Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Alma Maldita - Anima Maledetta
Alma Maldita - Anima Maledetta
Alma Maldita - Anima Maledetta
E-book226 pagine2 ore

Alma Maldita - Anima Maledetta

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Ogni cammino porta in sé luce e ombra. È come lo si affronta che ne determina la proporzione.

Segnato dalle prove dolorose che la vita gli ha riservato, un uomo decide di abbandonare tutto, arruolarsi nella Legione Straniera e di cambiare per sempre identità. Da quel momento è Paul Lindberg e, terminato il suo servizio militare, diventa un sicario stipendiato dalla mafia russa. Un giorno, Paul si mette in viaggio per individuare il suo nuovo obiettivo, il Santo, un anziano che vive sui Pirenei. Lo trova, infine, in una casa isolata in mezzo al bosco, e si apposta per sparargli al momento opportuno, ma non ci riesce. Sempre mentre è appostato, un lupo lo aggredisce, lasciandolo gravemente ferito. Al risveglio, Paul si ritrova proprio nella casa del Santo, che lo accudisce e inizia a convertirlo alla filosofia dell'amore e della comunione con tutti gli esseri viventi. I due si ritroveranno a condividere gioie e dolori, ma anche gravi pericoli, perché già qualcun altro è sulle loro tracce. La vita è molto più significativa di come spesso la intendiamo. A volte ce ne rendiamo conto solamente attraversando il dolore. Percorriamo strade che, forse, non avremmo mai dovuto neanche intraprendere, eppure, Lei, la Vita, trova sempre il modo di indicarci un'altra via, che a una prima vista potrà sembrarci ripida, dissestata, piena di insidie, ma che forse è quella giusta. Sta a noi la scelta di cambiare rotta.
LinguaItaliano
Data di uscita16 giu 2022
ISBN9791221411270
Alma Maldita - Anima Maledetta

Correlato a Alma Maldita - Anima Maledetta

Ebook correlati

Crescita personale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Alma Maldita - Anima Maledetta

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Alma Maldita - Anima Maledetta - Luca Carulli

    1

    Come ipnotizzato fissavo le pale del ventilatore sul soffitto che giravano in un lento vortice, scandendo il ritmo del ticchettio della cordella attorcigliata su sé stessa.

    La polvere e lo sporco delle lenzuola mi opprimevano nello squallido letto di quel motel da quattro soldi.

    Dal bagno il gocciolio del rubinetto accompagnava il mio stato d’animo irrequieto, mentre dalla strada proveniva il brusio dell’andirivieni degli avventori di uno locale di striptease.

    La luce a intermittenza dell’insegna del motel entrava con prepotenza, illuminando una chiazza nerastra all’angolo del muro.

    L’odore di muffa che fuoriusciva dalla carta da parati, un tempo di colore rosso, si insinuava nelle narici, solleticandomi un senso di nausea.

    Non riuscendo a chiudere gli occhi, scesi nel locale per cercare ristoro nell’alcool.

    Luci soffuse e uomini ansimanti giravano tutt’intorno alla sala, sguardi imbarazzati mi fissavano mentre li vedevo fare la spola da una porta con delle tendine rosse, dove consumavano la loro prestazione sessuale con le giovani e prorompenti ragazze.

    Mi sedetti al bancone dando le spalle a tutto quello che stava accadendo e ordinai del whisky.

    Le risate finte delle giovani ragazze si mescolavano al suono ritmico che accompagnava le bellissime donne che si esibivano sul palco.

    Un uomo grasso con giacca e cravatta si sedette vicino a me, accompagnato da due ragazze compiacenti.

    Un rapido sguardo tra il barista e una delle due, e subito una bottiglia di champagne si materializzò sul bancone.

    Il grassone rideva mentre una gli versava dello champagne nella patta dei pantaloni mentre l’altra gli accarezzava il viso molle e paffuto.

    Ordinai dell’altro whisky, mentre l’uomo continuava a ridere e a toccare le sue amiche in ogni parte possibile.

    Uno della sicurezza si avvicinò e lo invitò a calmarsi, il grasso bofonchiò parole incomprensibili poi si allontanò verso le tendine rosse, avvinghiato alle sue sgualdrine.

    Una giovane ragazza praticamente svestita mi si avvicinò, appoggiandosi al mio braccio e cercando di instaurare una conversazione.

    Mi bastò guardarla per capire che era da poco in quella situazione.

    La vedevo che cercava timidamente di coprirsi, con il poco vestito che aveva, il piccolo seno bianco, che risaltava per il nero dei suoi capelli lunghi.

    Il suo sguardo si abbassava quando incrociava il mio, cercava di trasmettere sicurezza ma in realtà era così fragile che mi fece tenerezza.

    Ogni persona che incontriamo, chi più chi meno, ha il proprio demone da combattere, chissà qual è il suo, pensai, mentre continuavo a vedere la sua esile figura accanto a me.

    Continuava a guardarsi indietro, come a voler verificare se la stessero osservando, e di fatto era così: una donna dai voluminosi capelli nero corvino si aggirava nella sala, osservando tutto ciò che accadeva, in particolare controllava l’andirivieni dalla stanza con le tendine rosse, e le ragazze, non appena uscite da lì, le consegnavano dei soldi.

    Feci cenno alla ragazza di stare tranquilla e le offrii da bere.

    «Non ti piaccio?» chiese con un accento dell’est.

    «Una donna non si compra» risposi senza scompormi.

    La ragazza rimase silenziosa e si staccò dal mio braccio.

    «Ti prego, ne ho bisogno» disse quasi sottovoce, implorandomi.

    «C’è sempre una scelta» risposi, continuando a bere.

    Mi voltai verso di lei e i nostri sguardi si incrociarono.

    Era sincera, o almeno è quello che dai suoi occhi mi sembrava trasparisse.

    Le detti una sostanziosa mancia, lei mi sorrise, mi ringraziò quasi con le lacrime agli occhi per quel gesto che non chiedeva nulla in cambio.

    Mi guardò per un attimo, poi abbassò nuovamente lo sguardo e se ne andò.

    Ordinai un altro whisky.

    Presi il bicchiere, annusai l’odore torbato, che era l’unica cosa decente nel locale, pensai che si beve per piacere, per godersi l’istante, si beve in compagnia e si brinda per gioire di momenti speciali, ma si beve anche per malinconia, per tristezza, per noia e, a volte, perché si cerca quello stato di quiete che non ti fa pensare.

    Io cercavo proprio quello stato, e tutto d’un fiato buttai giù il mio whisky.

    Appoggiai con forza il bicchiere sul bancone e mi alzai.

    Rividi la ragazza che mi si era avvicinata aggirarsi intorno ad altri uomini e, passandole accanto, mentre mi accingevo a raggiungere la porta di uscita, notai che mi rivolse un timido sorriso mentre ripeteva come un’attrice il suo copione.

    Uscii dal locale mezzo stordito dai whisky che avevo bevuto.

    Ma non pensavo a niente, e questo già mi bastava.

    Le luci dei lampioni che illuminavano la strada aumentavano la sensazione di squallore nella via semideserta.

    La mia faccia velata di tristezza si rifletteva nei finestrini sporchi delle auto parcheggiate.

    Dei gatti si rincorrevano saltando da un muretto a un’auto, mentre un cane magro rovistava dentro un sacco della spazzatura, disperdendone il contenuto lungo la via.

    Un ubriaco pisciava nascosto nel buio contro i muri di una casa, fischiettando un motivetto cubano.

    Qualcuno, dietro di me, mi seguiva da quando ero uscito dal locale, lo percepii dal rumore delle scarpe con la suola di cuoio che si muovevano a ritmo della mia stessa andatura.

    Feci finta di niente e percorsi la strada quel tanto che mi bastava per svanire nel nulla e osservare chi fosse.

    Aspettai accovacciato dietro due auto, in un punto in cui la luce del lampione era coperta da un grosso cartellone che pubblicizzava il locale di striptease.

    La figura mi oltrepassò e, proprio in quel momento, ebbi la certezza che mi stesse seguendo: si guardava attorno cercando dove fossi andato.

    Accennò una breve corsa per raggiungere il tratto in cui la strada si biforca, poi, non vedendomi, tornò indietro, mi oltrepassò e si infilò dentro una via pedonale che costeggiava due abitazioni.

    Gli arrivai alle spalle e lo braccai.

    L’uomo cercò di liberarsi sgomitando e cercando di divincolarsi dalla mia morsa, fino a che riuscii a stenderlo a terra.

    Lo voltai a forza verso di me, pronto a sferragli un pugno in faccia, convinto che volesse rapinarmi.

    Caricai il pugno ma venni bloccato e, successivamente, scaraventato a terra con un calcio da un altro individuo, che era sopraggiunto a gran velocità dietro di me.

    Non feci in tempo a reagire che venni tramortito da una raffica di pugni che mi lasciò a terra.

    Con un occhio mezzo chiuso, disteso a terra, cercavo di coprirmi il volto con le mani, ma un forte calcio al fianco sinistro mi fece sobbalzare e rotolare per alcuni metri contro un muro.

    Ero tutto un dolore, e l’unico conforto era il freddo delle pietre fredde che le mie guance percepivano.

    Un forte odore di vodka mi avvolse, mentre l’uomo che mi aveva pestato mi sollevò, prendendomi dal bavero della giacca, e mi scaraventò a sedere, appoggiandomi con le spalle al muro.

    «Pensavi di stare al sicuro in questa topaia?» disse il primo uomo che ero riuscito a bloccare, mentre si ricomponeva i capelli impomatati.

    Un ghigno di soddisfazione sbucò sul viso del suo compare, un tipo grassoccio e bruttino.

    «Con chi credi di avere a che fare?» disse l’impomatato, mentre si accovacciava davanti a me.

    Con lo sguardo cattivo che mi fissava, lo vidi mettere la mano nella tasca interna della sua giacca.

    Mi aspettai di ricevere una coltellata, e mi salì un groppo alla gola mentre lentamente estraeva la mano.

    «Mi manda Don Joht» disse, facendomi svolazzare davanti e dandomi colpetti al naso con una lettera.

    Abbassò la voce e si avvicinò all’orecchio: «Don Joht è molto preoccupato per te. Dopo l’ultimo incarico ti ha visto cambiato, non si fida di te, mi ha mandato per dirti questo e per darti una lettera per il prossimo incarico».

    Si alzò, lanciandomi la lettera contro il viso.

    «Ci tiene a dirti di non sbagliare l’obiettivo» detto questo, si ricompose, fece un cenno al volto al grassottello e sparirono nella strada buia.

    Mi voltai e vomitai nella loro direzione.

    Presi la lettera e la riposi stropicciata in tasca.

    Cercai di alzarmi ma non ci riuscii, attesi un po’ che il dolore si affievolisse e rimasi appoggiato con le spalle al muro, con il naso rotto che mi sanguinava e il vestito sporco di sangue.

    Un anziano signore passò con un motorino smarmittato e quel suono rimbombò nel vicolo, facendomi aprire gli occhi in tempo per vedere il suo volto schifato mentre mi osservava a terra, nell’oscurità.

    Mi feci forza e, barcollando, appoggiandomi a tutto ciò che trovavo lungo la strada, mi avviai verso il motel.

    Salutai, alzando la mano e cercando di coprirmi il volto, l’uomo della reception del motel, che non mi degnò di uno sguardo, incollato com’era a una poltrona per guardare un quiz su un piccolo schermo, con in mano una birra e nell’altra una sigaretta.

    Entrai nella stanza e andai subito in bagno a sciacquarmi il viso, togliendomi di dosso quei vestiti ormai da buttare via.

    Presi la busta da lettera e, mentre l’aprivo, riflettevo sulle parole dell’uomo e il chiaro intento che aveva voluto darmi Don Joht: anche io in passato avevo recapitato questo tipo di lettere, e il finale già lo conoscevo.

    Mi misi seduto sul letto.

    Un foglio dattiloscritto con poche righe diceva: In un villaggio in Aragona lo conoscono come il Santo, ha una cicatrice sotto l’occhio destro… faccia il lavoro.

    Tornai in bagno e bruciai il foglietto nel lavandino.

    Osservai la mia faccia gonfia davanti a quello sporco e usurato specchio del bagno, mi vidi più vecchio, forse più stanco, fissai i miei occhi e, in quello dei due ancora aperto, non mi riconobbi più.

    Tornai nel letto, mi distesi a fatica cercando una posizione che non mi facesse male, chiusi gli occhi non pensando a niente, e attesi l’alba.

    2

    Con il volto ancora tumefatto e il corpo dolorante, raggiunsi la piccola stazione ferroviaria che distava una cinquantina di chilometri dall’aeroporto.

    La panchina rossa dei binari era vuota; posi lo zaino accanto a me e mi sedetti.

    La giornata era fredda, le foglie autunnali si lasciavano trasportare lontano dai mulinelli di vento che si formavano nel campo di fronte; un signore dalla buffa capigliatura, seduto accanto a me, starnutì ininterrottamente per alcuni secondi, il vento si alzò e cominciò a soffiare in direzione est – ovest. Mi sollevai il bavero della giacca mentre il treno stava arrivando.

    Un fischio acuto e il treno si fermò.

    La vita stava scorrendo via come le immagini veloci che vedevo dal finestrino, appoggiai la testa allo schienale e socchiusi gli occhi.

    Venti minuti e il treno arrivò al capolinea; il tempo di bere un caffè, che era già ora di ripartire.

    Arrivai all’aeroporto nel momento in cui annunciarono il mio volo.

    Mi accodai alla lunga fila all’ingresso dell’hangar e, nonostante fossi osservato da due militari, nessuno mi controllò.

    Chi ero, cosa sognavo, non aveva più importanza, perché quello che ero prima non esisteva più.

    Con questo pensiero varcai il portellone e mi avviai verso la coda dell’aereo, mi sedetti vicino al finestrino nel posto assegnatomi.

    Una signora con l’accento francese mi sedette accanto, accompagnata da un uomo ben vestito. Entrambi erano sulla sessantina. La donna profumava di cannella, e notai il diamante che portava all’anulare sinistro; mi sorrise e contraccambiai.

    Mi distesi cercando di trovare la giusta posizione per rilassarmi e magari cercare di riposarmi un po’.

    Il portellone si chiuse e cominciò la preparazione al decollo.

    L’hostess aveva un’inflessione italiana mentre spiegava in inglese le norme di sicurezze.

    Il motore aumentò di giri mentre la signorina finiva di dare istruzioni, poi si sedette e, impassibile, osservò il volto dei passeggeri che si preparavano per il balzo.

    L’ aereo aumentò la sua velocità sulla pista, ci fu un attimo di silenzio prima dello stacco da terra, poi sentii un senso di vertigine mentre saliva di quota e superava delle dense nubi bianche, virò leggermente a sinistra fino a che non raggiunse la quota di crociera, si stazionò, e le luci e il brusio dei passeggeri tornarono alla normalità.

    Mi slacciai la cintura di sicurezza per potermi adagiare nel fianco che non era dolorante.

    Guardai fuori: da lassù tutto sembrava meravigliosamente bello; anche lo squallore che avevo visto in quella città, dall’ alto, sembrava non le appartenesse.

    Chiusi gli occhi cercando di riposare, ma non ci riuscii. Mi sentivo nervoso.

    Accesi la piccola tv e cercai di distrarmi con qualche film.

    Sorrisi nel vedere una locandina di un vecchio film intitolato Legione Straniera e interpretato da due giovani Laurel e Hardy.

    Mi misi le cuffie e scorsi rapidamente il film, mi soffermai su alcune scene che mi fecero ridere.

    Spensi la tv e riposi le cuffie, mi voltai verso il finestrino e osservai la distesa azzurra sotto di noi, mentre il mio pensiero era ormai rapito dai ricordi che il film aveva riaffiorato in me.

    Tanto era passato dalla prima volta che avevo varcato quel cancello della Legione che mi avrebbe poi condotto a essere seduto su questo aereo.

    Dopo aver deciso di abbandonare tutto quello che avevo costruito fino ad allora nella mia vita, come una barca alla deriva senza capitano, girovagai per le capitali europee.

    A poco a poco, i soldi finirono, e ben presto mi ritrovai a dormire dove capitava, a mangiare nelle mense dei poveri e a vivere alla giornata.

    Mi ritrovai così in un paesino portuale della Francia, dove i paesaggi primaverili brillavano con il riflesso del sole nel mare.

    Mi piaceva molto osservare il sole che si rifletteva in quella distesa di acqua, mi dava un senso di pace.

    A volte stavo lì per ore seguendo il volo dei gabbiani, poi a sera cercavo un rifugio per la notte.

    Un porto è sempre un porto, e, benché la città cerchi di ammaestrarlo, resta sempre una zona con una sua individualità, una sua legge: da lì si parte e lì si torna, si mescolano culture, razze, ceti sociali, e tutte sono solo di passaggio.

    Lì, un posto lo trovavo sempre.

    Seduto al portile, sentivo tutto il calore del sole accumulato dalle pietre nelle ore più calde.

    Il mare era calmo e dei pescherecci uscivano dal porto: pensai alla vita di quei marinai, alle loro esistenze, vidi la luce della loro barca sparire nella notte nella vastità dell’acqua.

    La luna, crescente, era coperta da qualche solitaria nuvola, un cane malconcio mi osservava a pochi metri di distanza con un occhio aperto e uno chiuso, mentre a ondate proveniva, da una bettola con insegna Lambadà un acre odore di pesce e aglio.

    Due uomini dall’ andatura barcollante, usciti poco prima da lì, gridavano contro il cane randagio, in una lingua tra il francese e inglese.

    Il cane li osservò intimorito, poi distolse lo sguardo cercando di sollevarsi da terra.

    Si avvicinarono mentre uno sorreggeva l’altro; quello più sbronzo cercò di

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1