferiori. Che cosa ci suggerisce questo fatto? Ci suggerisce che siamo affidati a noi stessi. Dobbiamo scegliere perché nulla in noi va da sé, nulla è automatico. I nostri istinti sono «ciechi», molto flebili. Seguirli passivamente non porta da nessuna parte.
Essere corporei significa essere in relazione. Noi veniamo da un corpo al quale eravamo legati da un cordone ombelicale. Parlare di corpo vuol dire parlare di un corpo che ci ha messi al mondo, cui eravamo legati. Veniamo da una relazione di corpi e non viviamo senza relazione con altri corpi.
Noi non solo abbiamo un corpo, ma siamo il nostro corpo. Ecco il significato dello slogan «Siamo carne e fiato». Siamo contemporaneamente carne e fiato. Il fiato entra e va in tutte le cellule, anche le più piccole. La mia mano ha dentro il mio fiato. Noi siamo impastati di carne e fiato. Lo esprime bene il racconto di Genesi (Gen 2). Dio prese della terra, vi soffiò dentro la sua vita stessa e siamo nati noi. Siamo carne, respiro e presenza divina. Il corpo non è un’aggiunta, un oggetto. Il corpo siamo noi. Tale