La custodia del tempo: Appunti di un monaco nei giorni che passano
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«Sorpreso sempre dalla presenza di Dio e sfidato costantemente dal dubbio sulla sua esistenza, la sua Parola è lampada per i miei passi, come dice il Salmo 118. Con questa luce guardo la realtà che mi circonda, ripenso ai giorni passati, vado incontro ai giorni futuri. La persona umana con le sue fatiche e le sue gioie, un po' schiacciata da un tempo moderno che toglie il respiro e anche molto stimolata da orizzonti nuovi che si aprono con una velocità sconosciuta nel passato, mi colpisce, mi commuove, mi stimola. Guardo e ascolto, e mi lascio stupire da ciò che entra in me e anche da ciò che ne esce, quasi frutto di un seme che è entrato nel profondo della mia terra».
L'oggi è il tempo in cui tenere gli occhi spalancati, gli orecchi aperti e le mani tese per dare e per ricevere
Cesare Falletti
È cresciuto a Roma dove ha compiuto tutti gli studi, fino alla licenza in teologia. Per un breve tempo è stato vicerettore del nascente seminario per le vocazioni adulte a Torino da dove è partito per entrare in monastero. Nel 1971 è entrato nell'Ordine cistercense presso l'Abbazia di Lérins. Inviato a fondare nel 1995 in Piemonte il monastero Dominus Tecum a Pra 'd Mill (Bagnolo P.te – Cn, diocesi di Saluzzo), ne è stato il priore fino al 2015.
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La custodia del tempo - Cesare Falletti
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Cesare Falletti
La custodia
del tempo
Appunti di un monaco
nei giorni che passano
Effatà Editrice logoPresentazione
Queste pagine e questi testi non hanno un vero filo logico, come non hanno filo logico i nostri pensieri, le sorprese che svegliano la nostra attenzione e le riflessioni che nascono dopo qualcosa che ci ha scosso, turbato o meravigliato.
Da qualche anno la redazione di «Nuovo Progetto», la rivista del Sermig‐Arsenale della Pace, mi ha chiesto di condividere con i lettori alcune riflessioni, senza darmi un tema preciso, lasciandomi quindi spaziare nel mondo dei miei pensieri e delle mie meditazioni, del mio sguardo sulle cose.
Ho cercato di vedere e riflettere su vicende o argomenti che colorano la mia vita, divenuta in questi ultimi anni poco stabile, malgrado il voto di stabilità fatto ormai tanti anni fa. La stabilità la trovo proprio in quel filo rosso, non logico, ma orientato sempre verso lo stesso punto luminoso che mi ha fatto camminare fin da giovane. Sorpreso sempre dalla presenza di Dio e sfidato costantemente dal dubbio sulla sua esistenza, la sua Parola è lampada per i miei passi, come dice il salmo 118. Con questa luce guardo la realtà che mi circonda, ripenso ai giorni passati, vado incontro ai giorni futuri. La persona umana con le sue fatiche e le sue gioie, un po’ schiacciata da un tempo moderno che toglie il respiro e anche molto stimolata da orizzonti nuovi che si aprono con una velocità sconosciuta nel passato, mi colpisce, mi commuove, mi stimola. Guardo e ascolto, e mi lascio stupire da ciò che entra in me e anche da ciò che ne esce, quasi frutto di un seme che è entrato nel profondo della mia terra.
Non ho qualcosa da dire, ma solo il desiderio di comunicare, di entrare in comunione con qualche riflessione, qualche idea o qualche reazione frutto di dolore e di amore.
Così, mese dopo mese, sono nate queste pagine e ho pensato di offrirle anche ai non abbonati a «Nuovo Progetto», di cui ringrazio la redazione per avermelo concesso.
I
Andando
alla scuola del tempo
La vita è fedele
Si è aperto un nuovo anno. Di per sé non cambia nulla, i giorni si susseguono ai giorni; ma possiamo pensare che non sappiamo assolutamente cosa vivremo, cosa succederà e neanche se ne vedremo la fine. Questo incognito non è da subire con quell’angoscia che ci prende quando non siamo padroni della situazione, dei giorni che verranno, ma da ricevere con quell’umiltà che è contenta di ciò che vive e cerca di costruire con poche forze un futuro migliore.
Nulla dev’essere dato per scontato: non solo non possiamo dirigere il futuro, ma neanche noi stessi. Le certezze che abbiamo sono fragili; possiamo perdere tutto: le cose materiali, la testa, la fede, perché nulla ci appartiene di diritto e su nulla abbiamo un vero possesso stabile.
Ma la vita ci è data giorno per giorno, minuto per minuto; e questo non possiamo perderlo, neanche con la morte. La vita è fedele, non il nostro esserci, non le cose su cui ci appoggiamo. La vita è fedele, perché non ci è tolta anche se è continuamente trasformata. È come se stessimo tessendo un arazzo, ma il filo che ci è dato cambia continuamente di colore, di spessore, di materiale. Ricevendolo si inventa il disegno, perché la tela è nelle nostre mani; non quello che abbiamo già in testa, ma uno che viene dall’esistenza man mano che consideriamo positivamente i fili che ci arrivano e da loro ci lasciamo ispirare sul da farsi. Al termine, il filo sarà quello del colore della Gloria e della Vita eterna.
In questo senso il «nulla è dato per scontato» diventa un buon annuncio: la novità ci permette di creare, di essere veri collaboratori di quel Dio che disturba i nostri piani, perché la sua creazione non è ripetitiva, malgrado il susseguirsi di solstizi ed equinozi. Come ogni anno, quello appena trascorso ha avuto i suoi drammi, le ferite dolorose, gli scandali, le svolte che hanno aperto su storie incerte, il ripetersi di disastri e tragedie che sembrano non trovare un termine. Come ogni anno ci siamo chiesti: «Perché?» davanti a una natura che ci ha tradito (ma che anche noi abbiamo spesso tradito); cosa che ci disorienta più ancora della furiosa malvagità dell’uomo, a cui purtroppo sembriamo anche troppo abituati. Ci sembra di essere attaccati dagli sconvolgimenti naturali all’improvviso e senza una ragione, come dal terrorismo assassino, che colpisce or qua or là, e non possiamo ribellarci, attaccare, né difenderci. Il momento presente può esser accolto come l’unica cosa stabile: in questo momento so cosa vivo, anche quando sono smarrito; oppure lo vedo come sabbia che scivola fra le mani, che non si può far nulla per trattenere. Davvero nulla?
L’unica cosa che possiamo fare nel momento presente è mescolare alla sabbia dei semi di vita, di bontà, di bellezza, di fede, di speranza e di amore e lasciarli scivolare fra le nostre dita in modo che, dopo il nostro passaggio, la terra sia fertile, fiorita, più luminosa e più vivibile. Noi, infatti, non possiamo vivere che il presente, ma possiamo dare vita al futuro e ne siamo grandemente responsabili. «Lasciare il mondo migliore di quello che abbiamo trovato»: questa famosissima frase di Baden‐Powell è un grande programma, che permette di vivere in modo positivo, di vincere ogni amarezza, di arrivare a una meta. E ogni meta è partenza per un cammino che punta più in alto. Fino alla fine e... dopo la fine.
Si è aperto un anno nuovo; non è dato per scontato che riusciremo a viverlo meglio del precedente. Non sarà migliore se le liste delle nostre imprese si allungheranno, se tutto sarà solamente più tranquillo per noi; ma lo sarà se la dose di speranza che lasceremo, che avremo insegnato e su cui ci saremo appoggiati sarà più grande e avrà sostenuto ogni nostro passo.
Non viviamo in difesa
Quest’anno l’inverno è stato freddo; quando i giornali scrivevano che in qualche parte dell’Italia eravamo arrivati a -21 °C, cosa ben eccezionale, degli amici polacchi mi scrivevano, come fosse cosa normale, che avevano -22 o anche -24 °C. Mi è venuto da pensare che forse ci manca un po’ di gratitudine e che lo sport preferito da tanta gente è quello della lamentela! È vero, non tutto è piacevole, e i disagi ci colpiscono tutti, ma il fatto di lamentarsi di tutto e di tutti mostra che siamo troppo chiusi nel nostro io, arrotolati intorno alla nostra persona. Forse pensiamo che se ci chiudiamo come un riccio soffriremo di meno, ma proprio l’esperienza di questo clima deve insegnarci che non è rannicchiandosi che si soffre di meno il freddo, ma respirando con calma e a pieni polmoni, senza voracità, con la bocca appena socchiusa. Non si può giocare una partita rimanendo sempre in difesa e poi pretendere di vincere. Così tutt’al più si rimane zero a zero; ed è una delusione per tutti i tifosi, che alla fine perderanno l’interesse per il gioco.
Se si vuole prendere gusto alla vita e al gioco è meglio perdere una partita giocata bene e con rischio, piuttosto che pareggiare una partita che si rivela noiosa. Eppure tanti vivono solo in difesa, guardando la vita attraverso gli occhiali del sospetto. E poi si lamentano perché in un campo non arato il grano non ha dato frutto. Per evitare questo occorre guardare prima com’è il terreno e di cosa ha