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Lorenzo Rocci s.J.: Diario (anni 1880 – 1933)
Lorenzo Rocci s.J.: Diario (anni 1880 – 1933)
Lorenzo Rocci s.J.: Diario (anni 1880 – 1933)
E-book1.001 pagine10 ore

Lorenzo Rocci s.J.: Diario (anni 1880 – 1933)

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Info su questo ebook

P. Lorenzo Rocci s.J. (Fara Sabina, 1864 - Roma, 1950) studia nel Seminario di Anagni ed entra nella Compagnia di Gesù a Napoli il 18 ottobre 1880. Ordinato sacerdote il 26 luglio 1892, emette la professione solenne il 10 marzo 1940. Dopo qualche anno d'insegnamento nell’Istituto Massimo di Roma è per molto tempo professore nel ginnasio-liceo del Collegio di Villa Mondragone.

Nel 1920 si trasferisce a Roma per attendere al completamento del suo Vocabolario di greco, tuttora utilizzato nei Licei classici del nostro Paese.

Le sue pubblicazioni sono parte di carattere agiografico e biografico, parte di natura letteraria, riguardante soprattutto la lingua latina e greca.

Ora il Diario di p. Rocci è venuto alla luce attraverso questa fondamentale edizione che presenta la vita e le opere di questa esemplare figura di gesuita e uomo di lettere.

LinguaItaliano
Data di uscita9 lug 2021
ISBN9788869347276
Lorenzo Rocci s.J.: Diario (anni 1880 – 1933)
Autore

Vittorio Capuzza

Il prof. Vittorio Capuzza (Roma, 1971) svolge la propria attività didattica e di ricerca nell'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata". Insegna anche grammatica e storia della lingua italiana nell’Università Europea di Roma. È Preside dell’Highlands Institute di Roma – Scuola Paritaria con Indirizzo Internazionale, Cambridge International School. È postulatore presso la Congregazione delle Cause dei Santi e presso il Tribunale Diocesano del Vicariato di Roma; ha conseguito la relativa abilitazione presso lo Studium della Congregazione nel 2010. Nel giugno 2019, su proposta della Presidenza del Consiglio dei Ministri, è stato insignito dal Presidente della Repubblica dell’onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana. È direttore di diverse Collane editoriali.

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    Anteprima del libro

    Lorenzo Rocci s.J. - Vittorio Capuzza

    Vittorio Capuzza

    Lorenzo Rocci s.J.

    Diario (anni 1880 – 1933)

    Biografia

    © Bibliotheka Edizioni

    Piazza Antonio Mancini, 4 – 00196 Roma

    tel: (+39) 06. 4543 2424

    info@bibliotheka.it

    www.bibliotheka.it

    I edizione, Luglio 2021

    e-Isbn 9788869347276

    Disegno di copertina: Riccardo Brozzolo

    Vittorio Capuzza

    Il prof. Vittorio Capuzza (Roma, 1971) svolge la propria attività didattica e di ricerca nell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Insegna anche grammatica e storia della lingua italiana nell’Università Europea di Roma.

    È Preside dell’Highlands Institute di Roma – Scuola Paritaria con Indirizzo Internazionale, Cambridge International School.

    È postulatore presso la Congregazione delle Cause dei Santi e presso il Tribunale Diocesano del Vicariato di Roma; ha conseguito la relativa abilitazione presso lo Studium della Congregazione nel 2010.

    Nel giugno 2019, su proposta della Presidenza del Consiglio dei Ministri, è stato insignito dal Presidente della Repubblica dell’onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana.

    È direttore di diverse Collane editoriali.

    La prima opera in Italia che analizza la vita e le opere di Lorenzo Rocci, autore del famosissimo Vocabolario di greco edito nel 1939 e ristampato con indiscusso successo fino ai nostri giorni

    Presentazione

    Pochi sanno che l’autore del ‘Rocci’ – il dizionario greco-italiano più conosciuto in Italia fin dal 1939 – era un gesuita italiano; si chiamava P. Lorenzo Rocci, proveniva dalla Sabina ed è vissuto dal 1864 al 1950.

    Ha trascorso un notevole periodo della sua vita come animatore e insegnante nel Collegio dei Nobili di Mondragone (ora proprietà dell’Università di Roma Tor Vergata) e in altre residenze della Compagnia di Gesù, nella Provincia Romana. Consegue alcuni esami universitari in lettere classiche a Bologna nel 1890, con una commissione presieduta dal poeta Giosuè Carducci.

    La passione per il mondo classico è stata uno dei motori della sua vita, da cui è nata l’idea di comporre un dizionario tutto italiano, cioè senza ricorso ad altre lingue intermedie per la traduzione dal greco. Ammirazione e stupore ci vengono spontanei quando apprendiamo che questo lavoro ha richiesto circa trent’anni ed è stato compiuto con una pazienza certosina, tutto composto a mano, elaborando migliaia e migliaia di schedine per la composizione del dizionario.

    È nata così un’opera monumentale, stampata dalla Società Editrice Dante Alighieri, preceduta e seguita da altri lavori del P. Rocci sul patrimonio classico greco-romano; tra questi, i più diffusi sono stati forse la Grammatica greca e la Sintassi latina. Il Dizionario ebbe, almeno nei primi cinquanta anni, una fortuna incontrastata nei licei classici, nelle università e nel mondo culturale italiano.

    Ma del P. Lorenzo Rocci conosciamo oggi anche altre sorprese, emerse all’attenzione negli ultimi anni. Il suo Diario – che abbraccia il lungo periodo dal 1880 al 1933 – ci svela tratti inediti della sua identità umana e spirituale: un uomo che ha vissuto intensamente le varie tappe della sua vita nella Compagnia di Gesù, la sua passione per l’educazione della gioventù, il suo apprezzamento per la cultura classica e i suoi valori, e soprattutto il suo fervore apostolico come religioso e sacerdote. Tutto ciò si deve certo all’educazione nelle scuole dei gesuiti frequentate già prima del noviziato e poi alla lunga formazione della Compagnia di Gesù, dove l’accento sulla crescita spirituale si armonizza con la valorizzazione delle qualità naturali e umane. I talenti infatti sono doni preziosi da coltivare per lo sviluppo della persona e insieme per l’utilità comune: un servizio prezioso da offrire alla crescita di tante altre persone e alla promozione di una cultura che renda la nostra società più umana. Rocci ha saputo accogliere e mettere a frutto i propri talenti in modo disinteressato e a servizio della missione educativa.

    Il Diario del P. Rocci – oggi fruibile anche da coloro che hanno conosciuto solo il suo dizionario – ci aiuta ad apprezzare il contributo offerto dal nostro confratello alla Chiesa e alla società italiana. Da questo scritto emerge una grande passione educativa, espressa nella composizione di vari manuali per l’educazione e formazione dei ragazzi nei collegi della Compagnia, a cui ha dedicato diversi decenni della propria vita. Il Diario si snoda attraverso il suo lavoro professionale come docente e grecista e attraverso il suo impegno apostolico come religioso; in questo scritto personale ammiriamo uno sguardo attento alle tante persone che ha modo di conoscere, i molti luoghi che ha l’opportunità di visitare, la capacità di descrivere con tratti essenziali gli eventi che vive tra il 1880 e il 1933, anni a cui si riferiscono le pagine del Diario.

    La Provincia Euro-Mediterranea della Compagnia di Gesù è molto riconoscente al Professor Vittorio Capuzza per il lavoro da lui compiuto per far conoscere questo prezioso testo del Diario; apprezza in particolare l’impegno minuzioso con cui ha curato la presente edizione, corredata da una biografia critica e storicamente documentata dell’Autore. Abbiamo in mano un’edizione condotta con competenza e appassionata dedizione e soprattutto con intenso lavoro di scavo archivistico attingendo a numerose fonti: l’archivio della nostra Provincia, l’ARSI (Archivium Romanun Societatis Iesu) e altri archivi storici, in vista di una ricostruzione documentata e accurata della vita e dell’opera del P. Rocci. Il testo che presentiamo non è riservato ai soli gesuiti, oppure a ricercatori, docenti o studenti del classico: il Diario può essere forse considerato l’unico testo divulgativo del P. Lorenzo Rocci accessibile a tutti.

    L’apparato fotografico aiuta ad associare un volto umano al nome di Rocci, che probabilmente richiama solo l’immagine di uno studioso. In queste pagine si può apprezzare l’intenso lavoro svolto dal Rocci fin dall’adolescenza (aveva circa 16 anni al momento dell’ingresso in noviziato) e poi via via fino alla maturità e all’età della saggezza: il Diario, infatti, terminerà quando il gesuita ha quasi settant’anni. P. Rocci racconta la sua quotidianità e ci sorprende per la quantità di interessi, impegni apostolici e di studio riportati nella sua agenda. Emerge certo il lavoro del Dizionario, ma anche la passione per l’insegnamento e l’educazione dei giovani, l’interesse per i viaggi, la sete di conoscenza che ne fanno un uomo di grande modernità. Il suo Diario può essere consultato anche come una guida per viaggi in Italia e in Grecia, poiché Rocci menziona per ogni città che visita le principali attrazioni del suo tempo: piazze, strade, chiese, monumenti importanti, palazzi talvolta scomparsi. Il Diario riporta inoltre numerosi eventi storici significativi di cui è stato spettatore: la fine del XIX secolo, la Prima guerra mondiale, il biennio rosso, la marcia su Roma.

    Una nota che affiora spesso nelle vicende riportate: brevi osservazioni e sentimenti di sapore spirituale ed evangelico, che lo portano spontaneamente a considerare le persone e gli eventi alla luce della sua fede nel Signore e nella Provvidenza divina. Davvero quest’uomo viveva una spiritualità incarnata, segno specifico della vocazione cristiana e insieme della sua chiamata alla vita religiosa nella Compagnia di Gesù.

    Roma, 3 gennaio 2021: Festa del Santissimo Nome di Gesù

    P. Roberto Del Riccio SJ

    Provinciale della Provincia Euro –

    Mediterranea della Compagnia di Gesù

    Prefazione

    Presso l’archivio storico della Provincia Euro-Mediterranea della Compagnia di Gesù si conserva il Diario personale (autografo) di p. Lorenzo Rocci, autore del famosissimo Vocabolario di greco edito nel 1939 e ristampato con indiscusso successo fino ai nostri giorni. L’inedito documento è stato scritto a partire dal 1880, anno dell’entrata in noviziato, fino al 1933; esso registra moltissime attività compiute del gesuita e interessanti sue considerazioni d’ordine culturale, spirituale, storico e letterario. P. Rocci, infatti, insegnò per circa cinquant’anni, tNell’interessantissimo Diario compaiono annotazioni riferite dapprima a p. Rocci come studente in formazione nella Compagnia di Gesù, poi come insegnante e studioso, traduttore di opere latine e greche. Il Diario costituisce anche un importante documento di consultazione e di ricerca per i numerosissimi riferimenti di carattere storico (nazionale e peculiare) e di letteratura del viaggio.

    P. Lorenzo Rocci, oltre a esser stato un modello di vita esemplare che s’inserisce nella scia luminosa degli spiriti grandi della Compagnia di Gesù, è anche avvertito dalla Comunità Universitaria di Tor Vergata come «uno di noi»: come s’è detto, ha insegnato prevalentemente, fino a diventarne Preside, nel Collegio di Mondragone: quello stabile – emerge chiaramente dalla Introduzione all’edizione critica del Diario – è di proprietà dell’Università degli studi di Roma Tor Vergata dalla fine del 1981; la Compagnia di Gesù acconsentì alla compravendita perché l’Ateneo avrebbe garantito – come fa tuttora – la continuità della formazione umana e culturale, già avviata presso quei luoghi meravigliosi dai Gesuiti, a partire dalla seconda metà del XIX secolo.

    In quell’ottica che siglò il passaggio di proprietà nella continuità della formazione attraverso lo studio, recentemente l’Ateneo (Direzione I) e la Provincia Euro-Mediterranea della Compagnia di Gesù hanno firmato una collaborazione nell’agosto 2019 avente ad il progetto intitolato «Una scuola di scuole. Fra arte e scienza a Villa Mondragone» rivolto alle scuole primarie e secondarie e che ha l’obiettivo di far rivivere la storia del Collegio attraverso la visita ai luoghi e la visione di pannelli fotografici composti con il materiale conservato nell’Archivio della su citata Provincia della Compagnia.

    Sono davvero lieto di presentare questo importantissimo e rigoroso lavoro critico svolto dal prof. Vittorio Capuzza, nostro apprezzato docente, che ha ideato altresì il progetto su richiamato e siglato poco più di un anno fa; questo imponente e miliare lavoro porta alla luce dopo settant’anni dalla morte del gesuita e grazie alla generosità della Provincia della Compagnia di Gesù che ha conferito al professore espresso mandato, la fondamentale fonte di e su P. Rocci. Finora addirittura in pochi sapevano che Lorenzo Rocci fosse un sacerdote gesuita; da oggi l’ottica cambia necessariamente perché è possibile, grazie al Diario emerso dalle carte d’archivio, conoscerlo più da vicino, in profondità, fino ad arrivare a dettagli – sempre interessanti perché lo riguardano – della sua vita di gesuita e di uomo delle lettere.

    Un grazie sincero e pieno, dunque, va alla Compagnia di Gesù e al prof. Capuzza: lo formulo non solo come Rettore attuale dell’Ateneo che ha pur come sede Villa Mondragone, ma anche come ex-allievo di una delle scuole romane dei Gesuiti.

    Roma, 18 gennaio 2021

    Prof. Orazio Schillaci

    Rettore dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata

    Introduzione

    L’ambiente politico, socio-culturale e religioso tra la fine dell’Otto e i primi anni del Novecento

    L’Italia tra la fine dell’800 e i primi anni del ‘900 è investita da diversi problemi d’ordine sociale, politico e soprattutto economico, causati dalla cd. industrializzazione e dall’incidenza notevole del capitalismo.

    Tali fenomeni misero in chiara luce la debolezza della struttura dello Stato liberale oligarchico così come generato dal Risorgimento e spinsero alla elaborazione di una visione tendenzialmente più democratica, cioè di rimessione della partecipazione alle scelte nazionali anche degli strati più deboli della società civile. Questa aspirazione a uno Stato liberale democratico ebbe notevoli difficoltà per affermarsi; si pensi, ad esempio, alla situazione più arretrata dell’Italia rispetto agli altri Stati europei, oppure alle forti differenze regionali in seno alla penisola specialmente fra quelle del sud e quelle del nord, oppure all’analfabetismo che, a cavallo fra i due secoli, arrivava a toccare il 75% dei cittadini italiani. In questa atmosfera tutto sommato nuova, nacquero ed ebbero subito una considerevole diffusione i movimenti popolari, dalle molteplici spinte e visioni anche fra loro antitetiche: si andava dall’obiettivo di abbattere la struttura statale esistente (movimento anarchico), a quelli socialisti e cattolici.

    La risposta a tali movimenti che vennero comunque interpretati dalla classe dominante come forze eversive, fu una tendenza autoritaria dello Stato, che si impose in vece del parlamentarismo. Emblema di tale risposta fu l’azione del Governo Crispi, nel quale le scelte imperialiste e del colonialismo rappresentarono anche il tentativo di deviare l’attenzione dai problemi interni allo Stato.

    Più in particolare, va detto che negli anni ’90 dell’Ottocento, mentre nasce la borghesia dell’industria che sposta il centro anche della vita politica da Torino a Milano, si propagano da un lato le idee della Nuova Destra politica grazie soprattutto all’apporto della rivista fondata dal 1878 da Sonnino e Franchetti, cioè la «Rassegna Settimanale» (vi collaborarono Antonio Salandra, Pasquale Villari e Giustino Fortunato), mentre d’altra parte Filippo Turati e Anna Kuliscioff fondano la «Critica sociale», tutta alimentata da studi marxisti, sulla spinta delle opere di Antonio Labriola. È nel 1893 che dal Partito dei lavoratori italiani nasce il Partito Socialista dei lavoratori italiani. A tale partito s’oppone il movimento cattolico, che lotta pur’esso contro lo stato borghese e si fonda sulla partecipazione dei gruppi popolari. La politica appena avviata scatena, però, tumulti: a Molano s’alimentano moti e nel 1898 Filippo Turati e don Albertario, figure emblematiche dei due opposti movimenti principali, vengono arrestati con conseguenze repressive anche delle rispettive riviste e dei giornali. Sono gli anni anche dell’emigrazione transoceanica che interessò tantissime famiglie italiane, soprattutto del centro-meridione e delle aree venete.

    Nel successivo decennio giolittiano, che governò l’Italia nei primi anni del ‘900, lo Stato non sviò l’attenzione dalle istanze sociali ed economiche dei cittadini e trovò nella dialettica politica non più le organizzazioni quasi spontanee mediante i movimenti, ma partiti ormai legalizzati e portatori d’interessi paralleli, sia di natura socialista, sia d’espressione del cattolicesimo. In altri termini, il periodo compreso fra la caduta della cd. Destra storica (1876) e la caduta del Governo Giolitti (1914) rappresenta l’arco temporale nel quale sorsero i caratteri della società moderna italiana e si sviluppò la vicenda storica cd. unitaria. Dal 1914 lo scenario si sposta verso l’interventismo bellico e lo scoppio della I Guerra Mondiale¹. Di base, infatti, l’Italia si presenta, poco prima della Grande Guerra, spaccata dalle due opposte visioni: interventista e del neutralismo; ne nascono schieramenti anche se alimentati da diverse motivazioni: cattolici, giolittiani e socialisti richiamano la necessità del neutralismo, mentre schierati interventisti sono i gruppi nazionalisti (portavoce ne erano le riviste «Hermes», «Leonardo», «Lacerba», «Il Regno» fondata da Enrico Corradini che nel 1910 fonderà l’Associazione nazionalista da cui nascerà il Partito nazionalista). Nel 1912 dalla corrente socialista si stacca la frangia guidata dal direttore dell’Avanti, Benito Mussolini, il quale dal 1912, dopo cioè il Congresso Socialista di Reggio Emilia, aderisce con il suo gruppo all’ideale interventista.

    La tragedia segnata dalla Guerra Mondiale e le delusioni per gli accordi siglati nel tavolo di pace tali per cui si parlò di una vittoria mutilata, determinano comunque effetti per un primo cambiamento radicale: tredici giorni dopo l’armistizio, il 17 novembre 1918 don Sturzo tiene un discorso a Milano con programma di far fronte ai problemi post-bellici della società; i cattolici italiani, così, si organizzano in partito politico, dando vita al Partito Popolare Italiano (la cd. Piccola Costituente è del 16 e 17 dicembre 1918; il 18 gennaio 1919 segna la nascita ufficiale del partito; qualche mese prima, don Luigi Sturzo aveva ottenuto l’autorizzazione dal Papa Benedetto XV);² nel 1921, dal Congresso Socialista di Livorno, nasce la protesta il Partito Comunista Italiano, che su iniziativa di Bordiga si riunisce in un autonomo congresso, abbandonando quello socialista ancora in atto: Il terzo congresso comunista tenuto a Lione nel 1926 esprimerà l’adesione alla linea di Gramsci e di Togliatti, manifestata dal giornale «Ordine Nuovo». Intanto, nel 1919 nascono i fasci di combattimento, in chiaro contrasto al parlamento e ai partiti; nelle elezioni anticipate del 1921 raggiungono il numero di 35 deputati (123 i socialisti, 108 i popolari, 15 i comunisti), finché nell’ottobre del 1922 marciano su Roma e il 12 novembre ottengono dal re la chiamata di Mussolini per la formazione del governo.

    La chiesa tra Otto e Novecento

    Sotto il profilo ecclesiastico, nel periodo in esame era stata avviata la grande stagione sociale della Chiesa³ (quella che darà sviluppo poi alla dottrina sociale della Chiesa), grazie soprattutto all’enciclica Rerum novarum di Papa Leone XIII che, promulgata il 15 maggio 1891, seguì ad altre importanti encicliche tese ad una sorta di restaurazione del cattolicesimo in diversi campi: prima di tutto quello dottrinale mediante il tomismo e della relativa formazione del clero (Aeterni Patris del 1879); non a caso, infatti, p. Rocci nel diario, nel 1886, considera come «l’indirizzo alla Gregoriana è prettamente tomistico: l’enciclica Aeterni Patris di Leone XIII viene citata, ripetuta, intromessa in ogni discorso». Poi l’incremento degli studi biblici e storici; la condanna delle moderne ideologie specialmente socialiste (Quod apostolici muneris del 1878; Immortale Dei del 1885 e Libertas del 1888); l’istaurazione di nuovi rapporti con gli Stati alimentando il ruolo e le attività della Santa Sede. Mediante la Rerum novarum, invece, gli obiettivi d’apertura sociale erano strutturati lungo più canali: il rinnovo della condanna delle visioni socialiste; la difesa della proprietà privata e dei doveri morali ad essa connessi; gli aspetti economici e lavoristici non considerati accettabili per la visione cristiana; i limiti dei poteri statali; l’esortazione ai cattolici nel proseguire l’adesione a movimenti e gruppi ispirati alla Chiesa e tesi agli obiettivi sociali.

    Sul piano politico tali spinte posero la questione della possibilità di una democrazia cristiana, cioè di un modello civile basato sul cristianesimo. D’altra parte, all’interno della Chiesa s’assistette ad una volontà di conseguente rinnovamento che assunse talvolta forme anche molto forti, fino a determinare un certo sconvolgimento provocato da un’accelerazione interna capace di acquisire una capacità di veduta del mondo più reale e moderna, mediante anche metodi scientifici e storici che finirono per investire anche il piano Scritturale. Si parlò di Modernismo, fortemente fronteggiato da Pio X prima di tutto con il gesto simbolicamente molto forte dello scioglimento dell’Opera dei congressi nel 1904 nell’intento di fermare, in particolare, l’azione del sacerdote marchigiano Romolo Murri, sospeso a divinis per le professate tesi socialiste.

    La crisi modernista appare come «la plus grave qu’ait traversée la conscience chrétienne depuis la Reforme» ⁴. Sull’impostazione storico-critica come metodo di ogni ricerca (comprese quindi anche delle fonti bibliche, liturgiche e agiografiche del cristianesimo), avanzata dalla fine dell’Ottocento, quale effetto del moto liberatorio di quegli anni che smosse la società civile e quella religiosa cattolica, nel 1907 si imposero due interventi pontifici: il Decreto Lamentabili del 3 luglio 1907 e l’enciclica Pasciendi di Pio X, datata 8 settembre 1907. L’interrogativo dei modernisti era fino a che punto la fede potesse tollerare il lavoro di ricerca filosofico che la reinterpreta: d’altra parte, il contenuto della religione in una sua parte è filosofia, concezione cioè del mondo e della vita. Da qui gli effetti della critica storica, da cui si formò la critica testuale biblica; quest’ultima generò la critica letterario-storica prima dell’Antico Testamento, poi del Nuovo.

    L’analisi compiuta negli anni successivi è stata quella di ricostruire le diverse forme di reazione che ci furono dalla parte tacciata di modernismo, cioè di applicare principi filosofici metafisici di agnosticismo e immanentismo, al posto della chiara e sicura scolastica. In quel contesto non va taciuto che agli interventi di Pio X del 1907 si aggiunse il Motu proprio Sacrorum antistitum del 1° settembre che ordinò ai Sacerdoti di emettere giuramento con quale respingevano gli errori condannati dal Papa. Insomma, come li definì Friedrich von Hugel (+1925), quegli anni della crisi modernista furono «anni terribili» ⁵.

    Situazione politica e religiosa di Roma tra il 1900 e il 1919

    Uscita l’Italia dalla Guerra Mondiale, i problemi non terminarono con la vittoria riportata sul fronte. Le centinaia di migliaia di morti e di mutilati, la massa proletaria senza ritorni economici e in fermento con scioperi e manifestazioni nelle fabbriche e nelle campagne, la febbre spagnola che a Roma arrivò nel 1918 e che provocò più morti della guerra (Padre Rocci nel diario lunedì 18 novembre 1918 scrive che «le scuole a Roma sono ancora chiuse per l’influenza spagnola» e ancora, dopo più di un anno, sabato 7 febbraio 1920 annota «In questi giorni s’è riacuita qui in Roma la così detta febbre spagnola: pare che la mortalità sia parecchia» e nelle pagine comprese tra il 12 e il 18 agosto 1918 riporta interessanti dati – «si attacca facilissimamente… tutta l’Italia ne soffre… circa 140 morti al giorno… in Frascati parecchie vittime… in Roma i decessi sono da qualche tempo poco sotto i 200» – ), la fame e la povertà di moltissimi (nel 1919 il numero dei disoccupati a novembre raggiunse i 2 milioni), rappresentarono tutte gravi realtà sociali che anche Roma dovette affrontare nell’immediato dopoguerra.

    L’Urbe era ormai da decenni la sede delle Istituzioni e il Governo dinnanzi al crescere anche delle tendenze illegali ed eversive (si pensi al cd. dannunzianesimo e all’arditismo come forze incidenti in modo quantomeno eclatante l’apparato statale) aveva accresciuto i propri poteri, determinandosi una vera e propria crisi del Parlamento, indebolito a sua volta già dal fatto che la lotta politica e sociale avevano nella realtà assunto un carattere veloce a cui non si riusciva più a far fronte.

    Il 1919 fu l’anno delle elezioni politiche mediante il sistema cd. proporzionale e i liberali risultarono sconfitti dal Partito Popolare appena fondato da don Luigi Sturzo come innovazione del ventennale movimento cattolico della democrazia cristiana; a differenza di allora, però, il Partito Popolare aveva due condizioni favorevoli: la prima era l’abolizione avvenuta del non-expedit attuata da parte di Benedetto XV; la seconda era la dichiarata indipendenza dalla Chiesa nella dialettica politica. Padre Rocci registra nel diario il giorno 16 novembre 1919, domenica, che si è costituito il «partito popolare (cattolico)». Nel 1919 a Roma i Deputati del Partito Popolare superarono il centinaio⁶.

    Secondo alle votazioni fu il Partito Socialista, che portò i propri seggi parlamentari da 52 a 156. Da soli, però i due partiti non avrebbero potuto avere la maggioranza necessaria per far nascere il Governo ed era improponibile a-priori l’alleanza fra loro. Così, tra il 1919 e l’ottobre 1922 si alternarono cinque Governi di breve durata (due presieduti da Nitti, uno da Giolitti, uno da Bonomi e due da Facta). Già nel maggio 1921, quando Giolitti⁷ aveva sciolto il Parlamento, entrarono come nuovi deputati in Parlamento trentacinque fascisti: fu l’anticamera della marcia su Roma che avvenne il 28 ottobre del 1922. ⁸

    La situazione di Roma sotto il profilo religioso va letta come l’immediato effetto di importanti riforme che furono attuate tra il 1905 e il 1912. Infatti, con la visita apostolica alla Diocesi di Roma indetta dal Papa Pio X mediante la bolla Quam arcano Dei consilio dell’11 febbraio 1904, s’intese operare la riforma del clero e della vita religiosa unitamente alla modifica dell’assetto territoriale delle parrocchie. Negli anni seguenti alla visita cominciò, dunque, l’attuazione delle innovazioni ritenute necessarie, soprattutto alla luce dei rischi provocati dal modernismo. Le parrocchie nel 1904 era 58 e il primo intervento del Pontefice con il quale ne sopprimeva alcune e ne istituiva di nuove fu la bolla Almae Urbis del 1° giugno 1905; alla quale successero la bolla Romanas aequabilius del 6 gennaio 1906, la bolla Susceptum Deo inspirante del 24 ottobre dello stesso anno.⁹ Altre parrocchie furono istituite tra il 1912 e il 1914 (ad esempio, S. Giuseppe al Trionfale, S. Maria del Rosario in Prati, S. Croce in via Flaminia e S. Elena in via Casilina). Di notevole importanza fu anche la necessità di assicurare la cura pastorale nell’agro romano, che è descritta in modo dettagliato nella relazione per l’assistenza spirituale degli abitanti dell’Agro romano, redatta nel 1931 dal delegato don Alessandro Lupi.¹⁰ Pio X in quelle aree rurali intervenne con l’erezione di 10 nuove parrocchie, secondo le previsioni contenute nella bolla Quamdiu per agri romani del 24 maggio 1912.

    Del 1912 è anche la riforma del Vicariato di Roma, attuata sulla base dei progetti elaborati dapprima dal Mons. Francesco Faberj e poi dal Card. Gaetano De Lai, tra il 1905 e il 1912; a quei progetti, seguì la costituzione Etsi Nos del 1° gennaio 1912, con la quale il Vicariato di Roma venne diviso in 4 uffici (culto divino e visita apostolica; disciplina del clero e del popolo ristiano; affari giudiziari; amministrazione economica) retti da prelati, alle dirette dipendenze del Cardinale Vicario.¹¹

    Con riguardo al clero, la riforma che seguì alla visita apostolica nella Diocesi del 1904, cominciò nel 1913 con il primo degli interventi pontifici che operò nell’ambito della formazione e quindi incise fortemente sui Seminari di Roma.¹²

    P. Lorenzo Rocci, s.J.

    Il Card. Nasalli Rocca, in una lettera scritta appena saputa della morte di p. Rocci, si raccomandò di scrivere degnamente di lui.¹³ Questo lavoro, nel LXX della morte di p. Rocci, tende a riempire tale vuoto biografico e, in un certo qual senso, a soddisfare quella richiesta, sperando di riuscirvi.

    Si potrebbe prender le mosse dalla fine, non nel percorrere le tappe della vita dell’insigne gesuita, ma come esame dei documenti, non numerosi ma tutti precisi ed efficaci, che ci narrano su lui.

    Una sintesi efficace è quella che si può leggere nel Necrologium Patris Laurentii Rocci, conservato presso l’ARSI.¹⁴

    In un altro importante documento utile per conoscere p. Rocci è il Tusculanum Collegium et Convictus, Praecipua quae acta fuere anno Domini 1950, che nella sezione intitolata Varia, reca la seguente annotazione: «In pervigilio Assumptionis B. M. Virginis pie obiit in Domino P. Laurentius Rocci S. J. eminens humanista et in lingua graeca peritissimus, cuius opus maximum lexicon Linguae Graecae abhinc non multos annos editum fuerat».¹⁵

    Nel Registro dei Defunti¹⁶ compare la seguente annotazione: «Il P. Rocci con le sue opere scritte ha dato, e dà ancora, un grande onore alla Compagnia. Tanto la Grammatica greca, quanto gli Esercizi greci e il Vocabolario greco vengono ristampati continuamente».¹⁷

    Il cammino del gesuita. P. Lorenzo Rocci all’interno della Compagnia di Gesù. La famiglia religiosa

    Molte volte è capitato di assistere all’espressioni di meraviglia da parte di molti che si sono formati negli anni passati anche attraverso le pagine del Vocabolario e della grammatica greca di Lorenzo Rocci, quando hanno appreso – per la prima volta dopo tanti anni, appunto – che il prof. Rocci fosse stato un religioso. Lorenzo Rocci fu, prima di tutto, un gesuita, fedele e unito intensamente alla Compagnia nella quale visse e operò per maggior gloria di Dio. La propria perseveranza e tenacia nello svolgimento zelante e attento dei propri doveri, primariamente quello di insegnante di latino e di greco al ginnasio/liceo, si devono alla vocazione sacerdotale e religiosa, che gli offrì il senso delle cose e degli impegni, talvolta assunti nel numero e nell’intensità in modo eccezionale. Perciò, prima di ripercorrere la vita di p. Lorenzo Rocci è necessario inquadrare le tappe del percorso di un gesuita, utile per comprendere e seguire anche le indicazioni che p. Rocci verga nelle pagine del proprio diario.

    Tutti gli aspiranti gesuiti, per far parte della Compagnia di Gesù, entrano nel noviziato. Possono entrare come novizi coadiutori (futuri fratelli, quindi laici consacrati non sacerdoti), come novizi scolastici (futuri sacerdoti) o come indifferenti (inteso in senso ignaziano, la decisione per il sacerdozio o la vita da fratello viene presa secondo quanto vissuto nei due anni di noviziato e formulata in occasione dei primi voti).

    Il noviziato dura due anni; ogni Provincia della Compagnia di Gesù ha un proprio noviziato di riferimento. Lorenzo Rocci però non entra in un noviziato della Provincia Romana, pur provenendo da Fara Sabina, quindi nella Provincia Romana, ma in quello della Provincia napoletana della Compagnia di Gesù, a Villa Melecrinis.

    La ragione è dovuta al periodo storico politico in cui Rocci nasce e vive i suoi primi decenni di vita.

    Tra 1860 e 1861 con il concludersi del processo di unificazione nazionale e la nascita del Regno d’Italia, erano stati chiusi i noviziati di molte delle province della Compagnia di Gesù in Italia, tranne quello della Provincia Romana, che subisce questa sorte un decennio più tardi, in occasione della conquista di Roma nel settembre del 1870, il noviziato chiude del tutto nel corso del 1871 e viene incamerato dal Regno d’Italia. In questi anni i novizi che vivevano nelle case di probazione e gli aspiranti novizi venivano ospitati in altri noviziati, spesso all’estero.

    Quando Lorenzo Rocci entra in noviziato è il 1880, se quello di Roma non è stato ancora riorganizzato, quello di Napoli è in funzione in una Villa donata alla Compagnia di Gesù da un benefattore da cui essa prende il nome Melecrinis.

    Rocci, dunque, come tanti altri suoi confratelli, entra per queste ragioni nel noviziato della Provincia Napoletana, quello della Provincia Romana tornerà in attività dal 1882 a Castel Gandolfo, non più presso il complesso di S. Andrea al Quirinale divenuto ormai di proprietà dello Stato.

    Nervatura e alimento dell’intero cammino vocazionale sono i voti. Dopo due anni di noviziato, si pronunciano i primi voti, con i quali i novizi si impegnano nel voler proseguire il proprio cammino all’interno della Compagnia di Gesù, al termine della messa firmano un documento ufficiale, un formulario, alla presenza del Padre Provinciale.

    Dopo il noviziato, gli scolastici (futuri sacerdoti) studiano filosofia e poi teologia, materie fondamentali per la formazione del gesuita fin dai tempi di S. Ignazio, presso scolasticati della Compagnia, residenze preposte alla loro formazione o presso Pontificie Università (come la Gregoriana), talvolta una parte di questo periodo era chiamato carissimato.

    Molti conseguono, parallelamente, anche una laurea presso le università statali in altre materie (lettere, fisica, matematica, astronomia). Durante la formazione è previsto un periodo chiamato magistero durante il quale lo scolastico sperimenta l’apostolato diretto, un assaggio di come sarà la sua vita al termine della fase di studi: fino a pochi decenni or sono i gesuiti inviati in magistero erano destinati quasi sempre ai collegi, come avvenuto per Rocci, che svolge il magistero nel Collegio di Strada.

    Durante il magistero spesso gli scolastici sono prefetti della disciplina o prefetti dello studio o responsabili delle attività ricreative dei convittori, li sorvegliano durante il giorno e nelle camerate, insegnano loro religione e a volte anche la materia che studiano all’università (solitamente italiano, storia, geografia, latino e greco).

    Durante il periodo degli studi in teologia, a distanza di alcuni anni dall’uscita del noviziato, gli scolastici – se ritenuti pronti, su indicazione del Provinciale e dei responsabili della formazione e previa decisione del p. Generale – vengono ordinati sacerdoti.

    Dopo gli studi viene loro affidata una destinazione: una residenza o un collegio o un ente della Compagnia o della Chiesa (per coloro che lavorano ad esempio per la Santa Sede) con un proprio specifico apostolato, spesso hanno anche incarichi in casa (chi tiene il diario di casa, chi cura l’historia domus, come fa Rocci per un periodo per la comunità della Gregoriana, chi è bibliotecario della comunità, chi è preposto ad altri specifici incarichi)

    Alcuni anni dopo il sacerdozio, se ritenuto pronto dal Provinciale e con approvazione del Generale, lo scolastico svolge il terz’anno. Un periodo, la cui durata può variare da alcuni mesi ad un anno o poco più, trascorso in una casa di terza probazione solitamente in un’altra provincia per l’epoca di Rocci, oggi quasi sempre all’estero.

    Al termine del Terz’anno, lo scolastico ha compiuto tutte le tappe per poter essere ammesso a pronunciare gli ultimi voti. Si decide se egli dovrà pronunciare gli ultimi voti come Professo di 4 voti o come coadiutore spirituale. Il Professo di 4 voti si impegna nell’obbedienza al Papa – il quarto voto appunto dopo la povertà, castità e obbedienza – e alla sua volontà di poterlo destinare ovunque nelle missioni. Il grado scelto per il gesuita è un dato riservato, che viene rivelato solo alla sua morte, noto solo al gesuita stesso, al Provinciale, al Generale e ai consultori.

    Durante tutti gli anni che trascorrono dai primi voti agli ultimi voti, i gesuiti ogni sei mesi circa pronunciavano la rinnovazione dei voti, pratica alla quale Rocci fa frequentemente riferimento nel suo diario. Si tratta del proponimento di proseguire il cammino nella Compagnia di Gesù, pronunciando una formula durante la messa in comunità, una pratica oggi meno osservata rispetto i tempi di Rocci, ma ancora in vigore.

    P. Rocci compie il cd. terz’anno in Francia (è un po’ atipico il fatto) ed emette gli ultimi voti come coadiutore due volte (infrequente anche questo) in anni diversi, cioè nel 1899 e nel 1904; invece nel 1940, dopo il successo del Vocabolario di greco pubblicato nel 1939, diviene Professo di quattro voti, grado che di solito caratterizza i gesuiti a cui sono affidati ruoli apicali o di prestigio.

    Il 12 marzo 1904 p. Rocci emette (per la seconda volta) la propria professione: significativo che in spirito d’obbedienza promette una cura particolare alla formazione culturale dei giovani:

    «Ego Lurentius Rocci professionem facio, et promitto omnipotente Deo coram eius Virgine matre, et universa caelesti curia, ac omnibus circumstantibus, et tibi Reverendo patri Raphaeli Bitetti vice Praepositi Generalis Societatis Jesu et Successorum eius, locum Dei tenenti, perpetuam paupartatem, castitatem et obedientiam, et secundum eam, peculiarem curiam circa puerorum eruditionem, iuxta formam vivendi in Litteris apostolicis Societatis Jesu et in eius Constitutionibus contentam.

    Insuper promotto specialem obedientiam Summo Pontifici circa missiones, prout in eisdem Litteris apostolicis et Constitutionibus continetur».

    La prima professione dei voti risale esattamente al 15 agosto 1899 ed il testo è redatto a Villa Mondragone; la terza di professo di quattro voti è del 12 marzo 1940, alla quale seguono Vota simplicia. Dal Necrologius si apprende che «Attentis eius meritis, ab A.R.P.N. Generali Wlodimiro Ledòchowski admissus fuit ad solemnem quattuor Votorum professionem die 10 Martii 1940». Nello stesso tempo, è formulata anche l’altra rinuncia ai beni.

    Gli ultimi voti corrispondo alla tappa finale, dopo la quale si è ufficialmente un gesuita. I gesuiti possono scegliere di uscire dalla Compagnia di Gesù: per entrare in un altro ordine, per proseguire il proprio cammino nel clero diocesano o per lasciare del tutto l’abito religioso. Chi esce dalla Compagnia, qualsiasi sia la ragione, cessa di essere un membro dell’ordine. Chi invece è coadiutore (quindi laico consacrato), dopo il noviziato viene subito destinato al servizio presso le residenze della Compagnia dove c’è più bisogno del suo lavoro. Si tratta a volte di ragazzi molti giovani che entravano della Compagnia di Gesù a quindici, sedici anni, subito dopo le scuole – spesso le scuole apostoliche della Compagnia di Gesù, dove avevano imparato un mestiere. In altri casi si trattava di ragazzi poco più grandi che mettevano a servizio della Compagnia la propria formazione professionale. I fratelli infatti avevano le mansioni più disparate: elettricisti, meccanici, dispensieri ovvero addetti alla spesa e alla dispensa in comunità, cuochi, ortolani, giardinieri, responsabili della cella del vino della comunità, sarti della comunità e soprattutto dei collegi per le numerose divise dei convittori, autisti, portinai, responsabili di animali da cortile, sacrestani, incaricati delle pulizie, a volte economi o ministri della comunità. Il lavoro dei fratelli è stato sempre molto prezioso e apprezzato nelle residenze e nei collegi poiché coadiuvava le attività dei confratelli e permetteva lo svolgimento della vita e dell’apostolato della comunità.

    Nel 1899 a Lorenzo Rocci venne comunicato che avrebbe compiuto gli ultimi voti come coadiutore spirituale, non come Professo di 4 voti. Lorenzo Rocci dedica al mancato grado di professo alcune parole, affidando però i suoi sentimenti solo al diario, ubbidendo ai suoi superiori e pronunciando i voti. È conservato presso l’ARSI l’autografo voto professato da p. Rocci il 15 agosto del 1899;¹⁸ questo è il testo, composto con nitida e sicura grafia:

    «Ego Laurentius Rocci promitto omnipotenti Deo, coram eius Virgine Matre et tota caelesti curia, et tibi R. P. Ludovico Martin Praeposito Generali Societatis Jesu, locum Dei tenenti et Successoribus Tuis perpetuam Paupertatem, Castitatem et Obedientiam, et secundum eam peculiarem curam circa puerorum eruditionem, juxta modum in Litteris Apostolicis et Constitutionibus dictae Societatis expressum. Tusculi, in Sacello Convictus Tusculani. Die XV Augusti, anno MDCCCXCIX»

    Quarant’anni dopo, nel 1940 Lorenzo Rocci avrà modo di pronunciare una seconda volta gli ultimi voti, un evento non così frequente per i gesuiti, questa volta come professo di 4 voti.

    Vista l’importanza del lavoro di pubblicazione del Dizionario di greco, pubblicato nel 1939 grazie ad una prima idea dell’editore poi maturata nell’immane lavoro di p. Rocci durato poco più di trent’anni, si decise di fargli rifare gli ultimi voti come professo. In questa occasione p. Lorenzo Rocci torna su quanto scritto, tanti anni prima, nel diario e cancella quanto riferito nel 1899; oggi è possibile leggere solo alcuni stralci di frasi. Dalle carte conservate all’ARSI è possibile ricostruire i fatti e le vere cause che determinarono la professione di p. Rocci per il quarto voto. Il tutto si svolse nel febbraio del 1940, nell’arco di sei giorni.

    Da Roma, il 23 febbraio 1940 – dopo pochi mesi dall’edizione del Vocabolario – il Provinciale P. Raffaele Bitetti scrive al P. Generale una significativa lettera:

    «Il plauso generale che ha incontrato presso tutti gli ambienti sia scolastici che laici il Vocabolario Greco del p. Rocci, mi fece sorgere l’idea se non fosse questo il momento di dare al buon Padre da parte della Compagnia un attestato sensibile che fosse un riconoscimento non solo del suo diuturno e paziente lavoro, ma altresì dei suoi insigni meriti nel campo delle lettere greche e latine che con molta competenza e frutto ha anche insegnato per tanti anni; meriti che onorano non solo la Provincia Romana ma altresì tutta la Compagnia. I Consultori ai quali esposi questa mia idea furono tutti del parere che conveniva esporre la cosa a V.P.

    Credo che non sarà difficile trovare quattro persone che giurino sulla sua insigne competenza nelle lettere greche e latine.

    Si obbietterà forse che il Padre è troppo vecchio, ma a me pare che il riconoscimento di un merito non sia legato all’età ed un proverbio italiano dice: Meglio tardi che mai.

    Ho voluto con tutta semplicità esprimerLe questa mia idea; V. P. ne faccia quel conto che crede.

    In unione […]»¹⁹

    A stretto giro risponde il P. Generale, il quale il 26 febbraio scrive al Prep. Prov. P. Bitetti:

    «Rispondo alla Sua del 23 corrente, e debbo dirLe che veramente anch’io già da tempo pensavo la stessa cosa. Né credo che si stenterà a trovare 4 Padri che giurino sulla insigne competenza del P. Rocci nelle lettere latine e greche in ordine alla professione. Temevo soltanto che alla sua età il Padre non gradisse più la cosa.

    In ogni modo VR. parli con lui confidenzialmente e, se vede che la proposta non gli fa dispiacere, la tratti senz’altro in Consulta e si procederà senza nessuna difficoltà. In unione […]».²⁰

    Senza indugio, il P. Provinciale procede alle verifiche indicate e risponde al P. Generale il 27 febbraio:

    «I Consultori di Provincia sono tutti del parere che convenga dare al p. Rocci la Professione, che anzi essi stessi sono disposti a giurare sulla sua insigne competenza nelle Lettere latine e greche. Il buon Padre, da me confidenzialmente interrogato, mi ha fatto notare la difficoltà dell’età, ma insieme mi ha detto che la cosa gli sarebbe molto gradita perché, ha aggiunto, la Professione mi unirebbe più strettamente alla Compagnia che amo molto. In unione […]».²¹

    Il 29 febbraio il P. Generale scrive a P. Bitetti:

    «Ricevo la Sua del 27 corr., dove mi dice che i Consultori stessi sono pronti a giurare sulla insigne competenza del P. Rocci nelle lettere. La prego quindi di mandarmi quanto prima i loro voti giurati. In unione […]».²² L’indicazione formale della professione del quarto voto del p. Rocci, avvenuta il 10 marzo successivo, è riscontrabile nel Necrologio del Padre, conservato nell’ARSI, in cui è espressamente indicato «Attentis eius meritis, ab A.R.P.N. Generali Wlodimito Ledòchowski admissus fuit ad solemnem quattuor Votorum professionem die 10 Martii 1940».²³ Il successivo mese di ottobre p. Rocci celebrò il suo 60° anniversario di vita religiosa; per quell’occasione, da Roma, il P. Generale scrisse al Padre il 16 ottobre, presso lo Scolasticato Romano:

    «Ecco che VR ha dal Signore la grande consolazione di celebrare il suo 60° di vita religiosa. Non può mancare il mio paterno e cordiale augurio, mentre mi rallegro nel Signore con Lei per la fausta ricorrenza. Questo mio augurio e le 60 SS. Messe che intendo applicare secondo le sue intenzioni vogliono essere un attestato della gratitudine della Compagnia per le sue benemerenze molteplici ed insieme impetrarLe dal buon Dio le grazie che Lei desidera e le benedizioni che i suoi confratelli Le augurano.

    Sento dire che la sua salute in questi ultimi tempi è migliore. Ne sono molto contento e mi auguro che rimanga tale ancora molti anni, affinchè VR possa impiegare ancora i suoi talenti per la M.G.D.

    Benedico di cuore e mi raccomando […]».²⁴

    La Famiglia naturale

    È un illustre casato quelli dei Rocci; p. Lorenzo ne sentiva con rispetto e affetto l’appartenenza, più volte raccogliendo notizie, informazioni, testimonianze sui suoi parenti e avi. Molti documenti riferiti ai secoli scorsi e raccolti dal parente Dom Gregorio Palmieri, monaco benedettino del quale si dirà a breve, gli vennero consegnati dall’abate di San Paolo Fuori le Mura alla morte di questi. Costituirono per p. Lorenzo un importante raccolta che, forse per un progetto d’edizione, conservò presso di sé e che oggi, infatti, è custodito nell’archivio della Provincia.²⁵ Il primo di quei faldoni s’apre con un’immagine litografica del Cardinale «Cyriacus Roccius», morto il 25 settembre 1651 a Roma, creato Cardinale in pectore da Urbano VIII il 19 novembre 1629 e pubblicato il 28 novembre del 1633. Fu Arcivescovo di Patrasso. Risulta in quegli anni un altro Cardinale, Bernardino Rocci, che morì cinquantatreenne proprio a Frascati, il 2 novembre del 1680; era stato creato da Clemente X il 27 maggio 1675 e fu Arcivescovo di Damasco.

    Qualche traccia relativa alla famiglia di p. Rocci occorre ora seguire per avere di lui una maggior conoscenza. Vincenzo Rocci è entrato nel noviziato di Roma il 27 ottobre del 1819 e ne dovette uscire per motivi di salute nei primi mesi del 1820. Restano un buon numero di lettere a lui dirette dal P. Vincenzo Pavani (1761-1842 – la prima missiva gli annuncia la propria venuta a Piacenza nel maggio 1820), da P. Ferdinando Minini e da P. Serafino Sardi. Il P. Pavani era stato suo Maestro dei novizi (lo fu dal 1818 al 1822); in seguito fu Provinciale, Vicario Generale, Assistente per tutta l’Italia del P. Filippo Giovanni Roothaan, Padre Generale. Gli scrive con molto affetto, trattandolo come un figlio. Da queste lettere si ricava che Vincenzo Rocci nel 1832 contrasse matrimonio e si ha anche una sua lettera alla moglie. Il Minini non si sa come e quando lo avesse conosciuto; di certo, lo tratta con molta confidenza e grande cordialità. Da tutto l’insieme del carteggio si rileva che egli era ancora in vita nel 1862, ma soprattutto è citato, ancora vivente, nel certificato di Battesimo di Lorenzo (1864): dopo non se ne sa altro. Questo carteggio è stato raccolto dal P. Lorenzo Rocci, che forse pensava di scrivere qualche cosa sulla propria famiglia. P. Lorenzo, appartenente ad una famiglia di origini nobili e di possidenti terrieri, aveva una sorella, della quale non è noto il nome²⁶, ed un fratello più piccolo, Filippo Rocci²⁷, apprezzato fotografo.

    Della famiglia Rocci è possibile sapere che Domenico Rocci, sposato con Paola Maggi, fu padre di Vincenzo (da Piacenza) dal quale nacque Domenico, genitore di p. Lorenzo Rocci. La nonna paterna di p. Lorenzo si chiamava Maria Antonietta e morì a 78 anni a Piacenza il 12 dicembre del 1886: annota nel diario che ella «era amata e venerata da tutta la città»; la nonna di p. Rocci da parte di madre (nel diario non ne riporta il nome) muore il 3 febbraio 1898, quando p. Rocci è ad Angers, e di lei scrive sul diario «Ricordo il gran bene volutomi dalla cara defunta, e quanto n’ho voluto a lei, piissima, fornita di tutte le doti di ottima madre di famiglia», precisando che era di Macerata. Il nonno paterno di Lorenzo ebbe, oltre a Vincenzo, altri sei figli (due maschi e quatto femmine); ²⁸ dalla carte Rocci si possono conoscere i nomi di Luigi della Compagnia di Gesù (nato nel 1805 e morto a Roma l’8 aprile 1829 nel Collegio Romano), Carlo che fu canonico e Giuseppa, sposata con Gherardo Palmieri (fu Vice Commissario, da quanto s’evince dal una lettera dal Canonico Lorenzo Rocci scritta da Piacenza il 12 aprile 1826); nel diario di p. Lorenzo Rocci è annotata in data 1° novembre 1894 la morte a Piacenza del carissimo zio Avv. Giovanni Battista e il 3 maggio 1896 confida che «non stia in purgatorio: ha fatto tanto bene negl’interessi cattolici, ed è stato di condotta irreprensibile. Aveva i principi inculcatigli dal nonno mio, Vincenzo». La morte prematura di Giovanni Battista non gli permise di compiere le progettate memorie scritte intorno ai Rocci ecclesiastici, in particolare la monografia sui due Cardinali di famiglia (così prosegue il ricordo di p. Lorenzo nel diario); uno dei Cardinali ebbe nome Bernardino Rocci e fu vescovo di Orvieto: p. Rocci precisa nel diario il 18 agosto 1913 che il Duomo in quella città fu consacrato ai suoi tempi. Da quest’ultimo matrimonio nacquero Gregorio che fu Benedettino Cassinense e raccolse molte carte relative alla storia della famiglia (Lorenzo Rocci le ricevette in consegna dai monaci della Basilica di San Paolo Fuori le Mura, come egli stesso annota nel diario mercoledì 6 febbraio 1918), Domenico (1829-1909) e Luigi (1836-1864). Su Dom Gregorio Palmieri il p. Rocci precisa che quando egli fu ricevuto in udienza dal Papa Pio X, il Pontefice che era amico di D. Gregorio, gliene parlò «molto dimesticamente e scherzando sul carattere morale». Inoltre, p. Rocci lo incontra il 13 aprile del 1916 a Roma, nel pomeriggio, essendosi egli recato nell’Abazia di San Paolo dopo 14 anni: Dom Gregorio aveva allora 89 anni. La biblioteca della celebre Abazia si ebbe grazie all’abate Sisto Rocci, ai tempi di Benedetto XIV. Tornerà a San Paolo Fuori le Mura il 6 febbraio del 1918: pochi giorni prima, sabato 19 gennaio, era morto Dom. Gregorio all’età di 91 anni.

    Un significativo incontro p. Rocci lo ebbe venerdì 6 aprile 1923: dopo essere stato alle tre fontane, si reca a San Paolo Fuori le Mura, ove è abate Alfredo Ildefonso Schuster, il futuro Cardinale di Milano proclamato Beato nel 1996; è proprio l’abate a consegnare a p. Rocci i tre faldoni conservati e da lui ha qualche altra memoria di Dom Gregorio Palmieri. Si tratta di tre faldoni contenenti numerose lettere di alcuni membri delle famiglie Maggi, Rocci, Palmieri imparentati tra di loro; fanno parte del Fondo della Provincia Romana, vol. 748. 1 – 3. conservati insieme al diario di Lorenzo Rocci.

    P. Lorenzo Rocci dopo 16 anni torna a Piacenza nell’estate del 1891, quand’era insegnante in 5^ ginnasiale a Strada, e vi rimane per 5 giorni: la casa paterna si trovava a via S. Paolo, al n. 10 e lì trova lo zio Giacomo, la zia Annetta (Anna, che morirà a breve, il 9 ottobre seguente), la zia Delfina e vari parenti. Torna a Piacenza nell’agosto del 1909, quando il rettore di Mondragone p. Pasqualini suggerisce il viaggio (passando per Genova) per recuperare soprattutto il sonno «perduto da tanti mesi» e per riprendersi dallo sfinimento di forze; a Genova, il 14 agosto, incontra lo zio Giuseppe «ultimo della generazione di mio padre» e il 18 è a Piacenza «da cui manco dal 91». La casa famigliare in via S. Paolo è affittata, «triste impressione» e molte vie hanno avuto il nome mutato, «brutta cosa il mutare nome alle vie». Gli incontri si moltiplicano nei giorni a venire, spostandosi anche a Centovera col tram per andare a trovare la zia Enrichetta in via S. Lazzaro n. 17, «memorie di mio padre». A Piacenza torna nell’agosto del 1913, in occasione delle cure termali che p. Rocci dovette effettuare a Salsomaggiore: giunge il 16 e visita casa Rocci in via Cavallotti n. 19, ma non la casa in via S. Paolo «perché mi avrebbe fatto dispiacere il rivederla».

    Riguardo a Luigi Rocci, gesuita, dal Catalogus Defunctorum della Provincia Romana,²⁹ nell’anno 1829, al n. 144 (pag. 111) è indicato: «Fr. Aloisius Rocci Placentinus natus 10 Julii 1805. Societatem est 27 8bris 1822. Dum Philosophicis studiis vacaret in Coll.° Romano…consumptus pie in Domino omnibus Sacramentis munitus obiit 8 aprilis 1829. Vixit an. 23. mens 7. Dies 28. In Societate vero an. 6. mens. 5. Dies 11». Il p. Lorenzo Rocci s’interessò molto della vita del proprio prozio, così come è più volte testimoniato nel diario; si pensi, ad esempio, che sin dai primi anni in Compagnia p. Rocci ebbe come riferimento la figura di Luigi: nel 1883 tra i Padri più anziani presenti a Castelgandolfo p. Rocci conosce (lo riferisce egli stesso nel diario) p. Giuseppe Salvioli che entrò nella Compagnia nel 1823 «quando il mio prozio Luigi aveva già compiuto un anno di noviziato a S. Andrea al Quirinale» e p. Filippo Monaci, il quale entrò in Compagnia «quando Luigi faceva il suo anno di rettorica»; entrambi nel 1829 furono presenti alla sua morte nel Collegio Romano. Più volte, riferisce p. Lorenzo, gli parlarono di Luigi: rigoroso ed esemplare nell’osservanza, molto cortese, fervoroso, «un angelo» secondo p. Salvioli; nei sei anni e mezzo di vita in Compagnia «fu una vera copia del B. Giovanni Berchmans». Il p. Vannutelli consegna a p. Rocci la copia dell’elogio scritto nel Liber Defunctorum del Collegio Romano e quest’ultimo s’affrettò a mandala al papà Domenico «che tanto aveva mostrato di desiderarla». In uno dei soggiorni a Salsomaggiore per le cure termali, p. Rocci riferisce di aver conosciuto Don Angelo Zioni, di Piacenza e già vicino dei Rocci nella palazzina di via S. Paolo poiché fu inquilino dello zio Giovanni Battista Rocci; in quell’incontro avvenuto a Salso il 30 giugno 1921, il Rev. Zioni consiglia a p. Lorenzo di raccogliere ulteriori notizie sul prozio Luigi consultando alcune persone che avrebbero potuto riferire su di lui (D. Tanoni, prof. Fermi, D. di Giovanni, il rettore del Seminario D. Tavormi). P. Rocci ha intenzione, infatti, di scrivere la biografia di Luigi: nel luglio successivo, domenica 10 nel pomeriggio giunge a Piacenza e oltre a incontrare le persone indicategli, si reca il giorno successivo nella parrocchia di San Paolo dove il prevosto D. Villa gli fa consultare i libri parrocchiali e annota «Trovo molto da rettificare nella biografia». Poi con grande nostalgia rivede la casa paterna. Il 12 luglio consulta anche l’archivio del conte Francesco Nasalli Rocca e anche lì trova qualcosa sul prozio Luigi; infine, dopo il colloquio con il Canonico Tanoni ha «parecchie delucidazioni per la biografia». Infine, alcuni riscontri relativi a luoghi e a nomi spesso citati da Luigi nelle proprie lettere p. Rocci li ottiene anche durante il viaggio a Centovera e lì, venerdì 15 luglio, a casa del conte Giacometti.

    Dai faldoni lasciati a p. Lorenzo Rocci da Dom Gregorio Palmieri è possibile, fra le numerose carte, leggere diverse, eleganti poesie e panegirici composti dal gesuita Luigi Rocci e dallo stesso Dom Gregorio. Compaiono anche alcuni componimenti poetici; ad esempio, un sonetto dedicato a «Catterina Rocci (…) ritirata nelle Agostiniane di Modena»; il componimento è in endecasillabi e ha rime in schema ABBAA (nelle prime due stanze) e ABAA (nelle ultime due stanze), con l’ultimo verso che ripete il primo. Eccone l’armonico testo:

    Calma deh! Calma i lunghi tuoi desiri,

    E là volgi pur lieta il pié veloce;

    Dove t’invita del tuo Dio la voce;

    E se or ottieni ciò cui tanto aspiri

    Calma deh! Calma i lunghi tuoi desiri.

    Il gaudio sol nè lumi tuoi si miri

    Or che Gesù tu segui e la sua Croce

    E mentre l’indugiar ti strazia e cròce

    Vergine monda al Chiostro ti ritiri

    Il gaudio sol nè lumi tuoi si miri

    I tuò cari Fratei, ma Madre amante

    Tu lasci, è ver, con generoso core;

    Ma con valor ti seguiran costante

    I tuò cari Fratei, ma Madre amante.

    Mirasti un ben di questi assai maggiore;

    Per cui del Sangue hai le cattene infrante

    Ed oh! Con qual della tua stirpe onore

    Mirasti un ben di questi assai maggiore.

    È un efficace sonetto che ben può applicarsi anche alla vita sacerdotale del p. Lorenzo Rocci, discendente della monaca Caterina.

    Una particolare attenzione va rivolta a p. Luigi Rocci; di lui, oltre a numerose lettere indirizzate al fratello Vincenzo e allo zio don Vincenzo Rocci canonico in Piacenza, compaiono il panegirico a san Vincenzo scritto all’età di otto anni, il Panegirico a Santa Caterina in due parti, il Panegirico a S. Luigi composto all’età di anni nove, nel 1815 e il Panegirico a San Camillo, dell’anno successivo. Significativo il contenuto di alcune missive di p. Luigi (come, ad esempio, quelle da Reggio il 13 ottobre 1822, da Modena il 28 settembre 1826 e da Roma il 7 marzo 1829) nella quali traspare un indubbio e forte attaccamento alla Compagnia di Gesù, così come sarà per p. Lorenzo Rocci. Di Dom Palmieri compaiono nella raccolta diversi sonetti da lui recitati a Nazzano (per i pranzi del 13 ottobre 1864 e del 1° ottobre 1865).

    Domenico, il padre di Lorenzo Rocci e al quale egli fu molto affezionato come è possibile constatare dalle pagine del diario dedicate a entrambe i genitori, studiò a Piacenza presso la scuola che attualmente è intitolata a Melchiorre Gioia (1767-1829). Fra quelle pagine, alcune sono particolarmente significative. Si pensi all’incontro fra p. Lorenzo e il papà Domenico registrato nel diario in calce alle pagine che ripercorrono i fatti più significativi del 1884: in primavera, p. Rocci incontra i genitori per la seconda volta dal proprio ingresso in Compagnia; si rivedono presso l’Istituto Massimo e Domenico Rocci conosce p. Massimiliano Massimo, rimanendone entusiasta e ricordando con lui i maestri che ebbe nel Collegio di Piacenza e nel quale studiò anche il p. Steccanella, intimo amico del prozio di Lorenzo Rocci, il canonico don Carlo (si veda il diario, al 13 maggio 1897). Domenico torna a incontrare il figlio p. Lorenzo, studente a Roma al 2° anno di filosofia, nell’autunno del 1886, ad Albano: insieme visiteranno la chiesa di Ariccia e il famoso ponte, «con suo

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