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Something About You: Edizione italiana
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E-book288 pagine3 ore

Something About You: Edizione italiana

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Info su questo ebook

Kason e Shay non potrebbero essere più diversi. Lui è considerato un dio, una superstar dello snowboard, un vincitore, lei una secchiona un po' sfigata che pensa solo a studiare.
Le loro vite cambieranno e i loro destini saranno legati in modo indissolubile grazie alla musica che Kason ascoltava a volume esagerato, a un finto ricatto e alle ripetizioni di fisica date nell’angolo più nascosto della biblioteca.

Dicono che ci sia un motivo per cui le persone entrano nella nostra vita.
Cosa succede quando quella persona è l’opposto di quella che vorresti…
Ma esattamente ciò di cui hai bisogno?


Kason
Sono quello che potreste definire un dio, una superstar, un vincitore.
Il mio scopo nella vita è essere uno snowboarder professionale.
So esattamente come ottenere ciò che voglio e sono bravo a fare ciò che faccio.
Sono alla Cranmore University solo per accontentare i miei genitori.
Se voglio riuscire a laurearmi però dovrò passare fisica.
Dato che la bocciatura non è un’opzione, ricattare una nerd che mi odia è la mia unica possibilità.

Shay
Sono quella che voi definireste una secchiona, una nerd, una perdente.
E non m’importa.
Io so chi sono.
So quali sono le mie origini.
E so qual è il mio obbiettivo.
Per questo sono alla Cranmore University.
Per laurearmi e iniziare la mia vita.
Ma il mio piano viene rapidamente messo a repentaglio grazie a un video sconveniente, a uno snowboarder ricattatore e alla sua ex che sembra voler rendere la mia vita un inferno.
LinguaItaliano
Data di uscita10 mag 2022
ISBN9791220703000
Something About You: Edizione italiana

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    Anteprima del libro

    Something About You - J. Nathan

    1

    SHAY

    M’incamminai in fretta lungo il corridoio del terzo piano, trascinando un enorme contenitore di plastica con una mano e una scatola di cartone in equilibrio nell’altra. Avrei potuto lasciare lo scatolone fuori dal dormitorio dove mi si era fermato l’Uber ma, da dove vengo io, è meglio non perdere di vista le proprie cose o qualcuno le reclamerà come sue. La scatola mi scivolò di mano e si schiantò sul pavimento, mentre il contenuto finiva sparso a terra mi lasciai sfuggire un lamento.

    «Sta’ attenta,» se ne uscì la ragazza con cui mi ero appena scontrata, senza nemmeno fermarsi un istante per aiutarmi a raccogliere la mia roba.

    La guardai allontanarsi. Fianchi ondeggianti, pantaloncini decisamente corti e capelli ondulati alla perfezione che le sfioravano il sedere. Mi dissi che quel tipo di persona, alla Cranmore University, avrei dovuto evitarla.

    Come se mi avesse appena letto nel pensiero, per una frazione di secondo, mi lanciò un’occhiataccia. Ovvio che fosse bellissima. Perché le più cattive sono sempre le più belle?

    «Sfigata,» borbottò, scomparendo in una stanza sulla destra.

    Mi sistemai gli occhiali, che mentre mi inginocchiavo sul pavimento mi scivolarono subito sulla punta del naso. Mi guardai attorno. Nonostante le porte aperte e la musica accesa, il corridoio era vuoto. Afferrai la fotografia incorniciata di me e mia madre, facendo attenzione a non guardarla troppo a lungo. Quella doveva essere una bella giornata, un nuovo inizio. Non c’era bisogno di farsi intristire dai ricordi. La infilai nella scatola e recuperai in fretta i miei trofei delle varie competizioni accademiche da terra. Il fatto di esserne così orgogliosa mi imbarazzava.

    «Permesso…»

    Alzai lo sguardo e mi trovai di fronte a una bella ragazza bruna e ai suoi genitori, che cercavano di superarmi, gli scatoloni stretti tra le braccia.

    «Oh, scusate,» borbottai spostando le mie cose da un lato per farli passare.

    «Ti serve una mano?» mi domandò il padre, con lo sguardo colmo di compassione.

    Abbassai la testa e borbottai: «Ce la faccio.»

    Senza insistere, entrarono nella stanza della figlia e io finii di sistemare i miei quaderni, il portatile che avevo preso usato, per cui ero riuscita a mettere da parte abbastanza soldi – sperai che funzionasse ancora – e altro materiale scolastico.

    Mi alzai in piedi e passai in rassegna i numeri delle stanze fino a trovare la 333, sul lato destro del corridoio. Afferrai la scatola di plastica e m’incamminai per poi fermarmi di colpo sulla soglia. La famiglia che mi aveva appena superata si affrettava a svuotare le valigie e a sistemare la stanza.

    «Ehi,» disse il padre con un sorriso. «Ci vediamo di nuovo.»

    Forzai un sorriso e spostai lo sguardo sulla ragazza bruna, che compresi essere la mia coinquilina: Kendall. Le sue foto online non le rendevano giustizia. Sembrava una modella, forse lo era. Aveva gli occhi grandi, due lunghe trecce scure ed era alta almeno un metro e settanta. Aveva un corpo atletico e sembrava sorpresa quanto me. Ci eravamo scambiate qualche messaggio, e presto c’eravamo rese conto di non avere niente in comune. Lei sarebbe entrata in una confraternita femminile, io avrei fatto volontariato nel laboratorio di fisica ogni pomeriggio. «Ciao, Kendall.»

    Il suo sguardo si ammorbidì. «Shay?»

    Annuii e feci del mio meglio per sembrare super eccitata, come tutte le altre matricole, all’idea di iniziare la vita universitaria. Non fraintendetemi, ero felice di vivere da sola e ricominciare da capo. Ma non come sembravano esserlo gli altri. Loro sembravano interessati a feste e notti in bianco da trascorrere con gli amici. Io vedevo solo la libertà, un po’ di sollievo dallo stress quotidiano e dall’ignoto.

    «Cos’è successo in corridoio?» mi domandò la mamma di Kendall. «La scatola si è rotta?»

    «Non è stata una buona idea.»

    Lanciò uno sguardo sia alle mie scatole. «Vuoi che ti aiutiamo con il resto delle tue cose?»

    Arrossii. «Ho solo queste.»

    «Oh,» fece lei, improvvisamente a disagio quanto me.

    «Sono a bassa manutenzione,» scherzai. «Ho bisogno di poco per sopravvivere.» Sperai di non aver appena insultato la mia nuova compagna di stanza, che aveva il triplo delle mie cose.

    Il padre di Kendall sorrise. «Lo dico sempre a Kendall: less is more

    Kendall alzò gli occhi al cielo e mi guardò. «Il fatto che tu sia una minimalista è un bene. Altrimenti dove la metterei tutta la mia roba?» Sorrise e io pensai che forse avere una compagna di stanza che era il mio opposto, sarebbe stato meglio che averne una fissata con la scuola e il successo, proprio come lo ero io.

    «Kendall ci ha detto che vieni dal Colorado,» disse la madre, mentre le faceva il letto.

    «A circa mezz’ora da qui.»

    «Volevi rimanere vicina a casa?»

    Assolutamente no. «È che ho vinto una borsa di studio completa.»

    «Una borsa di studio completa?» mi domandò Kendall. «Non lo sapevo! Che cosa studi?»

    «Biochimica.»

    Lei sgranò gli occhi. «Oddio, quindi potrai aiutarmi con i corsi di scienze!»

    «Ma certo.»

    «Sembra l’inizio di una grande amicizia,» concluse suo padre.

    Quando guardai Kendall, mi aspettai di incrociare uno sguardo sarcastico, invece stava sorridendo. «Anche a me.»

    Mi sentii invadere dal sollievo. Mi dissi che nonostante il pessimo inizio con la ragazza in corridoio, sarebbe potuto diventare un bellissimo primo anno di college.

    Il basso di una canzone rap face vibrare la nostra parete. Mi ero tappata le orecchie con le cuffiette ore fa. Avevo provato a dormire con il cuscino sulla testa, ma niente era riuscito ad annullare il suono o le vibrazioni del muro. Guardai il telefono. Erano le due del mattino, cavolo. Ora, non che fossi contraria al divertimento altrui. Lo capivo. Eravamo al college. Era la prima volta che molti di noi vivevano da soli. Ma le lezioni sarebbero cominciate di lì a poche ore. I miei corsi iniziavano alle sette, l’indomani non sarei mai stata in grado di carburare. Forse nemmeno si rendevano conto di quanto fossero rumorosi. Lanciai un’occhiata a Kendall, che dormiva profondamente. Come un sasso.

    Quando la canzone finì, delle risate attraversarono il muro. Sospirai. Con solo risate e vociare non avrei avuto problemi a dormire. Ma ben presto ricominciò la musica.

    Adesso basta!

    Scostai il mio piumone consumato e arrancai fino alla stanza accanto. Non volevo fare la guastafeste, ma era tardi e avevo bisogno di dormire. Picchiai sulla porta con il pugno, forte, in modo che mi sentissero al di sopra della musica. Rimasi in attesa. In corridoio il volume sembrava ancora più alto. Possibile che non desse fastidio a nessuno?

    La porta si scostò e la bionda con cui mi ero scontrata al mio arrivo mi guardò, indossava solo una maglietta. «Che vuoi?» sbottò.

    «Potete abbassare la musica, per favore? Ho lezione alle sette e ho veramente bisogno di dormire.»

    «No.»

    Incrociai le braccia. «No?»

    «No,» ripeté lei, poi studiò il mio pigiama. «Davvero usi un pigiama intero?»

    Abbassai appena lo sguardo su ciò che stavo indossando. «Sì.»

    Lei scoppiò a ridere. «Oh. Mio. Dio.»

    «Cosa?» domandò il ragazzo in boxer che era con lei, aprendo tutta la porta. «Oh.»

    Wow. I suoi capelli scuri e arruffati, il petto nudo e il braccio tatuato, per un attimo mi fecero girare la testa. Non ero mai stata tanto vicino a un ragazzo seminudo… per non parlare di quanto fosse bello.

    I suoi occhi blu indugiarono sul mio pigiama rosso. «È piuttosto insolito.»

    «Sentite, potete abbassare la musica?» domandai, sperando di fare appello alla sua razionalità.

    «Siamo al college, piccoletta,» mi rispose.

    Aggrottai le sopracciglia. «Piccoletta?»

    Ridacchiò, lo sguardo sul mio pigiama. «Ti si addice…»

    «A voi invece si addicono le parole stronzi egoisti, direi, ma non ve l’ho detto. Vi ho chiesto gentilmente di abbassare la musica.»

    «Ci hai davvero appena chiamati stronzi?» domandò la bionda perfida.

    «Eh sì,» fece lui, prima di incrociare il mio sguardo. «Vattene, secchiona. Ci hai interrotti. E se c’è un comportamento egoista, è interrompere qualcuno.» E senza il minimo segno di rimorso, mi sbatté la porta in faccia.

    Rimasi nel corridoio deserto in silenzio, con le guance che scottavano. Perché avevo provato a ragionare con loro? Non c’era niente di peggio delle persone che credono di poter fare tutto ciò che vogliono.

    Eppure…

    La musica continuò martellante finché non uscii alle sei e mezza per la mia prima lezione. Sembravano volermi dire che non avevano intenzione di darmela vinta.

    Ottimo.

    2

    SHAY

    La mia lezione di matematica delle sette sarebbe stata un indicatore del livello di impegno richiesto dalla Cranmore, ed ero prontissima. Mi sedetti in prima fila con il computer completamente carico e il cervello pronto ad assorbire ogni minima informazione che il professor Raymond avrebbe dispensato. Vivo per la scienza e per la matematica. Non mi stanca mai, l’ho sempre trovata stimolante. Una sfida che non vedevo l’ora di cogliere.

    «Come hai dormito?»

    Mi voltai di scatto.

    Lo stronzo della porta accanto scivolò sulla sedia accanto alla mia, sorridendomi presuntuoso.

    Nonostante il suo profumo fosse invitante, raccolsi le mie cose e saltai giù dal mio posto. «Scordatelo.» Mi diressi verso il lato opposto della stanza, mi sedetti accanto a una ragazza che scriveva sul portatile. Non me ne sarei mai stata accanto a lui per tutto il semestre. Non dopo aver avuto prova di cosa si celasse sotto il suo bell’aspetto.

    «Bene, signore e signori.» Il professor Raymond entrò in classe e lasciò cadere la sua valigetta sulla cattedra. «Benvenuti al corso di Fisica 1. Se siete nel posto sbagliato vi conviene scappare presto o vi ritroverete all’Inferno.»

    Ridacchiai, ma qualcuno se ne andò per davvero.

    L’ora successiva la trascorsi sentendomi nel posto giusto, ad ascoltare termini che mi erano familiari e conoscenze di cui non potevo fare a meno.

    «Ci vediamo mercoledì,» disse il professor Raymond, spegnendo il proiettore. «Mi raccomando, leggete da pagina venti a pagina cinquanta. All’inizio della lezione vi sottoporrò a una breve verifica, quindi siate puntuali.»

    Tutti raccolsero le proprie cose e si avviarono verso la porta. Io mi presi il mio tempo e indugiai al banco per poter parlare con il professore. Quando mi avvicinai a lui, in classe non c’era più nessuno. «Professor Raymond?»

    Alzò lo sguardo dal telefono. Da vicino sembrava più giovane. Il grigio nella sua barba sembrava indicare che avesse tra i trentacinque e i quarant’anni. «Sì?»

    «Sono Shay Miller.»

    Un sorriso gli illuminò il volto. «Lei è la signorina Miller?»

    Annuii.

    «Mike Wilson mi ha chiamato per parlarmi di lei.»

    Sorrisi, Mike Wilson era il mio insegnante di fisica del liceo.

    «Mi ha detto che era interessata a fare volontariato, magari in laboratorio o qualcosa del genere.»

    «Sì! Fare ricerca è il mio sogno. Spazzerei anche i pavimenti pur di mettere piede in laboratorio.»

    Il professore si mise a ridere. «Per quello ci sono i custodi.»

    «Giusto.»

    «Mi faccia pensare,» iniziò, «sono sicuro di poterle trovare qualcosa.»

    «Fantastico,» risposi. Per la prima volta ebbi la sensazione di trovarmi nel mio posto.

    Quella notte mi svegliai di soprassalto. L’incessante bussare alla porta mi fece arrivare il cuore in gola. Perlustrai la stanza buia. Il letto di Kendall era vuoto. Mi dissi che forse aveva dimenticato il codice della porta. Inforcai gli occhiali e lessi l’ora sulla sveglia: era mezzanotte. Scesi dal letto e aprii la porta.

    Lo stronzo se ne stava con la mano appoggiata allo stipite. «Ma sul serio?» mi chiese.

    «Cosa?» domandai, non avevo idea di cosa stesse parlando.

    «Tu che non vuoi sederti accanto a me

    Rimasi a bocca aperta. «Mi hai svegliato per questo?»

    «Sì.»

    «Sei davvero così egocentrico?»

    Lasciò cadere le braccia e le incrociò sul petto. «No.»

    «Sì, invece. Non riesci a credere che qualcuno non muoia dalla voglia di starti vicino.»

    «Non è vero.»

    «Allora perché diamine sei qui?!»

    «Perché ti stavo facendo un favore, sedendomi accanto a te e al tuo culo da secchiona.»

    «Culo da secchiona? È di uso comunque qui, o lo dite solo tu e i tuoi amichetti dalla mentalità ristretta?

    Posò gli occhi sul mio pigiama blu. «Ti si addice…»

    «Senti, siccome mi sembra che tu faccia fatica a comprendere… vediamo se capisci questo.» Gli sbattei in faccia la porta.

    Mi aspettavo che si mettesse a bussare, a gridare. Che facesse in modo che la stronza arrivasse a coprirgli le spalle, invece… Tornai a letto e chiusi gli occhi, provai a non pensare al ragazzo che mi aveva appena svegliato.

    All’improvviso, dalla stanza accanto partì la musica a un volume ancora più alto rispetto a quello della sera precedente.

    Stronzo.

    3

    KASON

    Abbassai gli occhi sul telefono che trasmetteva un video assurdo di Ousterman che faceva un trick pazzesco. Quel tale era un cazzone, ma ci sapeva fare di brutto. Non che l’avrei mai ammesso con qualcuno. Soprattutto perché mi sarei battuto contro di lui a gennaio, agli XGames di slopestyle. A febbraio avevo passato le qualificazioni in Svizzera. Fino a ottobre sarebbe stato difficile allenarmi con lo snowboard, senza la neve.

    «Buongiorno,» disse il professor Raymond entrando di corsa, leggermente in ritardo per la lezione di fisica del mercoledì.

    Non che la cosa mi infastidisse. Nelle scienze facevo schifo. Ma, se volevo laurearmi entro l’anno successivo, mi sarei dovuto impegnare sul serio, ero stato già bocciato una volta.

    «Spero che siate riusciti a leggere le pagine che vi avevo assegnato perché, come promesso, ci sarà una piccola verifica.»

    I lamenti riempirono la stanza. Io mi voltai appena solo per sbirciare la reazione della secchiona, che sorrideva come una cretina. Davvero era così eccitata per una verifica? Dio, che tipa strana. Una cosa però dovevo concedergliela: dopo domenica sera non aveva più bussato alla porta di Cora. A parte le occhiaie scure dietro le lenti degli occhiali, sembrava che il rumore non la infastidisse più.

    «Troverete le domande nella vostra casella e-mail. Una volta finito, chiudete i portatili.»

    Meeeerda.

    Aprii il link e mi sentii subito male. Le pagine che ci aveva assegnato il professore non le avevo lette, ma in ogni caso non penso che avrei capito qualcosa. Avevo sempre fatto fatica a leggere. Da quand’ero bambino. Di solito però me la cavavo. Spesso usavo la funzione di lettura ad alta voce del documento, ma con fisica e matematica era inutile. Fissai lo schermo del computer e pregai di riuscire a fare qualcosa. Dopo una quindicina di minuti, però, capii solo che avrei dovuto abbandonare il corso. Volevo fare lo snowboarder professionista, non il fisico. Ma se non volevo essere ripudiato dai miei, mi sarei dovuto laureare. Era l’accordo che avevamo fatto molto prima che firmassi la sponsorizzazione con la Slopes, un marchio di attrezzature e abbigliamento per lo snowboard. Era l’unica ragione per cui mi continuano a pagare il corso di snowboard settimanale, sin da quando ho dieci anni. Il motivo per cui hanno assunto un allenatore per farmi lavorare anche nei fine settimana. Il motivo per cui mi hanno pagato le trasferte prima che intervenisse la Slopes.

    «Chiudete i portatili,» disse il professor Raymond.

    Il mio lo chiusi con un po’ troppo vigore e alcuni studenti si voltarono a guardarmi.

    «Bene. Ora parliamo della legge di Charles,» proseguì il professor Raymond. «Chi sa dirmi di cosa si tratta?»

    Mi guardai attorno, chiedendomi se qualcuno conoscesse la risposta. Io di certo non la sapevo. La mano della secchiona schizzò in aria.

    Il professor Raymond sorrise. «Ah, signorina Miller.»

    Signorina Miller? Già sapeva il suo nome?

    «Ci illumini.»

    «La legge di Charles afferma che il volume di un gas ideale è direttamente proporzionale alla temperatura assoluta.» Il professor Raymond aprì la bocca per parlare, ma la signorina Miller proseguì: «In una trasformazione isobara, ovvero in condizioni di pressione e quantità di sostanza costanti». Il professor Raymon ci riprovò, ma lei aggiunse: «A dire la verità ormai è noto che la legge si applica solo ai gas ideali.»

    «Non avrei saputo dirlo meglio,» riuscì infine a dire il professore. «Qualcuno sa da chi prende il nome la legge di Charles?»

    La mano della signora Miller scattò in aria. Mi guardai intorno: la sua era l'unica alzata.

    Raymond sorrise. «Signorina Miller?»

    «La legge deve il suo nome a Jacques Charles, che sperimentò come il volume dei gas dipendesse dalla temperatura. Sfortunatamente, però, non ebbe mai modo di pubblicare le sue ricerche.»

    La mia teoria secondo la quale la vicina di stanza di Cora era una secchiona sembrava essere vera. Appassionata delle scienze. Ottima combinazione. O perlomeno, lo era quando avevo bisogno d’aiuto.


    Shay


    Sistemai i libri nello zaino con la consapevolezza di aver superato la verifica. Me lo misi sulle spalle e m’incamminai verso la porta. Prima ancora di poter fare un passo verso il corridoio, la mia nemesi mi si piantò davanti con uno skateboard sottobraccio. «Spostati,» dissi.

    «No.»

    «Giuro che mi metto a urlare.»

    Lanciò un’occhiata al corridoio pieno di studenti che camminavano. «E per cosa vorresti chiedere aiuto, esattamente?» domandò. Fissò gli occhi blu nei miei. Contrastavano con la camicia nera che indossava.

    Strinsi i denti. «Per farti levare di mezzo.»

    «Sai quante ragazze mi vorrebbero in mezzo?»

    Non riuscii a trattenermi dall’alzare gli occhi al cielo. «Che cosa vuoi?»

    «Ci sono molte cose che voglio. La pace nel mondo. Una stella sulla Walk of Fame di Hollywood. Una medaglia d’oro per…»

    «Fai sul serio?» Sbuffai. Detestavo che mi stesse facendo perdere tempo con i suoi discorsi inutili. «Alcuni di noi vogliono semplicemente arrivare alla prossima lezione.»

    «Allora smettila di interrompermi. Ho bisogno del tuo aiuto.»

    Ridacchiai sarcastica. «Hai bisogno di qualcuno che ti riporti con i piedi per terra?»

    «Dico sul serio. A quanto pare capisci bene la fisica e ho bisogno di capirla anch’io.»

    Aggrottai le sopracciglia. «Esistono delle cose chiamate libri. Perché non ne apri uno?»

    I suoi lineamenti si fecero duri. «Dico sul serio, piccoletta.»

    «Non chiamarmi piccoletta,» sbottai.

    «Ho bisogno del tuo aiuto.»

    Mi feci sfuggire un’altra risata sarcastica dalle labbra. «Hai bisogno del mio aiuto?»

    «Sì,» rispose lui secco.

    «Cioè, fammi capire bene. Quanto ti ho chiesto

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