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Solo per amore
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E-book444 pagine6 ore

Solo per amore

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Info su questo ebook

Per Bryan, Melissa è solo la sorellina del suo migliore amico. Quando, dopo alcuni anni, i due si rincontrano, lei però non è più una bambina, se non agli occhi della sua famiglia. Tra ostacoli che sembrano insormontabili, piccole e grosse bugie, Melissa e Bryan riusciranno a vivere la loro storia d’amore?
di Milù Rui
Bryan Lewis e Melissa Wood hanno in comune una sola cosa, o meglio, una sola persona: Nathan Wood, fratello di Melissa e migliore amico di Bryan. 
Dopo alcuni di anni di lontananza, le loro vite tornano a incrociarsi a Portland, dove i due sono cresciuti. Bryan rimane folgorato dagli occhi azzurri di Melissa ma, data la differenza d’età, è combattuto. Vorrebbe iniziare una relazione con lei, ma le conseguenze potrebbero essere catastrofiche. Cercare di starle lontano, però, presto si rivela impossibile e il desiderio di appartenersi supera qualsiasi paura, almeno fino a quando il futuro di Melissa non viene messo in discussione.
Tra ostacoli che sembrano insormontabili, piccole e grosse bugie, Melissa e Bryan riusciranno a vivere la loro storia d’amore?
LinguaItaliano
Data di uscita27 ott 2020
ISBN9788833284859
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    Anteprima del libro

    Solo per amore - Milù Rui

    Copertina

    Prologo

    Bryan

    Entro in casa del mio amico, di corsa.

    Abbiamo fatto una gara a chi arriva primo a toccare la parete del salone: è sempre così tra me e lui, ci piace competere, soprattutto perché tutte le volte finisce in parità.

    Siamo amici da sempre e la sua famiglia è diventata anche la mia famiglia e viceversa, a parte per un piccolo intoppo: sua sorella è sempre acida con me e non riesco proprio a capirne il motivo. Entro in salotto come una furia insieme a Nathan che se la ride e mi butto sul divano con il fiatone. Allungo un piede a terra e urto qualcosa, un bicchiere. Mi alzo di botto perché ho appena combinato un casino: ho rovesciato l’aranciata sui disegni di Melissa. La vedo scendere le scale e abbracciare Nathan. Ho sempre invidiato il loro rapporto, perché sono molto uniti nonostante la differenza di età.

    Melissa è paffuta, ha gli occhi azzurro mare ed è spesso taciturna; è una bambina misteriosa e in tanti anni non sono mai riuscito a inquadrarla. Si volta a guardarmi e, appena nota i suoi fogli bagnati, diventa rossa in viso.

    «Cos’hai fatto ai miei disegni?»

    Si avvicina al tavolo e guarda sconvolta il disastro che ho combinato.

    «Erano per la scuola, adesso dovrò rifare tutto!»

    È visibilmente agitata e Nathan scuote la testa.

    «Ehi, Mel, ti aiuto io», le dice.

    «No, faccio da me!» Poi mi guarda furibonda. «Stai alla larga da me oppure ti rovescerò l’intera bottiglia d’aranciata addosso, chiaro?» grida.

    Mi inginocchio accanto a questa ragazzina infuriata cercando inutilmente di calmarla.

    «Mi dispiace, Mel, non l’ho fatto apposta.»

    È rossa in viso e mi guarda di sottecchi, sono davvero dispiaciuto.

    «Bryan, dai, lasciamola sola.»

    Mi alzo e raggiungo il mio amico in cucina.

    «Non prendertela, non è un buon periodo per lei. Sai, tra il dentista che l’ha costretta a portare la macchinetta e la mamma che vuole metterla a dieta, non è molto felice.»

    Da lontano la fisso, ha la testa fra le mani e parla da sola. Chiedo scusa almeno un milione di volte ma non si degna di rispondermi.

    Tornato a casa, lancio il mio zaino in un punto indefinito dell’ingresso e mi dirigo in cucina dove trovo mamma e papà seduti al tavolo. Appena entro nel loro campo visivo sollevano lo sguardo e mi sorridono con dolcezza. Non ci metto molto a capire che qualcosa non va.

    «Bryan, siediti, dobbiamo parlarti di una cosa.»

    Mi metto comodo, senza dire nulla.

    «Nonna Annie non ce la fa più a stare sola, è anziana e ha bisogno del nostro aiuto.»

    Nonna Annie è la persona più dolce della terra e ormai ha raggiunto gli ottant’anni; capisco perfettamente che non voglia rimanere sola ma non capisco cosa c’entriamo noi in tutto questo.

    «Non stavate pagando una signora che badasse a lei?» chiedo.

    «Sì.» Mio padre prende la parola. «Ma non ci fidiamo: tua nonna dice che non trova più alcuni oggetti di valore e non vuole più nessuna donna vicino a sé che non sia qualcuno della famiglia».

    «Cosa state cercando di dirmi?» domando, temendo già la loro possibile risposta.

    «Ci trasferiamo a San Diego, Bryan.»

    Capitolo 1

    8 anni dopo

    Melissa

    Mi sveglio di soprassalto nel cuore della notte, sento la porta di casa sbattere; guardo l’orologio che segna le tre del mattino, il cuore comincia ad accelerare e la paura che qualcuno possa essere entrato in casa s’insinua dentro di me.

    Faccio un respiro profondo e mi alzo: in punta di piedi mi avvicino alla porta della mia camera, la apro con estrema cautela ma cigola un po’ e comincio a maledirmi in tutte le lingue del mondo.

    E meno male che non dovevo farmi sentire, penso tra me e me.

    Comincio a sudare freddo, le mani mi tremano ma con coraggio mi sporgo verso le scale e sento dei rumori provenire dalla cucina. Con la delicatezza di un elefante scendo i gradini uno a uno, quando, a un certo punto, noto un’ombra che mi viene incontro ed ecco che il mio coraggio svanisce alla velocità della luce. Rimango paralizzata e chiudo gli occhi per lo spavento. Il rumore dei passi si fa sempre più vicino ma d’improvviso si arresta e sento scrosciare una fragorosa risata, una risata che conosco molto bene. Apro gli occhi di colpo e mi scaglio verso l’intruso, nera di rabbia ma, allo stesso tempo, con il cuore palpitante di felicità. Mio fratello continua a ridere come un pazzo mentre io lo prendo a pugni con tutta la forza possibile, ovviamente senza causargli il minimo dolore.

     «Frena, cagasotto», mi dice.

    «Nathan! Mi hai fatto prendere un colpo, pensavo fossi un ladro.» Smetto di picchiarlo e questa volta gli salto addosso per abbracciarlo.

    Non vedevo mio fratello da quasi un anno e mi è mancato terribilmente. Lui mi stringe a sé con le sue braccia forti e mi fa volteggiare.

    «Mi sei mancata così tanto, piccola Mel.»

    Mi sciolgo dall’abbraccio e lo guardo negli occhi azzurri come i miei, forse più profondi; lo squadro per bene, dalla testa ai piedi, e mi accorgo che è cambiato tanto: è un vero uomo adesso. La barbetta bionda e i capelli pettinati all’indietro gli donano un sacco e gli conferiscono un aspetto più adulto. Sorride e gli occhi gli brillano di gioia. Mio fratello Nathan è anche una persona realizzata sul piano lavorativo: all’età di diciotto anni decise di seguire il suo migliore amico a San Diego per mettere su una società tutta loro e oggi, all’età di venticinque anni, è un imprenditore a tutti gli effetti.

    «Ti sembra l’ora e il modo di tornare a casa?» gli chiedo.

    «Sarei dovuto arrivare domani ma poi ho deciso di cambiare il volo all’ultimo minuto, mi mancava troppo la mia piccola diciassettenne rompiscatole».

    Ci accomodiamo sugli sgabelli della cucina e non riesco a smettere di guardarlo: non mi sembra vero di averlo accanto a me.

    All’improvviso, compaiono anche i nostri genitori e mia madre, come al solito, comincia a piangere come una bambina alla vista di mio fratello.

    «Tesoro, che bella sorpresa», sospira dalla felicità mentre mio padre gli dà una pacca sulla spalla e lo rimprovera per aver scelto di tornare a casa proprio nel cuore della notte.

    «Quanto resterai?» domanda subito mia madre.

    «Beh, io e Bryan abbiamo deciso di prenderci una pausa. Come sapete, è stato un anno molto faticoso e, siccome le cose in azienda stanno andando molto bene, abbiamo pensato di gestirla un po’ da casa, giusto per riposarci: penso che resterò qualche mese e andrò a San Diego solo per le urgenze.»

    Sorrido come un ebete alle parole di mio fratello. Quando, due anni fa, decise di trasferirsi in modo definitivo, ne soffrii tantissimo.

    «E Bryan come sta?» Papà si siede con il suo solito pacco di biscotti al cioccolato tra le mani e osserva mio fratello con aria buffa, ancora assonnata.

    «Lui sta bene. A proposito di Bryan, devo dirvi una novità: la sua famiglia ha deciso di ritornare a vivere a Portland, ormai è questione di giorni.»

    «I Lewis tornano qui?» Mamma sembra piacevolmente sorpresa, io invece li ricordo in modo vago. L’unica cosa che so con certezza è che Nathan e Bryan sono sempre stati molto legati, e lo sono tuttora.

    «A dire il vero, avrebbero voluto ritornare subito dopo la morte di nonna Annie, ma poi Bryan ebbe la brillante idea di mettere su la società a San Diego e quindi decisero di rimanere là con lui. In realtà sono sempre stati molto affezionati a Portland, diciamo che non sono mai riusciti ad ambientarsi del tutto nella nuova città», spiega mio fratello.

    «Diversamente da Bryan», se la ride papà, ammiccando in modo allusivo.

    «Papà, per favore.»

    «Oh, che c’è di male nel dire che quel ragazzo ci sa fare, soprattutto col gentil sesso?»

    «Anch’io ci so fare.» Nathan fa una faccia offesa e sbuffa. È sempre stato molto impacciato con le donne mentre sembra che il suo migliore amico se la cavi piuttosto bene.

    «Visto tua sorella com’è diventata bella?», interviene mia madre per cambiare discorso.

    «Era bella anche con qualche chilo in più», dichiara Nathan convinto.

    «Lo so ma adesso ha una schiera di ragazzi che le vanno dietro», insiste lei.

    Mi copro il viso per l’imbarazzo: Kate Walker, mia madre, sa sempre come mettermi in difficoltà. A quelle parole, papà e Nathan alzano la testa di scatto.

    «Mia figlia ha una schiera di ragazzi che le vanno dietro?» ripete mio padre ad alta voce, come se fosse la cosa più assurda del mondo.

    «John, per favore, ormai è grande!»

    «Chi è che ti fa la corte? Dimmelo, così lo faccio fuori», ringhia Nathan, a metà tra il serio e il faceto.

    Guardo mio fratello negli occhi con la speranza che possa capire quello che sto cercando di dirgli: È solo una bugia che io e nonna ci siamo inventate per farla felice, ma niente, Nathan non recepisce il messaggio; del resto è sempre stato un po’ geloso di me.

    «Penso che me ne andrò a dormire», dico spazientita.

    Mi alzo, strusciando apposta la sedia sul pavimento, e mi dirigo di sopra borbottando una buona notte che probabilmente non avranno nemmeno sentito.

    Mi stendo sul mio letto, ormai diventato freddo, e ripenso a tutto quello che ho fatto per poter cambiare e diventare come sono ora. All’età di dodici anni le bambine si prendevano gioco di me: ero cicciottella, avevo la macchinetta per raddrizzare i denti e non mi sentivo per niente bella; eppure non riuscivo a smettere di mangiare in continuazione. Non avevo amici e trovavo rifugio nel cibo e in un mondo tutto mio: l’unico che riusciva a trascinarmi fuori da quella bolla di solitudine era mio fratello Nathan che, proprio in questo momento, mi osserva dalla soglia, aspettando il mio consenso per avvicinarsi.

    «Sbaglio o i tuoi capelli sono più scuri?» mi chiede.

    «È una tua impressione.»

    Porto le gambe al petto e lo faccio sedere accanto a me.

    «Perché sei andata via in quel modo?»

    «Mamma mi mette in imbarazzo. Nessuno mi viene dietro, è solo una piccola bugia che le ho raccontato.»

    «Perché ho il sospetto, anzi la certezza, che questa cosa non l’abbia pensata tu?»

    Mi scappa una risata e lui capisce al volo.

    «Nonna Beth!» esclamiamo all’unisono.

    «Un’amica di mamma non faceva altro che raccontarle dei corteggiatori di sua figlia, di come le mandassero fiori e tutte queste cazzate, allora la nonna, intuendo il disagio della mamma, pensò bene di raccontarle che io avevo una schiera di ragazzi ai miei piedi, pronti ad uscire con me; ma la verità, Nathan, è che sono solo una sfigata. Comunque, nonna Beth, da quel giorno, mi manda, ogni tanto, dei fiori anonimi per continuare a rendere credibile questa farsa, nonostante io le abbia intimato di smetterla.»

    «Mi dispiace per come stanno le cose, ma devo ammettere che la nonna è un vero genio del male», ride.

    «Non è vero che ti dispiace, sei sempre il solito gelosone», ribatto.

    «Mel, hai solo diciassette anni, non voglio che qualche coglione ti faccia soffrire, però sono consapevole che sei bellissima e che sicuramente ci sarà qualche ragazzo che si prenderà una cotta per te e io non potrò fare niente per impedirlo, anche se lo volessi.»

    «Rimani il più possibile, ti prego», lo supplico e lo abbraccio forte.

    «Tutto quello che vuoi, piccola Mel.»

    Bryan

    Finalmente, dopo otto anni sono a Portland, la città dove sono cresciuto. Apro la porta della vecchia casa che ancora conserva tanti ricordi piacevoli di me e della mia famiglia, prima che ci trasferissimo. Sorrido perché, anche se manca qualche mobile, è tutto uguale a come lo ricordavo. Ecco però che questo momento intimo e romantico, viene interrotto da due piccole pesti che cominciano a gridare come forsennati e a correre per tutta la casa.

    «Wow, questa casa è più grande di quella di San Diego!» esclama Daniel.

    «E c’è anche un giardino grandissimo, corri!» Sophia lo prende per mano e lo trascina con sé sul retro.

    Mi tolgo la giacca e decido di entrare nella mia vecchia camera: le pareti sono vuote e ingiallite, dovrò ridipingerle dato che ho intenzione di rimanere qui per un bel po’. Dopo otto anni, finalmente mi sento a casa.

    «Bryan, Bryan!» Sophia mi corre incontro e la prendo al volo per frenarla.

    «Dimmi, piccola peste.»

    «Ho appena scoperto che ci sarà il concerto di Justin Bieber, ti prego, voglio andarci.»

    «Sei troppo piccola e a me non piace quel tizio.»

    «E dai, ti prego fratellone, ti voglio tanto tanto bene.» Sophia mi prende il viso tra le sue piccole mani paffute e mi fissa implorante, con i suoi occhioni scuri e lucidi: in questo momento penso sia la bambina più bella e dolce del mondo. Mi sta quasi convincendo, quando per fortuna Daniel, gemello di Sophia, irrompe in camera e si tuffa sul mio vecchio letto.

    «A me non piace Justin Bieber», afferma deciso.

    «Sia lodato Gesù, non l’avrei sopportato.»

    Sophie si dimena tra le mie braccia. «Ma io voglio andarci lo stesso, sono innamorata di lui, portami al concerto, ti prego, Bryan.»

    «Non posso, Sophie, sei troppo piccola, hai solo sette anni.»

    Ed ecco che comincia a piangere come una fontana e, non so come, mi sento dire: «Ti prometto che quando sarai più grande ti porterò con me a un suo concerto.»

    «Prometti, mano sul cuore?» mi chiede con gli occhi luminosi.

    «Prometto, mano sul cuore», rispondo.

    Corre di sotto felice e io me la rido, l’ho fregata.

    «Non cantare vittoria», dice Daniel e mi fa uno strano sorrisetto. E infatti, dopo cinque secondi, mi ritrovo la mia dolce sorellina in camera con un quaderno di Barbie tra le mani.

    «E quello cos’è?» domando incuriosito.

    «Questo è un diario dove ci sono scritte tutte le promesse che mamma, papà e tu mi fate, così dovrete mantenerle per forza.»

    Sorride soddisfatta mentre io la guardo sconvolto: sono io che mi sono fatto fregare! Non mi resta che sperare che quella monella tra dieci anni abbia cambiato gusti musicali o che quel quaderno vada perso da qualche parte.

    Mi sdraio accanto al mio fratellino e intanto avviso Nathan del mio arrivo con un messaggio.

    «Tu sei cresciuto qui, Bryan?»

    «Sì, vedrai che Portland ti piacerà», gli dico per rassicurarlo.

    Quando i miei, due mesi fa, decisero di trasferirsi, Daniel la prese malissimo e ancora adesso noto che non è felice di essere qui.

    «Non troverò mai degli amici simpatici come quelli di San Diego», si lamenta e mi fissa, come se sperasse di essere smentito. È proprio uguale a me, occhi neri e capelli ricci altrettanto neri.

    «Invece sì, non dire sciocchezze, sei un bambino adorabile, ti farai degli amici appena metterai piede in quella scuola, ma ricordarti ciò che ti ho sempre detto piccolo: sicurezza! Sii sicuro di te e andrà tutto bene, se invece ti mostrerai debole cosa succederà?»

    «I bambini si prenderanno gioco di me.»

    Annuisco.

    «E poi?» chiedo.

    «Mostra le tue debolezze solo a chi lo merita», dice, scandendo bene le parole. Sorride e io lo abbraccio.

    «Sei un ometto, Daniel, vedrai che adorerai questa città almeno quanto l’ho adorata io.»

    Aiuto i miei genitori a sistemare le ultime cose. La casa, a poco a poco, si sta riempiendo di mobili e di oggetti e in pochi giorni ritornerà a essere quella di un tempo. Mamma ha gli occhi lucidi mentre papà l’abbraccia: questa casa è sempre stata molto importante per loro. Dopo il matrimonio i miei andarono a vivere dai genitori di mia madre, finché non si innamorarono di questa vecchia casa, che ristrutturarono a loro piacimento, compreso il giardino, che mamma accudiva come un figlio. E proprio in questa casa, nella camera da letto dei miei, sono nato io, con quasi un mese di anticipo sulla data prevista per il parto. Avevo fretta di venire al mondo e non ho aspettato che mi portassero in ospedale. Per questo e mille altri motivi, capisco la gioia e l’emozione che stanno provando i miei genitori in questo momento.

    «Bene», esclamo. «Direi che finalmente siamo a casa!»

    «Non era quello che volevate?» chiedo euforico.

    La loro risposta non tarda ad arrivare.

    «Grazie Bryan, grazie per aver ricomprato questa casa.»

    Capitolo 2

    Melissa

    «Fatemi vedere mio nipote!» esordisce nonna Beth, dopo aver spalancato la porta d’ingresso con un gesto plateale. Per la precisione, il suo vero nome è Elizabeth, ma lei si fa chiamare solo Beth perché come afferma sempre: si addice di più alla sua personalità frizzantina.

    «Nonna, che bello rivederti.» Nathan le stampa un bacio sulla guancia.

    «Oh, da vicino sei ancora più bello, la foto sulla rivista Economy non ti rende giustizia.»

    «Grazie nonnina, tu sì che sai come farmi felice.»

    Mio fratello non è mai stato modesto e ama i complimenti, sa di essere bello e non ha paura di dirselo da solo.

    «Tesoro, non montarti la testa, sei bello sì, ma Christian Grey lo è di più, tu non mi fai nessun effetto.»

    Nathan apre la bocca per controbattere ma rimane bloccato, mentre io avvampo.

    «Perché mi guardi come un allocco?», prosegue imperterrita. «Non sono così vecchia e poi avrò pur bisogno di svagarmi anch’io.»

    «No, nonna, tu non puoi… tu… non dirmi che hai visto davvero quel film?»

    «Certo e in compagnia di tua sorella, caro.»

    Sposto i capelli davanti agli occhi per non far notare il mio rossore.

    «Melissa, non essere imbarazzata, sono cose normali. Siamo andate al cinema e ci siamo divertite un mondo», puntualizza.

    «Nonna tu ti sei divertita un mondo, non io», ribatto.

    «Oh, quel Christian, emanava passione da tutti i pori…» continua. «Ecco perché, dopo l’uscita del film, mi hai chiamato per sapere se lo avessi per caso visto al cinema.»

    Mamma inizia a ridere mentre mio padre scuote la testa.

    «Sì, beh, cosa c’è di male? Volevo sapere se anche tu, come me, Mel e tanti altri, fossi andato a vedere quel film e con chi; non puoi immaginare quanto sono stata felice nel sapere che eri andato al cinema con una ragazza, stavo seriamente cominciando a pensare che fossi gay... felice di sapere che ti piace quell’altro tipo di frutto, tesorino, però lascia che te lo dica, non è troppo azzardato portare una ragazza a vedere un film del genere?»

    «Farlo vedere a un’adolescente non ti pare ancora più azzardato?» chiede Nathan ormai ripresosi del tutto.

    «Per favore, è solo un film.»

    Evito di guardare mio fratello negli occhi e mi siedo accanto alla nonna che mi accarezza la mano.

    Le ho sempre voluto un gran bene, è una donna impossibile, troppo pazza e a volte invadente ma non riuscirei a vivere senza la sua presenza; riesce sempre a farmi ridere anche quando le cose si mettono male e adoro la sua schiettezza. Ha settant’anni ma è una vera forza della natura.

    «Allora Nathan, come vanno le cose?» Si concentra su mio fratello e sorseggia il suo thè.

    «Bene nonna, il lavoro va alla grande.»

    «Non voglio sapere del lavoro, non fai altro che parlare di quello, raccontami della tua vita sentimentale.»

    «Nonna, così mi fai arrossire.» Nathan fa il reticente e abbassa lo sguardo e così decido di torturarlo anch’io.

    «Sì, dai, raccontaci qualcosa...», insisto.

    «Non c’è niente da sapere, sono single e non riesco a trovare la ragazza giusta», confessa con una nota di strana contrarietà nella voce.

    Si alza in piedi, si passa una mano tra i capelli: non è il tipico atteggiamento di mio fratello, qualcosa non quadra ma per fortuna il campanello suona e lasciamo cadere il discorso.

    Tutto si può dire di nonna Beth ma quando capisce che una persona non ha voglia di parlare, la lascia in pace.

    «Melissa Wood, perché non mi hai detto che quel figo di tuo fratello è tornato in città?» La mia migliore amica mi investe con questa domanda a bruciapelo e mi passa davanti come una furia, seguita dal mio migliore amico che, invece, sbuffa spazientito.

    Richiudo la porta e li seguo: noto che fissa mio fratello con occhi sognanti mentre Mark saluta mia nonna calorosamente; quella vecchietta riesce a farsi voler bene proprio da tutti e, se è riuscita a conquistare anche Mark, comincio a pensare che possieda poteri magici.

    «Emily Jones, non sei cambiata per niente», la saluta mio fratello. «Anzi un po’ sì, sei diventata più alta e più carina».

    «Grazie Nathan, tu sei sempre bellissimo.» Emily arrossisce, porta una ciocca di capelli dietro l’orecchio, poi pianta di nuovo il suo sguardo in quello di mio fratello che la guarda sorridente; è a conoscenza della cotta che la mia amica ha per lui fin da bambina.

    «Pensi che potremmo mai metterci insieme, Nathan?» chiede con una sorta di ingenua sfacciataggine.

    Mio fratello in tutta risposta sputa il caffè e cerca di pulirsi con un fazzoletto.

    «Senza offesa, Emily, sei molto bella ma preferisco le donne più grandi».

    La mia amica sgrana gli occhi.

    «Più... più grandi di te, intendi?»

    «No, ma più grandi di te sicuramente!» Le sorride con dolcezza per poi rivolgersi a Mark che sembra molto divertito dalla situazione. Si scambiano qualche occhiata: quei due non riusciranno mai ad andare d’accordo.

    Io conobbi Mark in seconda media e, dato che lui era uno dei peggiori della classe, la prof me lo affiancò per far sì che recuperasse l’anno. Cominciammo a studiare insieme ma un giorno, mentre cercavo di fargli capire un esercizio di matematica, Mark mi diede un bacio a stampo: fu il mio primo bacio e rimasi bloccata con gli occhi spalancati; mio fratello assistette a tutta la scena e lo scaraventò lontano da me. Da allora non si sopportano, o meglio il mio amico si diverte a stuzzicarlo mentre Nathan lo prenderebbe volentieri a pugni.

    «Allora Mark, sei stato promosso o bocciato?» gli domanda Nathan in tono provocatorio.

    «Ti piacerebbe che mi bocciassero vero?», ribatte lui.

    «Forse se ti bocciassero capiresti che studiare è importante: invece di fare il farfallone dietro alle ragazze perché non ti impegni in qualcosa di utile?»

    «Mi sono scopato più ragazze di te, sei solo invidioso.»

    «Ti aspetto tra qualche anno, quando perderai la testa per una donna e lei non ti cagherà di striscio.»

    Nonna Beth se la ride mentre Emily, ormai in trance, non riesce a staccare gli occhi da Nathan. In tutta risposta Mark fa un sorriso sghembo e scuote la testa. È convinto che non si innamorerà mai, che rimarrà scapolo a vita.

    «Ci vediamo tra qualche anno», replica, imperturbabile, «quando avrai la testa pelata, la pancia gonfia come un pallone, uno stuolo di marmocchi che non faranno altro che piangere e una moglie che ti terrà al guinzaglio.» Metto fine a questo inconcludente battibecco e trascino entrambi i miei amici di sopra, nella mia camera.

    Passiamo così il pomeriggio, a studiare come matti e a ideare un progetto di storia convincente; inutile dire che Mark si è addormentato come un bambino sul mio letto mentre io ed Emily abbiamo fatto tutto il lavoro.

    La serata passa in fretta e, una volta a letto, ripenso all’atteggiamento di Nathan quando ci ha detto che non riesce a trovare la ragazza giusta; eppure so che fino a qualche mese fa frequentava una persona: sarà stata, per lui, l’ennesima storia finita male. Nathan ha un carattere forte e determinato ma fragile e debole quando si tratta d’amore. Se si innamora, dà tutto se stesso, diventa romantico, dolce, sensibile, ma forse è proprio questo donarsi senza riserve a essere sbagliato perché finisce sempre sfruttato e disilluso. Devo cercare di capire cosa è successo e, con quest’ultimo pensiero, crollo in un sonno profondo.

    Bryan

    Sto aspettando Nathan da almeno mezz’ora. Doveva accompagnare sua sorella a casa di un amico: sarei proprio curioso di vedere Melissa, chissà se si ricorda di me e se ancora mi odia.

    Lo vedo entrare tutto infreddolito e sorridermi. A volte penso a come sarebbe se lui non fosse nella mia vita, è come un fratello, è una parte di me, e sono felice che, nonostante le mille difficoltà, la nostra amicizia sia sopravvissuta. Mi dà una pacca sulla spalla e ordina un cappuccino, sempre il solito, non cambierà mai.

    Per Nathan l’inverno significa: cappuccino, cioccolata calda a volontà, camino e un morbido plaid, insomma, un nonno di venticinque anni.

    «Allora, come l’hanno presa i tuoi quando hanno visto la casa?»

    «Benissimo, mamma era commossa. Sono davvero contento che il vecchio proprietario abbia deciso di non abbatterla.»

    «Non ho mai capito perché i tuoi scelsero di venderla, avrebbero potuto affittarla.»

    «Semplice, pensavano che non sarebbero più tornati qui. Sophie l’adora, Daniel anche, ma non lo dimostra, ci vorrà più tempo per lui.»

    Sorseggio il mio caffè e guardo fuori, l’inverno è alle porte e si comincia già a sentire l’aria natalizia.

    «Sai, stare qui mi mancava», dice tutto d’un tratto. È triste, glie lo leggo in faccia: solo io posso sapere cosa gli passa per la testa e farei di tutto per non vedere quell’espressione sul suo volto.

    «Nathan, io...», interrompe la mia frase sul nascere.

    «Non dire nulla, per favore, non è colpa tua, Bryan.» Annuisco, incerto, e decido di cambiare discorso, odio stare in silenzio, specialmente con il mio migliore amico.

    «Come stanno i tuoi? E Melissa?» chiedo.

    Gli si illuminano gli occhi quando nomino sua sorella: adora quella ragazzina anche se penso che, a volte, sia troppo protettivo e possessivo nei suoi confronti. Il solito fratello geloso.

    «I miei stanno bene e sperano di vederti presto, invece Mel è sempre la solita Mel, timida, dolce, riservata, anche se adesso sta cominciando a cacciare fuori un bel caratterino. Forse ha una personalità più forte di quella che ho sempre immaginato.»

    «E nonna Beth?» Ho sempre adorato quella donna, è matta da legare.

    «Non vede l’ora di vederti e, testuali parole, di spupazzarti.» Ride.

    «Ti ha visto sulla rivista Economy e ha detto che sei bello come il sole.» Mi unisco alla sua risata, col proposito di andare a trovare quella vecchietta il prima possibile.

    Passeggiamo per le strade di Portland quando, all’improvviso, cala tra noi un silenzio assurdo, quasi imbarazzante. Smetto di camminare perché voglio parlarne, voglio che lui parli con me.

    «Nathan, mi dispiace per quello che è successo.»

    Chiude gli occhi e sospira: quando li riapre non c’è traccia del ragazzo sereno di qualche mese fa.

    «Tu non hai fatto un bel niente, Bryan, ficcatelo in quella testa. È colpa mia, forse sono io il problema, ci casco sempre.»

    «Non è colpa tua.»

    Scuote di nuovo la testa.

    «Non voglio aprire questo discorso, non adesso.»

    «Prima o poi dovrai affrontarlo, dobbiamo parlarne!»

    «No!» Stringe la mascella, incazzato. «Non voglio più parlarne. Sono sicuro che prima o poi anche io troverò una persona che si innamorerà di me, che vorrà solo me. Mi passerà, Bryan e, per favore, non darti colpe che non hai.»

    Guarda l’orologio in modo distratto e mi pianta in asso con la scusa di dover andare a prendere Melissa. Lo vedo allontanarsi: si sta chiudendo di nuovo a riccio e il macigno che sento sul cuore si fa più pesante perché, anche se Nathan mi ripeterà all’infinito che non è colpa mia, io sono consapevole che il mio migliore amico sta soffrendo e la causa sono io, soltanto io.

    Capitolo 3

    Melissa

    «Melissa…» Mi sento scuotere. «Melissa…» Copro le orecchie col cuscino. «Melissa, alzati!» Apro gli occhi di scatto e mi ritrovo due occhioni azzurri come i miei che mi guardano impietosi.

    «Nathan, lasciami dormire, ti prego.» Oggi dopo essere tornata da scuola sono crollata, avevo un sonno assurdo e questo accade solo quando non prendo il mio adorato caffè.

    «No! Mamma e papà sono usciti da poco e io devo vedermi con i miei amici», dice.

    L’unico pensiero che mi frulla per la testa e che avrò la casa libera tutta per me; mi alzo subito dal letto e accendo il computer sotto lo sguardo perplesso di mio fratello.

    «Vai pure, io guarderò un bel film, in compagnia di un sacchetto di popcorn», sorrido.

    Scuote la testa e incrocia le braccia.

    «Non se ne parla, tu verrai con me, Will è di sotto che ci aspetta.»

    Will è un amico di mio fratello, proprio un bel ragazzo, alto, capelli castani e occhi verdi; bello e maledetto: girano voci che abbia spezzato il cuore a molte ragazze e che possieda una lista considerevole su cui appunta i nomi di tutte le sue conquiste, insomma un Don Giovanni dei nostri tempi.

    «Su, vestiti, che è tardi», mi ordina.

     «No, Nathan, per favore, ho diciassette anni, so badare a me stessa e non è la prima volta che rimango a casa da sola; inoltre fa freddo, non vorrai mica che mi ammali?» lo supplico.

    «Mel, tu non rimarrai qui da sola perché verrai con me, fine della discussione», insiste deciso. «Devi cominciare a uscire, non puoi rimanere sempre chiusa nella tua stanza a guardare serie tv, scrivere o leggere: la vita è lì fuori.»

    «Io me la godo la vita, fratello, solo che oggi non mi va di uscire, non mi sento molto bene», fingo, con la speranza che ci caschi.

    «Non ci credo neanche un po’, per cui adesso smettila di fare la bambina, vestiti e vieni con me!», mi ripete seccato.

    Sconfitta e spazientita, mi dirigo verso il bagno e, contro voglia, mi lavo, indosso un leggings nero e un maglioncino lungo grigio perla, prendo la borsetta e, con la lentezza di un bradipo, faccio la mia comparsa in salotto dove Nathan e Will stanno giocando alla PlayStation.

    «Sono pronta, o andiamo adesso o me ne vado di sopra», sbuffo.

    «Oh, ciao Melissa, come va? Non ti vedevo da un po’, e devo riconoscere che sei diventata proprio una gran bella ragazza.» Will mi squadra dalla testa ai piedi e mi rivolge un sorrisone.

    «Frena i tuoi bollenti spiriti, idiota, mia sorella non si tocca.» Nathan gli molla uno schiaffetto leggero dietro la nuca e mi raggiunge.

    «Toccare no, ma guardare sì, e devo dire che si tratta di una visione davvero celestiale», lo provoca Will.

    Rivolgo uno sguardo schifato a Will, quel bellimbusto che intanto continua a sorridermi con aria maliziosa mentre mio fratello lo guarda male.

    «Meglio che andiamo, prima che qualcuno si ritrovi con un occhio nero», conclude laconico.

    Arriviamo davanti a un locale, dall’esterno si notano le luci blu soffuse e alcune persone intente a fumare e a ridere. Nathan sembra capire il mio disagio e mi appoggia un braccio sulla spalla con fare protettivo mentre io, nella mia mente, lo maledico in tutte le lingue del mondo.

    «I tuoi amici sono tutti più grandi di me, e poi, cos’è questo posto?» protesto mentre scavalchiamo alcune persone per riuscire a raggiungere il tavolo dove siamo attesi. Intanto continuo a guardarmi intorno e riconosco con piacere alcune ragazze della mia scuola che mi sorridono, o meglio, sorridono a mio fratello e a Will.

    «È un locale come tanti altri, Mel, non farti impressionare dalle luci soffuse», mi dice Will.

    «Senti Nathan», lo fermo, «voglio tornare a casa, non mi piace questo posto, dammi le chiavi.»

    «Non se ne parla, ormai siamo qui, non fare la capricciosa.»

    Continuo a camminare fin quando non raggiungiamo il tavolo ed

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