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Non dimenticate Steven
Non dimenticate Steven
Non dimenticate Steven
E-book263 pagine3 ore

Non dimenticate Steven

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Info su questo ebook

Non parlava mai di quello che succedeva a porte chiuse. Ma questa volta non riusciva a ricordare. Le cose non sono mai state facili per Steven. Lo accetta, e semplicemente fa il meglio che può. Può non avere i genitori o una casa felice, o abbastanza cibo la maggior parte dei giorni, ma almeno ha un paio di amici fedeli che gli stanno accanto e che lo aiutano quando possono. Almeno ha la scuola, un posto in cui andare per sfuggire all’abuso.

Ma proprio quando pensava che le cose non potevano andare peggio, peggiorano.

Steven è accusato di omicidio. Ma questa non è la cosa peggiore. La cosa davvero brutta è che non sa nemmeno se lo ha fatto.

Non riuscivo a smettere di leggere.

Il racconto agghiacciante della violenza domestica e la lotta di Steven per superare le sue esperienze traumatiche, Non dimenticate Steven è una lettura veloce e avvincente che tiene il lettore sulle spine dall’inizio alla fine.

Uno sguardo interessante e profondo nella vita di Steven e in cosa si prova a subire abusi... questo libro mi è piaciuto davvero molto, vorrei leggerlo di nuovo.

LinguaItaliano
Data di uscita12 mag 2022
ISBN9781774682869
Non dimenticate Steven
Autore

P.D. Workman

P.D. Workman is a USA Today Bestselling author, winner of several awards from Library Services for Youth in Custody and the InD’tale Magazine’s Crowned Heart award. With over 100 published books, Workman is one of Canada’s most prolific authors. Her mystery/suspense/thriller and young adult books, include stand alones and these series: Auntie Clem's Bakery cozy mysteries, Reg Rawlins Psychic Investigator paranormal mysteries, Zachary Goldman Mysteries (PI), Kenzie Kirsch Medical Thrillers, Parks Pat Mysteries (police procedural), and YA series: Medical Kidnap Files, Tamara's Teardrops, Between the Cracks, and Breaking the Pattern.Workman has been praised for her realistic details, deep characterization, and sensitive handling of the serious social issues that appear in all of her stories, from light cozy mysteries through to darker, grittier young adult and mystery/suspense books.

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    Anteprima del libro

    Non dimenticate Steven - P.D. Workman

    1

    Steven restò fuori un momento prima di entrare. La casa era tranquilla, niente urla, né musica alta o TV a tutto volume che si sentiva da fuori. La moto di Jack e la macchina di Russ erano entrambe parcheggiate nel vialetto, quantomeno erano a casa. Cominciava a far buio fuori e Steven si trovò di fronte il suo riflesso nel vetro della porta prima di aprirla. Era alto per la sua età, troppo magro, un cespuglio di capelli neri un po’ troppo lunghi e indisciplinati e occhi scuri che a volte lo coglievano di sorpresa per la loro intensità quando si guardava di sfuggita. Steven respirò lentamente, in modo deciso aprì la porta ed entrò.

    Non importava che entrasse dalla porta principale o da quella sul retro, e lui usava sempre il retro, doveva attraversare il soggiorno per raggiungere l’ingresso delle camere da letto, il che significava che era sempre esposto per qualche secondo almeno, mentre costeggiava il soggiorno prima che potesse raggiungere la sicurezza della sua stanza. Steven camminava silenziosamente sul pavimento appiccicoso della cucina nelle sue logore scarpe da ginnastica, scrutando nervosamente il soggiorno. Il bagliore del televisore riempiva la stanza con una luce tremolante e bluastra e una musica drammatica. Non si trattava di un film violento o aggressivo, era qualcosa di più tranquillo, probabilmente una specie di porno. Non poteva vedere la sedia di Russ dalla cucina, ma poteva vedere Jack sul divano, impegnato a pomiciare con una ragazza. Quello era un buon segno. Se entrambi avevano la ragazza, probabilmente avrebbero lasciato in pace Steven. Il profumo scadente della ragazza scivolò fino in cucina, facendogli venir voglia di vomitare.

    Steven deglutì e abbassò gli occhi sulle sue scarpe bucate e consumate mentre camminava svelto attraverso la stanza. Sperava che se i loro sguardi non si fossero incontrati, non avrebbe attirato l’attenzione, sarebbe rimasto discreto. Sperava soltanto che avrebbero continuato quello che stavano facendo, lasciandolo da solo.

    Aveva funzionato. Non sapeva mai quando avrebbe funzionato e quando la stanza sarebbe esplosa attorno a lui. Entrò in punta di piedi nella sua stanza e chiuse la porta con un morbido click.

    Steven respirò e scaricò i libri di scuola sul letto, sentiva battere il suo cuore. Si diresse verso il comò, aprì un cassetto e tastò in fondo la bottiglia sotto le camicie. Svitò il tappo e si distese sul letto, strappando un tascabile dai libri e chiudendo fuori il resto del mondo.

    Leo rimase a guardare la porta di Steven in attesa che uscisse. Era in ritardo, come al solito. Quando il ragazzo alto e magro finalmente si trascinò fuori, erano già in ritardo di mezz’ora per la scuola. Steven aveva degli occhiali scuri e i libri sotto al braccio.

    Ehi, lo salutò a stento.

    Ehi, Stevie. Che c’è? chiese Leo, scuotendo i capelli, più lunghi e più chiari di quelli di Steven.

    Niente, disse Steven alzando le spalle. Come va?

    Bene, a parte il fatto che sei di nuovo in ritardo, gli fece notare Leo.

    Toccò gli occhiali da sole di Steven spingendoli verso il basso in modo da vedere i suoi occhi. La luce del sole fece strizzare gli occhi a Steven che si riparò con la mano. Ehi, Leo!

    Leo annuì. Postumi di una sbornia, vero?

    Steven fece spallucce. Sì, credo, concordò dolorosamente, tirando nuovamente su gli occhiali.

    Faremmo meglio ad andare a scuola.

    Steven annuì e s’incamminarono.

    Steven si trascinò dentro l’aula di scienze e crollò sul banco. Il professor Bennett interruppe la sua lezione e guardò Steven sedersi.

    Sei in ritardo, McCoy gli fece notare.

    Lo so, concordò Steven, mettendo i libri per terra.

    La lezione è quasi finita. Hai una giustificazione? chiese.

    No. Quando mai aveva portato una giustificazione da casa?

    Perché sei in ritardo? chiese Bennett, con una nota di frustrazione nella voce.

    Ho dormito fino a tardi, disse Steven piattamente.

    C’erano risatine per tutta l’aula. A Steven non importava cosa pensavano di lui gli altri studenti. Potevano ridere di tutto quello che gli pareva.

    Sei arrivato in ritardo a questa lezione troppe volte, continuò Bennett. Hai mai pensato di lasciar perdere?

    Steven fece spallucce.

    Parlerò con te più tardi, disse Bennett, scuotendo la testa e tornando dietro la cattedra per continuare la lezione.

    Steven mise la testa tra le braccia, piegato sulla scrivania. Chiuse gli occhi e ascoltò l’insegnate dilungarsi.

    La campana lo fece trasalire dal suo pisolino troppo presto. Si mise a sedere, si stiracchiò. Guardò il signor Bennett per capire se sarebbe stato trattenuto dopo la lezione. Bennett era occupato a cancellare la lavagna, non prestava attenzione a Steven che raccolse i libri e andò alla lezione successiva.

    L’aria della mensa era densa dell’odore di grasso e del brusio di un centinaio di conversazioni. Steven era seduto in uno dei tavoli lunghi, in disparte, i gomiti sul tavolo; il panino tra le mani stava chiaramente attirando la sua completa attenzione. Sasha si avvicinò e si sedette di fronte a lui posando i libri.

    Ciao Stevie.

    Steven guardò la faccia allegra da folletto di Sasha, incorniciata dai capelli rossi lunghi fino alle spalle. Ehi, Sash, la salutò con la bocca piena.

    Che servono oggi?

    Steven alzò le spalle dando un altro morso al panino. Sasha lo guardò mangiare per un minuto, la sua mascella lavorava alacremente, i suoi occhi azzurri e luminosi brillavano.

    Ti basterà? chiese lei.

    Deve bastare, precisò Steven. Sasha sapeva che non aveva soldi per comprare qualcos’altro, non aveva cibo da portarsi da casa. Il programma di refezione della scuola forniva solo razioni limitate e non comprendeva nessuno dei pasti caldi che la mensa preparava, di cui gli odori restavano fastidiosamente nell’aria.

    Vado io a prenderti qualcosa, se vuoi, si offrì Sasha.

    Come vuoi, Steven acconsentì con una scrollata di spalle.

    Non era molto orgoglioso di prendere del cibo da un amico. Dopotutto, il pranzo era spesso l’unico pasto che mangiava in tutta la giornata. Sasha annuì e si avvicinò al bancone.

    Un ragazzo biondo, con la faccia larga e rosea era seduto lì accanto, Steven non lo conosceva. Il ragazzo lo esaminò, prendendosi gioco di lui. Lasci che la tua ragazza ti compri il pranzo? chiese arricciando le labbra.

    Steven fu sorpreso dall’interruzione. Esaminò il ragazzo, squadrandolo. Il ragazzo non era particolarmente grosso o ben piazzato. Steven sapeva che i ragazzi magri e asciutti potevano essere forti, come Russ, ma lui sembrava debole.

    Proprio così, concordò Steven con voce piatta e controllata.

    Non hai alcun orgoglio?

    No.

    Patetico.

    Steven mise in bocca l’ultimo boccone di panino e si alzò. Attorcigliò le dita tra i capelli biondi e arruffati del ragazzo e con forza lo mise in piedi. Hai finito?

    Il ragazzo lottava, ma finiva solo col farsi ancora più male. Lasciami andare! insisteva.

    Non credo proprio, disse Steven con calma. Non mi piaci.

    Dai, amico! Stavo solo scherzando! protestò, soffocando una debole risata.

    Steven strattonò a scatti la testa del ragazzo. Non ho senso dell’umorismo. Capito? domandò cercando di mantenere la voce bassa e uniforme.

    Sì, scusa amico, lasciami andare! squittì il ragazzo.

    Steven lasciò lentamente la presa. L’altro reagì, poi si precipitò in avanti oscillando. Steven si guardò intorno mentre restava immobile e tratteneva la furia. Il suo istinto si era rivelato giusto, il preside stava entrando nella stanza. Era leggermente sovrappeso, un po’ calvo e indossava un completo marrone apparentemente scomodo e che proprio non gli donava. Steven guardò l’altro ragazzo.

    Perché non ti arrendi?

    Sei anche vigliacco? lo derise il ragazzo, la sua faccia rosa ora era rossa di rabbia.

    Steven trattenne un altro pugno. Il ragazzo gli girava attorno più vicino.

    Dai, combatti! Sei una femminuccia, pappamolle? lo scherniva freneticamente. La tua ragazza si batte anche per te?

    Steven indietreggiò. Il ragazzo stava per saltargli addosso quando il preside mise una mano sulla sua spalla per fermarlo.

    Hai ingaggiato qualcun altro per combattere al posto tuo! disse il ragazzo incredulo. Si irrigidì e si voltò per combattere, vide chi era e abbassò i pugni, il colore defluì dalla sua faccia.

    Penso che tu abbia appena vinto una sospensione, annunciò con tono grave il preside. Va nel mio ufficio, ti raggiungo fra poco.

    Il ragazzo guardò di nuovo Steven. Non finisce qui, mettendolo in guardia.

    Steven annuì. L’altro ragazzo uscì infuriato dalla mensa. Il preside studiava Steven, e poteva sentire l’odore stantio di sigaretta sui suoi vestiti. Di nuovo nei guai, McCoy.

    Non stavo facendo a pugni. Lui sì, precisò Steven.

    Forse questa volta, perché mi hai visto arrivare.

    Steven alzò le sopracciglia e si sedette al tavolo a mangiare gli avanzi del pranzo dell’altro ragazzo. Quindi, che ho fatto? chiese.

    Ho sentito che sei arrivato di nuovo in ritardo oggi.

    Che altro c’è di nuovo? Steven prese il panino e gli diede un grosso morso.

    Non farai niente di buono qui se sei sempre in ritardo. So che sto parlando da solo, ma vorrei poter fare qualcosa per convincerti dell’importanza della scuola disse il preside con tono serio.

    Vengo, no? replicò Steven.

    Forse sì, ammise il preside. Ma non sono sicuro del perché. Non credo tu stia imparando niente. Devi fare molto di più che venire a scuola per prendere il diploma.

    Mi sta sospendendo? chiese Steven.

    Non questa volta, sospirò l’uomo.

    Mi sta espellendo? insistette Steven rilanciando.

    Sai che non potrei farlo senza una buona ragione.

    Allora, se non le dispiace, disse Steven con tono irritato, vorrei mangiare il mio pranzo così arriverò puntuale alla mia prossima lezione.

    L’uomo lo guardò in silenzio per un momento. Steven era impassibile, mangiando avidamente il panino. Il preside si girò per andarsene.

    Ti tengo d’occhio, McCoy, lo avvertì.

    La tengo d’occhi anche io, disse Steven ironicamente.

    Il preside sorrise sarcasticamente, scosse la testa e s’incamminò verso l’ufficio.

    Steven stava ancora facendo fuori le patate fritte dell’altro ragazzo quando Sasha tornò.

    Cos’era tutta quell’agitazione? chiese con un sorriso a trentadue denti. "Che hai fatto per far andare Potter fuori di testa?

    Si chiama così? disse Steven con distrattamente.

    Già, non sapevi nemmeno chi fosse? disse incredula.

    Certo, ha detto: ‘Ciao, sono Potter, e ti sto per spaccare la faccia’.

    Va bene, okay. Ho dato per scontato che vi conosceste, ecco tutto. Di solito non faccio a pugni con le persone che non conosco.

    Già, be’, io faccio a pugni praticamente con tutti, rispose Steven. È un tipo apposto, visto che lo consoci bene?

    Non lo conosco, chiarì Sasha. So solo il suo nome. È un tipo abbastanza duro, immagino, ed ha un sacco di amici.

    Be’, anche io ho degli amici, disse Steven, sebbene la sua cerchia di amici era abbastanza ristretta a Leo e Sasha. E Sasha non era una che faceva a botte.

    Sasha porse a Steven una mela e una ciotola di zuppa. Qualcosa di buono per te.

    Grazie, disse, prendendoli immediatamente.

    Sasha si sedette. Si chinò più vicino a lui e gli prese la mano. Steven si ritrasse dal suo tocco. Sasha tolse lentamente la mano, osservandolo.

    Sai, sono davvero preoccupata per te ultimamente... iniziò, poi si fermò mordendosi il labbro e guardandosi le mani sottili.

    Perché? chiese Steven, scuotendo la testa. Tolse il coperchio del contenitore di polistirolo e inspirò avidamente il profumo dolce e piccante.

    Be’, sai... la situazione a casa, e il tuo bere così tanto... s’interruppe grattando un pezzo di cibo pietrificato attaccato al tavolo.

    Steven si guardò intorno e si chinò verso di lei. Sasha! Non c’è bisogno di renderlo pubblico! protestò con un brontolio a voce bassa.

    Ma sono preoccupata, insistette Sasha, guardandolo negli occhi. Steven guardò la zuppa, mangiandola a cucchiaiate più veloce che poteva senza scottarsi.

    Non è cambiato niente, disse. Perché parlarne adesso?

    È sempre peggio.

    Non è così male, la rassicurò.

    Invece sì. Ho paura che un giorno verrò a scuola e tu non ci sarai. Mai più.

    Non succederà.

    Le sue orecchie erano in fiamme e continuava a fissare intensamente la zuppa.

    Anche Leo è preoccupato, aggiunse Sasha.

    Niente preoccupa Leo, disse Steven sprezzante.

    Tu sì. Ogni volta che ti aspetta all’angolo e tu sei in ritardo—

    Finiscila, insistette Steven , guardandosi intorno per assicurarsi che nessuno stesse ascoltando. Ma Sasha ebbe un impeto e continuò.

    Abbiamo sempre paura che tu sia in ospedale, o a casa privo di sensi o svenuto—

    Sasha, disse, con voce molto bassa ma intensa. Piantala.

    Sasha smise di parlare. Steven continuò a mangiare. Alzò lo sguardo verso il suo viso dopo qualche minuto di silenzio. Il suo solito sorriso scherzoso non c’era più, gli occhi erano tristi.

    Che cosa vi aspettate che faccia? chiese irritato. Che scappi di casa? Come può la vita per strada essere migliore? Cosa ti aspetti che faccia?

    Parla con qualcuno, suggerì Sasha. Un professionista. E smettila di bere.

    Vedere uno strizzacervelli o un assistente sociale e restare a secco. Già, questo sì che migliorerà la mia vita. Rise amaramente. Steven si allontanò dal tavolo, la zuppa era finita. Afferrò la mela pronto ad andarsene. La mia vita è un casino, ma non c’è modo di sistemarla.

    Sasha era silenziosa, le lacrime agli occhi. Steven la guardò, inclinò leggermente la testa graffiando la base del cranio. Senti, so che stai solo cercando di essere d’aiuto, Sash, ma credimi, se potessi fare qualcosa per migliorare la situazione, lo farei. Ma io sono più o meno una causa persa, quindi non parliamone più.

    Sasha sospirò. Non sei una causa persa. Insistette.

    Steven si alzò dal tavolo.

    Steven era indeciso se passare più tempo con Leo o tornare a casa. Odiava dover lasciare i suoi amici così presto, ma sapeva anche che se fosse tornato a casa troppo tardi non ci sarebbe stato modo di evitare le conseguenze. Se fosse tornato a casa in tempo, almeno sarebbe potuto andare in camera sua a bersi la serata in solitudine. Non gli piaceva bere davanti ai suoi amici – soprattutto dopo la breve lezione di Sasha. Leo lo colse di nuovo a guardare l’orologio del centro commerciale, e sconsigliò di andare a casa.

    Dai, amico. Puoi restare a dormire da me, lo invitò Leo. O da Sasha, disse, dandogli una gomitata maliziosa e incoraggiando il suo nome alzando le sopracciglia. Non c’è bisogno che torni a casa stasera.

    No... protestò Steven. Devo andare a casa.

    Quanto durerà ancora la tua fortuna? chiese Leo alzando le mani. Resta da uno di noi questa volta.

    Non posso, Leo. Ho un sacco di compiti da fare stasera, Steven guardò l’orologio. Devo tornare a casa.

    È la tua vita, sospirò Leo, arrendendosi.

    La mia vita incasinata, ammise Steven nella sua testa, ma non lo disse a voce alta.

    Va bene... ci vediamo domani.

    Le auto di tutti erano in strada o davanti la casa. Steven guardò il cielo striato d’arancio e le ombre crescenti, un nodo stretto allo stomaco.

    I quattro uomini erano in soggiorno. Nessuna ragazza questa volta, parecchie lattine vuote e schiacciate sparse per il pavimento e l’odore stantio di sudore e birra che impregnava la casa. Dix era seduto di traverso su una sedia, le gambe avvolte dalle braccia. Il suo sguardo vagava lontano dalla TV. Fu il primo a vedere Steven che faceva capolino da dietro la porta. Fece a Steven un mezzo sorriso divertito. Dix aveva capelli neri, corti con un taglio punk, un pizzico di barba incolta, e occhi azzurri come il cielo. Steven si chiedeva spesso a cosa pensasse. Dix era il più giovane, più vicino a Steven di età rispetto agli altri, ma Steven non poteva dire quando stava per essere decente con lui o quando si sarebbe unito agli altri negli abusi. A volte gli occhi di Dix erano lontani, distanti, come se stesse sognando qualcosa che nessun altro poteva vedere.

    Accanto a Dix c’era Jack. Solo guardandolo Steven aveva dovuto ingoiare la sua paura, un grosso grumo gli bruciava in gola. Jack era quasi tanto cattivo quanto Russ. Era sempre di buon umore, rideva di tutto; quella risata beffarda e crudele, come se la cosa più divertente del mondo fosse qualcuno che si faceva male. I suoi erano

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