Un Nuovo Giorno - Il Parkinson nella mia vita, tra una mezzanotte e l'altra
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Anteprima del libro
Un Nuovo Giorno - Il Parkinson nella mia vita, tra una mezzanotte e l'altra - Davide Ferrero
Capitolo 1
Inizio del viaggio
Dicembre 2016 - Marzo 2017
Questo viaggio è iniziato sicuramente molto tempo fa, ma cercherò di concentrarmi solo sugli ultimi anni.
Da sempre mi ritengo un tipo sportivo, amante dell’attività all’aria aperta. Ho praticato attività fisica con costanza, cercando il contatto con la natura e avendo un'alimentazione sana. Ricordo come se fosse ieri gli allenamenti di corsa per le strade della città, in qualunque condizione atmosferica, anzi specialmente con il brutto tempo. Quando stava per iniziare a nevicare, sentivo come un richiamo. Era il momento migliore per prepararmi velocemente indossando la mia tuta e lettore mp3 per uscire e fare una corsetta solitaria tornando a casa imbiancato di neve.
Altre volte mi inoltravo nella fitta nebbia autunnale per strade desolate e poco frequentate, sempre da solo e accompagnato semplicemente dalla musica, completamente immerso nella corsa e nei miei pensieri.
Grazie a queste attività e condotta non ho mai preso farmaci e non ho mai sofferto di problemi fisici particolari.
Ho sempre amato l’avventura ed ero un tipo decisamente spericolato, che amava le attività estreme e le sfide. Nonostante queste inclinazioni, fino a quel momento mi ero procurato pochissimi problemi.
Ricordo soltanto una frattura al polso, dove i medici purtroppo non avevano individuato subito il vero problema, confondendolo con una distorsione. Mi avevano fatto solo un bendaggio ben stretto, troppo stretto al punto che la fasciatura dopo un paio di giorni aveva iniziato a lasciar trapelare il gonfiore della carne tra una avvolgimento e l’altro della benda. Peccato però che la frattura fosse presente, così come anche i dolori, tanto che dopo qualche giorno ero dovuto ritornare all’ospedale. Per sistemare le cose mi fratturarono manualmente la parte che aveva iniziato a saldarsi e poi ingessato due volte perché il primo tentativo di correzione non era andato a buon fine.
Mi ero procurato anche una frattura al setto nasale causata da una caduta di testa da un albero, nel malsano tentativo di imitare Tarzan.
Crescendo ed entrando nel mondo del lavoro sono passato a vita più tranquilla, senza più voli pindarici giù dagli alberi e senza allenamenti esasperati e sono entrato in una routine nota a molte persone, nella quale sei completamente assorbito dagli eventi che accadono e dalle cose da fare. Per quanto riguarda il lavoro, ne ho provati diversi e in tutti, dopo aver superato l’entusiasmo iniziale, l’ardore si è immancabilmente spento, facendo sorgere le solite domande sul significato della mia esistenza.
In famiglia sempre meno tempo libero da trascorrere con i miei figli e mia moglie, ed avevo sempre altrove la testa, troppo preso da turbamenti mentali dovuti agli impegni e alle cose da fare.
Nonostante sia una condizione ben nota a molti, il problema è che questa routine spesso la si considera come un fatto normale, ci si adegua e va bene così, mentre io sono sempre andato in controtendenza rispetto al comune modo di vedere le cose.
Ora che ho preso coscienza del fatto che ci deve essere qualcosa, oltre a questa routine, probabilmente è venuto il momento di cambiare rotta e iniziare a vivere una vita più profonda.
Non credo che siamo venuti qui sulla Terra solo per sopravvivere, riprodurci, accumulare beni materiali... io qualche domanda su questi temi me la sono fatta. Anzi è una vita che me lo sto chiedendo.
Guardando alle esperienze passate, ai progetti e alle aspettative future, posso constatare che sono state spesso stravolte, sia nel bene sia nel male, da un’esistenza che al momento giusto si è sempre mossa con forza trascinandomi dove voleva lei, non badando alle mie aspettative, come se ci fosse un piano di volo già previsto da seguire.
Guarda caso è proprio quello che sta capitando anche adesso, in una fredda giornata di dicembre, dove apparentemente non è accaduto nulla di particolare. Questa volta nessun ramo d’appoggio spezzato su un albero, nessuna brutta caduta. Nonostante il nulla di fatto la mia schiena ha deciso di bloccarsi completamente, con conseguenze molto dolorose.
È uno di quei momenti in cui la strada delle possibilità diventa stretta e ti accorgi che devi necessariamente passare da lì, non ci sono alternative, non puoi fuggire o evitare la situazione.
Da dieci anni circa lavoro in una piccola azienda nel settore della formazione professionale, con colleghi fantastici, dove mi sento come a casa e nella quale si sono creati dei profondi legami di amicizia che porto sempre nel cuore. È soprattutto con le colleghe che intrattengo i discorsi più interessanti e profondi.
Inizio del viaggio
I colleghi maschi nel vedermi nelle pause insieme al mio gruppetto di sole donne, scherzosamente mi dicono che ho creato il gruppo pupe
.
Nonostante questa situazione di affetti e rapporti profondi, periodicamente emergono le solite domande interiori, quelle domande che da sempre mi accompagnano, in ogni momento. Una buona parte di queste domande riguarda proprio il tema del lavoro.
A causa di una riorganizzazione interna avvenuta soltanto qualche anno prima, mi era stato proposto un nuovo incarico nell’ufficio commerciale. Avevo deciso di accettare e di sfidarmi nonostante qualche dubbio. Oggi, a distanza di un paio di anni, inaspettatamente la nuova mansione non mi dispiace e mi sento anche abbastanza portato.
Massimo, il direttore commerciale con cui collaboro, al contrario di me, è un uomo che crede fortemente in se stesso e sa creare subito empatia grazie al suo carattere sempre allegro e scherzoso. Da ogni cliente a cui fa visita trova sempre una porta aperta e una grande accoglienza. Si presenta sempre bene: vestito a modo, bella macchina, abbronzato tutto l’anno.
Poi ci sono io. Pallido come un cadavere, timido e inoltre vegetariano convinto. Sì, anche vegetariano, scelta alimentare non molto condivisa dai nostri clienti con cui naturalmente si suole frequentemente mangiare assieme.
A questo proposito una sera mi trovavo a Vieste con altri due colleghi in cerca di un posto per cenare. Nessuno di noi tre mangiava pesce. Chiedendo informazioni per un ristorante a due simpatiche vecchiette incontrate per strada, spiegammo di non mangiare pesce e ricevemmo una risposta epica, che ancora oggi mi fa sorridere: «Che malattia avete?».
Per non parlare di un’altra volta, sempre a cena in trasferta, a Tropea con Massimo in un elegante ristorante. «Cameriere potrebbe venire un attimo? Abbiamo un problema», esordì con fare allarmato Massimo, dopo che ci eravamo appena accomodati al tavolo del ristorante. La sua domanda ha stupito anche me che non ho intuito a cosa si riferisse. Allertato dalla richiesta, il cameriere si è precipitato per vedere quale fosse il problema. Massimo con fare serio gli ha sussurrato all’orecchio. «Abbiamo un problema...il mio collega è... è erbivoro!»
Chiaramente questa affermazione ha scatenato subito una fragorosa risata sia in me sia nel cameriere!
Al di là delle vicissitudini per le mie preferenze alimentari, la nuova mansione nell’ufficio commerciale è comunque una grande occasione per fare nuove esperienze e apprendere competenze importanti.
I miei colleghi mi dicono che rido molto. Niente da fare, c’è un gran bell’ambiente in questo ufficio nell’hinterland torinese.
Nonostante questo ambiente lavorativo dove le otto ore giornaliere passano in un attimo, spesso continuo a sentirmi un pesce fuor d’acqua, lontano dal mio ambiente naturale. La mia mente è come un cavallo imbizzarrito, incontrollabile. Non riesce ancora ad acquietarsi e a godersi il viaggio. Continua a produrre dubbi, sogni, ad evadere dal momento presente. Persiste nel farmi sentire inadeguato come ha sempre fatto sin da quando ero