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E-book176 pagine2 ore

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Info su questo ebook

Entrare in casa ed essere colpiti alla testa forse non è il modo migliore per fare conoscenza, ma è senza dubbio il più originale, pensa il milionario Reuben Tyler mentre guarda la sua assalitrice, Lara Calla-way. Per fortuna, gli basta poco per dimostrare alla sua bella combattente in pigiama di flanella che lui non è un ladro, e che si trovano costretti a condividere la stessa abitazione solo per un malinteso. Però, impiegando bene il suo leggendario fascino, Reuben è convinto che quella vicinanza forzata potrebbe rivelarsi più piacevole del previsto.
LinguaItaliano
Data di uscita10 mar 2021
ISBN9788830526709
Destinazione: altare!

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    Anteprima del libro

    Destinazione - Scarlet Wilson

    978-88-3052-670-9

    1

    Lara cercò di soffocare i singhiozzi mentre la porta si apriva e il volto di Addison compariva sulla soglia.

    «Lara? Cosa diavolo...?»

    Lara non aspettò che finisse. Con la pioggia che le bagnava il volto e le scendeva giù per le spalle, trascinò dentro casa la pesante valigia. Una delle rotelle si staccò all'improvviso e finì dritta sul marciapiede di una delle più eleganti strade di Londra.

    Deglutì a vuoto, nel tentativo di allentare il nodo in gola. Quello era un buon riassunto della sua vita in quel momento.

    Addison la prese per il gomito e si chiuse la porta alle spalle. «Cosa c'è? Cos'è successo?»

    Lara sentì chiudersi lo stomaco. Odiava trovarsi in quella situazione, presentarsi in quel modo. Sapeva che Addison, anche se cercava di nasconderlo, era già abbastanza stressata senza che subentrassero ulteriori complicazioni. Negli ultimi mesi, mentre lavorava come tata per lei e suo marito Caleb, l'aveva vista spesso corrucciata, pensierosa.

    Trasse un profondo respiro. Era ancora sotto shock e le parole parvero uscirle fuori dal nulla. «Ho avuto un momento tipo Sliding Doors» mormorò, prima di scoppiare in lacrime.

    «Un cosa?» chiese Addison, confusa.

    Lara scosse il capo. «Sono tornata a casa prima del previsto» spiegò con voce tremula. «Ho preso il treno precedente a quello solito.»

    Questa volta fu Addison a trarre un profondo respiro. Poi si erse in tutta la sua statura. «E?» la incoraggiò.

    «E ho trovato Jason a letto con la vicina» rispose lei. Poi riprese a singhiozzare e Addison la guidò in cucina.

    «Mi dispiace, Addison» continuò. «So che stai partendo per le vacanze, ma non avevo altro posto in cui rifugiarmi. Ho messo la mia roba in valigia e me ne sono andata.»

    Addison accese la macchinetta del caffè. «Che bastardo. Come ha potuto? Hai pagato l'affitto in anticipo per... quanto? E ti fa una cosa del genere?» Aprì l'armadietto, prese due tazze, quindi si sedette su uno sgabello di fronte a Lara. «Cosa pensi di fare?»

    Lara ebbe un attimo di esitazione. «Mi spiace, Addison» si scusò di nuovo. «So che partite tra qualche ora. Questa non ti ci voleva proprio.» Benché Addison e Caleb Connor, dall'esterno, apparissero come una coppia perfetta, lei era certa che avessero dei problemi. Il loro bambino, Tristan, era il sogno di qualunque tata. Un ragazzino beneducato, solare, sempre col sorriso sulle labbra. Ma in famiglia c'era qualcosa che non andava. Addison, da qualche settimana, era stranamente taciturna e Caleb non c'era quasi mai. Lara aveva la sensazione che quella vacanza insieme sarebbe stata decisiva: la coppia si sarebbe riconciliata, o avrebbe rotto definitivamente.

    Mordicchiandosi il labbro, continuò: «Mi chiedevo... posso stare da voi per un po'? Giusto il tempo di sistemare le cose. Devo trovarmi un altro posto in cui vivere».

    «Certo che puoi» rispose Addison senza esitazione. «Non c'è alcun problema. Entro un paio d'ore io e Caleb saremo fuori di qui. Avrai la casa tutta per te e potrai pensare con calma a come muoverti per il futuro.» Premette due pulsanti della macchinetta del caffè e guardò Lara interrogativa. «Doppio?»

    Lei annuì.

    Addison schiacciò il tasto del caffè doppio per l'amica e decaffeinato per sé e, nel giro di un minuto, le tazze si riempirono. A quel punto prese due confezioni di sciroppo. «Zenzero o caramello?»

    «Vodka» gemette Lara. Anche se erano solo le tre del pomeriggio, dopo la giornata che aveva avuto avrebbe bevuto volentieri qualcosa di forte. «Caramello» disse dopo un attimo, indicando la confezione che Addison teneva nella mano sinistra.

    Dopo averle messo davanti la tazza, Addison la guardò dritto negli occhi. «Cosa intendi fare riguardo alla tua vacanza?» chiese.

    La vacanza. Certo. Lara appoggiò la fronte sul bancone. «Oh, no...»

    Addison allungò il braccio per stringerle brevemente la mano. «La aspetti da un anno, non lasciare che quel verme te la rovini. Te la meriti, quella vacanza. Ne hai bisogno. Dedica le prossime due settimane a chiarirti le idee, poi parti e goditi il sole. Rilassati. Scarica tutte le energie negative accumulate.»

    «Da sola?» mormorò lei. La vacanza che attendeva da mesi improvvisamente le appariva meno allettante. C'era qualcosa di stonato nell'andare in crociera da sola.

    Addison le rivolse uno sguardo d'acciaio. «Sì, da sola. Perché no? Non hai bisogno di un uomo per determinare chi sei nella vita. Hai risparmiato per quel viaggio. Vai e divertiti.» Terminò di bere il caffè e posò la tazza. «Ora, devo finire di preparare i bagagli. Stai bene?»

    Lara si mosse a disagio sullo sgabello. Doveva togliersi quegli abiti bagnati, e aveva lo stomaco in subbuglio, ma non voleva far preoccupare ancora Addison. La tensione che avvertiva in lei era quasi tangibile. In genere non era così diretta, segno che davvero qualcosa non andava.

    Tuttavia, non spettava a lei dirle qualcosa. C'era pur sempre un confine tra dipendente e datore di lavoro, e lei non lo avrebbe oltrepassato. La sua unica preoccupazione doveva essere Tristan, e da quel che vedeva il piccolo era felice e in salute. Qualunque cosa stesse accadendo tra i genitori, era qualcosa che dovevano risolvere loro.

    Sollevata, annuì di nuovo. «Per il momento no, ma presto starò meglio. Grazie, Addison. Ti prometto che mi prenderò cura della casa.»

    «Ne sono certa» ribatté l'altra con pacata sicurezza. «Non potrò telefonarti, né mandarti mail. Nel posto dove andiamo... non ci sono linee telefoniche e Internet.» Le rivolse un sorriso triste e seguitò: «Passerà, Lara. Non hai bisogno di lui. Quell'uomo non ti merita. È incredibile quanto sai essere forte, quando occorre». Sostenne il suo sguardo mentre aggiungeva: «Il mondo ha bisogno di gente in gamba e di buon cuore come te. Non abbatterti». Un breve cenno del capo e sparì nell'atrio.

    Lara inspirò a fondo, si guardò intorno nella cucina immacolata e appoggiò di nuovo la testa sul bancone.

    Aveva due settimane per tirarsi fuori da quel baratro. Perfetto.

    Era quasi mezzanotte. Reuben provò di nuovo a infilare le chiavi nella serratura e imprecò tra i denti.

    Forse non avrebbe dovuto bere quel drink extra, ma il suo volo aveva avuto un ritardo di sei ore, il jet lag si era fatto sentire e così aveva deciso di fermarsi a mangiare qualcosa prima di tornare a casa.

    Solo che il qualcosa da mangiare si era trasformato in qualcosa da bere. Il cibo da asporto non aveva mai un'aria appetitosa, per lui, e aveva scoperto che il pub sull'altro lato della strada smetteva di servire cibo alle sette. Così, aveva ordinato un drink. E un altro. E un altro ancora. Funziona in quel modo quando si guarda una partita di football in un pub. Dopo cinque minuti sei amico di tutti.

    La chiave finalmente entrò nella toppa. Reuben aprì la porta con la spalla, inciampò nel gradino e cadde sul duro pavimento di legno. L'atrio era così grande che il rumore echeggiò tutt'intorno.

    Si tirò su e, tenendosi addossato alla parete, cercò a tentoni l'interruttore della luce. Quando era stata l'ultima volta che era stato a casa di Caleb? Doveva essere più di un anno – e Addison non lo aveva accolto a braccia aperte. A quanto sembrava, non le andava molto a genio l'amico scapestrato di suo marito.

    Perché l'interruttore non collaborava? Sotto le dita, Reuben sentiva solo muro. Se non ricordava male, la cucina era sulla destra e il salone sulla sinistra, affacciato sull'elegante via londinese.

    Sospirando, si diresse verso il salone, con l'idea di allungarsi sul divano e guardare un po' di televisione.

    A metà strada, però, si raggelò. Cos'era stato quel rumore?

    Per un attimo trattenne il respiro. Caleb, Addison e il loro bambino dovevano essere in vacanza. L'amico gli aveva detto che poteva stare da loro per le prossime settimane, mentre riparavano il tetto di casa sua.

    Si mise di nuovo in ascolto.

    No. Niente.

    Lasciò cadere a terra la sacca, raggiunse la porta del salone e la aprì. Non sognava altro che sdraiarsi.

    Ma c'era qualcosa di sbagliato. Forse era per via del jet lag, ma i suoi sensi sembravano funzionare al rallentatore.

    Se fosse stato lucido, avrebbe notato subito il bagliore bluastro dello schermo sulla parete, la tovaglietta e la bottiglia di vino sul tavolo e la coperta sul divano. Il suo divano.

    Invece, registrò solo un lampo con la coda dell'occhio e un forte dolore sulla testa. Mentre cadeva vide qualcosa di rosa e bizzarro.

    Poi divenne tutto nero.

    Lara non riusciva a respirare. Aveva il petto serrato in una morsa e il cuore che batteva all'impazzata.

    Un attimo prima stava sonnecchiando sul divano, davanti alla televisione e il momento dopo udiva dei passi risuonare nell'ingresso. Era entrata subito in modalità allerta – anni di gialli in tv l'avevano preparata a evenienze del genere – e aveva afferrato il primo oggetto duro che le era capitato sotto mano. Era uno dei premi di Caleb e adesso giaceva rotto per terra, accanto al ladro vestito di nero.

    Prese il telefono e chiamò la polizia.

    «Emergenze, buonasera. Dica pure.»

    «C'è un ladro in casa mia» rispose, scossa. «L'ho colpito.»

    «Qual è il suo nome, signora?»

    «Lara. Lara Callaway.»

    «Può darmi il suo indirizzo, Lara?»

    «Diciassette di Crawford Street, Belgravia.»

    «Dov'è ora l'uomo, Lara?»

    Lei deglutì a vuoto. «Ai miei piedi.» Aveva chiamato la polizia, ma forse avrebbe dovuto chiamare un'ambulanza.

    «Che intende dire, Lara? È in pericolo?»

    Lara aveva la bocca asciutta. Non avrebbe dovuto bere tutto quel vino... «No, non credo. È svenuto. L'ho colpito alla testa.»

    «Senza correre rischi, può controllare se respira?» chiese l'operatore, parlandole con calma, lentamente. «Faccio venire anche un'ambulanza con la pattuglia.»

    Lara si inginocchiò e scrutò l'intruso. L'unica luce era quella dello schermo del televisore, ma riuscì a vedere che il petto si abbassava e si sollevava.

    Per essere uno che entrava di soppiatto nelle case altrui, quel tipo era davvero bello. Non aveva l'aria del malvivente. Il viso era abbronzato, i lineamenti virili.

    Mentre lo guardava, l'uomo gemette e lei saltò indietro.

    «Sì, sì, respira. Ma sta riprendendo conoscenza.»

    «Lara, vada in un posto al sicuro. La polizia è già per strada e arriverà entro due minuti. Tenga il telefono con sé. Possiamo continuare a parlare se è spaventata.»

    Lara arretrò sino a uscire dalla stanza, quindi raggiunse la porta d'ingresso. La testa cominciava a dolerle. Quella serata si stava trasformandosi in un incubo!

    Forse era colpa sua. Quella casa era splendida e si trovava in una via prestigiosa, non c'era da stupirsi che fosse a rischio intrusioni. Era dotata di un sistema d'allarme all'avanguardia, ma lei non lo aveva ancora azionato. Pensava di farlo prima di andare a letto.

    Mentre ragionava, un pensiero la colpì. Come aveva fatto a entrare, quell'uomo? La porta d'ingresso era chiusa e nessuna delle finestre sembrava essere stata forzata.

    Al di là dei vetri vide le luci lampeggianti dell'auto della polizia e trasse un sospiro di sollievo.

    Come avrebbe fatto a spiegare a Addison cos'era successo?

    Quello era il peggior jet lag che avesse mai avuto.

    «Signore, riesce ad aprire gli occhi? Sbatta le palpebre, per favore.»

    E perché il letto era così duro?

    «Signore?»

    «Yeow!» Qualcuno gli aveva punto la mano. Si tirò su di scatto, a dispetto del dolore pulsante alla testa, e si sentì vorticare tutto intorno. Una sensazione che non provava da quando lo aveva atterrato durante una partita di football, anni e anni prima.

    Piano piano, i pezzi cominciarono a incastrarsi. C'erano due poliziotti e due paramedici in camice verde – un uomo e una donna. E un'altra donna, con indosso un pigiama di flanella rosa e i capelli biondi raccolti disordinatamente sulla cima del capo. Sembrava una sorta di giocattolo gigante per bambine.

    Reuben si portò la mano alla nuca e trasalì. «Qualcuno vuole dirmi che cavolo sta succedendo?» disse. Poi si accigliò e puntò lo sguardo sulla donna in pigiama. «E chi diavolo sei tu?»

    La bionda assunse un'espressione indignata. Sembrava stesse cercando di individuare il suo accento – il suo irlandese diventava più stretto quando era arrabbiato. «Chi sono io?» gli rispose. «Chi sei tu? Sei entrato in casa mia! Hai forzato la serratura!»

    Uno dei poliziotti si fece avanti, ma Reuben alzò una mano a bloccarlo. «Aspetta un attimo... tu non sei Addison. Questa non è casa tua.» Poi si alzò e si spolverò i calzoni. «E non ho forzato un bel niente. Ho le chiavi...» aggiunse, tirando fuori di tasca il mazzo, «... perché dovrei stare qui per qualche settimana. Quindi, ripeto, chi sei

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