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Jazz. Storie di eroi
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E-book529 pagine8 ore

Jazz. Storie di eroi

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Edizione aumentata con ascolti in linea: mentre leggi con un clic ascolti i brani degli eroi del Jazz. I personaggi descritti, da Armstrong agli ottantenni Sonny Rollins e Ornette Coleman assurgono a eroi non tanto perché autori di gesti più o meno straordinari bensì perché interpreti autentici di un’epoca che ha segnato la nascita e l’affermazione del fenomeno artistico straordinario che è il Jazz.
Aneddoti, cronaca quotidiana di soprusi razziali, locali pieni di fumo e di sapori esotici, Jam Session, stanze di ospedali e malattie mentali, rivalità ed egoismi.
La vita sempre in bilico di Billie Holiday, la testardaggine di Thelonious Monk, la duplice personalità di Miles Davis, l’integrità morale e la coerenza di John Coltrane, la triplice personalità di Charles Mingus, la bonaria e irriverente figura di Dizzy Gillespie, tutto poi incrociato con altri protagonisti che non si possono dire certo minori.
E naturalmente la loro musica, quella che nasceva in sintonia con il loro umore e/o condizione particolare, quella dettata da fatti di cronaca o da eventi sociali, quella che il loro talento cavava da una semplice canzonetta popolare.
Un ebook ricco di approfondimenti e ascolti multimediali.
LinguaItaliano
EditoreLogus
Data di uscita20 nov 2013
ISBN9788898062416
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    Anteprima del libro

    Jazz. Storie di eroi - Luigi Cancedda

    PROTAGONISTI

    Louis (Daniel) Armstrong

    New Orleans (Louisiana) 4 agosto 1901- New York 6 luglio 1971

    Nel 1682, l’esploratore francese René Robert Cavelier de La Salle, arrivando dal Canada nel profondo sud dell’America, discese il Mississipi fino al Golfo del Messico. Il territorio dove si cullava questo grande fiume fu chiamato Louisiana in onore del re di Francia Luigi IV. I colonizzatori francesi ebbero una qualche difficoltà a popolare e gestire quel territorio a causa di un clima e un ambiente terribile. Nel 1718 fu fondata New Orleans in onore del duca Filippo II° d’Orleans; in una baracca composta da un unico stanzone, nel quartiere negro più povero della città, nacque il 4 agosto del 1901 Louis Daniel Armstrong.

    Il padre abbandonò la famiglia che lui era ancora un bambinetto. Assieme alla sorella Beatrice fu allevato alla meno peggio dalla madre che si guadagnava il pane facendo la domestica e mille altri lavori. Le cose che imparò, male e prestissimo, le apprese prima per strada e poi al riformatorio.

    Successe che all’età di tredici anni fu arrestato la notte di capodanno e pare ci fosse di mezzo una pistola o un fucile, questo fatto gli valse una condanna, certo è che in riformatorio ci fece almeno due anni.

    Alla Waifs’ Home trovò nel guardiano Peter Davis colui che gli insegnò i primi rudimenti musicali e gli fece conoscere la cornetta per la prima volta. Il suo nomignolo in quel periodo era Dipper, perché aveva la bocca a forma di mestolo (dipper) appunto.

    Non tutte le esagerazioni vengono per nuocere. Presto il giovane Louis divenne il direttore della band del riformatorio che qualche volta veniva inviata a rallegrare le feste popolari che si svolgevano per le strade dei sobborghi della città. Quando la prima volta l’orchestra marciò in parata lungo le strade del suo vecchio quartiere, Louis notò che ad attenderla sui marciapiedi -c’erano tutte le puttane, i ruffiani, ladri e mendicanti perché sapevano che ci sarebbe stato Dipper il figlio di Mayann, quello che non sapevano è che io avrei suonato la cornetta, e che l’avrei fatto tanto bene(1). Quando uscì dal riformatorio, il giovane Armstrong si ingegnò in mille lavori diversi per sbarcare il lunario. Fece la consegna del latte a domicilio, lo strillone, lo scaricatore sulle banchine del Mississipi e sopratutto andò in giro con un carretto trainato da un mulo a vendere carbone di porta in porta. Si può senz’altro affermare che il giovane Louis questi lavori e la fatica conseguente li affrontava quasi con disinvoltura, i suoi nonni avevano conosciuto anche la dura condizione degli schiavi nei campi di cotone, poteva contare quindi su una forte tradizione familiare.

    Furono più di due gli anni che non toccò lo strumento che aveva imparato a suonare al riformatorio. In questo duro contesto di fatica e privazione, Louis non dimenticò comunque la musica, era costretto però ad ascoltare quella degli altri. La Funky Butt Hall, l’Economy Hall e il Lincoln Park erano i posti dove si recava ogni volta che riusciva a vincere la fatica della lunghissima giornata di lavoro.

    Il quartiere di Storyville a New Orleans condensava quanto di peggio si potesse immaginare per una città: dagli squallidi bordelli ai più sofisticati locali a luci rosse, bische clandestine dove ruffiani e magnaccia giocavano a tre sette spillando i soldi ai clienti delle loro ragazze, a mille altri luoghi dove la parola divieto era perfettamente sconosciuta.

    Situato nella zona sud della città, in quella parte dove viveva la gente creola, il quartiere era appena sotto Canal Street che divideva la città di New Orleans in parte bassa e parte alta, allora era il paradiso dei lestofanti e di tanti che arrivando anche da altre città, a fine settimana spendevano la misera paga adescati dai languidi blues delle ragazze ammiccanti all’ingresso di quei locali.

    Paradossalmente questi stessi luoghi erano poi quelli che dispensavano, oltre alla spensieratezza si potrebbe dire borderline, anche la miglior opportunità per ascoltare la musica. Tutti quei locali infatti avevano una loro orchestra e se non si poteva dire allora di jazz in senso moderno, certo è che da quelle tutto sarebbe nato.

    Mantenendosi stretto il lavoro del carrettiere che vendeva carbone, il giovane Armstrong frequentando questi luoghi incontra Kid Ory, all’epoca un capo orchestra tra i più importanti di New Orleans.

    Kid Ory era uno dei più grandi trombonisti dell’epoca, sicuramente uno dei più importanti jazzisti, nella sua orchestra da ballo il ruolo del trombettista era ricoperto dal grande King Joe Oliver, il quale accettò una proposta che arrivava da Chicago e quindi lasciò libero quel posto. Il grande Kid Ory a cui in verità era indirizzata la proposta, preferì starsene a New Orleans lasciando comunque partire King Joe insieme al clarinettista Jimmie Noone. Ory sapeva benissimo quale fosse la statura del suo trombettista ma non si scompose più di tanto. Tempo prima aveva notato, durante quella famosa street parade della banda della Waifs’ Home, un ragazzino in calzoni corti che suonava splendidamente la cornetta: Louis Armstrong. Su richiesta di Kid Ory il giovanissimo Louis si procurò un paio di pantaloni lunghi ed entrò nel mondo del jazz dalla porta principale.

    Proprio in quell’anno, siamo nel 1917, la Marina degli Stati Uniti d’America, ordinò lo sgombero dell’intero quartiere di Storyville.

    Troppi erano i gravi episodi che quotidianamente si registravano in quel periodo, nel quartiere a luci rosse di New Orleans: furti, risse con omicidi si susseguivano intorno agli affari delle bische clandestine e la prostituzione. Quasi ogni locale aveva le sue ragazze à la carte, i relativi magnaccia e naturalmente le irruzioni quotidiane della polizia della Marina Militare degli USA.

    Quindi in quel 1917 il quartiere fu chiuso dalla Marina USA, il locale dove suonava Armstrong rimase aperto ancora per un anno nonostante la polizia ogni tanto facesse irruzione per arrestare le gallinelle e i loro protettori. Ma la vita dei locali nel quartiere era segnata: bische e sale da ballo dovettero chiudere e molti musicisti di jazz rimasero senza lavoro e dovettero lasciare la città. Armstrong continuò per un qualche periodo a lavorare nelle orchestre sui battelli a vapore che facevano su e giù per il Mississipi.

    A diciotto anni Louis conobbe Daisy Parker, una prostituta di tre anni più grande, la sposò subito e mai un matrimonio ebbe vita breve e tempestosa come quello del giovane Armstrong: botte, violente scenate di gelosia, soggiorni in carcere. Molto meglio gli andavano le cose in musica. Nel 1922 infatti arriva da Chicago un telegramma da parte di King Joe Oliver che lo invitava a unirsi alla sua Creole Jazz Band, il talento del giovane Louis era arrivato sino a quello che allora era considerato il più grande di tutti. Non lasciò che il tempo si mettesse di mezzo, Louis senza indugio lasciò New Orleans e soprattutto l’ossessione chiamata Daisy.

    La notte dell’otto di luglio di quel 1922 Armstrong arriva alla stazione centrale di Chicago, sono le undici e la band di King Oliver a quell’ora suona, Louis si deve arrangiare con un taxi per raggiungere il Lincoln Centers dove appunto si esibiva la Creole jazz band di King Joe Oliver

    Dalla strada, mentre scende dal taxi il giovane Armstrong sente chiaramente la band suonare. L’impatto con quella musica destò in Louis una qualche preoccupazione rispetto alle sue capacità di stare dietro a quei musicisti, ma il tutto durò pochissimo, si fece coraggio ed entrò in sala. Con sua grande sorpresa, quando King Oliver lo vide fece smettere la band e lo mise pienamente a suo agio. A detta dello stesso Armstrong pare che il leader disse al suo indirizzo Ragazzo, dove sei stato? Ti abbiamo aspettato tanto.

    Al pianoforte di quella band c’era una giovane, Lil Hardin che per Armstrong diventerà ben presto un qualche cosa di più che non una semplice compagna d’orchestra.

    In quella città e nella Creole Band il giovane Armstrong e King Joe Oliver entrarono pienamente in sintonia, tanto da sviluppare un sistema per suonare gli assolo di tromba in duetto, Oliver conduceva e Armstrong in modo spontaneo e vitale lo seguiva in una frazione di secondo; furono molti i musicisti che sentendoli suonare non riuscirono a capire come si potesse farlo(²). I duetti di cornetta fra il vecchio (aveva 16 anni in più) e il giovane astro del jazz divennero famosissimi e attiravano al Lincoln Garden di Chicago molti musicisti che ormai facevano la fila per sentirli suonare. -Nel 1923, il sei aprile a Richmond nell’Indiana, registra con King Oliver il suo primo disco. Tra gli altri in quella band suonano: Dutrey Honore al Trombone, Lil Hardin al pianoforte, Johnny Dodds al clarinetto, Bud Scott al banjo, Baby Dodds alla batteria e Bill Johnson al banjo e voce in Dipper Mouth Blues. Proprio -in Dipper Mouth Blues sentiamo per la prima volta un assolo di tromba di Oliver accettato come il prototipo del concetto di assolo moderno(3). Oliver usa la sordina wha-wha, quella sorta di tappo metallico che inserito nella campana dello strumento ne attenua e distorce il suono, in seguito usata, per far emergere un particolare suono, nell’orchestra di Duke Ellington. Sarà resa popolare anche dal grande Miles Davis.

    Nel 1924 Armstrong si sposa per la seconda volta. Ma Lil Hardin è la pianista dell’orchestra, conosce la musica; avrà notevole influenza su Louis Armstrong, sia sul piano artistico insegnandogli a leggere la musica, sia su quello della stessa carriera convincendolo a lasciare Chicago e Oliver per recarsi a New York nell’orchestra di Fletcher Henderson, per diventarne il solista di tromba.

    Lil Hardin riesce a incoraggiarlo facendo in modo che Armstrong stesso si convinca sempre di più del suo enorme talento. Tra il 1925 e il 1926 le incisioni effettuate con l’orchestra di Henderson dimostrano chiaramente la notevole distanza tra Louis Armstrong e gli altri musicisti della banda. Ma il giovane Louis non era molto contento di stare a New York, soprattutto perché non gli andava a genio il modo di comportarsi dei suoi colleghi d’orchestra. Bevevano troppo, non prendevano sul serio il lavoro; ma fu ancora una volta la moglie a richiamarlo in modo perentorio. Da Chicago Lil lo richiamò all’ordine: era gelosa, anche a ragione, aveva delle scritture pronte per lui. Una nella sua stessa orchestra a fare il solista, poi successivamente nella Piccola Orchestra Sinfonica di Erskine Tate, dove si suonava di tutto: dalla Cavalleria Rusticana al jazz e lui riusciva sempre ad emergere su tutti. Durò pochi mesi quell’esperienza.

    Sempre incoraggiato dalla moglie, Armstrong in quel periodo mette in piedi le band tra le più importanti del jazz: prima gli Hot Five e dopo gli Hot Seven. In quelle band suonano Fred Robinson al trombone, Mancy Carr al banjo, Jimmy Strong al sax tenore e al clarinetto, ma soprattutto c’è Earl Hines al pianoforte.

    Sarà proprio con Earl Hines, il più brillante dei pianisti jazz del momento che inciderà molti pezzi annoverati tra i più importanti del jazz: da Struttin’ With Some Barbecue, I’m Not Rough, Other Than That sino a West End Blues, la cui spettacolare, maestosa introduzione dà il via a una esecuzione di estrema semplicità e tuttavia di straordinaria intensità espressiva. Sicuramente una tra le migliori esecuzioni di Armstrong della canzone del maestro King Oliver e anche tra le più importanti di tutto il jazz(4). Ci furono altre composizioni interessanti tra cui Weather Bird, dove è da sottolineare un brillantissimo duetto di tromba e piano, naturalmente sempre con Hines.

    Sarà proprio l’apporto del grande pianista a far risplendere il brano West End Blues con un assolo d’improvvisazione che unitamente alla chiusura finale di Armstrong con una nota acuta, si dice che prefiguri il passaggio storico da una musica di puro intrattenimento alla forma d’arte compiuta del jazz. Sono di questo periodo alcuni capolavori di Armstrong e del jazz: Cornet Chop Suey, Big Butter And Egg Man, Potato Head Blues, Muskrat Ramble. Queste incisioni (1925-29) sanciscono per la musica popolare, il raggiungimento del punto più alto della perfezione espressiva.

    Armstrong si prende in carico l’eredità della cultura afro-americana e attraverso il suo genio la proietta su un orizzonte più vasto, universale. Egli con la sua personalità artistica e il suo genio libera la musica jazz dalla semplice funzione di musica di solo intrattenimento. Mentre fino ad allora i musicisti suonavano contemporaneamente (lo stile gumbo-yaya di New Orleans), ora con Armstrong, -il leader strumentista libera la sua creatività con la poesia del suo assolo (fraseggio individuale) che esaltando immense capacità tecniche e l’inesauribile inventiva artistica, trasforma l’esperienza dell’ascolto in una emozione-commozione difficilmente traducibile a parole(5).

    Il 1929 è l’anno della grande crisi, le conseguenze del crollo di Wall Street si abbattono sugli USA e sui ceti più deboli in modo devastante. Nonostante l’ottimismo dei governanti americani, agli inizi del 1930 i disoccupati aumentano in modo drammatico e tra loro i neri sono quelli che soffrono di più. Nell’estate del 1932 il numero dei senza lavoro raggiunge i 12 milioni, uno dei pochi Blues incisi in quel triste periodo, testimoniava così la condizione dei lavoratori neri:

    It’s hard time here, hard time everywhere,

    I went down to the factory where I worked for years,

    And the boss man tol’ me that Iain’t comin’ here no mo’

    "Sono tempi duri, tempi duri dappertutto,

    Sono andato alla fabbrica dove ho lavorato per anni,

    e il capo mi ha detto di non tornare più".

    Dal 1930 fino alla primavera del 1932 Armstrong viaggiò molto per tutti gli States, raggiungendo Los Angeles, Chicago e naturalmente New York. Nella città del jazz ebbe scritture importanti nei locali più famosi e tutto l’ambiente musicale della città non perdeva l’occasione di andare a sentire il grande innovatore. Ma la crisi si fece sentire anche nel mondo dello spettacolo, molti locali furono costretti alla chiusura, Louis Armstrong dovette sciogliere l’orchestra e cavarsela accettando delle brevi scritture con diverse formazioni. Ritornò trionfalmente per una tournée nella sua New Orleans dove, oltre la magnifica accoglienza ebbe l’amarezza di constatare che i suoi fratelli di razza non erano ammessi ad assistere alle sue esibizioni al Suburban Gardens, una grande sala da ballo dove la sua orchestra doveva suonare per tre mesi. -I neri potevano ascoltare la musica solo attraverso le finestre aperte, così fecero: la sera dell’esordio, circa diecimila neri si accalcarono su un terrapieno che sorgeva nelle vicinanze di quel locale, per ascoltare un poco della loro musica dal loro concittadino che si era fatto onore al Nord(6).

    A New Orleans si conclude bruscamente anche il suo secondo matrimonio, ormai troppi erano i litigi e le incomprensioni a cui seguivano temporanee separazioni, fu Lil a lasciarlo senza mai dimenticarlo e conservandogli la sua amicizia sino alla morte (1971). Commovente il suo decesso: reclinò il capo dolcemente sulla tastiera del pianoforte durante uno dei tanti concerti dedicati alla memoria dell’ex marito, da poco scomparso.

    Nel 1932 l’Europa ha l’onore di fare la conoscenza con il re del Jazz. Dopo brevi scritture a seguito della grande crisi economica, Armstrong a luglio di quell’anno si recò a New York e si imbarcò sul Majestic diretto a Londra. Seppur anni primi altri jazzisti americani avevano fatto alcune fortunate apparizioni in Inghilterra, la musica di Armstrong era altra cosa, in qualche modo la grande novità metteva una qualche apprensione tra gli adepti del jazz inglese. La casa discografica Parlophone aveva pubblicato anche con un certo successo, molte incisioni di jazz americano tra cui anche Armstrong. C’era in verità, anche una più importante motivazione a far trepidare gli inglesi e questa era che Louis Armstrong arrivava da solo e niente si sapeva di chi avrebbe dovuto accompagnarlo nelle sue esibizioni. Della sua prima apparizione in Europa, si esibì solo a Londra, sicuramente quello che colpì di più fu la novità della musica, meno la qualità delle esibizioni, molto per le questioni dette prima, ma sembra anche per una non invidiabile prestazione dello stesso musicista. Certo è che Armstrong non lasciò Londra più ricco di quanto non lo fosse quando arrivò. Dopo un brevissimo soggiorno parigino senza tenere dei concerti, tornò in patria dove suonò, in veste sopratutto di solista-attrazione con diverse orchestre. Ma la crisi ancora incombeva, siamo agli inizi del 1933 e le scritture continuavano a mancare, fu costretto a sciogliere l’orchestra ma a luglio si sentì pronto per tornare a Londra.

    Il suo concerto all’Holbon Empire non fu per niente brillante, certo per l’annosa questione della band che lo accompagnava, sempre raccogliticcia e con strumentisti mediocri, ma pare proprio che anche la sua personale esibizione risentisse ormai di una tendenza al gigionismo spettacolare, mirava all’applauso. Il Melody Maker non fu indulgente nei confronti di Armstrong, descrisse la sua musica senza senso e la sua esibizione un combinato di abilità strumentale e abilità scenica. La verità era che il periodo più proficuo, innovativo e felice della sua musica era già tramontato. Pur non mancando composizioni degne del miglior Armstrong, quali Basin Street Blues, When It’s Sleepy Down South, il tramonto dell’inventiva e della creatività sembrava proprio arrivato. Coincide questo periodo anche con la crisi più generale che colpisce la classe popolare in generale e soprattutto la gente di colore che non poteva più comprare i dischi. La grande crisi naturalmente si abbatteva con forza sui più deboli ma toccava anche quelle attività non fondamentali per la vita di molte altre persone della classe media. Il ballo, la frequentazione dei locali e quindi la stessa musica subirono quasi un tracollo, molti proprietari di locali da ballo furono costretti a chiudere per la mancanza di clienti. Per molti addetti ai lavori fu la disoccupazione, a farne le spese naturalmente anche i musicisti e le loro orchestre, si concludeva allora un’epoca d’oro per il jazz e quindi anche per i suoi interpreti più geniali.

    Da quel momento in poi colui che fu il re del jazz inaugurò una parabola basata sull’accettazione di quanto, un pubblico prevalentemente bianco gli chiedeva: semplice intrattenimento, atteggiamenti da uomo di varietà. Quel pubblico generico altro non chiedeva. Prigioniero di una carriera da entertainer, di strumentista certo virtuoso, ma ormai lontano dalla creatività artistica, Louis Armstrong dedicava le sue funamboliche esecuzioni, le sue occhiate e i sorrisi smaglianti e quasi da macchietta a dei bianchi che altro da un negro non si aspettavano.

    L’Europa (bianca e snob) lo amava, c’era in questo un sentimento peloso e razzista di cui lui pareva non curarsi. Si stabilì a Parigi con una nuova compagna, Alpha Smith che amava la bella vita e i gioielli. Qui incise qualche disco piuttosto mediocre, ma riuscì anche ad esibirsi alla Salle Pleyel con esiti quasi trionfali. Anche in Belgio e in Svizzera ottenne delle accoglienze quasi trionfali e nel 1935 arrivò in Italia per la prima volta a Torino per il suo battesimo jazzistico. Una favorevole opinione del critico Massimo Mila gli rese onore sulla Stampa alcuni giorni dopo la sua morte, ricordando quel concerto -La tromba e la voce, per noi la prima era quella che importava, c’era un elemento entusiasmante di agonismo atletico nella pazzesca durata delle sue note e nell’altezza vertiginosa a cui si arrampicava con suoni spiccati, netti...(7).

    La ripresa economica, un positivo clima di ritrovata energia della società americana, mutarono la situazione anche in campo musicale, il jazz e Armstrong ne trassero positive spinte per una nuova intraprendenza artistica. Satchmo riuscì a formare un’orchestra e a firmare un contratto con la Decca, i suoi dischi arrivarono in Europa e qui suscitarono notevoli discussioni intorno al suo stile che molti giudicarono peggiorato. Probabilmente la verità sta nel fatto che una ritrovata serenità artistica permise al musicista di eliminare quanto di esagerato aveva conosciuto il pubblico generico d’Europa, quello che apprezzava in massima misura l’intrattenimento e i funambolici acuti di un virtuosismo fine solo a se stesso. Ora Armstrong non si lasciava più andare a quei finali basati su note acute e lunghissime e su ammiccamenti corporei che mandavano in visibilio gli spettatori dei suoi concerti. La sua sonorità era diventata più morbida e allo stesso tempo nitida e i suoi assolo più sobri e profondi, così come la sua presenza sul palcoscenico. In questa produzione discografica spiccano alcuni rifacimenti dei suoi classici che assumono un particolare valore anche per la notevole presenza di un altro grande musicista quale Sidney Bechet, clarinettista e sassofonista di quattro anni più vecchio di Armstrong, ma con cui ha condiviso gli inizi a New Orleans nelle orchestre di strada e d’accompagnamento alle feste popolari e ai funerali. Struttin’ With Some Barbecue, Save It Pretty Mama, Sweethearts On Parade, Perdido Street Blues e altre nuove composizioni, danno il piglio e la volontà di Louis Armstrong di ricordare a tanti di cosa abbia significato la sua musica nell’evoluzione della scena jazzistica.

    In questo periodo Armstrong lavorò anche per il cinema. Furono presentati alcuni film dove l’artista veniva ingaggiato per interpretare il ruolo del negro ridicolo quale quello che prevedeva allora lo stereotipo hollywoodiano. Queste apparizioni e naturalmente quel terribile ruolo, probabilmente contribuirono non poco alla la fama di Zio Tom che si portò appresso sino alla fine. Nel 1942 si sposa per la quarta volta: Lucille Wilson, una ballerina conosciuta al Cotton Club gli fa mettere finalmente la testa a posto per quanto riguarda le donne, restarono sempre insieme. Tra il 1944 e il 1945 il musicista partecipò a molti concerti, tra cui è giusto ricordare quelli organizzati dalla rivista Esquire che promuoveva tra i suoi lettori anche un referendum per indicare il miglior musicista jazz dell’anno. Louis Armstrong aveva vinto quel referendum nel 1943 come trombettista e cantante. Suonò quindi a quei concerti con grandi musicisti tra cui Sidney Bechet, il trombonista Higginbotham, il pianista James P. Johnson, tutti artisti della prima ora e particolarmente significativi per la storia del jazz.

    Nel 1947 si esibisce per la prima volta al Billy Berg’s di Hollywood con il complesso jazz degli All Stars la cui carriera ventennale accompagnò l’artista sino quasi alla fine. Era da tempo che molti ammiratori e intenditori di jazz suggerivano al manager di Armstrong un impegno in quella direzione, anche perché le grandi orchestre ormai segnavano il passo. La scena del jazz ormai mutava, l’atteggiamento dei musicisti neri rispetto a una loro condizione sociale e razziale era più consapevole e elementi di ribellione artistica, anche in campo musicale si stavano affacciando in modo pressante. A New York nel 1947 Charlie Parker e Dizzy Gillespie, non erano più lo spauracchio di tre anni prima, bensì la realtà di una nuova forma musicale che con spavalderia e creatività artistica scardinava il canone in auge sino ad allora: era nato, o meglio il Be Bop era il nuovo jazz.

    La motivazione di Armstrong per sciogliere la vecchia orchestra e passare alla formazione meno numerosa ma più agile e talentuosa degli All Stars fu -che nonostante fossi legato a tutte (18 elementi) quelle brave persone, bisognava farlo perché i gusti stavano cambiando(8). Il nucleo dell’esordio degli All Stars era così composto: Jack Teagarden trombone, Barney Bigard clarinetto, Dick Cary pianoforte, Morty Cobb basso, Sidney Catlet batteria, la cantante Velma Middleton e naturalmente Armstrong alla tromba. Presto arrivarono alcune sostituzioni anche significative e importanti quali quella del vecchio compagno degli inizi, Earl Hines al pianoforte, che irrobustirono qualitativamente quel grande gruppo.

    Nel 1949, dopo numerose tournée in giro per il mondo, la band si recò persino in Africa (Ghana) e negli Stati Uniti, dopo aver partecipato a Hollywood alle riprese del film "A Song Is Born", in italiano venne tradotto in Venere e il professore (!?), Armstrong fu invitato dai suoi concittadini a New Orleans e quindi nell’occasione del grande carnevale del Mardi Gras, egli fu incoronato re degli Zulu.

    Per questa sua apparizione in veste di Re dei Cannibali Louis Armstrong ricevette le forti critiche da parte dei giovani esponenti della nuova contestazione. Quel personaggio era per loro un affronto rispetto alla immagine del nero che una nuova consapevole coscienza stava creando.

    Ma a Louis Armstrong non può essere affibbiata l’etichetta di superficiale e ancor peggio di menefreghista rispetto ai problemi razziali e quindi alla discriminazione in atto verso la gente nera. -Egli aveva sempre, con franchezza e chiarezza, contrastato il razzismo e la segregazione e questo lo metteva al sicuro dalle critiche che gli vennero rivolte per quell’episodio(9). Fino da quando poco più che adolescente il giovane Louis andava in giro con il carretto a vendere carbone, il suo sogno è sempre stato quello di sfilare da Re nel Mardi Gras. Quel ruolo nella sfilata carnevalesca più importante della città, rappresentava anche il premio, il riconoscimento alla carriera che New Orleans dedicava ai suoi figli più poveri. Armstrong ne fu orgoglioso, nato e cresciuto nella povertà, insicuro in un clima di agghiacciante razzismo, suonare la tromba su una sorta di catafalco e impennacchiato a dovere e sfilare da Re nella sua città natale chiamato dai suoi concittadini, gli parve un onore, era sincero e limpido.

    Gli All Stars iniziarono una lunga tournée in Europa, esibendosi in decine di teatri davanti a platee sempre entusiaste. Quella musica eccellente non durò a lungo, alcuni importanti sostituzioni nell’organico della band (se ne andarono Teagarden, Hines e Bigard) ne minarono le fondamenta qualitative; certo restava Armstrong, ma per gli intenditori non era più quell’eccellente gruppo di tre anni prima. Bisogna dire che Louis Armstrong si curò poco o niente rispetto alla necessità di ristabilire uno standard qualitativo degno del suo nome e del jazz.

    Ha inizio in questo periodo, siamo nel 1952, la decisione del musicista di suonare più per il suo pubblico che per il jazz e l’arte che comunque lui ancora rappresentava. Assistiamo quindi ad una imbarazzante involuzione in direzione di una spettacolarità indirizzata al solo intrattenimento del grosso pubblico che plaude più alle gags ormai non solo di Armstrong, ma di buona parte della band. La stessa cantante Middleton, a un certo punto della serata si esibiva in una patetica spaccata, per non dire dei ridicoli trucchetti del trombonista (Young). Ormai Armstrong non interferiva più con le scelte artistiche (quale musicista scritturare) e organizzative (quali teatri dove suonare) totalmente dipendenti dal suo manager Joe Glaser; questo andazzo, con alti e bassi, continuò quasi fino alla fine dei giorni di Armstrong.

    Se lo scopo, cosciente o meno, diciamo di questa strategia fosse quello di far conoscere al più vasto pubblico mondiale la musica afro-americana si deve dire che l’obiettivo è stato pienamente raggiunto. Armstrong conquistò in poco tempo una notorietà e popolarità enorme, come mai nessun musicista jazz avrebbe avuto. Australia, Europa di nuovo nel 1955, Giappone, di nuovo in Ghana; ai suoi spettacoli non partecipavano meno di 10 mila persone, sino a punte massime di 25 mila, in Africa ricevette accoglienze trionfali, documentate anche in un film intitolato Satchmo The Great.

    Ma ancora una volta il grande genio riesce a far parlare di sé, e non tanto sul piano artistico, ormai la china spettacolaristica è presa, ma quanto sul piano extramusicale. Siamo nel 1956, invasione dell’Ungheria da parte dell’URSS, a Londra si tiene alla Royal Festival Hall un concerto a beneficio dei profughi ungheresi, Armstrong vi partecipa. Le critiche dei suoi fratelli neri, impegnati sul fronte delle discriminazione e sotto il duplice attacco del Ku Klux Klan e del sen. McCartney, non lo risparmiano. Già non sopportavano il suo atteggiamento sul palcoscenico che per loro era un continuo ridicolizzare la condizione della sua gente, ora lo vedevano impegnato politicamente a sostegno, certo di una causa giusta, ma in favore di altra gente e non la sua. Una dichiarazione ufficiale della NAACP (è l’organizzazione più vecchia e influente in difesa dei diritti civili dei neri d’America -National Association For The Advancement Of Colored People) fu lapidaria e sintetica: -Louis Armstrong è lo Zio Tom numero uno, il peggiore degli Stati Uniti.

    Passarono solo pochi mesi e il grande Louis, con un gesto pubblico e clamoroso stupì tutti nuovamente. Siamo nel settembre del 1957, alla televisione Armstrong vede in un reportage da Little Rock, una ragazza nera che nel tentativo di raggiungere un edificio scolastico interdetto ai neri dal governatore Faubus, riceve uno sputo in faccia da un bianco. Alla prima occasione pubblica Louis Armstrong dettò a un giornalista :-visto il modo in cui trattano la mia gente al Sud, il governo può andare all’inferno-. Si preparava in quel momento al Dipartimento di Stato, la sua tournée in URSS; non se ne fece più niente, il suo rifiuto fu categorico e conseguente, aveva mandato all’inferno il governo degli Stati Uniti d’America. Il presidente Eisenhower non riuscì mai a perdonarlo.

    Viaggiò ancora per molto Louis Armstrong in veste di ambasciatore del Jazz: dopo il Sud America, nel 1959 tornò in Italia al Festival dei due Mondi di Spoleto.

    Nel 1960 torna in Africa dove fa 45 concerti in 10 diversi paesi, riuscendo ad esibirsi in uno stadio alla presenza di 50 mila persone. Si ferma poi a Parigi per un paio di settimane per girare un film, Paris Blues, a cui partecipa anche Duke Ellington; altre pellicole in quel periodo si servono di Armstrong e della sua tromba per avere un richiamo in più al botteghino. Da segnalare anche un film con Bing Crosby e Frank Sinatra su tematiche legate al grande festival di Newport. Il cinema fu sicuramente utile a rafforzare la popolarità di Louis Armstrong, ma poco o nulla aggiunse alla sua fama di musicista. A ben guardare non ci fu niente di notevole nella sua produzione artistica di quel periodo e solo come cantante una incisione gli renderà onore: assieme a lui nei dischi appaiono Ella Fitzgerald, Bing Crosby, Dave Brubeck e l’orchestra dei Dukes of Dixieland, ebbe comunque ancora dei buoni successi musicali. Nel 1963 con il brano Mack The Knife, tratto dalla canzone Moritat musicata da Kurt Weill su un testo di Bertolt Brecht poi inserita nella commedia satirica L’opera Da Tre Soldi, con Hello Dolly e successivamente It’s A Wonderful World. L’inimitabile voce di Armstrong arrivò in tutti gli angoli del mondo.

    Nei due anni successivi continuò la sua vita da globe-trotter del jazz, si può dire che suonò e cantò in tutti i continenti: dall’Australia a tutti i paesi dell’est europeo esclusa l’URSS, nello stadio di Budapest ad ascoltarlo pare ci fossero 93 mila persone, un record che mai nessuno eguaglierà.

    Ritornerà più volte in quella che allora si chiamava ancora Europa Occidentale partecipando nel 1967 a uno dei più importanti festival di Jazz del mondo, quello di Juan Les Pins, ad Antibes in Francia. Nel 1968, con grande sorpresa e qualche sgomento dei puristi del jazz e massimo piacere del pubblico popolare italiano arrivò al Festival di San Remo esibendosi in un duetto con Lara Saint Paul con la canzone "Mi va di cantare".

    Quello che appariva un uomo dotato di un fisico robusto e inossidabile cedette e Armstrong fu ricoverato in ospedale e quindi dovette interrompere la sua attività, siamo a metà del 1968. Fu ricoverato più volte l’anno successivo al Beth Israel Hospital di New York, nei pochi momenti di discreta salute, riuscì ad incontrare di nuovo il suo pubblico in occasione dei festeggiamenti per il suo settantesimo compleanno. A New York portò a termine con fatica la sua esibizione e anche la sua ultima scrittura. Morì nel suo letto l’anno successivo durante il sonno, il 6 luglio 1971.

    Va riconosciuto all’uomo e all’artista una grande onestà intellettuale. La sua spontanea genuinità e la sincerità di fondo delle sue azioni, lo hanno portato anche fuori dai canoni classici della musica jazz, ma non hanno influito sulla sua grande statura artistica.

    A testimonianza della sua grandezza e genialità musicale, ancora oggi in orbita sulla sonda Voyager, assieme a Beethoven, Mozart, Bach e Stravinskij, la sua Melancholy Blues ci ricorda l’importanza di un uomo venuto dalla povertà e dalla miseria che per genio artistico è stato tra i più grandi del novecento.

    Note Bibliografiche

    (1) - Satchmo - My life in New Orleans - Aldo Garzanti Miolano 1958

    (2) - (3)- (9) - Massimo Nunzi -Jazz, istruzioni per l’uso- Laterza 2008

    (4) -(6) - Arrigo Polillo - Jazz, la vicenda e i protagonisti della musica afro-americana - Mondadori 1975

    (5) - Aldo Boccadoro Jazz! Come comporre una discoteca di base -Einaudi 2005

    (7) - Massimo Mila sulla Stampa -Torino, 7 luglio 1971

    (8) - Leonard Feather -From Satchmo to Miles- Stein and Day- New York 1972

    Discografia essenziale

    Louis Armstrong and King Oliver (1923) -Milestone -47017 Cd

    Louis Armstrong And Earl Hines -Vol. 4 - Columbia CK45142 Cd

    The Essential Louis Armstrong Recorded Live At The Palais Des Sports, Paris, 1965 Vanguard VSD-91/92 -Cd

    Duke (Edward Kennedy) Ellington

    (Washington 29 aprile 1899 - New York 24 maggio 1974)

    Una differenza non di poco conto tra Ellington il Duca e Armstrong Satchmo, al di là dei titoli più o meno nobiliari che si guadagnarono, è l’estrazione sociale. Armstrong era nipote di schiavi, Ellington aveva il padre che frequentava l’alta società di Washington, fino quasi alla Casa Bianca. L’appellativo di re del Jazz Armstrong l’ha ricevuto al merito, Ellington si vide affibbiato quel nomignolo (il Duca) da un vicino di casa quando aveva appena otto anni. -proprio per definire i modi evoluti e nobili che già da allora distinguevano la sua personalità(1).

    Duke Ellington proviene da una famiglia borghese e da una condizione di privilegio rispetto alla quasi totalità degli afro-americani degli inizi del 1900. Suo padre lavorava come maggiordomo presso un medico, qualcuno dice addirittura che fosse impiegato come responsabile della dispensa della Casa Bianca, in seguito lasciò quel lavoro per impiegarsi negli uffici della Marina.

    Il giovane Edward ricevette una buona educazione, fu mandato a lezione di pianoforte e frequentò regolarmente la scuola sino ai diciotto anni quando volontariamente, decise di guadagnarsi da vivere da sé. Fece molti lavori tra cui il fattorino negli uffici ministeriali durante la prima guerra mondiale, frequentò una scuola di disegno con ottimi risultati, tanto che dipingeva manifesti e insegne su commissione, era diventato anche un buon musicista. La sua educazione quasi borghese non gli impedì comunque di coltivare una forte autonomia e intraprendenza nell’affermarsi personalmente, lavorò come pianista e si ingegnò anche a procurare orchestre a chi aveva bisogno di musica per una serata. Si sposò prestissimo, all’età di diciannove anni prendeva in moglie Edna Thompson che gli diede subito un figlio, Mercer.

    Nei primi anni del novecento la musica che andava di più era il Ragtime e il giovane Duke non perdeva occasione per ascoltare i tanti pianisti che in città si esibivano nei locali che altro non erano che delle grandi sale da ballo. Doc Perry era il capo dell’orchestra dove spesso il giovane Edward veniva chiamato a suonare, che notando la passione del ragazzo gli diede utili e pratici insegnamenti, più avanti Hanry Grant lo guidò allo studio dell’armonia. Per il giovane Ellington l’ascolto diretto della musica e dei pianisti di allora risultava essere la cosa più importante. Un grande pianista in particolare lo attrasse profondamente, al punto da imparare a memoria molti brani di musica popolare scritti dal grande James P. James.

    Quando questo musicista capitò a Washington ebbe occasione di sentire il giovanissimo Duke rifare alcuni dei suo motivi più noti lo applaudì con calore. Più avanti lo stesso Ellington ebbe a dire- "Non suonai nient’altro quella sera, ma mi limitai ad ascoltare quel grande stando appoggiato al pianoforte. Credo che quello che assorbii quella sera valesse quanto un intero semestre di studio al conservatorio(2).

    All’età di ventidue anni Duke Ellington subì il fascino e quindi il richiamo della città del jazz per eccellenza, New York. Le mirabili storie che il batterista Greer, proveniente proprio da quella città raccontava, convinsero il gruppo di musicisti Washingtoniani a partire per la città. L’esperienza fu breve e poco produttiva, gli ingaggi erano saltuari e i quattrini pochi; gli amici di Duke si accontentavano di passare da un locale all’altro per sentire suonare i loro idoli e respirare l’atmosfera intima e irripetibile che era Harlem in quei primi anni venti. Per Duke l’avventura Newyorchese si concluse quando trovò per terra quindici dollari che servirono a finanziare il viaggio di ritorno.

    L’anno successivo Fats Waller passò a Washington con un suo spettacolo e conoscendo bene i compagni d’orchestra di Ellington assicurò loro che a New York avrebbero trovato sicuramente da lavorare. Greer e compagni non aspettavano altro e subito si misero in viaggio; Duke li avrebbe raggiunti dopo.

    Quando Ellington arrivò a Manhattan trovò gli amici senza lavoro e squattrinati: neanche il già affermato pianista Waller era riuscito a procurare loro un contratto e quindi bisognava trovare una soluzione. La fortuna decise di fermarsi nei pressi di Ellington e dei suoi amici: furono assunti tramite una cantante di nome Ada Smith in un buon locale di Harlem, il Barron’s.

    La direzione del quintetto inizialmente fu presa dal banjoista Snowden, poi passò a Ellington che lo sostituì appena in tempo per potersi esibire in un locale ancora più prestigioso del Barron’s: l’Hollywood Cafè, poi conosciuto come Kentucky Club. Questo locale era frequentato da una clientela variegata, turisti e membri della buona società, personaggi del mondo dello spettacolo e persino da gangsters d’alto bordo.

    In questo locale Duke e la sua band si fecero onore e vi rimasero per ben quattro anni, quasi a preludio di una permanenza da qui a venire, in un locale ancora più famoso.

    Fu comunque in questo locale che la stella di Ellington cominciò a brillare di luce autonoma. Dopo il rientro a Washington del trombettista Artie Wethsol per continuare gli studi universitari, si unì al gruppo prima Charlie Irvis, sostituito poi da Joe Tricky Sam Nanton, e successivamente arrivò nella band Bubber Miley. Ben presto la coppia di trombettisti trovò un’intesa artistica formidabile sino al punto di forgiare un originalissimo stile distintivo per l’intera band. Ellington tenne in gran conto le capacità di questi due musicisti espertissimi nell’uso della sordina, essi diedero un carattere e uno stile particolare a quei loro suoni rauchi, a volte gorgogliati, un poco selvaggi: nasceva il "jungle style".

    Nel 1927 l’orchestra di Duke Ellington viene assunta al Cotton Club il lussuoso cabaret di Harlem, qui il Duca si esibì per oltre tre anni, il suo nome e quello del locale divennero un tutt’uno. Poteva contenere oltre cinquecento persone, bisogna anche dire che la sua gestione non era tra le più limpide e la cronaca di New York si occupava spessissimo dei fatti non proprio esemplari che riguardano certi personaggi che vi trafficavano.

    Il pubblico era particolarmente entusiasta di questa sonorità e della capacità di Ellintgon di amplificare e costruire partiture appositamente volte a valorizzare le grandi capacità artistiche dei suoi musicisti. Quindi il pubblico li seguiva affascinato, quasi illudendosi di essere capitato nel cuore della giungla africana. Anche musicisti del calibro di Jimmy Dorsey e il grande Bix Beiderbecke avvertirono che quelle sonorità e la maestria di Duke Ellington nel guidare e comporre per quei grandi strumentisti, andava ben oltre la necessità di elargire spensieratezza ai ballerini che si accalcavano nel locale. Quella musica e quella orchestra era anche per certi versi il modo per rivivere e ripensare le stagioni tragiche delle vicende dei neri americani.

    In questo disegno non è difficile scorgere la consapevolezza dell’intellettuale nero che comunque Duke Ellington aveva cucito addosso: amava sempre la pittura e mai rinunciò a dilettarsi anche in quest’arte. Anche quando la sua musica sfiorava i confini di quella colta, affioravano nelle sue composizioni quegli elementi espressivi libertari e liberatori tipici del linguaggio jazzistico. Egli voleva costruire intorno alle radici tragiche delle vicende dei neri, rappresentate artisticamente dai suoni aspri e urlati degli strumenti di Tricky Sam e Bubber Miley, una cornice sonora proveniente dall’esperienza della musica colta europea.

    Le voci su quella musica fecero in modo che Irving Mills, uno tra più influenti impresari musicali e produttori di quel periodo, andasse appositamente al Kentucky per sentire Ellington e la sua band e resosi conto della qualità artistica del leader, non ci pensò due volte a offrire a Ellington la possibilità di incidere molti dischi come accompagnatore di cantanti. Mills aveva capito che le potenzialità di Duke Ellington erano infinite, infatti notò subito che -come fu presto evidente, quel giovanotto, non era un pianista o un capo orchestra come gli altri, ma un artista veramente creativo, in cui si celava il potenziale per una carriera senza limiti(3).

    Duke Ellington va riconosciuta la grande capacità di costruire sonorità, ora dolci, talvolta aspre, persino apparentemente selvagge ma in realtà raffinatissime, tenendo sempre in massimo conto le capacità artistiche e creative dei suoi musicisti. Giustamente da più parti si è detto che Duke Ellington non suonava il pianoforte, bensì l’intera orchestra. Per sottolineare appunto questa grande capacità del Duca di comporre e fare musica attraverso le peculiarità dei musicisti che componevano la grande band. A ognuno di essi cuciva una parte sonora come fosse un abito, naturalmente da sera come il suo stile dettava; sono

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