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L'intransigenza della Curia: Il cardinale Francesco Luigi Fontana (1750-1822)
L'intransigenza della Curia: Il cardinale Francesco Luigi Fontana (1750-1822)
L'intransigenza della Curia: Il cardinale Francesco Luigi Fontana (1750-1822)
E-book614 pagine8 ore

L'intransigenza della Curia: Il cardinale Francesco Luigi Fontana (1750-1822)

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La Curia romana dell’epoca napoleonica e della Restaurazione fu sottoposta ad una continua pressione causata dall’incalzare degli eventi di quella fase turbolenta della storia. La politica, la cultura religiosa diffusa e le diverse correnti d’idee entrarono in crisi: dall’ancien régime si passò all’ordine napoleonico, fino a trovare un nuovo equilibrio con la Restaurazione. La Chiesa visse lo stesso complesso assestamento con un papa, Pio VI, morto prigioniero in esilio, e il suo successore, Pio VII, deportato per non pochi anni. In quei tempi di cambiamento la Curia romana dovette aiutare il papa a posizionarsi di fronte alle novità sociopolitiche e la vita di Francesco Luigi Fontana può essere considerata come un caso esemplare di questa opera di ricollocamento. Religioso barnabita, qualificato consultore della Santa Sede e solo infine cardinale, Fontana fece coincidere le proprie sorti con quelle del Papato, divenendone in qualche modo un simbolo (nei travagli, nelle difficoltà e nelle tensioni cui andarono incontro i collaboratori di Pio VII). Portatore dell’ormai superata erudizione settecentesca, riuscì ad aprirsi alla nuova cultura postnapoleonica, divenendone un esponente nella Roma papale sotto una particolare declinazione: l’intransigenza. È proprio quest’ultima categoria interpretativa a permettere di indagare le posizioni intellettuali, teologico-politiche ed ecclesiologiche di buona parte degli uomini della Curia romana del tempo. Fontana, infatti, può essere annoverato tra i primi curiali ad incarnare la sensibilità intransigente che nel corso dell’Ottocento si diffonderà ampiamente, fino a diventare uno degli elementi caratterizzanti la storia del Cattolicesimo contemporaneo.
LinguaItaliano
Data di uscita26 lug 2019
ISBN9788838248535
L'intransigenza della Curia: Il cardinale Francesco Luigi Fontana (1750-1822)

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    L'intransigenza della Curia - Marco Ranica

    Marco Ranica

    L'intrasigenza nella Curia

    Il cardinale Francesco Luigi Fontana (1750-1822)

    COORDINATORE DELLA SEZIONE PONTIFICIA

    Roberto Regoli (Pontificia Università Gregoriana)

    COMITATO SCIENTIFICO DELLA SEZIONE PONTIFICIA

    Benedetta Albani (Max-Planck-Institut für europäische Rechtsgeschichte, Frankfurt am Main) – Francesco Castelli (Facoltà Teologica Pugliese) – Luca Codignola-Bo (Cushwa Center, University of Notre Dame) – Irene Fosi (Università degli Studi G. d’Annunzio Chieti) – Andreas Gottsmann (Österreichisches Historisches Institut, Roma) – Maria Lupi (Università degli Studi Roma Tre) – Laura Pettinaroli (Institut catholique de Paris) – Rita Tolomeo (Sapienza Università di Roma) – Paolo Valvo (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano).

    Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura ed Universale sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.

    Copyright © 2019 by Edizioni Studium - Roma

    ISSN della collana Cultura 2612-2774

    ISBN 9788838248535

    www.edizionistudium.it

    ISBN: 9788838248535

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

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    Indice dei contenuti

    Introduzione
    I. «Suffulsit Domum, corroboravit Templum». Le biografie di Francesco Luigi Fontana

    Per cominciare

    Le biografie ottocentesche. Ricerca erudita, encomi e propaganda

    II. «Una scintilla di fuoco». Il laicato per la riconquista cattolica della società

    La direzione spirituale di Carolina Trotti Durini

    Il salesianesimo per vivere cristianamente in un secolo «poco versato nella scienza dei santi»

    L’apostolato laicale contro la rigenerazione napoleonica

    III. «Tu es Petrus». Fontana tra gallicanesimo, competentismo statale e disciplina ecclesiastica

    Napoleone e Pio VII: l’inizio dialogante e il breve Tam multa

    La reazione di Alexandre de Lauzières de Thémines e la risposta di Fontana: Consensus e Receptio

    La Congregazione sulle facoltà dei vescovi: il controllo del papato sulla gerarchia diocesana

    IV. «Vuolsi togliere alla Chiesa la Potestà dell’Insegnamento». Il Catechismo Imperiale

    Gli antecedenti nella Penisola italiana del XVIII secolo

    La valutazione curiale del Catechismo napoleonico

    V. «Veder distrutto il mostro Babylon». Le radici della propaganda intransigente

    La deportazione in Francia e l’affaire D’Astros

    Il rientro in Italia: rimettersi al servizio di Pio VII

    La porpora cardinalizia (8 marzo 1816)

    La morte di Fontana e gli elogi postumi

    Conclusione
    Fonti archivistiche
    Fonti a stampa
    Bibliografia
    Indice dei nomi

    CULTURA

    Studium

    172.

    Pontificia

    PRESENTAZIONE DELLA SEZIONE PONTIFICIA

    La storia del Papato ha trovato in questi anni sempre più ampi spazi all’interno della storiografia italiana e internazionale, per ragioni legate sia al contesto culturale generale – dove si registra uno spiccato interesse per il tema – sia per la permeabilità di questo oggetto di ricerca ai nuovi approcci metodologici (dalla world history alla global history, alla storia transnazionale), così come a quelli più classici e consolidati. Un ruolo non secondario gioca in questo ambito anche la rilevanza dello studio delle relazioni internazionali, sempre più attento alla geopolitica delle religioni. L’innegabile fermento storiografico appare tuttavia disperso in molti rivoli editoriali, con il rischio di una eccessiva parcellizzazione delle proposte e dei contributi e di una conseguente irrilevanza della divulgazione e dell’incisività dei risultati delle singole ricerche.

    All’interno della collana Cultura Studium la nuova sezione Pontificia vuole essere un attore di questa più ampia partita culturale, con l’ambizione di divenire un punto di riferimento qualificato per le ricerche del settore. Nell’attuale panorama delle proposte editoriali, Pontificia si propone quale spazio di incontro e discussione di studiosi e di idee, aperto al futuro, capace di dialogare con un ampio pubblico di lettori, inclusivo delle diverse sensibilità della cultura contemporanea, che non sempre trovano un’adeguata rappresentatività sul piano della diffusione.

    La sezione è dedicata allo studio del Papato nelle sue molteplici dimensioni – da quella religioso-culturale a quella politico-istituzionale – in una prospettiva prettamente storica, ma aperta al dialogo con le altre discipline. L’orizzonte tematico include la storia dei pontefici, della Curia romana, della diplomazia pontificia, dello Stato Pontificio, dei cardinali e del Sacro Collegio, delle relazioni tra la Santa Sede e le altre confessioni religiose (cristiane e non), dei rapporti tra il Papato e le chiese locali, gli ordini religiosi, le associazioni e i movimenti cattolici. L’orizzonte dei volumi della sezione sarà internazionale a livello sia di tematiche sia di approcci metodologici, includendo la possibilità di pubblicare in lingue diverse.

    MARCO RANICA

    L’INTRANSIGENZA NELLA CURIA

    Il cardinale Francesco Luigi Fontana

    (1750-1822)

    Alla mia grande famiglia

    Creonte ( Ad Antigone): Quanto a te, dimmi semplicemente, e senza giri di frase: conoscevi l’editto, che vieta proprio ciò che hai fatto?

    Antigone: Sì lo conoscevo. E come potevo ignorarlo? Era pubblico.

    Creonte: Eppure hai osato trasgredire questa norma?

    Antigone: Sì perché questo editto non Zeus proclamò per me, né Dike, che abita con gli dei sotterranei. No, essi non hanno sancito per gli uomini queste leggi; né avrei attribuito ai tuoi proclami tanta forza che un mortale potesse violare le leggi non scritte, incrollabili degli dei, che non da oggi né da ieri, ma da sempre sono in vita, né alcuno sa quando vennero alla luce. Io non potevo per paura di un uomo arrogante attirarmi il castigo degli dei.

    Sofocle, Antigone

    Introduzione

    Il dialogo tra Antigone – una delle figlie d’Edipo – e Creonte – il nuovo re di Tebe – rappresenta efficacemente i dilemmi drammatici che attanagliarono la Curia romana immersa in quella congerie di eventi – a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo – che la storiografia ha per convenzione designato come il passaggio travagliato dall’epoca moderna alla contemporaneità. Come lo spettatore assiste rapito al confronto tra la tracotanza della volontà umana e la giustizia della legge divina, così lo storico è portato con altrettanto interesse a domandarsi come si ponga la Chiesa romana nei confronti della modernità [1] , in che modo affronti le novità che le si presentano innanzi. La Chiesa accetterà un compromesso, transigendo con la modernità o si contrapporrà al sistema politico, giuridico e filosofico che progressivamente si va costituendo, per riaffermare la propria assoluta fedeltà alla disciplina tradizionale?

    Naturalmente si conosce la conclusione sia delle vicissitudini di Antigone sia di quelle della Chiesa. Sebbene le fascinazioni sollecitate dall’ intransigenza antigonea siano estremamente stimolanti, qui ci si concentra sulla storia della Chiesa tra la fine del XVIII secolo e i primi decenni dell’Ottocento. Attraverso la vicenda del barnabita Francesco Luigi Fontana – da utilizzarsi come un prisma per «filtrare altra e più chiara luce» [2] sul centro della Chiesa Romana –, si focalizzerà l’attenzione sulle dinamiche relazionali intracuriali e sulle sensibilità degli uomini che con lui cooperavano per trovare una soluzione alle numerose problematiche intraecclesiali ed extraecclesiali che si presentavano al pontefice. Si vuole dunque mostrare la dinamicità del processo decisionale e raffigurare una Curia non monolitica, nella quale più soluzioni erano considerate e discusse prima di giungere alla soluzione da adottare.

    Corrispondentemente alla prospettiva scelta, sorgono una serie di problematiche relative al paradigma da utilizzare in quest’analisi e alle categorie che possono essere adoperate per interpretare le posizioni intellettuali, politiche ed ecclesiologiche dei membri della Curia. Inoltre ci si può domandare se una singola vicenda umana – seppur inserita in un rapporto dinamico con il contesto – possa aiutare a individuare alcuni nodi problematici fondamentali del periodo considerato, facilitando il riconoscimento di alcuni elementi di continuità della storia ecclesiastica passata. Infine non ci si può non interrogare sulle fonti da utilizzare.

    Per quanto riguarda la questione paradigmatica, la ricognizione bibliografica ha mostrato un’evoluzione degli studi sulla Curia romana. Nella prima metà del XX secolo prevalse l’impostazione positivista, attenta soprattutto a descrivere gli aspetti politico-diplomatici. Ad esempio, se si prendono in considerazione i lavori d’inizio Novecento di Ilario Rinieri [3] , si può osservare come egli spiegasse l’intera attività curiale attraverso una solida impalcatura storico-politica che sosteneva una riproduzione pedissequa dei documenti dei dicasteri curiali, facendo dello scritto una sorta di sunto archivistico, senza ulteriori approfondimenti [4] . Ancora nel 1941, Niccolò Del Re, autore di una delle prime e più importanti sintesi sul sistema curiale, si lamentava della scarsità di studi sulla Curia e sul personale curiale, proclamando in maniera ironica e allo stesso tempo preoccupata: ne ignorata damnentur [5] .

    Un momento di svolta in questo ambito di studi si ebbe nel 1969, quando Lajos Pásztor presentava nella Revue d’Histoire Ecclésiastique un saggio intitolato L’Histoire de la curie romaine, problème d’histoire de l’Église. Dopo aver delineato la lenta evoluzione della Curia [6] , l’autore sottolineava come non fosse stato percepito negli studi istituzionali curiali la dimensione vivente degli organi di governo papali. Fin dalla fine degli anni ‘60 del ‘900 era dunque chiara la necessità di sviluppare una più stretta correlazione tra due domini «interdépendants, complémentaires», cioè la storia della Curia e la storia della Chiesa, ben sapendo che

    il y a, sans doute, diverses études sur la vie et les œuvres des représentants les plus illustres de la Curie, ainsi que sur quelques-uns de ses dicastères. Mais les tentatives d’en reconstruire l’histoire interne font défaut, bien que ce soient des problèmes historiques importants que de préciser les cadres administratives du gouvernement pontifical et de faire revivre ce monde particulier d’hommes de loi, de diplomates, de théologiens, de cardinaux et de clercs qui s’est formé autour des dicastères [7] .

    Dunque la storia vitale dell’istituzione, diventava la storia degli uomini operanti in una specifica struttura. Questo implicava in primo luogo la conoscenza della provenienza sociale, culturale e religiosa dei membri della Curia (metodo prosopografico) e, in secondo luogo, la riscoperta della preponderanza di alcune famiglie patrizie o di alcune congregazioni religiose nel governo della Chiesa, senza dimenticare la rilevanza dei problemi sottoposti alla Curia stessa dalla periferia e l’effettiva influenza della medesima nella risoluzione dei problemi.

    Inoltre Lajos Pásztor lamentava la mancanza di un’analisi delle carte che percepisse la dinamica del processo decisionale, ossia i tentativi di sintesi fatti dai suoi membri, le continuità e le discontinuità delle differenti posizioni, le convergenze e le divergenze [8] .

    Questi rilievi furono ripresi in un volume del 1998 dei Mélanges de l’École française de Rome, nel quale si proponevano le prime acquisizioni di un itinerario di ricerca sulla Segreteria di Stato nella contemporaneità. Sia nell’ Introduzione, scritta da Andrea Riccardi, sia nelle Conclusions di Jean-Dominique Durand si lamentava la persistenza di un «cono d’ombra» nelle indagini «sul rapporto tra il Papa e la Curia e tra la Curia e la Chiesa nel suo complesso» [9] , di una debolezza «de l’historiographie sur l’institution comme sur les hommes» [10] .

    Nel medesimo numero dei Mélanges de l’École française de Rome era però fornito un esempio concreto di come potesse essere condotta una ricerca per colmare queste mancanze. Claude Prudhomme proponeva infatti di indagare la dimensione umana per mezzo della prosopografia, evitando «des circonstances, la spiritualité propre à la vocation sacerdotale, la conviction d’obéir à un appel» [11] per osservare lo sviluppo delle differenti carriere e la promozione delle élite nel seno della Chiesa. La prospettiva adottata tentava così di scomporre la struttura monolitica della Curia in differenti livelli (fino al papa stesso), e cercava di superare certe ricostruzioni tendenti a demonizzare la Curia rispetto alla figura del papa.

    Nel 2002, successivamente al grande convegno del 1997 sui Segretari e sulla Segreteria di Stato, l’École française de Rome dava alle stampe il volume di Philippe Boutry Souverain et Pontife. Recherches prosopographiques sur la Curie romaine à l’ â ge de la Restauration (1814-1846) [12] . L’autore presentava la seconda parte della sua tesi dottorale sostenuta nel 1994, dal titolo La Restauration de Rome. Sacralité de la ville, traditions, croyances et recomposition de la Curie à l’Âge de Leon XII et de Grégoire XVI (1814-1846), un’immensa opera prosopografica imprescindibile per chi volesse approfondire lo studio della componente umana della Curia del tempo [13] .

    Due anni più tardi veniva pubblicata la tesi dottorale di Gérard Pelletier, Rome et la Révolution française. Théologie et politique du Saint-Siège devant la Révolution française. Rispetto a Philippe Boutry, Gérard Pelletier intrecciava storia politica e storia religiosa, per spiegare come avesse agito la Curia romana sollecitata dall’attività legislativa francese e dalla generale situazione politica. La storia evenemenziale forniva l’occasione per un’approfondita analisi dell’attività curiale e delle concezioni ecclesiologiche, sfatando il mito della Curia-sistema burocratico monolitico, in favore di una sua rappresentazione più dinamica e più variegata.

    Il medesimo approccio era seguito da François Jankowiak, per i pontificati di Pio IX e Pio X. L’autore riconosceva l’affermarsi di una nuova tendenza storiografica che analizzava gli «itinéraires des principales figures de la Curie à travers une enquête prosopographique sur les formations, les itinéraires et l’exercice des charges de gouvernement» [14] . Inoltre evidenziava l’importanza della biografia, sposando la linea di Christoph Weber, per il quale uno studio sulla Curia non poteva prescindere da una familiarità con il personale di questa organizzazione burocratica [15] , secondo quello specifico approccio che sa legare «l’anatomie à la physiologie» [16] . Accanto infatti ai motivi personali (come la volontà di fare carriera) e delle particolari simpatie e antipatie, ogni uomo nella Curia aderisce ad una visione specifica di Chiesa, che condiziona l’agire del singolo all’interno del dicastero e, di conseguenza, quello di una porzione di Chiesa al di fuori della Curia. Simile era l’impostazione adottata da Roberto Regoli nel suo volume Ercole Consalvi. Le scelte per la Chiesa [17] , nel quale si mostrava in maniera plastica la tensione tra elemento umano e dimensione istituzionale, tra realtà politica e dibattito teologico-ecclesiologico [18] . Riferendosi alla possibilità d’indagare i meccanismi di un’istituzione attraverso la componente umana, lo storico ribadiva che «senza considerare gli uomini non si capiscono le istituzioni. Solo attraverso gli uomini si può arrivare ad una storia generale della Chiesa significativa ed esatta» [19] .

    Faceva così propria la posizione epistemologica di Maria Luisa Trebiliani, la quale suggeriva di completare gli studi sui singoli dicasteri curiali con quelli biografici, per una chiarificazione di tutte le dinamiche interne alla Curia, sia dal punto di vista ecclesiastico-ecclesiologico, sia da quello più prettamente politico [20] .

    Infine, nel 2012, a seguito di questa ricca stagione di studi, François Jankowiak e Laura Pettinaroli, lanciarono un appello di ricerca dal titolo Cardinaux et cardinalat, une élite à l’épreuve de la modernité (1775-1978) [21] . Riconoscendo come il modello storiografico degli studi sulla Curia romana si fosse oramai posizionato sul binomio istituzioni-uomini, i due storici espressero la volontà «d’écrire une histoire incarnée du gouvernement central de l’Église catholique, mettant en lumière tant les institutions (congrégations, offices et tribunaux) que les hommes qui les peuplent et les animent» [22] .

    Riaffermavano quindi la validità dell’approccio del 1998 e, nel contempo, sfruttando il nuovo materiale messo a disposizione dalle più recenti ricerche prosopografiche, proponevano di porre l’attenzione al cardinalato, che «comme corps (le sacré collège) et comme groupe social d’élite [...] reste encore lacunaire pour la période des XIX e et XX e siècles» [23] , sebbene i porporati avessero avuto (e hanno tuttora) un ruolo di primo piano nel governo della Chiesa, essendo a capo dei diversi dicasteri della Curia e consigliando il pontefice.

    I due storici promuovevano, dunque, una compenetrazione delle storiografie che tenesse conto delle analisi di lungo periodo, sia degli studi sulla costruzione della statualità pontificia [24] , sia del tema del personale curiale [25] . In secondo luogo richiamavano – attraverso l’esempio del Senatus Divinus [26] –, la necessità di indagini trasversali a più ambiti, per presentare la Curia nel suo insieme. Il cardinalato, per usare una formula degli stessi storici, era così «une clé d’entrée dans l’histoire de la Curie et de l’Église» [27] , perché come aveva affermato in precedenza Alberto Vecchi nel volume Correnti religiose nel Sei-Settecento veneto, «è palese che in campo ecclesiastico [...] gli uomini debbono tramutarsi in istrumenti delle idee, delle scuole, degli istituti, delle regole, della tradizione» [28] .

    Così, nell’ambito degli studi sulla Curia romana, emerge il paradigma Curia-uomo-ecclesiologia. Questo trinomio propone un’analisi approfondita che tenga conto non soltanto degli aspetti giuridico-istituzionali, ma anche di quelli legati alle biografie dei singoli individui, aprendosi inoltre alla dimensione teologico-ecclesiologica, da intendersi come la percezione del proprio agire nella Curia (che determina anche l’applicazione di alcune dottrine, le quali inevitabilmente influenzano l’intero sistema decisionale), e di una più generale percezione della Chiesa nel mondo (cioè delle relazioni tra Stato e Chiesa e dei rapporti tra Papato ed Episcopati).

    L’individuazione di tale prospettiva di ricerca lascia insoluta, però, la questione delle categorie. Il trinomio precedentemente presentato propone in maniera quasi immediata una specifica metodologia d’indagine del rapporto Curia-uomo, in cui le diverse storiografie (storia istituzionale, storia politico-diplomatica, storia culturale, prosopografia e biografia) si fecondano vicendevolmente. Al contempo, però, non individua i concetti attraverso i quali possa essere analizzato l’operato degli uomini di Curia, la loro visione ecclesiologica e il loro rapporto con la contemporaneità.

    Per quanto riguarda tale problematica, la bibliografia dimostra come non vi sia stata, nel passato, una convergenza tra gli storici. È prevalso, al contrario, un certo grado di sperimentazione terminologica.

    Se si considerano innanzitutto gli scritti di Raffaele Colapietra [29] , si evince facilmente come la storiografia intorno agli anni ‘60 del ‘900 desse per assodato l’utilizzo del concetto di ultramontanismo per indicare genericamente le posizioni filoromane e filopapali, distinguendo in un secondo tempo, nella realtà curiale, due gruppi ( zelanti e politicanti – detti anche «opportunisti» –) [30] , divisi da una diversa sensibilità nell’approcciare la modernità (dal punto di vista culturale e sociale) e dal differente modo d’intendere le relazioni Stato-Chiesa [31] .

    Tale impostazione fu criticata tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, come dimostrano i volumi di Anton Van de Sande, La Curie romaine au début de la Restauration (del 1979) e di Marcel Chappin, Pie VII et les Pays-Bas. Tensions religieuses et tolérance civile (1814-1817) [32] .

    Questi due tomi possono essere considerati come speculari, perché entrambi gli autori si occupavano del medesimo periodo storico e dell’attività politica svolta dalla Curia romana. Al di là delle specifiche tematiche, gli storici analizzavano il fondamento ideologico e dottrinale delle decisioni prese dai dicasteri curiali, sollecitati dalla politica degli Stati . Van de Sande, ad esempio, riflettendo sul concetto di zelantismo, ne evidenziava le diverse sfaccettature, sottolineando come l’individualità, il sentire particolare di ogni persona operante in Curia e le fluttuazioni di amicizie e relazioni rendessero difficile una classificazione univoca [33] . Egli allora proponeva di introdurre nuovi elementi interpretativi accanto al binomio zelante- politicante e, in particolare, presentava un nuovo concetto, quello di martyrs, che individuava un gruppo ristretto di cardinali «qui voulaient rendre à l’Église son ancienne influence et qui [...] n’hésitaient pas reprendre des idées vieilles de deux siècles» [34] . La stessa sperimentazione concettuale contro l’antica gabbia zelanti- politicanti, veniva intrapresa da Chappin, il quale proponeva il binomio realisti- ideologi, cercando di arricchire la riflessione sistematica di lungo periodo [35] , iniziata da Colapietra e Van de Sande, con gli studi sulla propaganda cattolica e sull’ecclesiologia dell’età rivoluzionaria e napoleonica. I realisti erano dunque coloro che riaffermavano il ruolo del papato nella società attraverso le relazioni con l’autorità politica, sempre nei limiti della morale e del dogma cattolico, mentre i secondi, definibili anche providentialistes, avevano l’obiettivo di ristabilire la «société théocratique» [36] .

    Un nuovo focus terminologico fu proposto da Roberto Regoli nel suo volume Ercole Consalvi. Le scelte per la Chiesa. Riconoscendo che alla prova delle singole figure i concetti zelante e politicante (che continuano ad essere ampiamente utilizzati) erano difficilmente applicabili – data la fluttuazione relazionale e politica di cui si scriveva in precedenza –, egli proponeva di ritornare all’origine «parlando dei singoli uomini, delle loro decisioni, della loro personale teologia e politica» per avere «un’idea più adeguata alla realtà» [37] . Dunque si spostava l’accento dalla questione terminologica all’elemento umano, prediligendo la ricezione e la contestualizzazione della singola decisione, piuttosto che la sussunzione di una posizione in un gruppo o in una corrente di pensiero.

    La soluzione adottata da Roberto Regoli e, più in generale, la sperimentazione terminologica, oltre a dimostrare la crescita dell’interesse per la componente umana che agisce nell’istituzione, esprime una difficoltà nell’utilizzo di una categoria di sintesi, che invece era molto utilizzata da Colapietra, l’ ultramontanismo. Tale difficoltà è spiegata nel lemma ultramontanisme, presente nel Dictionnaire Historique de la Papauté [38] . Ripercorrendo la storia dell’applicazione di questo termine, l’autore francese evidenziava una triplice debolezza. Innanzitutto vi è una debolezza geografica: etimologicamente «ultramontano», significa «ciò che sta dall’altra parte dei monti», ma come ricorda «on l’est toujours, de part et d’autre des Alpes, l’ultramontan de son voisin» [39] . In secondo luogo Boutry denunciava la natura composita del termine, un agglomerato di sfaccettature comprendente tutto ciò che può essere caratterizzato come filopapale e filocuriale. Tale varietà corrispondeva all’«inconsistance de ces définitions, déterminées par des conjonctures historiques variées et des logiques intellectuelles fluctuantes» [40] , riflessione che porta inevitabilmente a sottolineare la «leur imprécision de contenu, [...] leur caractère intrinsèquement polémique» [41] . Da tale constatazione derivava la terza debolezza: la possibilità di utilizzare una terminologia più specifica per indicare le posizioni intellettuali, politiche (e ecclesiologiche?) della macchina curiale, cui segue il giudizio conclusivo: « ultramontanisme concept fallacieux, à ranger selon le cas dans un magasin des accessoires de polémique historique ou dans un dictionnaire des idées reçues» [42] .

    Boutry proponeva, ritornando su questo tema nel 2004 [43] , di sostituire il concetto di ultramontanismo con un’altra categoria – quella di intransigenza [44] – la quale permette l’identificazione delle grandi linee politico-diplomatiche ed ecclesiologiche del filocurialismo e del filoromanesimo. Ricollegandosi alla proposta interpretativa di altri storici [45] , egli definiva come intransigente, quella disposizione intellettuale e affettiva, che rifiutava tutti quei compromessi che avrebbero potuto mettere in pericolo «la tradition (au sens dynamique de transmission intégrale, [...]) de la foi, des dogmes et de la discipline catholiques; elle est ainsi, à la fois et inséparablement, défensive et offensive, affirmation et condamnation, et parfois même, d’un seul mouvement, provocation» [46] .

    Dunque l’ intransigenza non è tradizionalismo, non è una ripetizione statica di un depositum Fidei impermeabile ai valori della modernità. Piuttosto è un atteggiamento dinamico; è una trasmissione integrale, propositiva e reattiva, fatta di momenti di «difesa» e «offesa», che si configurano come Traditio [47] , cioè «une fidélité sans faille à la discipline et aux dogmes, aux sacrements, aux rites, aux dévotions et aux usages, aux enseignements et aux traditions de l’Église catholique (qui) détermine un attachement passionnel à une orthodoxie dogmatique et spirituelle» [48] . In questa «trasmissione» il fedele non nega la realtà. All’opposto esprime una particolare sensibilità alla storia e alla cultura [49] , che si traduce nella ricerca di una coerenza tra vita di fede ed esistenza quotidiana nella città terrena – naturalmente in opposizione alla modernità e ai suoi valori [50] –, che si fa testimonianza, cioè, «étymologiquement, un martyre [...] une dimension sacrificielle de la fidélité» [51] .

    Il concetto d’ intransigenza colma così il vuoto «categoriale» del trinomio paradigmatico Curia-uomo-ecclesiologia perché permette d’intersecare tutti e tre gli elementi da considerare: esso esprime innanzitutto una visione ecclesiologica, attraverso la quale si individua e si spiega la funzione del singolo fedele nella Chiesa e – più specificamente – dell’uomo nella Curia. Più in generale, però, l’ intransigenza è un modo di porsi nei confronti della contemporaneità, con cui si instaura un rapporto dialettico e dinamico, per testimoniare la propria fedeltà all’ortodossia e al magistero tradizionale pontificio.

    Bisogna sottolineare come la storiografia tenda ad adoperare il concetto d’ intransigenza soprattutto per il periodo successivo al pontificato di Pio VII. Dunque tale categoria non sarebbe pienamente utilizzabile per interpretare l’operato di Fontana. A tal proposito, pur rispettando le ovvie specificità determinate dalla storia evenemenziale, si può osservare che molti elementi che caratterizzarono l’ intransigenza contemporanea erano presenti già nell’età napoleonica e dalla metà del secondo decennio dell’Ottocento [52] . Su tale questione Van de Sande affermò che nella Curia della Restaurazione postnapoleonica si riscontra una continuità con l’epoca precedente, sia dal punto di vista della composizione del personale [53] , sia da quello delle idee:

    L’esprit de Gerdil, c’est-à-dire la hantise des courants anti-romains du catholicisme éclairé condamnés dans Auctorem Fidei se perpétuait dans la Curie, en tout cas chez [...] Fontana. (Son) premier soin fut de chercher les moyens de protéger dorénavant avec efficacité le bastion romain, contre ce qui passait pour les racines de la Révolution: gallicanisme, jansénisme, fébronianisme et protestantisme [54] .

    Questo passaggio risponde sia al dubbio precedentemente posto, sia al quesito indicato all’inizio di questa riflessione, relativo alla possibilità di considerare la vicenda particolare di Fontana come uno strumento per ricavare alcuni elementi di continuità della storia ecclesiastica passata e futura. Come si potrà osservare meglio nel prosieguo del volume, i contenuti ecclesiologici dell’ intransigenza e un certo modo di relazionarsi con la contemporaneità attestano l’esistenza di questa continuità: essi nascono alla fine del XVIII secolo, si rafforzano nell’età napoleonica e si diffondono progressivamente, fino a diventare un tratto caratteristico della storia della Chiesa nella contemporaneità. La vicenda di Fontana da una parte concretizza il trinomio paradigmatico di cui si è scritto precedentemente e dall’altra permette l’individuazione degli elementi d’ intransigenza presenti a cavallo tra XVIII e XIX secolo. Questo è possibile perché l’analisi di alcune specifiche vicende biografiche del barnabita richiede sempre una forte contestualizzazione che consenta – nella dinamica che si crea tra il singolo e lo sfondo su cui esso si staglia –, di osservare l’epoca storica da lui vissuta secondo un punto di vista specifico.

    Contemporaneamente alla ricognizione bibliografica che ha fatto emergere il paradigma di ricerca presentato, si è proceduto alla ricerca delle fonti negli archivi storici barnabitici di Milano e Roma, nell’archivio della Biblioteca Trivulziana presso il Castello Sforzesco a Milano, nella Biblioteca Estense (Modena), nell’Archivio storico della Congregazione per la Dottrina della Fede, nell’Archivio Segreto Vaticano (entrambi nella Città del Vaticano) e negli Archives Nationales de France a Parigi [55] . Negli archivi barnabitici, nella Biblioteca Estense e nell’Archivio della Biblioteca Trivulziana è conservato del materiale personale di Fontana e, in particolare, numerose lettere. Questo disperso epistolario ha fornito diverse informazioni di contorno sull’esistenza del barnabita, sulle sue frequentazioni, sui suoi interessi culturali e sulle sue opinioni. L’epistolario ha così permesso di scavare e tratteggiare con maggiore profondità Fontana come individuo, dando all’opera un maggiore spessore, anche biografico. Negli archivi vaticani sono presenti i documenti e le indicazioni necessarie a comprendere e a descrivere i vari meccanismi curiali sia dal punto di vista del funzionamento istituzionale, sia da quello della collaborazione umana: si è avuta così la possibilità di penetrare la Curia, evitando di darle una rappresentazione eccessivamente monolitica. Il confronto tra le carte private di Fontana e i suoi vota – o le sue positiones – ha favorito un ulteriore approfondimento delle dinamiche relazionali e delle concezioni ecclesiologiche e politiche secondo il trinomio Curia-uomo-ecclesiologia, che è alla base di questa ricerca. Infine negli Archives Nationales de France, utilizzati soprattutto nell’ultimo capitolo di questo volume, è custodito moltissimo materiale relativo all’esperienza francese del barnabita ( in primis sull’ Affaire D’Astros e sulle indagini della polizia napoleonica contro la cosiddetta Ligue ultramontane dei fautori di Pio VII). Altrettanto importanti sono le fonti a stampa, che costituiscono un patrimonio difficilmente non considerabile in una qualsiasi ricerca che si occupi di Settecento e Ottocento sia dal punto di vista culturale sia da quello religioso o politico-propagandistico. A tal proposito bisogna evidenziare che la propaganda è uno degli elementi costitutivi dell’ intransigenza. Non a caso la presente ricerca affronta anche questo tema attraverso le poesie, le cantate e i sonetti scritti per celebrare il ritorno nella Penisola di Fontana dopo la prigionia, la concessione della porpora cardinalizia, come per piangerne la morte.

    Dopo questa introduzione, la ricerca propone un primo capitolo che presenta dei cenni biografici su Francesco Luigi Fontana, per dare al lettore la possibilità di iniziare ad inquadrare il contesto e l’individuo. Successivamente vengono analizzate le principali biografie ottocentesche del barnabita, prestando attenzione anche al quadro socio-culturale da cui esse emergono, per mostrare l’esistenza di una propaganda intransigente veicolata – anche polemicamente – attraverso una biografia.

    Il secondo capitolo, ripercorre cronologicamente i primi decenni dell’esistenza di Fontana, concentrandosi particolarmente sull’attività di direzione spirituale da lui svolta per aiutare una nobildonna milanese, Carolina Trotti Durini, melanconica e spiritualmente in crisi. Nel capitolo saranno identificate le principali linee della spiritualità di Fontana, che forniscono anche elementi sufficienti per un quadro d’insieme della sua forma mentis e della sua cultura. Inoltre emerge come Fontana propose, favorì e sostenne – presentando consigli e proposte concrete a Carolina Trotti Durini – un’apertura della donna alla realtà circostante, indicandole la via dell’evangelizzazione sia domestica sia sociale, alfine di riconquistare alla cattolicità una società considerata dal barnabita come pervasa e sviata dagli ideali rivoluzionari e giacobini. Il capitolo diviene quindi una sorta d’introduzione per le parti seguenti, proprio perché fornisce le coordinate socio-culturali e ideologico-politiche che guidano l’intera esistenza di Fontana ed è, nel contempo, un’occasione per presentare uno spaccato della storia religiosa italiana tra Sette e Ottocento e i travagli che caratterizzarono il cattolicesimo di quel periodo.

    Il terzo e quarto capitolo concentrano la loro attenzione sull’attività curiale di Fontana, considerando una sua opera apologetica e analizzando l’attività corale di due congregazioni particolari create per affrontare due problemi sorti con l’Impero napoleonico (la questione delle facoltà da concedersi ai vescovi dell’Impero e il catechismo napoleonico). Nei due capitoli, a cavallo tra storia religiosa e storia politica, si presta particolare attenzione alla Curia romana, cuore nevralgico del potere papale e luogo di confronto tra le diverse correnti cardinalizie e le diverse opzioni politiche adottate – o adottabili – dal papato per confrontarsi con Napoleone. Da una parte si focalizzerà l’attenzione su Fontana, su come operò e su quali concetti adoperò nella sua riflessione (soprattutto sulle questioni ecclesiologiche legate alla relazione papato-episcopato e al binomio Chiesa-Stato). Dall’altra si farà riferimento alle interazioni tra i consultori e i cardinali, considerando le alleanze e le frizioni tra i componenti delle congregazioni, per dimostrare plasticamente come venissero prese le decisioni nella Curia del tempo e come funzionassero i meccanismi curiali, concretizzando il trinomio Curia-uomo-ecclesiologia [56] e presentando possibili consonanze che inducono a proporre l’esistenza di una prospettiva intransigente che univa, dal punto di vista politico-intellettuale-ecclesiologico, differenti personalità della Curia.

    Il quinto capitolo guarda invece alla seconda fase dell’esistenza di Fontana, all’occupazione di Roma, alla sua deportazione in Francia, al suo imprigionamento in quanto implicato nell’ Affaire D’Astros, al suo ritorno nella Penisola e al suo diventare cardinale, dopo la nomina a segretario di una nuova congregazione, quella degli Affari Ecclesiastici Straordinari. In questa parte si presterà attenzione nel tracciare il progressivo accrescersi della notorietà di Fontana, dando poi particolare rilievo al processo di costruzione dell’immaginario intransigente della Restaurazione, dimostrando come Fontana incarni tutte le caratteristiche del milieu culturale intransigente, che si compone dei medesimi prelati, consultori ed eruditi con i quali il barnabita aveva collaborato nel tempo. Questo capitolo dovrà quindi essere letto in continuità con il primo, perché ne è il compimento.

    Infine, nella conclusione – nomen omen –, sarà proposta una sintesi di quanto ricavato dall’indagine sulla componente umana della Curia, attraverso il particolare punto di vista adottato, cioè Francesco Luigi Fontana. Di qui il titolo del volume: L’intransigenza nella Curia. Il cardinale Francesco Luigi Fontana (1750-1822).

    Ringraziamenti

    Alla fine di una ricerca, si ha sempre un debito di gratitudine che deve essere saldato. Innanzitutto vorrei ringraziare i miei tutor ed il mio cotutor di dottorato (il volume che si presenta è il risultato e la maturazione di questa esperienza di formazione e di ricerca): la Prof.ssa Irene Fosi, il Prof. François Jankowiak e il Prof. Roberto Regoli, per la loro instancabile guida, i costanti dialoghi, i molti consigli, le indicazioni e la collaborazione che mi hanno offerto nella costruzione di quest’opera. In secondo luogo vorrei dire il mio grazie ai padri barnabiti Filippo Lovison e Rodrigo Nilo per l’ospitalità offertami nei loro archivi e per le stimolanti chiacchierate. Vorrei esprimere la mia gratitudine a padre Marcel Chappin S.J., che nei momenti iniziali del mio progetto mi ha aiutato ad orientarmi nell’Archivio Segreto Vaticano e al Prof. Mario Rosa, con cui ho intrattenuto un lungo e fertile colloquio in un pomeriggio romano.

    Un grazie speciale va alla mia grande famiglia (sia numericamente sia qualitativamente) che in tutti questi anni mi ha supportato e sopportato. Il loro affetto, il loro incoraggiamento e il loro sostegno sono un tesoro inestimabile, di cui non sempre sono degno. Ringrazio particolarmente mia zia Carolina, per le infinite – ma piacevoli – discussioni sullo stile, sulla forma e sull’utilità della ricerca storica.

    Infine vorrei ricordare la Prof.ssa Paola Vismara. Senza di lei non mi sarei interessato alla storia della Chiesa tra Settecento e Ottocento e non avrei intrapreso questo percorso dottorale. La sua scomparsa prematura ha lasciato un grande vuoto e dispiace moltissimo di non aver più la possibilità di godere dei suoi suggerimenti e dei suoi consigli. Questo piccolo ricordo – tra i molti che le sono già stati tributati – sia segno della mia gratitudine.


    [1] R. Regoli, Ercole Consalvi. Le scelte per la Chiesa, Pontificia Università Gregoriana, Roma 2006, p. 11.

    [2] V. Sgambati, Le lusinghe della biografia, in «Studi Storici», XXXVI (1995), pp. 396-414.

    [3] I. Rinieri, Della Rovina di una Monarchia: Relazioni Storiche tra Pio VI e la Corte di Napoli negli Anni 1776-1799, UTE, Torino 1901, Id., Napoleone e Pio VII, UTE, Torino 1906, Id., La diplomazia pontificia nel secolo XIX, Ufficio della civiltà cattolica-UTE, Roma-Torino 1902-1906. Id., Corrispondenza inedita dei cardinali Consalvi e Pacca nel tempo del Congresso di Vienna (1814-1815): ricavata dall’Archivio secreto vaticano, corredata di sommarii e note, preceduta da uno studio storico sugli Stati d’Europa nel tempo dell’Impero napoleonico, UTE, Torino 1903. Su Ilario Rinieri: E. Piglione, Padre Ilario Rinieri, in «Rassegna storica del Risorgimento», XXVIII (1942), p. 758.

    [4] Ad esempio Augustin Canron, pubblicando una sua traduzione francese dell’Annuario pontificio, affermava che «on connaît peu la Cour de Rome en France» – A. Canron, Rome, le souverain pontife et l’Église pour 1869, Étienne Repos, Paris 1869, p. X –. Circa quarant’anni dopo la situazione molto probabilmente non era cambiata: Léonce Célier, presentando il proprio lavoro sulla Dataria Apostolica, affermava che «la Curie, ses tribunaux, ses officiers, sont de choses fort peu et fort mal connues» (L. CÉlier, Les dataries du XV e siècle et les origines de la Datarie apostolique, Fontemoing et C., Paris 1910, p. 1). Anche Laurent Chevailler scrisse di «mystérieux échange entre le successeur de Pierre et ses conseillers» (in Id., Réflexions sociologiques sur la Curie romaine et sur ses méthodes de gouvernement durant le pontificat de Pie X, in Études juridiques et historiques dédiées à Monsieur le Chanoine Raoul Naz, Musée Savoisien, Chambéry-La Tronche 1971, pp. 23-29, cit., p. 23).

    [5] N. Del Re, La Curia Romana. Lineamenti storico-giuridici, LEV, Roma 1998, p. XIII. La prima edizione è del 1941. La visione di una Curia come luogo di oscuri intrighi è un topos abbastanza comune. Ad esempio: L.B. Bonjean, Du pouvoir temporel de la papauté, Typ. de Ch. Lahure et c., Paris 1862 a p. 263 cita un rapporto dell’ambasciatore francese presso la Santa Sede, il cardinal de Bernis, dove si afferma che il papa non concede facilmente la sua confidenza: «où tout est mystère, secrets manèges».

    [6] L. Pásztor, L’Histoire de la curie romaine, problème d’histoire de l’Église, in «Revue d’Histoire Ecclésiastique», LXIV (1969), pp. 353-366, cit., p. 353.

    [7] Ibid. Sono più o meno coevi allo scritto di Pásztor i lavori di Raffaele Colapietra sulla Curia nei primi decenni dell’Ottocento – Id., Il Diario Brunelli del Conclave del 1823, in «Archivio Storico Italiano», CXX (1962), pp. 76-146, Id., La Chiesa tra Lamennais e Metternich, Morcelliana, Brescia 1963 e Id., La formazione diplomatica di Leone XII, Morcelliana, Brescia 1966 –.

    [8] Questa proposta metodologica era poi concretizzata attraverso uno studio sulla Congregazione degli Affari Ecclesiastici: «la conoscenza della struttura e del funzionamento dei dicasteri, delle persone che prendevano parte al disbrigo degli affari e del modo con cui vi furono trattate, discusse e risolte le questioni non solo aiuta a meglio comprendere vari problemi relativi alla storia della Chiesa stessa, ma costituisce [...] un non indifferente problema storico stesso» – L. Pásztor, La Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari tra il 1814 e il 1850, in «Archivum Historiæ Pontificiæ», VI (1968), pp. 191-318, cit. a p. 192 –. A p. 202 «sarebbe molto interessante tratteggiare il profilo spirituale dei componenti della Congregazione. Senza conoscere infatti la loro personalità e la loro cultura, non si può valutare sufficientemente l’intensa e molteplice attività svolta dalla congregazione in servizio alla Chiesa».

    [9] A. Riccardi, Introduzione, in «Mélanges de l’École française de Rome. Italie et Méditerranée», CX (1998), pp. 439-443, cit., p. 441.

    [10] J.-D. Durand, Conclusions, in «Mélanges de l’École française de Rome. Italie et Méditerranée», CX (1998), pp. 681-686. Le citazioni del paragrafo sono tratte da diverse pagine di questo intervento.

    [11] C. Prudhomme, Les hommes de la Secrétairerie d’État. Carrières, réseaux, culture, in «Mélanges de l’École française de Rome. Italie et Méditerranée», CX (1998), pp. 475-493, cit. p. 475. La proposta quindi tendeva a sottolineare la necessità di uno studio che guardasse alla Curia come ad una semplice struttura burocratica.

    [12] P. Boutry, Modalités de la recherche et principes d’exposition, in Id., Souverain et Pontife. Recherches prosopographiques sur la Curie romaine à l’âge de la Restauration (1814-1846), École française de Rome, Rome 2002. Nell’introduzione (Ibid., pp. IX-XVIII) vengono presentate le fonti e sono sottolineate alcune problematiche riguardanti la costruzione delle opere storiografiche. Alla nota n. 2 (p. XIII), vengono indicati i modelli di prosopografia sulle élite del XIX secolo, individuando il terreno da cui nasce la sua attività di ricerca.

    [13] Altre importanti fonti d’informazioni sono: G. Pelletier, Rome et la Révolution française. La théologie et la politique du Saint-Siège devant la Révolution française, École française de Rome, Rome 2004, cit., pp. 577-632, J.-O. Boudon, Les élites religieuses à l’époque de Napoléon. Dictionnaire des évêques et vicaires généraux du premier empire, Nouveau monde, Paris 2002 e il volume J. Leblanc, Dictionnaire biographique des cardinaux du XIXe siècle. Contribution à l’histoire du Sacré Collège sous les pontificats de Pie VII, Léon XII, Pie VIII, Grégoire XVI, Pie IX et Léon XIII, 1800-1903, Wilson & Lafleur Itée, Montréal 2007.

    [14] F. Jankowiak, La curie romaine de Pie IX à Pie X. Le gouvernement central de l’Église et la fin des États pontificaux, École française de Rome, Rome 2007, cit., p. 10.

    [15] C. Weber, Das Kardinalskollegium in den letzten Jahren Pius IX, in «Archivum Historiæ Pontificiæ», XI (1973), pp. 323-351.

    [16] F. Jankowiak, La curie romaine, cit., p. 12.

    [17] R. Regoli, Ercole Consalvi. Le scelte per la Chiesa, cit.

    [18] Ibid., p. 12: «Il presente lavoro vuole essere un contributo all’approfondimento storico del volto della Chiesa Romana all’inizio del XIX secolo, focalizzando l’attenzione su due componenti, quella teologica e quella politica». Dei lavori collaterali su argomenti affini: R. Regoli, L’élite cardinalizia dopo la fine dello Stato Pontificio, in «Archivum Historiae Pontificae» LVII (2009), pp. 63-87, Id., La «Congregación Especial para los Asuntos Eclesiásticos de España» durante el trienio liberal, in «Anuario de Historia de la Iglesia», XIX (2010), pp. 141-166, Id., Il cardinale Luigi Lambruschini tra Stato e Chiesa, in «Barnabiti studi», XXVIII (2011), pp. 309-331, Id., Decisioni cardinalizie ed interventi papali. Il caso della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari, in Le gouvernement pontifical sous Pie XI. Pratiques romaines et gestion de l’universel, études réunies par L. Pettinaroli, École française de Rome, Rome 2013, pp. 481-501; La corte papale nell’età di Leone XII, a cura di I.Fiumi Sermattei e R. Regoli, Consiglio Regionale-Assemblea legislativa delle Marche, [Ancona] 2015, pp. 22-34.

    [19] Ibid., pp. 14-16.

    [20] M.L. Trebiliani, La Curia romana (1815-1846), in J. Leflon, Restaurazione e crisi liberale (1815-1846), in Storia della Chiesa, diretta da A. Fliche-V. Martin, XXVI voll., vol. XX/2, Paoline, Milano 1978-2005, p. 1058 (questo è direttamente citato da R. Regoli, Ercole Consalvi, cit., p. 160).

    [21] F. Jankowiak - L. Pettinaroli, Cardinaux et cardinalat, une élite à l’épreuve de la modernité (1775–1978). Réflexions autour d‘un projet collectif, in Rechtsgeschichte: Zeitschrift des Max-Planck-Instituts für europäische Rechtsgeschichte, XX (2012), pp. 363-365.

    [22] L. Pettinaroli, Introduction: les approches du cardinalat entre histoire, droit, théologie et archivistique, in « Mélanges de l’École française de Rome - Italie et Méditerranée modernes et contemporaines», CXXVII (2015), edizione online.

    [23] Cfr. L. Pásztor, L’Histoire de la curie romaine, cit., p. 363. Nello stesso 2012 era edito lo scritto di Roberto Regoli Il Sacro Collegio tra cardinali navigati e nuove creature (1823-1829), in La corte papale nell’età di Leone XII, cit., pp. 22-34.

    [24] La storiografia sulla Curia moderna si nutre di diverse linee storiografiche. Il tema della Curia romana ha avuto una duplice modalità di trattazione. Da una parte si è evidenziato il tema del disciplinamento – P. Schiera, Disciplina, Stato moderno disciplinamento: considerazioni a cavallo tra sociologia del potere e la storia costituzionale, in Disciplina dell’anima, disciplina del corpo e disciplina della società tra medioevo ed età moderna, a cura di P. Prodi-C. Penuti, il Mulino, Bologna 1994, pp. 21-46 –, dall’altra si è sottolineato il ruolo attivo dei chierici – I canonici al servizio dello Stato in Europa. Secoli XIII-XVI, a cura di H. Millet, Panini, Modena 1993, G. Fragnito, Istituzioni ecclesiastiche e costruzione dello Stato. Riflessioni e spunti, in Origini dello Stato: processi di formazione statale in Italia fra Medioevo ed età moderna, a cura di G. Chittolini-A. Molho-P. Schiera, il Mulino, Bologna 1994, pp. 493-513

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