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L'avventura delle domande: Dio per compagno (II° puntata)
L'avventura delle domande: Dio per compagno (II° puntata)
L'avventura delle domande: Dio per compagno (II° puntata)
E-book243 pagine3 ore

L'avventura delle domande: Dio per compagno (II° puntata)

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Info su questo ebook

Come mai non riusciamo a dialogare con gli animali e con le piante? Dove vanno a finire e che valore offrono al mondo i nostri progetti, le esperienze e gli sforzi che abbiamo sostenuto nel corso di tutta la nostra vita? Perché a un certo punto invecchiamo e il nostro corpo ci abbandona? Perché mai la vita, nostra e altrui, è così piena di dolore? In questo testo, raccontando le varie vicende della mia esperienza, rispondo a queste domande in modo sereno e positivo. Rispondo in forma semplice, poche frasi, ma frutto di un percorso lungo. È il percorso delle domande che hanno costellato la mia esistenza rendendola un'esperienza entusiasmante e drammatica, estenuante e gioiosa insieme. Naturalmente è la mia risposta, ma credo possa essere di utilità per molti. Serve davvero rispondere al genere di domande sopra riportate? Io dico di sì. E sono contento per aver fatto questo cammino, ne sono proprio lieto.
LinguaItaliano
Data di uscita1 mar 2022
ISBN9791220391993
L'avventura delle domande: Dio per compagno (II° puntata)

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    Anteprima del libro

    L'avventura delle domande - Raffaello Benetti

    Riassunto della puntata precedente

    Nella prima sessione autobiografica (L’avventura delle domande. L’inizio) ho raccontato fatti e domande dei miei primi 40 anni (1961-2000), qui affronto la descrizione dei 20 anni a seguire (2001-2020). Inizio quindi con un minimo di riassunto della puntata precedente sia per raccapezzarsi nel marasma delle storie raccontate, sia per comprendere le direttrici di quelle che sto per raccontare.

    I 9 personaggi. Un po’ pirandellianamente, la mia gioventù mi aveva convinto che in me coesistessero - paritetici e genuinamente sinceri – un bel numero di Raffaello che ambissero ciascuno alla propria riuscita umana individuale e alla realizzazione del proprio sogno personale: lo sportivo, l’esploratore, l’artista, lo scientifico, il logico-gestionale, il militante, il botanico-ecologista, il volontario introverso, il riflessivo. I tentativi di conciliare domande ed esigenze di tutti e 9 in un’improbabile convivenza multipla nella stessa persona sono stati avvincenti. La cosa che nel tempo però più mi ha sorpreso non è stato tanto il numero di percorsi che mi ero sforzato di percorrere contemporaneamente, ma il mio desiderio esagerato di voler far stare proprio tutti sulla stessa barca. L’idea di buttare a mare qualcosa di me non mi è mai andata a genio. L’idea di mettere una soglia superiore di buon senso al mio desiderio era per me inaccettabile. Che soglia avrei dovuto mettere? Di che tipo? Questa dinamica gruppale era inoltre abbastanza sintonica con la mia esistenza tout-court. Ero cresciuto un po’ cameratescamente nella stessa casa con due fratelli e altri due cugini. Avevo frequentato e mi ero immedesimato nel gruppo cattolico di CL fin dai 15 anni abituandomi ad assemblee e riunioni costanti sia da adolescente che da giovane universitario. Quelli erano poi gli anni ’70 e ’80! Insomma, ho passato settimane-mesi della mia esistenza insieme ad altri per interloquire, collaborare, divertirsi, litigare, aiutarsi, sostenere, annoiarsi…. Mi ero convinto che il gruppo (come il branco in natura) fosse qualcosa che aiuta nonostante tutte le sfide a cui espone. Non a caso, quando parliamo di gruppi, anche l’approccio lessicale si fa più fine, quasi sorprendesse un segreto nascosto in questo misterioso e gioioso, violento e drammatico riunirsi di esseri: stormo, muta, banco, branco, mandria, gregge, sciame, nugolo…; e analogamente per gli uomini: squadra, gruppo, comunità, banda, comitiva, compagnia, reparto, unità, truppa, drappello, schiera, formazione… Sono sempre stato convinto che la vita non è un rebus da risolvere da soli ma in squadra. Il tempo mi ha quindi portato in modo naturale dalla mia dimensione individuale a quella di tanti, dai miei problemi a quelli di tutto il mondo. E mi ha sempre molto sorpreso questa dinamica: che nel mio cuore volesse e potesse abitare tutto il mondo.

    Gesù. Sono nato in una tradizione italiana e cattolica per cui è abbastanza comprensibile che la figura di Gesù e le tematiche su Dio mi siano state proposte fin da giovane in varie salse. È però anche abbastanza evidente constatare come proprio gli anni della mia gioventù siano stati quelli che hanno convinto la stragrande maggioranza dei miei contemporanei - amici e famigliari compresi - a liberarsi in fretta da questa tradizione e dai relativi simboli. Come mai a me non è successo ciò? Per me Gesù fu dapprima una figura empatica e consolante, ma poi col tempo mi si è evidenziato come un personaggio problematico che mi ha sempre incuriosito.

    Innanzitutto Gesù ha una parabola umana incomprensibile: nel silenzio di un paesello di provincia si è preparato per 30 anni - e 30 anni all’epoca era l’età di un adulto in piena maturità, se non addirittura di un anziano - a una missione fallimentare durata poco più di due anni; missione talmente carica di speranze ed aspettative per i suoi contemporanei da riempirli di delusione, se non di depressione, per l’esito così modesto di risultati. Oltre a ciò, il suo messaggio era controverso: non si è limitato a presentarsi come un’icona pop dell’amore smisurato agli uomini o di un utopico pacifismo integralista (amate i vostri nemici), ma si è avventurato in affermazioni di tale apparente superbia e irragionevolezza da lasciare perplessi anche i suoi più devoti seguaci (Io e il Padre siamo una cosa sola; chi vede me vede Dio-Padre). Va poi messo in evidenza un comportamento, oltre che un messaggio, controverso e apparentemente contraddittorio: in alcuni casi faceva miracoli evidenti, in altre situazioni no; arrivava a risuscitare i morti e però si è lasciato uccidere; ha convinto tutti che la sua compagnia fosse essenziale per vivere eppure si sottraeva spesso al gruppo, per poi sparire dopo pochi mesi dalla messa in moto del suo grande esploit missionario. E penso spesso a chi aveva puntato tutto, genuinamente, su di lui lasciando ogni cosa (si crede che non solo Pietro ma anche altri seguaci fossero sposati, probabilmente con figli). Questi seguaci si sono ritrovati soli, in città nuove e con gente diversa, a giustificare una sortita missionaria così sorprendente eppure così malamente abortita. Insomma, questo Gesù ha dato l’impressione di un’evidente potenza ma come trattenuta e celata per scopi non del tutto chiari.

    Dio. C’è qualcosa che non quadra tra la narrativa che Gesù fa di Dio e ciò che, su questa terra, sempre si è inteso con questo vocabolo. Il Dio-Padre di Gesù appare più umano ed amorevole di Robin Williams nel film L’attimo fuggente! È un padre mesto per l’allontanamento del figlio birichino da casa e pieno di commossa esultanza quando lo vede tornare pur avendo dissipato tutti i soldi dell’eredità che gli aveva lasciato. È un Dio designer creativo che veste i fiori del campo di colori fantasiosi e si preoccupa dell’uccellino caduto dal nido. È un Padre talmente attento a ognuno di noi uomini da tenere in conto ogni capello che ciascuno ha sulla testa. È un padre che chiede amore e cura i deboli e i raminghi; un padre ancor più misericordioso di quelli umani.

    Per noi sulla terra però, Dio non è mai stato così. Il Dio-antico delle nostre tradizioni è un signore dalle caratteristiche tipiche di un re tribale o imperiale dell’antichità; un re innanzitutto onnipotente sugli uomini e che non può tollerare trasgressioni e tradimenti (vedi le tecniche di punizione dei traditori rappresentate in film come Braveheart); un Dio che prescrive a Israele condanne a morte, stragi ed ostracismi perpetui. Un Dio-giudice interessato più che altro ai miei comportamenti etici e sessuali, più che al mio cuore. Come si concilia quindi questo Dio-antico con il Dio-Padre di Gesù?

    Mi sono fatto la convinzione che il Dio-antico giunto a noi dal passato sia davvero il Dio-Padre di Gesù ma distorto dalla visione alterata dei nostri predecessori. Distorto perché in una tribù - come era nei tempi antichi - il capo è il capo, e questo, per mantenere ordine e disciplina, deve essere netto e spietato per tener testa a una società spesso senza legge e senza sistemi di controllo accettati e riconosciuti. Un capo che non può certo essere uno psicologo fine e problematico nell’affrontare i problemi quotidiani del suo gruppo. Le leggi antiche, un po’ come quelle dei pionieri americani o di qualsiasi altra latitudine, erano molto chiare: Occhio per occhio, dente per dente. Chi contravveniva in modo clamoroso alle dinamiche sociali del gruppo doveva essere letteralmente eliminato dallo stesso. Uomini antichi e un po’ brutali che avevano bisogno di leggi altrettanto brutali, e di un Dio fatto un po’ come loro: se non proprio brutale, quantomeno abbastanza violento per farsi rispettare da un branco feroce (leggasi nella Bibbia, per esempio, il Libro di Giosuè).

    Raffaello e Dio. Anche io avevo fatte le mie esperienze di rapporto con Dio e ne era uscito un Dio simpatico anche se un po’ troppo misterioso. Un Dio che aveva a cuore che la mia vita si sviluppasse come un’avventura drammatica ed entusiasmante assieme. Un Dio, sicuramente Padre, che desiderava che i miei desideri andassero a buon fine ma secondo tempi e modi che non potevo gestire io. Insomma, un Padre un po’ paternalista ma anche provocatorio con questo Suo gusto di nascondersi e di svelare le cose un po’ alla volta con tracce e segnali, quasi fosse una caccia al tesoro. Una stramaledetta ma anche avvincente caccia al tesoro.

    E così dalle domande sono nati percorsi, e dai percorsi delle storie possibili: la bella ed avvincente storia della mia vita, così saldamente unita – come desidero – alla storia di tutti gli altri uomini come me in questo mondo. Ma allora: cosa è nato da queste storie? Sono arrivate risposte chiare alle domande che il tempo mi ha posto? Vivo meglio, sono più lieto e contento? Nel testo che segue risponderò a queste domande ma ribadisco fin d’ora un concetto chiave: da soli non si va da nessuna parte! Basandomi solo su me stesso non sarei arrivato a nulla di nuovo che non ripetermi fino alla nausea idee ed ipotesi che già mi ero disegnato da ragazzo. Ho allora aperto, spalancato, occhi e cuore davanti alle circostanze prendendo davvero in considerazione che questo benedetto Dio, o come ognuno voglia chiamarlo, possa essere un’ipotesi possibile, qualcuno con cui provare davvero ad interloquire. Magari chiedendo aiuto, ma puntando direttamente su di Lui.

    Il rientro in Italia

    Sul volo per l’Italia. Il volo TWA tra New York e Milano era di sola andata. Dopo tre anni e mezzo in giro per l’Asia e altrettanti tra USA e i Caraibi si apriva per me un periodo diverso: con sede a Milano avrei dovuto curare i rapporti internazionali di un’importante istituzione della città. Dopo molto correre per il mondo, si trattava di tornare a fare l’italiano in Italia. Certo mi interessava tornare a situazioni un po’ più dinamiche che il mio lavoro da professore nell’isola tropicale a Porto Rico. Però, proprio in quell’anno 2000, ero riuscito ad ottenere la Green Card - il permesso per lavorare a tempo indeterminato negli USA - e mi sembrava quasi un controsenso andarmene proprio allora dagli States. Sotto-sotto pensavo che non sarei rimasto in Italia a lungo: cari amici a New York e a Miami mi attendevano anch’essi con interessanti opportunità ma ancora un po’ troppo acerbe per prenderle al volo. E poi c’era tutto il mondo ancora da scoprire! Se da lì a poco tempo mi avessero prospettato di tornare per un certo periodo in Asia? O magari di andare alla scoperta di qualche paese arabo o africano? Il senso dell’avventura, nonostante stessi ormai per compiere 40 anni, non mi abbandonava ancora. Anzi, mi sembrava piuttosto di stare guidando un’automobile da rally per strade sconosciute ma piene di attrattiva: mi sentivo sicuro, eccitato e sereno insieme! Ero tranquillo ed entusiasta per come mi stava andando la vita non tanto perché avessi delle certezze in mano. Anzi, proprio qualche settimana prima della partenza da Porto Rico si erano addensate nubi minacciose sull’attività che avrei dovuto svolgere a Milano (Sai, pare si sia dimesso il Presidente che ti aveva richiesto. Comunque una soluzione dovremmo trovarla…).

    Ero tranquillo e sereno perché dagli USA, su quell’aereo, non tornavo da solo: tornavamo in due, due amici. Avevo la percezione netta, quasi fisica, che là su quel volo – cercando bene tra le centinaia di sedili – in realtà ci fosse con me anche Dio. Non il Dio biblico e delle preghiere formali, ma quello che avevo iniziato a figurarmi (Lui o chi per Lui) come quel tecnico con le cuffie che da dietro la parete di vetro tesa sulla nostra esistenza veglia perché vada in porto – continuamente riadattandola – quella fitta rete di strategie affinché io e tutti gli altri uomini possiamo essere felici. Ormai me ne ero convinto, come di una certezza granitica. Erano state troppe le circostanze in cui l’avevo visto in azione: Dio è un padre buono che vuole il mio bene, e mi segue e mi cura di lontano perché non vuole interferire con la mia libertà. Mi ero fatto l’idea che facesse un po’ come il padre di un adolescente che guarda da distante il figlio facendo finta di niente. Guarda, considera e poi cerca di intervenire – sempre di nascosto – stando attento a non provocare la suscettibilità del figlio. Cerca quindi di assecondarlo in una qualche direzione, ma come facendo finta che la cosa sia stata fortuita; e non si oppone se proprio-proprio il figlio vuole andare a tutti i costi da un’altra parte che ha in mente lui.

    Quindi ero tranquillo perché Dio, e la sua equipe di tecnici, indubbiamente stava vegliando su di me anche in quella fase delicata della mia esistenza; e non avevo dubbi che – magari con tempi suoi che io avrei fatto fatica a comprendere – avrebbe risposto pienamente a quella mia fame di avventura e di senso. C’era infatti un altro sentimento forte in me durante quel ritorno: un’impellente richiesta di senso. Che ne sarà della mia amicizia e del tempo vissuto insieme con gli amici di Porto Rico? Possibile che dopo quasi 4 anni di condivisione totale di aspettative, fatiche, amicizia, sostegno reciproco tutto possa andare in archivio come un faldone di vecchie fatture da mettere in un qualche magazzino polveroso della memoria? Certo si può ritornare, con qualche difficoltà, a fare una visita: per rendersi conto che ormai si vive lontani, tesi a tutte altre problematiche e priorità. Ma è proprio di quella sintonia, di quel percepirsi uniti ed affettivamente attaccati che, già sapevo, avrei sentito la mancanza; e desideravo averne le ragioni! È sempre un miracolo la sintonia con qualcuno, per non parlare dell’affetto e dell’amore. E quindi: dove va quel tempo condiviso? Forse perso? Aggiungeremo un’altra tacca al legno di un cuore sempre più ferito e indurito dal tempo? Ecco: su questo io non potevo cedere. Se Dio è davvero un padre buono, cosa mi risponde su questa serie di distacchi e amicizie perdute? Avevo bisogno di risposte ma non di teorie. La risposta a queste domande o ha la stessa fragranza dell’affetto che ho vissuto e che non voglio perdere o è un legno secco da esporre forse in giardino o da lasciar bruciare nel camino. Di foto ne avevo parecchie del mio periodo a Porto Rico, ma non avrei certo potuto parlare ed abbracciare delle foto come fossero gli amici veri!

    Il nuovo lavoro: ancora in Oriente. Come anticipato dalle nefaste avvisaglie di qualche settimana prima, il lavoro in Italia per il quale mi ero dimesso a Porto Rico e su cui avevo puntato le mie aspettative di rampante quarantenne era davvero saltato! Certo aiutato dagli amici - ed è sempre commovente essere accompagnato per mano, spesso immeritatamente, - mi trovai a dover cercare una nuova occupazione in una Milano estranea e diffidente nei confronti di un quarentenne estroverso che arrivasse da un’isola tropicale. Ci misi un anno di fatiche e lavori vari - di cui alcuni proprio da fuggire - per poter atterrare ad una attività adeguata. Nel novembre del 2001 fui finalmente assunto da un’Agenzia simile a quella a cui ero stato destinato al tempo del mio rientro in Italia. Questa mi propose di tornare in giro per l’Asia portando con me delegazioni di imprenditori interessati a partecipare a fiere o ad incontri d’affari con operatori di quei paesi. Certo non avrei più avuto tutto quel senso di scoperta che avevo vissuto al tempo delle mie prime esperienze, ma nuovi paesi e nuove situazioni sarebbero tornati sicuramente a provocare la mia sete di avventura. Ora il viaggio non sarebbe più consistito come un tempo nella ricerca di clienti tra lande inesplorate, ma in una visita rapida a una capitale estera, a frequentare spazi congressuali vellutati e a pernottare in hotel di lusso. Mi sarei adeguato sicuramente in fretta e bene! La nuova attività inoltre correva, i progetti si sviluppavano incalzanti e quella mia sensazione di rimanere a Milano per poco tempo fu travolta dagli eventi. In effetti a Milano ci stavo davvero poco tempo, ma perché ero sempre via!

    Le varie missioni che iniziai a svolgere in Asia in quel periodo furono anche l’occasione per rivedere posti del passato e per scoprire le novità degli ultimi anni. Ritornare in luoghi che mi avevano visto arrembante tecnico-commerciale negli anni ’90 ebbe l’effetto non solo di farmi sentire ancor più vivida l’onda del tempo che passa e che allontana i ricordi di ciò che si era stati, ma mi diede modo di interrogarmi nuovamente su tante cose che, ancora una volta, mi portarono a chiedere con sempre maggiore insistenza a Dio cosa avesse avuto in

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