Nippon: Storia del popolo giapponese
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Anteprima del libro
Nippon - Carlo Formichi
Carlo Formichi
Nippom
Storia del popolo giapponese
Nippon
Carlo Formichi
© Idrovolante Edizioni
Tutti i diritti riservati
Direttore editoriale: Roberto Alfatti Appetiti
Responsabile attività editoriali: Daniele Dell’Orco
1
a
edizione – dicembre 2019
www.idrovolanteedizioni.it
idrovolante.edizioni@gmail.com
saggio introduttivo
di Guglielmo Pannullo
Scoprii Carlo Formichi per caso, durante un trasloco. Trovai un libricino dal titolo England to Italy, datato 1938, al cui interno vi erano una foto del Duce datata 1937 e la copia stampata di una lettera scritta a mano indirizzata a Mussolini, nella quale Formichi teneva a informarlo e ad aggiornarlo riguardo un letterato inglese che vedeva di buon occhio il fascismo:
Roma, 1 luglio 1938. XVI
Duce, un nobile e illustre poeta inglese vivente, Alfred Noyes, pieno di amore per l’Italia e di ammirazione per Voi che la riconducete alla gloriosa grandezza Romana, ha scritto i versi che seguono e non morranno. DegnateVi, Duce, ricevere in omaggio autografo e effigie del vate britannico: Ve li offre il traduttore che non conosce limite nell’esserVi devoto.
Carlo Formichi
Nelle pagine successive, le copie degli scritti del vate britannico
in lingua originale e le traduzioni, in italiano prima e in francese poi. Vi era la foto di un uomo in uniforme: un’uniforme che non avevo mai visto, per la verità.
Un traduttore in uniforme, strano, pensai. Chiesi subito a mia madre chi fosse, e mi rispose che era un nostro lontano parente, un accademico: Uno zio di tua nonna, mi pare…
. Di più non seppi, né da lei né da altri.
Va da sé che la ricerca non si poteva – e non si doveva – interrompere con quello scambio di battute avvenuto fra uno scatolone da riempire e librerie da svuotare: la curiosità era troppa, e l’intuito da laureando in Scienze storiche mi disse di continuare le ricerche.
Venne presto alla luce una figura che per decenni era rimasta nascosta, fino a quasi farsi dimenticare. Così scoprii che la bellissima divisa indossata nella foto era quella indossata dai vice presidenti della Reale Accademia d’Italia: costituita con la legge n. 496 del 25 marzo 1926, venne inaugurata il 28 ottobre 1929 nella Sala degli Orazi e Curiazi in Campidoglio con iscopo di promuovere e coordinare il movimento intellettuale italiano nel campo delle scienze, delle lettere e delle arti, di conservarne puro il carattere nazionale, secondo il genio e le tradizioni della stirpe e di favorirne l’espansione e l’influsso oltre i confini dello Stato
.
Formichi fu fra i primi accademici nominati e voluti dal Duce; il suo curriculum era unico, così come le sue conoscenze e la sua visione dei rapporti da avere con i popoli d’Oriente era pura avanguardia. A 22 anni, nel 1893, aveva già conseguito due lauree, una in Giurisprudenza e una in Lettere.
Sempre nel 1893 prese parte al IX Congresso Internazionale degli Orientalisti, che si tenne a Londra. Pochi anni dopo iniziò ad insegnare Filologia sanscrita a Bologna, Pisa (qui insegnerà pure inglese) e infine Roma, dove rimarrà fino a fine carriera.
I riconoscimenti, ufficiali e professionali, ottenuti dal Formichi sono moltissimi: dal premio Reale dell’Accademia dei Lincei per la filologia nel 1922, all’assegnazione di cattedre in varie nazioni, in un periodo in cui girare il mondo non era scontato ed essere realmente cosmopoliti non era una moda: insegnò infatti il sanscrito, antica lingua indoeuropea attestata in India e risalente almeno al X sec. a.e.v., nell’università internazionale di Viśbahāratī (India) fondata dal primo premio Nobel per la Letteratura a non essere occidentale, Rabindranath Tagore, nel 1901 (vi andò insieme a Giuseppe Tucci, in qualità di portavoce del Duce e rappresentanti culturali del fascismo), e cultura italiana a Berkeley negli Usa, in California.
Tagore, fra l’altro, nel 1926 grazie a Formichi venne invitato in Italia in quanto massimo esponente del rinascimento bengalese, oltre che per rafforzare il legame italo-indiano in funzione anti britannica. Le sue conoscenze e le sue pubblicazioni spaziano dal religioso al filosofico, dalla politica alla storia, carpendone le essenze e cogliendo i noccioli delle questioni affrontate, facendo collegamenti fra oriente e occidente non scontati per i primi anni del ‘900, quando l’Europa attraversava in pieno il periodo noto ai più come imperialismo, e non scontati nemmeno oggi, a dir la verità.
La caratura di Formichi è possibile rintracciarla all’interno dell’Inventario dell’Archivio della Reale Accademia d’Italia¹: nel 1934, in occasione dell’inaugurazione del nuovo Anno Accademico, affermò che il compito più arduo per l’accademia era quello di favorire l’espansione e l’influsso all’estero della cultura italiana nel campo delle scienze, delle lettere e delle arti e che il valore riconosciuto all’Italia da parte di Paesi esteri era convalida del successo di questo sforzo, e sul versante interno nel corso degli anni incoraggiò una uniformità linguistica e di pronuncia della lingua italiana: non un caso dunque se, sempre nel 1934, con Presidente dell’Accademia Guglielmo Marconi, Formichi, vicepresidente della classe di Lettere, ebbe come Segretario Filippo Tommaso Marinetti.
Proiettò la visione dell’uomo orientale nel futuro, stigmatizzandone i luoghi comuni spesso creati dal mondo imperialista anglosassone e frutto delle narrazioni di viaggi semi-fantastici che esso partoriva, riportò al centro delle discussioni lo studio, possibilmente sul campo, di popolazioni che a noi erano molto più vicine di quanto ci si immaginasse e che non erano assolutamente composte dagli esotici selvaggi di cui si scriveva nei rotocalchi o di cui si narrava nei romanzi d’avventura. A questo proposito, andrebbe reso di nuovo celebre il concetto che Formichi espresse, nel 1935, in occasione del XIX Congresso internazionale degli Orientalisti, da lui organizzato per volontà del Duce e sotto l’alto patronato del Re. Nel suo discorso inaugurale infatti disse:
La frase del poeta che ha avuto tanta fortuna: «East is East and West is West, never the twain shall meet» (R. Kipling, La ballata dell’Est e dell’Ovest, trad.: L’Est è Est, e l’Ovest è Ovest, e mai i due si incontreranno
, ndr), ergente una barriera fra Oriente e Occidente, sconfortante, desolata, equivale alla scoperta d’un gas asfissiante. A che pro le conquiste scientifiche ci avranno permesso di raggiungere l’India, la Cina, il Giappone in uno spazio di tempo miracolosamente breve, se poi la distanza risorgerà, e nella sua forma peggiore, la spirituale, tra noi e gli abitanti di quelle remote contrade? Finché crederemo diverso da noi l’Orientale perché invece che il cappello duro o a cencio porta il turbante o il fez, e invece della bouillabaisse mangia il curry, allora sì, East is East and West is West nella consumazione dei secoli. Ma se avvicinando l’Oriente scopriremo che onora il padre e la madre, ha orrore del furto, non insidia la donna d’altri, aborrisce la menzogna, serve con fedeltà il suo capo, è pronto a far getto della vita per la salvezza della sua patria e adora con abbandono sincero il suo Dio, allora cadranno come per incanto le barriere fra Oriente ed Occidente e, magari, ci sentiremo più fratelli di molti Orientali remotissimi da noi che non di molti Occidentali vicinissimi a noi. A che serve indagare le differenze formali quando le qualità fondamentali umane risultano le medesime? E più si studia l’Oriente e più si scoprono queste qualità fondamentali umane. Bisogna continuare a studiare, studiare l’Oriente.
Risulta così lampante la comprensione di una radice comune, quella indoeuropea, caratterizzante i popoli dell’area euroasiatica.
I suoi scritti originali e le innumerevoli pubblicazioni restano a oggi poco conosciuti, ma sono giunti a noi per via indiretta attraverso gli studi del più noto Giuseppe Tucci, uno dei più grandi studiosi del Tibet e dell’oriente mai esistiti, conosciuto anche come l’esploratore del Duce, che fu suo allievo e che grazie a lui venne nominato Accademico d’Italia nel 1929, che a sua volta formò il professor Pio Filippani Ronconi, i cui studi di entrambi sono oggi facilmente reperibili. Anche Julius Evola fa implicitamente capire di essere a conoscenza degli studi di Formichi, citandolo in Oriente e Occidente
a proposito della missione dell’illustre sanscritista Carlo Formichi, vice-presidente della Reale Accademia d’Italia, in Giappone, dove questi, nell’estate del 1939, nella veste di inviato di un popolo amico, venne calorosamente ricevuto dal Tennō
: ed è qui che si inserisce la ripubblicazione di Nippon.
Risale 1942 la prima edizione del libro che oggi viene fortunatamente ripubblicato, che ritengo sia stato redatto a seguito di una vera e propria indagine sul campo avvenuta nel viaggio del ’39, oltre che dai suoi numerosi studi in materia. Anche in questo caso Formichi dimostra di avere una grande dote intellettuale tipicamente accademica, a cui si fa molta attenzione nelle università umanistiche contemporanee, chiamata multidisciplinarietà; in Nippon troviamo un quadro completo del Giappone, allora nazione a noi alleata. Partendo dalla geografia del Paese, Formichi giunge fino all’inizio degli anni ’40, passando per le leggende, la storia, la politica, la religione, l’antropologia, la cultura e la società, analizzandone i differenti aspetti nei vari contesti e nel corso delle epoche, con uno stile chiaro, semplice e lineare, a volte quasi telegrafico, senza elementi superflui o retorici: un’opera di divulgazione completa e facilmente comprensibile, coerente quindi con la sua visione di studio come scoperta continua